Il Dono Del Reietto

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Registri di Dharta Misathon (nono giorno del mese sesto nell'anno 11522).

Forte di Legno.

Djeek si svegliò infastidito dalle prime luci dell'alba che filtravano attraverso le fessure della baracca: i raggi del sole, quella mattina, erano eccezionalmente intensi a testimonianza di una giornata che, purtroppo, si preannunciava inusualmente tersa e priva di nebbia. Aveva dormito pochissimo, un po' perché impegnato a mettere ordine tra tutte le cose che gli erano accadute, un po' perché la strega Aliah aveva preparato intrugli per tutta la notte borbottando frasi disgiunte e incomprensibili nel loro insieme.

Si voltò verso il tavolo su cui era stato deposto il piccolo groppalupo e tirò un sospiro di sollievo nel vederlo respirare flebilmente.

«Non preoccuparti per la bestiola: vivrà. A proposito come si chiama?»

La domanda lo colse di sorpresa: non sapeva che si potessero dare dei nomi anche agli animali. Poi, pensò alla natura fisica particolarmente fragile rispetto ai suoi simili e contemporaneamente ricordò il coraggio con cui si ribellava alle torture infertegli dai goblin e all'audacia con cui si era scagliato contro quegli umani fanatici per difenderlo... «Zadza. Zadza è il suo nome» stabilì.

«La mia domanda era una provocazione: so bene che i goblin non danno nomi agli animali. Eppure, tu hai rotto i rigidi schemi che ti hanno inculcato e in pochi attimi, hai trovato un nome per il tuo cucciolo» rispose l'altra interdetta.

«L'ho chiamato Zadza che significa ape nel mio dialetto, perché è piccoletto, tuttavia pieno di coraggio. L'ape, infatti, quando punge per difendere l'alveare, lo fa pur sapendo che ciò la porterà alla morte certa» spiegò Djeek pensoso.

«So che l'ape è un simbolo sacro per voi goblin: essa ricorda che se Corrupto elargisce un dono, vuole sempre qualcosa in cambio» aggiunse Aliah.

«... E Corrupto donò all'ape una goccia del suo sangue, ma perché ne usufruisse pretese in cambio la vita» citò Djeek attingendo alla memoria tra i canti sacri che segretamente udiva provenire dai rituali che si svolgevano nel Santuario.

La strega interruppe bruscamente la conversazione e avvicinandogli la faccia gli disse con tono fermo e minaccioso: «Bene, ora ti libero e, siccome ho salvato la vita sia a te che alla tua bestiola, voglio anch'io qualcosa in cambio: dovrai svolgere un piccolo servizio per me. Però, non mi fido ancora di te, quindi, terrò con me Zadza e il tuo scadente bastone catalizzatore. Sappi che saranno entrambi spezzati in due se le cose non andranno come ti chiederò!»

Djeek, visibilmente intimorito, non poté fare altro che annuire in obbediente silenzio.

«Allora! Muoviti!» ordinò la strega. «Comincia a trasportare questi barili sul carretto qui fuori e bada che non cadano, nel frattempo ti darò le istruzioni che dovrai eseguire con diligenza.»

Djeek, mestamente, prese a trasportare i barilotti facendoli rotolare fino a una piccola portantina a due ruote e, con un notevole sforzo, li issava sul piano di appoggio.

Nel contempo, Aliah, nell'osservarlo lavorare, cominciò a spiegare: «Per poter condurre i miei esperimenti, ma anche per rallentare l'avanzare della mia mutazione, ho bisogno di un ingrediente fondamentale: il sangue di un innocente attinto da un neonato che, grazie all'alchimia, riesco a tenere in vita anche per diversi mesi prima di sostituirlo. Come hai potuto constatare di persona, quegli stupidi fanatici mi hanno ucciso il poppante e ora ho bisogno di uno nuovo. Ciò che stai caricando è il prezzo che pago per avere in cambio un altro lattante ed è maggiore di quello che elargisco di solito: sia perché la richiesta è improvvisa e urgente, sia perché non posso usufruire dello sconto che ho, quando sono fortunata e riesco a dare indietro quello vecchio ancora vivo.»

Djeek si fermò per riflettere e fece per dire la sua, ma fu subito spronato a riprendere il lavoro. La strega continuò: «Quello che stai caricando è un concentrato di una mia ricetta alchemica segreta, l'Essenza di Roccia. Essa, mischiata in piccole dosi alla mistura che gli umani usano per impermeabilizzare il legno, fa in modo che questo fossilizzi in superficie e diventi più robusto e soprattutto, inattaccabile dalle fiamme. Ora, visto che qui, nel Regno di Faunna, c'è la più estesa e rigogliosa foresta dell'Impero, il legno abbonda e da sempre viene utilizzato per costruire le città ed erigere le mura.»

«Ecco perché la freccia incendiaria che ha colpito la capanna non ha funzionato!» la interruppe Djeek che ansimava, poiché provato sia dalla convalescenza sia dall'eccessiva intensità della luce e del calore di quella brutta giornata di sole.

«Taci e continua a lavorare!» ribatté con rabbia Aliah irritata dall'essere stata interrotta. «Dovrai recarti a Est, nella vicina città di Forte di Legno il cui reggente è il Marchese Melton V Hemminger. Dirai che ti manda la Signora della Palude e dovrai chiedere del Maestro Aaron Mansil, l'alchimista, si fa per dire, di corte. In cambio, sai cosa voglio. Sicuramente, come al solito, non faranno storie per procurarmi un trovatello o un figlio indesiderato per i miei scopi: in fondo se il Marchese ora è più ricco del Re stesso, lo deve proprio alla resina miracolosa che fa produrre nei suoi grandi laboratori utilizzando come ingrediente segreto la mia pozione trasmutante. Tu dovrai riportarmi il pargolo vivo e non farti prendere dalla tentazione di divorarlo, ché da voi goblin ci si può aspettare di tutto.»

«Se mi ammazzano e prendono comunque le merci?» chiese Djeek, niente affatto desideroso di recarsi in una città di umani, se non per compiere una razzia come nei suoi sogni epici di giovane goblin.

«Non ti preoccupare per questo, non lo faranno, ciò che porti, opportunamente diluito, sarà sufficiente per preparare circa diecimila barili di resina che soddisferanno i bisogni costruttivi del Regno al massimo per un semestre. Poi, avranno ancora bisogno di me e, come spesso avviene, saranno loro a venire con un carro per prelevare la merce. A ogni modo, non interrompermi più e continua ad ascoltare! Dovrai seguire una strada del bosco che ho contrassegnato con delle incisioni a forma di teschio sugli alberi. Nei decenni che ho trascorso qui, ho fatto accadere terribili incidenti di origine inspiegabile lungo quel sentiero. Così, ora, tutti nel Marchesato lo considerano maledetto e vi si tengono alla larga: lì, non rischierai di essere aggredito e derubato dai briganti. Ricordati che ogni qualvolta troverai il segnale, dovrai percorrere trenta passi costeggiando il sentiero a sinistra, poi trenta costeggiandolo a destra e poi dovrai tornare nel sentiero fino al segnale successivo. Attieniti scrupolosamente alle mie indicazioni, se non vuoi che capitino anche a te i suddetti incidenti: quindi, occhio ai segnali!»

Djeek finì di caricare il carretto e, sollevandolo per le due lunghe aste apposite, prese a trasportarlo verso Est inoltrandosi nella foresta lungo il sentiero indicatogli. Andava in missione, ma non ricevette alcun saluto se non la minaccia: «Ricordati del tuo bastone e della tua bestiola!»

Effettivamente, Aliah aveva individuato bene le leve giuste per costringerlo a fare ciò che voleva: entrambi erano entrati a far parte della sua vita da poco, ma era come se fossero stati generati con lui. Li sentiva parte di sé, una larga fetta della propria persona. Senza di essi, tornava a essere Djeek, l'insignificante verme. Il bastone gli aveva donato poteri eccezionali che lo rendevano in qualche modo speciale fornendogli una formidabile cura alla sua carenza cronica di autostima. Zadza... Zadza gli era affine nel destino, ma era molto più impavido e, inoltre, aveva dimostrato di essere pronto a dare la vita per lui, quando, fino a quel momento, l'unica cosa che gli altri erano disposti a elargirgli erano solo insulti, umiliazioni e percosse.

«Il Bastone è la mia forza e Zadza il mio coraggio» pensò Djeek ad alta voce. «Sono doti che non ho in me, ma noi tre, insieme, siamo un grande goblin.» Nel calarsi in quei pensieri, aveva completamente dimenticato di concentrarsi sui segnali e quindi, passatone uno senza seguire le indicazioni della Strega, fu bruscamente riportato alla realtà da un'esplosione di fiamme verdi che carbonizzarono all'istante un malcapitato scoiattolo, pochi passi davanti a lui. La lezione gli servì e, per il resto del tragitto, si concentrò sui segni a forma di teschio e fu molto meticoloso nel contare i passi. Il percorso era scosceso, ma le grandi ruote del carretto rivestite di un materiale mai visto, morbido e di colore nero, rendevano agevole il suo trasporto. Così, giunse nei pressi della meta prima del tramonto: era stanco, ma non stremato, anche perché lungo il percorso, aveva razziato diversi nidi di uccelli mangiando uova o piccoli pennuti non ancora pronti per il volo.

Quando fu in vista della città, scorgendone le alte mura di legno, ne rimase impressionato e in un qualche senso intimorito. In quel momento, comprese appieno perché i razziatori si limitassero a saccheggiare solo i piccoli e poveri villaggi, evitando le più ricche e prospere città. Assediare e conquistare una città fortificata non era impresa da poco e, sapendo che le sue mura erano di legno trasmutato e ignifugo, l'impresa appariva pressoché impossibile.

Eppure, c'erano stati tempi in cui le orde dei goblin erano in grado di conquistare e radere al suolo fortezze ben più maestose di quella che gli si prospettava davanti:

«Nessuna fortezza resisteva alle schiere di Corrupto a milioni giungevano e come uno sciame di termiti scalavano mura, attraversavano fossati e aprivano brecce. Cadde Roccathon con le mura alte cinquanta passi; cadde Velatia circondata dalle acque mortali; cadde Aquiladria arroccata sulle alte vette; cadde Artanthia dalle dieci cinte...» recitava Djeek mentre, uscito dal folto della vegetazione, si avvicinava a Forte di Legno.

 

Quando si approssimò ulteriormente, vide che la grande porta occidentale era aperta: evidentemente, la situazione era abbastanza tranquilla e le scorribande dei pochi goblin rimasti a Grande Palude, da tempo, non interessavano più le città. Sulle mura, garrivano tre grandi bandiere: una con il simbolo di un umano nudo a gambe e braccia spalancate su sfondo bianco, l'altra con un arco e freccia su sfondo verde e quella centrale con un'ampolla sempre su sfondo verde. L'ampolla doveva essere il vessillo del Marchese, visto che, come aveva appreso da Aliah, fondava la sua fortuna sulla produzione della resina per il legno; l'arco e la freccia erano il simbolo del Regno di Faunna, dato che le foreste erano il territorio di caccia prediletto da tutti i nobili del continente, mentre per esclusione, l'umano nudo rappresentava l'Impero, anche se non ne comprendeva bene il significato. A guardia della porta, erano appostate due sentinelle, mentre altre due erano posizionate sulle torrette poste ai due lati dell'accesso. Fu proprio una di queste che scoccò una freccia: essa si andò a conficcare sul legno del carretto in segno di monito.

«Altolà, goblin! Come osi avvicinarti così spavaldamente alla nostra città?»

Djeek, era terrorizzato, gli umani che era uso vedere erano quelli schiavizzati che i razziatori riportavano nudi, incatenati e disarmati. Questi, invece, indossavano una cotta di maglia che copriva anche la testa e su di essa era posta una corazza verde di cuoio indurito recante il simbolo dell'ampolla. Oltre che dell'arco, disponevano di una spada mantenuta tramite un fodero alla cintura e di un coltello da caccia inserito in un'apposita fibbia sul corsetto.

Il goblin, disorientato e un po' inibito, esitò troppo nel dare una risposta e ciò gli costò che un'altra freccia gli passasse sibilando accanto all'orecchio.

«S-so... sono stato inviato dalla Signora della Palude, devo vedere il Maestro Aaron Mansil. Non tirate vi prego!»

«Ah! Quella vecchia strega mostruosa. Sei in anticipo» osservò quello che doveva essere il capitano. «Arnold, va a controllare la merce!» ordinò poi.

«Signor sì. Capitano Marbel!» Una delle guardie al cancello, un tipo magro dall'aspetto astuto, si avvicinò a Djeek con passo al tempo stesso rapido e circospetto. Puntandogli coltello da caccia, gli ordinò: «Apri quel barile in basso a destra!» e, fatti un paio di passi indietro, rimase a guardare arrotolandosi tra le dita uno dei suoi baffetti all'insù.

Djeek, non disponendo di alcun attrezzo per aprire il barile, provo in tutti i modi; tuttavia il coperchio non voleva saperne di venire fuori dall'incastro. Stava per desistere, ma quando vide un'altra freccia conficcarsi nel terreno nei pressi di un suo piede ce la mise tutta: strinse il barile tra le gambe, infilò le dita tra le fessure e tirò con tutta la forza di cui disponeva, sentì anche un unghia spezzarsi, ma continuò. Il coperchio saltò fuori di colpo facendolo ruzzolare a terra e parte del contenuto polveroso gli si versò addosso pietrificando all'istante gran parte della sua veste e anche alcune zone della sua pelle. Provò a rialzarsi, ma il vestito, ormai rigido, gli impediva ogni movimento. Si ritrovò a dimenarsi inerme con la schiena a terra come una tartaruga rovesciata sul dorso.

Le guardie persero ogni freno inibitorio di serietà impostogli dal ruolo e sbottarono a ridere di gusto; ciò almeno, finché il capitano, ricomponendosi, ordinò: «Jerome porta la biga dall'alchimista e, visto che ti ci trovi, caricaci sopra quel goblin testuggine» e trattenendo a stento le risate, aggiunse: «Puoi anche non legarlo, quel cretino l'ha fatto da solo. Arnold va con loro, sarà Sir Mansil a darti nuove istruzioni.»

Jerome, una guardia corpulenta dallo sguardo ottuso, raccolse senza sforzo il barile, lo chiuse e lo issò sul carretto, poi tirò su l'inerme goblin usando la sua cintola come fosse un manico rigido e lo depositò sul carico. Entrarono, quindi, nell’abitato. Arnold, con occhi vigili, si occupava di scortarli impedendo ai curiosi di avvicinarsi troppo.

Djeek osservò con grande curiosità l'interno della città. Vide umani indaffarati per le strade e bambini correre e giocare per le vie: alcuni lo indicavano e lo guardavano con interesse, altri ridevano divertiti, altri ancora correvano allarmati dai genitori, piangendo. Poi, passò in un mercato e, tra tutte le cose che osservò, fu colpito da una grande gabbia di conigli: doveva essere un sogno, tanti roditori inermi pronti a essere presi e divorati con il cuore ancora pulsante. Desiderò di poter entrare in quella gabbia e dare sfogo a tutti i suoi istinti famelici assaggiando un po' qua e un po' là tutto quel tesoro culinario. Vide anche altri animali morti e appesi, ma non avevano la succulenza delle prede vive: che spreco ucciderle prima di assaggiarne il sangue ancora caldo. Ciò che non capiva era, come di fronte a tutto quel ben di Corrupto, gli umani non si azzuffassero per impadronirsi del bottino migliore.

Le abitazioni, seppur di legno, avevano un aspetto solido e rifinito ed erano prive di falle. Le porte e le finestre potevano essere sprangate. La cosa che più lo colpì era che le case avessero più piani e che stessero comunque in piedi. Per quanto urbanisticamente caotica, per Djeek, quella città aveva un aspetto talmente ordinato e lindo da inquietarlo.

A un certo punto, Jerome portò il carretto ai margini della via, si fermò e, insieme a l'altra guardia, si immobilizzò in una strana posa rigida ed eretta con una mano sulla fronte come per ripararsi dal sole: tutto per permettere il passaggio di una carovana formata da un grosso carro corazzato. Esso era trainato da ben sei palafreni con a seguito una dozzina di cavalieri umani vestiti con armature metalliche sfavillanti e sontuosi mantelli recanti il simbolo dell'Impero.

Quando il convoglio fu passato, Arnold riprese a muoversi dicendo: «Finalmente, questi presuntuosi degli Imperiali lasciano la città.»

«Ben detto! Erano qui da meno di tre giorni e già non ne potevo più della loro supponenza e del loro atteggiarsi: ci trattano come insignificanti guardie provinciali, eppure siamo noi che vigiliamo sui loro confini occidentali e, ogni giorno, teniamo lontane le insidie che vengono dalla Palude.»

«Non ti sarai offeso perché ieri uno di loro ti ha chiamato stupido gorilla?»

«Io offeso! Come ti permetti! E a te, allora, che hanno detto che pesi meno della tua armatura?»

«Su non fare il permaloso! In fondo, se adesso questa città prospera lo dobbiamo soprattutto all'oro che le casse imperiali ci forniscono in cambio della resina miracolosa. E poi, ringrazia che non sia venuto anche l'Imperatore per una battuta di caccia!»

«E già! Mi ricordo tre anni fa! Sono rimasti per ben quattro settimane e le guardie d'elite erano ancora più spocchiose e presuntuose di queste.»

Superato il mercato, Jerome condusse la biga attraverso un'altra porta sorvegliata che, attraversando una cinta muraria, conduceva nella parte più interna della città. Lì le case, seppur lignee, erano molto più grandi e meglio rifinite. Un aspetto in particolare lasciò Djeek interdetto: mentre nelle piccole abitazioni della periferia erano ammassate molte persone, i grandi palazzi di quel quartiere erano abitati da pochi umani. Questi ultimi erano vestiti in modo bizzarro con abiti lindi, pieni di fronzoli e ricami la cui utilità gli risultava oscura. Stranezze degli uomini...

La cosa che più lo infastidiva era l'odore nauseabondo, dolciastro e stomachevole dei fiori che infestavano davanzali e balconi con i loro colori vistosi e così diversi dalla bellezza grigiastra dei muschi e delle muffe che crescevano nella sua Grande Palude. Si rese conto di odiare quel quartiere perché era algido e privo di vitalità; non vi era traccia dell'inebriante caos che regnava nella sua terra d'origine... il mercato era senz'altro il posto migliore di Forte di Legno e, all'interno del mercato, il recinto dei conigli.

Arrivarono davanti a un imponente e sontuoso palazzo a ridosso della cinta muraria interna: dal secondo piano dello stesso, partiva un lungo ponte coperto che scavalcava le mura conducendo ad un grosso edificio dai cui comignoli fuoriusciva del vapore. L'odore ricordava quello dei barili di Aliah: doveva essere lo stabilimento per la produzione della vernice ignifuga.

Arnold attraversò il piccolo cortile, salì alcuni gradini e bussò con un bizzarro anello metallico all'enorme porta intarsiata. Poco dopo, venne fuori un umano dentro strani abiti neri e bianchi che lo tenevano imbrigliato in posizione eretta e rigida quasi quanto la sua veste pietrificata facesse con lui. I due si parlarono sottovoce e poi l'uomo dicendo: «Con permesso» rientrò in casa. La guardia attese fuori dalla porta, finché l'altro non uscì di nuovo annunciando: «Signori, il Maestro Aaron Mansil, Alchimista Reale». Venne fuori un uomo magro che portava le braccia dietro la schiena. Egli indossava una ridicola calzamaglia a strisce e un sontuoso corpetto decorato da diversi gioielli. Aveva dei lunghi baffetti le cui punte lambivano guance rossicce e una parrucca bianca con dei grandi boccoli ai lati. «Dov'è?» ringhiò con un ghigno feroce. «Dov'è l'assistente di quella strega millantatrice?»

«Jerome, portagli il goblin» disse Arnold.

La guardia sollevò con un braccio Djeek e lo pose in piedi dinanzi all'alchimista.

«Un goblin?»

«Un goblin.»

«L'altra volta era un ladruncolo cavian, ora ha fatto addirittura di peggio!» Poi, mettendo in mostra il pezzo di trave bruciata che aveva in mano, chiese: «Sai cos'è questo, fetido goblin?»

Djeek, paralizzato dalla paura, fece per balbettare una risposta, ma non aveva ancora aperto bocca quando Mansil gli sferrò una legnata sul naso che mandò in frantumi la piccola spranga. «Non mi interrompere, lurida bestia! È del legno bruciato… sì, bruciato nonostante il preparato della tua padrona! L'altro ieri, abbiamo subito un attacco da parte di un gruppo di briganti provenienti dal Buccaner e, alle prime frecce incendiarie, la sezione Sud-Ovest delle mura ha preso fuoco!» Quindi, tirando con furia assassina l'orecchio appuntito dell'inerme Djeek, urlò: «Hanno preso fuoco! Capisci stupido goblin! Se non trovo una soluzione sono rovinato! Ah, no! Stavolta quella strega non otterrà ciò che vuole... a meno che, non si presenti di persona e risolva la questione. Non si accettano più bizzarri assistenti e, soprattutto, non si accettano piccoli sgorbi puzzolenti!» Rifilò un calcio a Djeek mandandolo a rotolare per le scale come un barile, intrappolato com'era nella sua veste pietrificata. L'ultima cosa che sentì mentre perdeva i sensi fu: «Sbattetelo nelle segrete!»

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