Il Dono Del Reietto

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Registri di Dharta Misathon (nono giorno del mese quarto nell'anno 11522).

Fiducia.

Procedeva lungo un tunnel profondo. Si inoltrava nelle viscere della terra e l'aria si faceva sempre più rarefatta, tuttavia anziché risentirne sentiva il suo vigore crescere sempre di più. Quando aveva fame, gli bastava staccare del minerale dalle pareti e divorarlo per sentirsi appagato e in forze. Si muoveva e si nutriva in un'estasi di bramoso piacere e, man mano che procedeva, il tunnel sembrava sempre più angusto, o forse era lui che diventava sempre più ingombrante. Ormai, avanzava raschiando contro le pareti di solida roccia che si sbriciolavano al suo passaggio cedendo docilmente all'esuberanza del suo vigore. Benché, la grotta lo calzasse come un abito e si lasciasse attraversare come burro caldo, decise di crearsi un po' di spazio e roteò su se stesso...

Proprio in quell'istante, Djeek fu svegliato da un rivolo polveroso di minuscoli calcinacci che gli piombarono dal soffitto sul volto. Tossendo, cercò di portare il braccio al volto per pulirsi, ma si accorse che era bloccato a causa della manica pietrificata del suo vestito. Fu allora che riacquistò lucidità e ricordò di essersi rovesciato addosso la polvere alchemica. Con estrema fatica, alzò la testa e vide che, per fortuna, qualcosa aveva seriamente danneggiato la sua veste di pietra che ora risultava incrinata in più punti. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e cercò di raggomitolarsi con più strattoni, finché la sua “camicia rigida” cedette crepandosi. Un po' intorpidito, si scrollò di dosso i detriti e si guardò intorno. La stanza era ampia, ma buia: l'unica fonte di luce era fievole e indiretta in quanto proveniente da una minuscola grata. Questa era posta su una porta pesante e putrida che dava su un corridoio nel quale ardeva un piccolo lume. Tuttavia, la vista da goblin gli permetteva di vedere abbastanza distintamente anche in quell'oscurità pressoché totale. L'antro era costruito con grossi blocchi di pietra ricoperti di muschio e il soffitto a cupola era alto almeno quattro volte la sua statura. La stanza aveva una forma circolare e sulle pareti, erano ricavate sei grandi alcove ed egli era in una di esse. Purtroppo, dalla sua posizione poteva constatare solo che l'alcova posta dinanzi a lui fosse vuota, mentre gli era impossibile guardare all'interno delle altre.

Fece per camminare, ma si accorse che aveva una caviglia incatenata al muro. Proprio mentre si toccava la pancia ricordando che era passato molto tempo dall'ultimo pasto, udì vicino a lui un verso di roditore, ma stranamente ritmato. Si guardò intorno e scorse, non lontano da lui, una piccola sagoma simile a quella di un grasso ratto, ma senza coda e dal pelo molto lungo a chiazze bianche e nere. La curiosità per la stranezza della creaturina fu, però, subito annichilita dall'istinto predatorio che lo portò a lanciarsi per afferrarla e ci sarebbe sicuramente riuscito, se la catena non gli avesse ricordato di essere arrivato a fine corsa scaraventandolo a terra. Così, non poté far altro che osservare il piccolo roditore sgattaiolare via, fino a entrare in una delle alcove alla sua sinistra. Djeek si mise a sedere afferrandosi la caviglia dolorante, quando si accorse che, laddove la catena era inchiodata, la parete presentava una grossa crepa: gli bastarono alcuni strattoni per estrarla dal muro.

Finalmente libero, nulla poteva impedirgli di catturare il bizzarro roditore che, nel frattempo, aveva ricominciato beatamente a emettere i suoi strani vocalizzi ritmati. Si acquattò e strisciò accanto alla parete. Arrivato in prossimità dell'alcova, fece un balzo con l'intenzione di chiudergli ogni via di fuga e... emise un urlo di terrore, poi cadde e si ritrasse istintivamente all'indietro strisciando sulle natiche. Si strofinò violentemente gli occhi credendoli impazziti: ciò che aveva davanti a sé erano dei grossi incisivi sporgenti che sbattevano tra loro producendo un ticchettio minaccioso e, dietro a essi, un'enorme testa di roditore facente capo a un corpo peloso, ma… bipede e abbigliato. Che fosse in preda alle allucinazioni? Oppure, il dio dei topi era giunto a divorarlo per vendicarsi di tutte le sue vittime?

«Immonda e alquanto infima creatura delle putride paludi! Ti consiglio con vivo risentimento di lasciar stare la mia piccola Khiki, se non vuoi provare il lancinante e alquanto letale morso dei miei incisivi sulle tue luride carni corrotte!» lo minacciò l'essere con voce acuta, ma dal tono altisonante, quasi teatrale.

«Pa... pa... parla?» balbettò Djeek senza smettere di arretrare.

«Anche tu o quasi, visto che ti odo farfugliar alquanto!»

«No... deve essere qualche intruglio che mi ha somministrato la strega Aliah nel sonno... oppure la botta in testa: devo riposare!»

«Ecco bravo! Tornatene con vile strisciare nel tuo pertugio e cerca di fare in modo che le ombre ottenebrino al mio sguardo il tuo ghigno alquanto sgradevole!» Poi, con affetto si rivolse al piccolo roditore dal pelo lungo a ciuffi. «Vieni Khiki. Se stai con me, non corri alcun pericolo: quel tipo può essere alquanto pericoloso per la tua incolumità.»

Di risposta, l'animaletto emettendo fischi di entusiasmo gli salì sulla mano e, procedendo per un braccio, gli si pose sulla spalla. In segno di affetto prese a leccargli delicatamente la nuca.

Il grosso roditore parlante si alzò dimostrandosi di oltre un palmo più alto di lui, all'incirca quanto un goblin adulto. Poi, camminò fino al limite consentitogli dalla catena e si rivolse nuovamente a Djeek, stavolta con voce meno minacciosa. «Sei stato fortunato: la piccola nonché misteriosa scossa sismica di poco fa, a quanto pare, ha crepato la roccia da cui eri coercizzato permettendoti di liberarti con facili manovre anche se goffe alquanto.»

«...» rispose, o meglio non rispose Djeek la cui mente faticava a concepire che potesse instaurare un dialogo con quello che aveva la parvenza e l'odore del suo pasto usuale anche se in formato gigante.

«Dobbiamo essere lesti nel cogliere l'occasione ghiotta ed escogitare un valido piano di fuga che ci permetta di menar le nostre stanche e alquanto provate membra sotto la volta celeste» continuò lo strano essere.

«... ehm... uhm...» cercò di ribattere il goblin ancora in stato di shock confusionale.

«Ti sembro alquanto bizzarro, vero? Non hai mai visto un cavian? A Granpatria, da dove vengo io, mi conoscono come Messer Girolamo Zopito Alexandre der Bartolommei IV, ma qui nell'Impero gli umani solgono chiamarmi, alquanto villanamente, Giro. E questa è Khiki cioè il mio inseparabile famiglio: mi è stato regalato per la maggiore età. La sua specie in Arsantis è classificata volgarmente come porcellino dei cavian, per noi invece è un tesorino di Givedon: il supremo e alquanto prezioso dono che il grande Dio della Generosità ci fece quando la nostra civiltà conosceva i suoi albori. Un regalo per rinfrancare i nostri cuori negli inevitabili e bui momenti tristi che, ahimè, infestano la vita di ogni essere senziente.»

«...Giro... IV… Khiki... famiglio?»

«Non è gentile per non dire alquanto scortese, che tu non abbia ancora adempiuto al tuo dovere di presentarti, non pensi che non sia più rinviabile il momento di farlo?»

«Ehm... Djeek a Grande Palude. Fetido Goblin qui nell'Impero...credo.»

La risposta fece ridere il cavian con un suono molto simile allo squittio del suo roditore. «Il primo nome mi sembra migliore e userò quello, per quanto il secondo mi appaia calzarti alquanto.»

Alla risata di Giro, fece eco quella asmatica di un uomo che finì per tossire nello sforzo. Djeek, che non si era accorto di lui, trasalì, ma poi si rassicurò nel vederlo incatenato. L'umano indossava un lurido abito bianco lacerato e il corpo slanciato era martoriato da numerose tumefazioni. Il volto era ricoperto da una ricrescita lordata da sangue raggrumato; la testa era pelata, mentre il colore appena brizzolato della barba, ne rivelava l'età matura, ma non ancora avanzata. Aveva diverse cicatrici, ma la più vistosa era sul collo.

«Devo dire che hanno messo su un bel teatrino per intrattenere i prigionieri: un cavian che socializza con goblin» disse prima ricominciare a tossire. Poi, riprese con voce afona. «Un ladruncolo e un razziatore di polli. Voglio proprio vedere che piano sarete in grado di concepire voi due!»

Djeek stentò a rispondergli: non riusciva a capire se le parole rivoltegli erano un insulto o una lode. Razziatore, d'altra parte, suonava come complimento. Giro, invece, intese perfettamente e impettito, replicò: «Per tua solerte e alquanto necessaria informazione, Girolamo Zopito Alexandre der Bartolommei IV non è un ladruncolo, ma un mastro scassinatore, infiltratore discretissimo, storico nonché esperto senza eguali di cimeli rari, gran musico di corte e alquanto abile schermidore. Mi preme metterti al corrente dei miei nobili natali e che la mia antica e onorata casata può annoverare nella Confederazione di Granpatria ben tre Granmaestri dei Doni. Inoltre, se riuscirò nella mia missione ardita, anche la mia persona potrà rivestire questa venerabile carica! Bada a come favelli, bandito da strapazzo e ringrazia il tuo dio, se ce l'hai, che non ho con me il mio fioretto che in mano mia è arma alquanto letale.»

«A quanto pare, ho alquanto urtato la tua sensibilità, ladruncolo alquanto permaloso. Meglio essere alquanto miserabile tra gli uomini che un nobile tra i topi di fogn... argh!»

Non fece in tempo a ribattere che Giro, con rapida e furente determinazione, gli lanciò la scodella della razione d'acqua colpendolo sul naso, laddove era presente già una grossa tumefazione. Khiki, nel frattempo, si era lanciata giù dal padrone per andarsi a nascondere in un angolo buio. «Sei un umano alquanto ostile e scostante: sei riuscito a lordare i miei flemmatici modi con i fumi dell'ira che in me hai indotto. Onta su di me! Ti aborro per avermi spinto a un gesto così volgare e alquanto inelegante.»

 

Qualche istante dopo, appena l'uomo si riebbe, la tenue luce che illuminava il corridoio adiacente alla cella si spense, mentre prese ad ardere la schiena del cavian che con un acuto urlo di strazio si rotolò a terra per spegnere le fiamme.

Djeek si divertì molto ad assistere a quella scena vagamente violenta che lo faceva sentire quasi a casa, anche se, d'altra parte, un po' temeva anche per la sua incolumità.

Poi, pensò: “Come avrà fatto a incendiarlo? Non ho visto partire nessun proietto infuocato. Che sia magia simile a quella del mio bastone? Impossibile, non ha con sé nessun oggetto magico.”

«Essere alquanto malevolo e vigliacco!» urlò furente Giro mentre cercava di raggiungere con le mani la zona della schiena, fortunatamente non più grande di un palmo, dove le fiamme avevano lasciato una lieve ustione e il pelo bruciacchiato e fumante. L'odore stimolò l'appetito di Djeek, perché gli ricordava quello dei grandi banchetti rituali: tra il rullo dei tamburi, venivano arrostite in un enorme falò centinaia di prede senza curarsi di scotennarle; poi, nell'euforia generale, decine di femmine venivano montate e altrettante risse scoppiavano con la conseguenza che nel grande fuoco finivano arrostiti anche diversi goblin suscitando divertite risate di giubilo degli altri.

Superata la fase acuta del dolore, il cavian osservò sottovoce: «Ti sei palesato in maniera alquanto inequivocabile, sei un elementalista del fuoco.»

«Un elementalista del fuoco?» fece eco stupito Djeek ad alta voce.

«Shh! Silenzio idiota! Non voglio che le guardie lo sappiano… il fattore sorpresa può essere fondamentale per la fuga» si allarmò l'uomo.

Quindi, rivolgendosi al cavian, stavolta con tono più complice disse: «Mi dispiace per quello che ti ho detto prima e anche per quello che ti ho fatto, ma tu mi hai colpito e io, Fargon dell'Isola del Fuoco pareggio sempre i conti... sempre!»

«Allora, volendo ragionare a norma delle tue alquanto perentorie regole, siamo pari per quanto riguarda i danni fisici che ci siamo inferti, tuttavia, per quanto riguarda gli insulti che mi hai rivolto, come la mettiamo?»

«Quelli pareggiano il tuo sguardo: ho visto come puntavi i tuoi occhi su di me, mi guardavi come un volgare fuorilegge.»

«Come poteva essere altrimenti? So che facevi parte del manipolo alquanto ardito di predoni che ha cercato di assaltare Forte di Legno e so che cosa avete fatto ai poveri contadini che si sono trovati sul vostro percorso... so cosa avete fatto alle loro mogli e alle loro figlie.»

«Sì, è vero ho preso parte all'assalto! Ma, se puoi credermi, non ho partecipato alle scorribande come dire... accessorie.»

«È, però, alquanto evidente che tu facessi parte di loro comunque!»

«Non con il cuore! Diciamo che quella indegna compagnia di ventura era solo uno strumento per pareggiare un antico conto... un conto che a costo di qualsiasi cosa dovrà essermi saldato.»

«Le tue sono ideologie che ledono alquanto il tuo libero arbitrio e ti rendono schiavo!»

«Tu non sai niente di cosa significhi essere schiavo! Niente!» urlò raucamente. «Nulla potrà distogliermi dal mio proposito di vendetta: l'antico conto sarà saldato, fosse anche l'ultima cosa che farò» aggiunse poi con voce bassa e tremante di rancore.

«Non vorrei che la mia curiosità ti appaia alquanto indiscreta, ma la domanda sorge spontanea: di cosa esattamente ti vuoi vendicare con cotale ardore?»

«Ecco, bravo! La domanda è “alquanto indiscreta”. Nessuno saprà mai di cosa e con chi devo ripianare i conti e vi prego entrambi di non tornare più sull'argomento.»

Detto ciò, l'uomo si sedette a terra e si prese la testa fra le mani incurante del piccolo rivolo di sangue che gli colava giù da una narice a causa dell'attacco del cavian.

Giro, invece, si strappò un lembo di stoffa dal suo abito che un tempo doveva essere stato piuttosto opulento e, rivolgendosi a Djeek con voce gentile, implorò: «Giovane goblin, ti prego di intingere questo panno nella tua scodella d'acqua e di umettarmi l'ustione sulla schiena in quanto non sono in grado di raggiungerla da me medesimo, ché essa mi sta procurando alquanto fastidio. Sappi, sul mio onore di Bartolommei, che se deciderai di aiutarmi con questo piccolo gesto avrai in dono la mia fiducia.»

Djeek non aveva ancora ben assorbito il fatto che un grosso roditore potesse parlare e per giunta in modo così forbito, che si ritrovò nuovamente a confrontarsi con concetti così alieni alla sua percezione delle mondo. “Non capisco. Se io lo aiuto, egli mi farà dono della fiducia che però non è un oggetto e quindi merce tangibile di scambio: che voglia imbrogliarmi? E poi, lo sanno tutti che la fiducia è un qualcosa di negativo: 'mai fidarsi' è il primo insegnamento di cui bisogna far tesoro per sopravvivere. Lui vuole farmi dono della fiducia, ma è un handicap, a cosa serve? O forse, pur di avere sollievo dal dolore, mi vuol far capire che è pronto ad accettare una tale pericolosa situazione su di sé? Deve essere così, accetta su di sé un danno intangibile pur di lenire un dolore tangibile: tuttavia, essere affetti da fiducia penso che sia ben più grave di una piccola ustione. Non mi sembra tanto vantaggioso per lui lo scambio che mi propone: è un tipo fiero, ma non scaltro. Fossi in lui, non proporrei uno scambio del genere... oppure sta cercando di confondermi: mi propone un qualcosa di immateriale che non potrò accertare, almeno non immediatamente. Eppure, la sua proposta mi lusinga, non so perché, mi fa sentire un po' più considerato, è un qualcosa che sento di aver già provato quando il piccolo Zadza ha deciso di seguirmi... di affidarsi a me... di fidarsi di me...”. La concentrazione che gli fu necessaria per rimettere insieme i concetti lo fece apparire imbambolato e assente, finché la voce roca dell'uomo non lo riportò alla realtà.

«Ehi, cavian! Hai usato più di tre parole con quell'acefalo e lo sforzo per capirti gli hai mandato in pappa il cervello. Incredibile! Mai visto un goblin così rimbambito!» la frase gli si strozzò tra le risate.

«Accetto!» sbottò improvvisamente Djeek come se per parlare avesse dovuto sfondare una diga.

«Grazie, gentile Signore. Ero alquanto fiducioso che lo avresti fatto» rispose Giro.

Djeek, raccolse la sua ciotola e cominciò a intingervi il panno per poi, con estremo imbarazzo, poggiarlo sull'ustione. Mentre lo faceva, la piccola Khiki uscì dal suo nascondiglio e gli si avvicinò a portata di mano. “Mi basterebbe lasciar cadere la ciotola per far secco quel bocconcino”: per un attimo quel pensiero balenò nel suo sguardo e ciò non sfuggì al cavian che prontamente sbottò con tono a stento controllato: «Hai ottenuto la mia fiducia! Non vorrai tradirmi per un misero boccone? Ti ripeto che per me Khiki è alquanto cara e sono pronto a uccidere chiunque le faccia del male. Fosse anche l'Imperatore in persona.»

Djeek pensò al legame che in così poco tempo anch'egli aveva stabilito con Zadza. Constatò l'importanza che quel lupacchiotto aveva assunto nel suo cuore e, finalmente, comprese anche cosa significasse avere un famiglio: provò vergogna per ciò che aveva pensato di fare e, contravvenendo a un'altra importante regola del goblin che vuole essere rispettato, disse: «Scusa...»

Giro rispose scostando lo sguardo in modo offeso: bastò quel gesto di rifiuto per ferirlo nell'animo. Capì un'altra cosa sulla fiducia: “Riceverla ti lusinga e ti rende più sicuro: è davvero un tesoro prezioso, tuttavia vedere la delusione di chi te l'ha concessa, ti strappa via quel dono e d'improvviso soffri duramente, perché anche le tue certezze crollano. È un regalo meraviglioso, ma anche molto pericoloso. Esso può condizionarti nell'autonomia delle scelte: da un lato ti spinge a superare i tuoi limiti per meritarla, ma dall'altro ti rende schiavo della soddisfazione delle aspettative altrui”.

«Non volevo tradirti… ho capito quello che provi: anch'io ho un famiglio» aggiunse.

«Tu, hai un famiglio? Ne sono alquanto sorpreso!» esclamò Giro: la curiosità aveva preso il posto dell'ira.

«Sì, si chiama Zadza ed è un groppalupo.»

«Una cavalcatura goblin, quindi. Be', sì in effetti trovo che i lupi siano alquanto affini ai goblin, così come i tesorini di Givedon lo sono con noi cavian. Ahi! Piano con quel panno! Solo che non sapevo che la tua razza si curasse di famigli.»

«La mia razza no, ma io sì… almeno credo. Zadza, per quanto ho capito, è per me un po' quello che per te è Khiki.»

«Presto! Torna alla tua alcova!»

Interruppero immediatamente la conversazione, perché udirono dei passi avvicinarsi e una voce provenire dal corridoio.

«Cos'era il baccano di poc'anzi? E poi, come diavolo ha fatto a spegnersi la torcia?» sbraitò la guardia mentre infilava le chiavi nella serratura della cella.

Djeek, non voleva rivelare il fatto di essere libero e si lanciò verso il suo posto, ma l'altra estremità della catena si incastrò in una fessura e lo mandò a ruzzolare a terra facendo cadere anche la ciotola. Si rialzò prontamente, ma la guardia entrò proprio mentre era intento a liberarsi.

«E tu? Come ci sei arrivato lì?» ringhiò minaccioso il carceriere avventandosi contro il malcapitato goblin.

Djeek fece per sgusciare via, ma l'uomo fu più lesto e lo afferrò per un lembo di ciò che restava del suo vestito. «E ora, prima di rimetterti al posto, te ne darò di santa ragione! Così impari un'altra volta a sgattaiolare libero per la... ough!»

L'uomo stramazzò al suolo e, dopo alcuni attimi di convulsione, rimase stecchito a terra con il lembo dell'abito di Djeek ancora stretto tra le mani.

I tre si guardarono a vicenda con sguardo interrogativo. «Che morte alquanto strana. Sei stato tu mago?» chiese timidamente Giro.

«A quale mago ti riferisci?» rispose ironico Fargon.

«In che senso? Sei alquanto sibillino.»

«Dico, ti riferisci a me o a quell'elementalista della terra?» asserì guardando biecamente Djeek. «È ora che la smetta di atteggiarti a babbeo: lo smottamento che ha liberato la tua catena non era una normale scossa sismica, era troppo localizzata, era un incantesimo. Non puoi ingannare un altro mago e soprattutto, non me!»

«Io... elementalista?» rispose Djeek ancora non del tutto consapevole del succedersi degli eventi.

«Sì, tu! Solo che ancora non ho capito che cosa hai fatto a quell'uomo: stavolta, non ho percepito alcun flusso elementale.»

«Io… elementalista?» ripeté il goblin con lo sguardo sbarrato e assente.

«Smettila di prenderci in giro, bastardo!» lo incalzò Fargon.

«Io... non ho fatto niente a quella guardia. Io sarei un elementalista?»

«Sicuro che lo sei e certamente sai di esserlo visto che non è possibile convogliare un sisma magico con una tale precisione se non si è stati istruiti alla Suprema Arte per almeno cinque o sei anni. Comunque, se non vuoi ancora rivelarti, non sono nelle condizioni di aspettare che tu lo faccia. Forza! Prendi le chiavi dal cadavere e liberami: se lo farai, avrò un debito con te e stai sicuro che ti ricompenserò appena ne avrò la possibilità, ma se deciderai di lasciarmi qui a marcire, sarai tu ad avere un debito con me e, se mai dovessi sopravvivere, stai sicuro che me la pagheresti.»

Djeek raccolse abbastanza facilmente il significato di questa nuova proposta che nei modi suonava più simile agli scambi interessati dei goblin: anche lui aveva barattato alcuni ratti per farsi curare da Griz. «D'accordo» si limitò a rispondere.

Spostò il braccio del cadavere per raggiungere la cintola e vide che nella sua mano si era infilato uno degli aghi intinti nel veleno di Corrupto. Capì tutto ed esclamò ad alta voce: «Ecco come è mort... ouch!»

«Parla piano idiota!» dissero all'unisono gli altri prigionieri. Djeek, nel frattempo, si massaggiava la nuca colpita da chissà quale oggetto. «Ecco come è morto: si è punto con uno dei miei aghi avvelenati che portavo infilati nel vestito. Non mi ero accorto di averne ancora uno con me» ripeté a bassa voce.

«Che veleno portentoso» esclamò Fargon, «che sia...»

«...il Flagello di Corrupto» completò Giro con sguardo famelico. «È un veleno rarissimo, un vero oggetto da collezione, uno splendido dono per la mia comunità.»

«Se hai intenzione di rubargli i suoi aghi presta attenzione a non pungerti» lo schernì il mago.

 

«Flagello? Noi lo chiamiamo Dono... comunque gli aghi li usavo per cacciare e quando tornavo la sera mi venivano confiscati: questo qui deve essersi nascosto in qualche piega del vestito; quindi non ne ho altri, almeno credo.»

«Forza! Non perdiamoci in chiacchiere! Djeek prendi le chiavi!» comandò Fargon dissimulando la paura di essere lasciato in catene.

«Eccole!»

«Allora liberaci! Cosa aspetti?»

«Ehm, sì! Subito.»

Cominciò prima con Giro il quale, appena libero, gliele sfilò di mano dicendo: «Ora è meglio che le tenga io che sono alquanto pratico in quanto a serrature. Forza andiamo!»

Djeek rimase interdetto. «E Fargon?»

Il mago già ardeva di rabbia tanto che il suo cranio pelato sembrava quasi incandescente. «Giusto e io? Non vorrete lasciarmi qui, razza di bastardi!»

Giro si avviò all'uscita. «Forza, seguimi! Dobbiamo trovare lo scarico delle latrine della caserma soprastante, perché è ovvio che tutte le altre uscite saranno alquanto controllate.»

Fargon sbavava e ansava. «Sto per dare l'allarme, maledetti!»

Giro, con un cambio di direzione repentino e fluido, passò vicino al mago già madido di sudore liberandolo con una velocità tale che Djeek neanche si accorse che avesse usato la chiave. «Scherzavo! Quando ti arrabbi sei alquanto divert… ugh!»

Si ritrovò con le mani al collo e sbattuto contro il muro. «Prova un'altra volta a prenderti gioco di me e vedrai se la mia furia è così divertente!» gli sibilò digrignando i denti a mezzo pollice dalla sua faccia.

Giro stava per ribattere con un commento sul tanfo del suo alito, ma per quella volta ritenne più opportuno trattenersi, anche perché in quel momento vide l'uomo scagliargli un pugno violentissimo direzionato sul suo muso, ma che all'ultimo momento trattenne. «Ahah! Paura eh? Ahahah! Ora siamo pari.»

Uscirono dalla stanza e si incamminarono silenziosamente lungo il corridoio pressoché buio. Ogni tanto, Giro poneva l'orecchio bilobato sul muro e dava degli impercettibili colpetti con il dorso di una chiave. «Alquanto interessante. È una struttura piuttosto massiccia: la caserma di legno soprastante è stata costruita sulle fondamenta di un edificio in pietra di epoca anteriore al Regno di Faunna stesso…»

Un nuovo rivolo di sudore scorreva sulla fronte dell'uomo. «Ehi! Non siamo qui per fare un giro turistico e tu risparmiaci le tue uscite da guida da quattro soldi!»

«A volte, sei alquanto inopportuno! Volevo dire che riconosco questo tipo di architettura: doveva essere una delle torrette di guardia di una fortificazione di quei maledetti rattoidi che, prima di essere scacciati dagli imperiali, vivevano nelle lande lambite dalla Grande Palude.»

«Rattoidi? Cosa sono?» chiese Djeek

«Sono i nostri nemici giurati. Hai visto come somiglio a Khiki, allo stesso modo essi somigliano ai topi di fogna. Sono ferventi seguaci di Ovathan la dea della segretezza e del silenzio. Sono loschi rapinatori e alquanto viscidi sicari.»

«Ma non sei anche tu un ladro?»

«Sei alquanto superficiale, se non scorgi la lapalissiana differenza: se noi cavian preleviamo qualcosa lo facciamo perché non riconosciamo la proprietà privata. Inoltre, questa cosa la mettiamo subito a disposizione di chi veramente la sa apprezzare o di chi ne ha bisogno. Loro rubano per avidità, perché glielo commissionano o semplicemente perché gli va, anche quando non ne hanno bisogno. Lo fanno senza farsi nessuno scrupolo di uccidere chi eventualmente li scoprisse. A differenza nostra, adorano i loro tesori e hanno una paura folle dei ladri, tant'è vero che spendono vere fortune per acquistare i migliori sistemi di sicurezza e le più impenetrabili casseforti gnomiche. Ci odiano perché i più abili scassinatori cavian sono in grado di aprire anche quelle.»

Fargon, ormai, tratteneva a stento i tic nervosi. «Sentite! Se volete stare qui a parlare di cretinate, fate pure… io me ne vado!»

«No, aspetta! Sei alquanto frettoloso, non si può essere buoni ladri, se non ci si intende di storia, leggende, architettura e arte. Volevo arrivare a dire che le torrette di guardia rattoidi sono sempre collegate tra loro attraverso passaggi sotterranei, quindi se riusciamo a trovare la botola potremmo evitare di uscire dagli scarichi e, inoltre, potremmo allontanarci inosservati passando per il sottosuolo.»

Fargon era dubbioso. «E chi ti dice che ci siano altre strutture come questa collegate?»

«Alquanto semplice: dovrebbero essercene sei poste sulle punte di una stella immaginaria che rappresenta la luna a sei fuochi di Ovathan. Ora, essendo noi sulla zona Est della città, probabilmente la botola dovrebbe trovarsi nei pressi della parete Ovest.» Il cavian cambiò direzione fino ad arrivare a una piccola grata metallica sul pavimento larga solo tre pollici, sfilò Khiki dalla tasca, la legò a una cordicella e la pose su un punto dove la maglia della grata era leggermente danneggiata e la invitò a scorrazzare in quel pertugio.

La cavietta entrò nel buco emettendo i suoi tipici vocalizzi ritmati. Giro pose l'orecchio sul terreno e si mise in ascolto.

«Bingo! Rimbomba! La sua voce rimbomba alquanto: è la via di fuga che cerchiamo!» esclamò recuperando il roditore.

Il mago applaudì in modo lento e sarcastico. «Bravo! Ora che hai scoperto che sotto il pavimento c'è un passaggio come pensi di raggiungerlo?»

Il cavian assunse un'aria contrariata. «Sei alquanto pessimista e piagnucolone. Se aspettate qui, vado sopra e, quatto quatto, mi riprendo l'attrezzatura.»

Si incamminò verso le scale con passi felpati e movenze rapide.

Fargon guardò biecamente Djeek. «E tu? Terramastro, non puoi fare nulla per aprire una falla sul pavimento?»

«Terra… che?»

«Fai ancora il finto tonto! Terramastro è il modo gergale per riferirsi a un Geomastro, cioè elementalista della terra.»

«Ma non ho il mio bastone magico? Come faccio?»

«E che te ne fai del bastone? Se come dici tu è “magico”, al massimo è un catalizzatore, cioè un semplice strumento che sostiene l'elementalista mentre accumula energia dalla natura, permettendogli di assorbirne e gestirne un po' di più. Tuttavia, il tutto è opera del mago: ma queste sono solo le basi e mi chiedo perché mi costringi a parlartene quando hai già dimostrato di padroneggiare l'Arte con la perizia di un Adepto della Terra e, quindi… se non vuoi che esaurisca la pazienza, getta la maschera! Impostore!»

Djeek si toccò il viso interdetto. «Non voglio che tu esaurisca la pazienza, ma io non porto alcuna maschera, la mia faccia è proprio così!»

Fargon, sconsolato, accennò a sbattere la fronte sul muro. «Cosa ho fatto per meritarmi questo?»

«Voilà! Fatto. C'erano una mezza dozzina di guardie, ma erano troppo concentrate sui dadi ed è stato alquanto facile eluderle.» Silenziosissimo, Giro era già tornato e gongolava con aria soddisfatta. Poi, aggiunse: «Fortunatamente, ho recuperato anche i miei abiti di ricambio.»

Infatti, aveva anche trovato il tempo di cambiarsi. Indossava un'ampia giacca blu dai lunghi lembi, con sontuosi risvolti e con bottoni d'avorio; sotto di essa faceva mostra di sé un'opulenta camicia bianca riccamente plissettata e ricamata. A quadri bianchi e blu erano, anche, i pantaloni. «Questi, forse, sono tuoi» disse porgendo a Fargon una veste arancione e due anelli. Uno incastonava un rubino, l'altro un topazio giallo.

«Non hai trovato nient'altro?» indagò l'uomo.

«Invero, ho trovato questa strana collana priva di valore» disse il cavian sfilandosela di tasca.

Fargon gliela strappò di mano e se la infilò con una smorfia. Era di corda e come pendaglio aveva semplicemente un piccolo legnetto cavo usurato dal tempo.

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