Il Dono Del Reietto

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«Ora, con un'adeguata traccia di salnitro creerò una detonazione alquanto precisa. Essa permetterà di aprire una falla sul pavimento.» Poi, con sguardo serio e determinato, fissò i compagni e aggiunse: «L'esplosione, farà alquanto rumore e per questo motivo, ho già chiuso l'accesso alla prigione sabotando la serratura. Ciò li fermerà per alcuni minuti durante i quali non sapranno cosa è successo. Una volta dentro, faremo crollare l'accesso al tunnel, però potrebbe essere plausibile che sappiano dove esso rechi e ci aspettino dall'altra parte: quindi, dovremo raggiungere l'uscita assai rapidamente.»

Fargon pose una mano sulla testa di Djeek e stringendogliela, forse con troppa forza, obiettò: «Io ho una soluzione migliore: se convinciamo questo pulcioso a collaborare, potremmo aprire una falla molto più silenziosamente e potremmo andarcene contando sul fatto che prima del cambio di guardia, nessuno scenderà qui sotto a controllare.»

Djeek si massaggiò il cranio indolenzito. «Io voglio collaborare ma non posso! Non so nulla di elementalismo: fino a poche settimane fa vivevo a Grande Palude e cacciavo animaletti, poi ho trovato il bastone che fa le magie.»

Le vene del collo di Fargon, ormai, pulsavano fuori controllo. «Non credo a una parola di quello che dici! Primo: il bastone da solo non fa un bel niente: è esattamente come i miei anelli catalizzatori. Secondo: come fa uno scaccia-topi a diventare un terramastro di discreta abilità in pochi giorni. Che io ricordi, l'unico che nella storia ha fatto qualcosa del genere fu Aglo. Vissuto duemila anni fa, fu il più grande evocatore di tutti i tempi: riuscì addirittura a costringere al risveglio e ad assoggettare un Primo Nato, il Leviathan, anche se solo per qualche istante. Nel tentativo, trovò la morte per sovraccarico elementale. Si dice che, già dopo la prima lezione, padroneggiasse l'acqua come un esperto. Inoltre, lui era un elfo degli abissi, cioè appartenente a una razza opportunamente modificata dall'intervento di Idron, perché fosse geneticamente predisposta all'Idromanzia. Tu, invece, sei un goblin e i goblin elementalisti sono rarissimi nella storia e mai nessuno di essi ha raggiunto livelli di eccellenza. Qual è la tesi? Ci stai raccontando un sacco di fandonie. Quindi, dicci da quanto tempo sei all'Accademia di Petra e cosa ti hanno mandato a fare da queste parti, ma soprattutto, deciditi a collaborare, se non vuoi che ti strangoli a mani nude!»

«Lascialo stare! Non vedi che è alquanto disorientato? Scorgere lo stato psicologico di chi ci circonda fa parte della grande arte dello scippo: noi sfiliamo il borsello solo a chi sappiamo essere non del tutto presente alla realtà in quel momento, e ti assicuro che Djeek è in uno stato tale che potrei sfilargli le brache senza che abbia ad accorgersene» arringò il cavian.

Il goblin sbatté i piedi a terrà e protestò: «Ma io voglio collaborare, solo che non so come fare!»

«Aspetta un momento e chiudi gli occhi!» Giro si allontanò un attimo, tornò con un manico di scopa e glielo mise in mano. «Ora, fa finta che sia il tuo bastone.»

«Ma…»

«Provaci almeno!»

Djeek si concentrò senza troppa convinzione e, frettolosamente, stava per demordere, quando avvertì qualcosa di distante: come se una goccia gli piombasse su ventre. Un istante dopo, avvertì schizzi d'acqua di rimbalzo bagnargli le caviglie: stava entrando in risonanza con il blocco di roccia del pavimento sotto di lui. Avvertì una nuova goccia, questa volta con maggiore intensità. Cominciò a percepire la pressione degli altri blocchi che lo incastravano, doveva sgusciare fuori dal pavimento, ma lentamente in modo da non provocare fracasso. Un piccolo tremore e sentì sfibrarsi la malta che lo legava alle altre pietre, altre piccole vibrazioni e via via sprofondava nella sua sede…

Qualcuno gli pose la mano sulla spalla destandolo dal trans.

L'interruzione lo fece trasalire e, solo con uno sforzo immane, riuscì ad attutire le conseguenze che potevano essere esplosive. «Non spaventarmi più così, ho rischiato di sbriciolare mezzo corridoio!»

Quando riprese piena coscienza di sé, si accorse dello sforzo sostenuto: era ansante e lo strato più superficiale della pelle si era seccato come polvere di gesso. Cominciava a capire cosa significasse ciò che aveva detto Fargon, cioè che il bastone magico aveva la funzione di aiutarlo nel sostenere l'energia accumulata. Fu allora che si sentì più speciale: aveva attivato i suoi poteri con un manico di scopa: era stato un po' più spossante per il suo corpo, ma funzionava comunque.

Fargon colpì con un buffetto Giro. «Dice bene il goblin! Non si interrompe così un elementalista, soprattutto quando sta realizzando un “lavoretto di fine fattura” come questo.»

Si rivolse poi con un sorriso a Djeek, dicendo: «Spero che un giorno mi dirai la verità su come hai appreso l'Arte. A ogni modo, complimenti! Hai dimostrato una capacità di controllo paragonabile alla mia: sei riuscito a far scorrere il blocco con la delicatezza di un intarsiatore.»

Giro si inginocchiò vicino al blocco sprofondato nel pavimento, ma non del tutto. «Sono stato alquanto imprudente a interromperti, tuttavia dovevo farlo perché non volevo che crollasse nel tunnel sottostante provocando troppo rumore. È stato un mio errore, dovevo pensarci prima.»

Tirò fuori dal borsello un trapano con due leve estensibili, lo poggiò sul blocco: lo imbottì con un panno e lo colpì con un piccolo martello. Poi, prese a premerlo con tutto il suo peso e invitò gli altri a far ruotare le leve.

Nel giro di qualche minuto la punta si era avvitata nella roccia per qualche pollice. Sfilò il trapano ruotandolo nell'altro verso e avvitò al suo posto un gancio metallico. Vi legò una corda che, con le opportune misure, fu assicurata a una grata di una cella chiusa.

«Forza Djeek dagli un'ultima scrollatina!» lo invitò Fargon.

«Ehm! Cosa?» Djeek era completamente assente, perché perso in un'estasi gioiosa, effetto dei primi complimenti ricevuti in vita sua. «Ah! Sì! Scrollatina. Subito!»

Si concentrò e la prima cosa che avvertì fu il gancio che lo trafiggeva in maniera quasi dolorosa, ciò lo prese di sorpresa facendolo sobbalzare: il risultato fu un po' più brusco del precedente, ma tutto sommato non eccessivamente rumoroso. La roccia squadrata si sfilò definitivamente dalla sede, ma la sua caduta fu bloccata dalla fune che la lasciò a penzolare a mezz'aria.

«Bene, la corda ha retto: è sottile, ma robusta alquanto ed è molto costosa… per chi la compra» disse Giro mentre, con agilità, si calava di sotto.

Fu seguito da Fargon e da Djeek che, preso dall'euforia di mostrarsi in gamba, volle scendere con un balzo audace. Però, calcolò male gli spazi: urtò contro il blocco sospeso che lo sbilanciò facendolo cadere a terra rovinosamente. Un essere umano della sua stessa corporatura si sarebbe rotto le ossa, tuttavia Djeek, avvezzo a ben altre percosse, si rialzò prontamente dissimulando il forte dolore al polso e allo zigomo. «Tutto a posto! Tutto a posto! Non mi sono fatto niente.»

Giro e Fargon si guardarono per un attimo come se stessero trattenendo uno tsunami nello stomaco e, subito dopo, scoppiarono a ridere senza ritegno.

Djeek, risentì dello scherno più che della botta, ma alla fine prese a scherzarci su anche lui.

I tre si inoltrarono nel tunnel ridendo: mentre procedevano, alimentavano l'ilarità con discorsi del tipo: «Ho visto goblin arrampicarsi su pareti verticali e colonne, e questo qui non sa scendere da una botola...»

«Dicono che i goblin possano saltare da oltre dieci passi senza farsi male!»

«Sì, ma questi ne erano solo tre, ecco perché non ha funzionato alquanto...»

«Ehi! Djeek di faccia ci si tuffa in acqua non sulla roccia...»

Il goblin non ce la fece più e si inacidì. «Ridete! Ridete! Ma se non era per me, ora stavate ancora a vedere come far saltare tutto in aria con il sarnito.»

Fargon ormai con le lacrime agli occhi deglutì. «Scusa, ma sei stato troppo divertente!»

«Alquanto buffo, direi! E poi, si dice salnitro.» Giro si passò il braccio sugli occhi bagnati di lacrime.

Almeno smisero di ridere.

Estratto dai registri dell'Osservatore Horidon, Dharta di sesta generazione. (Sociale Congregazione di Granpatria. Soggetti itineranti con priorità medio-bassa: decimo giorno del mese sesto nell'anno 11522)

Il pellegrino di Givedon.

«Per Tempèra! Sembrava non finire mai!» esclamò Fargon reggendosi un lembo di stoffa lurida sul naso sanguinante.

«In fombo e sctata una mbella sgambagnata» intervenne Djeek con in bocca la succosa carne di un ratto catturato poc'anzi.

«Forse per te che vedi in questo buio pesto! Potevi almeno avvertirmi della trave di sostegno! A quanto pare, eri troppo impegnato con le tue puzzolenti prede!»

«Venite a vedere!» Girolamo de Bartolommei IV aveva steso una vecchia mappa sotto il flebile fascio di luce che filtrava dalla grata di una massiccia porta metallica. «Sono alquanto sicuro di sapere dove siamo.»

Djeek ingoiò alla svelta il boccone succhiando la coda del roditore che gli penzolava ancora dalla bocca, ruttò e si mise a sedere.

«Sto per vomitare!» si lamentò l'umano mentre si chinava sulla mappa.

«La prigione è qui, a Sud-Ovest della città, noi abbiamo proceduto per circa novecentoventi passi in questa direzione.» Il cavian fece scorrere una delle sue dita oblunghe sulla mappa. «E quindi, è alquanto probabile che siamo qui, cioè sotto la residenza dell'alchimista.»

«Aaron Mansil» disse Djeek.

«Non sapevo che i goblin raccogliessero informazioni sulle persone più rilevanti. Da quel che so, essi depredano e basta» osservò, il mago guardandolo con sospetto.

 

«I goblin, no! Ma Aliah, sì!»

«Aliah la Signora della Palude?» esclamò Girolamo.

«Quante Aliah conosci, stupido topo?» scattò Fargon con inaspettata ferocia. Il lato destro della sua bocca gli si increspò in una strana smorfia.

Girolamo stava per ribattere, ma la sua innata capacità di interpretare con prontezza le situazioni gli suggerì di tacere.

Poco dopo, il mago si ricompose e chiese con malcelata disinvoltura: «Così, Djeek, tu conosci quella strana creatura di persona?»

«Sì. È lei che mi ha mandato.»

«Se è per questo, anch'io ero qui per svolgere una commissione per suo conto, ma questi umani sono alquanto gelosi dei loro oggettini che non gli servono, poi, tanto» disse Girolamo con finta innocenza.

«So bene con quale perizia voi cavian scegliate questi “inutili oggettini”» replicò sarcastico Fargon. Nel farlo controllò, con un gesto istintivo, se i suoi preziosi anelli catalizzatori fossero ancora al loro posto.

Il ladro colse prontamente l'impercettibile reazione. «No, quelli penso che siano alquanto utili per i nostri scopi se li tieni tu» osservò stizzito lasciando il mago imbarazzato.

«Tornando a noi. Ora, dobbiamo trovare il modo di penetrare nella residenza dell'alchimista e sgusciarne fuori. Da quel che so, è una struttura alquanto vigilata: pare che in essa sia accumulato un tesoro di considerevole valore» continuò.

«Se quello che dicevi sulla forma a stella di questi tunnel è vero, qui potrebbe esserci un altro passaggio che conduce altrove» ipotizzò il mago.

«È alquanto probabile, ma condurrebbe qui.» Girolamo punto il dito sulla mappa in corrispondenza di una struttura contrassegnata con il simbolo della freccia incoccata del Regno di Faunna.

«Il centro addestramento degli arcieri» rilevò l'altro.

«E se da lì prendessimo l'altro tunnel, passerebbe troppo tempo, aumentando il rischio che qualcuno si accorga della nostra scomparsa. A quel punto, le probabilità di fuggire dalla città si ridurrebbero alquanto.» Il giovane der Bartolommei ripose la mappa sentenziando: «Dobbiamo uscire da qui.»

«Però, prima dobbiamo aprire quella porta: non credo si possa sfondare» obiettò Djeek che fino a quel momento era rimasto a contemplare affascinato le miniature rappresentate sulla pergamena.

«Ah, questa? Alquanto rudimentale» replicò spavaldo lo scassinatore. Prese a sferragliare con la grossa serratura: un paio di secondi dopo, aveva finito. Aprì la massiccia e cigolante porta a mo' di maggiordomo, si voltò verso i compagni e proclamò: «La via è libera, Signori. Potete accomoda... Khiki dove scappi?»

La reazione che vide impressa sulle facce dei compagni non era quella che si aspettava. Il gorgoglio sinistro che udì provenire dalla stanza alle sue spalle, lo portò istintivamente a sbattere ripetutamente gli incisivi producendo un ticchettio che, nella sua razza, è l'equivalente di un grido di battaglia. Con un gesto repentino, sfrecciò via dall'accesso lateralmente, poco prima che, con un balzo, la belva gli lacerasse la schiena. «Presto, fate di tutto per contrastarlo! Non fatevi ghermire: la saliva del rattopardo è infetta, i suoi morsi sono alquanto difficili da curare!»

Fargon scagliò un innocuo dardo di fuoco testimone del fatto che sia il tempo che le fonti erano del tutto insufficienti in quel contesto. Il proietto gli bruciò moderatamente la pelliccia unticcia sul garrese ottenendo l'unico effetto di aizzarne la ferocia.

La fiera contrasse i muscoli felini e balzò sfrecciando al fianco del cavian. Il suo obiettivo era di artigliare il mago con le unghie oblunghe da ratto, per poi finirlo con gli incisivi larghi e affilati come le lame di una ghigliottina.

Proprio in quel momento, Djeek poggiò i palmi a terra facendo schizzare dal soffitto e dalle pareti della stanza piccoli frammenti di roccia e mattoni che, alzarono un gran polverone. I detriti andarono a colpire in parte il rattopardo, ma soprattutto il goblin stesso e Fargon atterrandoli in un cumulo di calcinacci. Sottoterra, la fonte era eccellente, ma sia il tempo che il controllo del giovane geomastro non erano stati sufficienti. La belva, appena infastidita da quell'attacco, si passò una zampa sugli occhi rossi e luminescenti e si scrollò il pelo. Come fece per muoversi, pronta a divorare le due prede inermi, venne colpita da qualcosa di molto duro sulla nuca.

«È contro di me che morirai, alquanto orrida creatura di Ovathan!» gli sibilò Girolamo. Lo aveva colpito con un grosso yo-yo metallico legato a dei fili sottilissimi, ma robusti.

La belva riconobbe nell'avversario la sua preda geneticamente designata e ringhiò con rinnovata furia. L'altro non si fece pregare e gli scagliò contro lo yo-yo. Questa volta, con un movimento fulmineo, l'animale lo intercettò al volo trattenendolo nella bocca. Stava per dare uno strattone volto a sbilanciare il cavian, ma crollò a terrà privo di vita: sottili punte metalliche fuoriuscivano radialmente da vari punti del suo cranio. Il cavian operò un'impercettibile trazione su uno dei fili dell'arma e le punte rientrarono nella sfera con suono meccanico: così, poté estrarla dalla bocca della fiera.

Mentre i due compagni si rimettevano in piedi spolverandosi i vestiti, egli si affrettò a ripulire bene l'arma e quindi a raccogliere in una fiala la saliva del rattopardo.

«È un ingrediente alchemico alquanto ricercato, utilissimo per ricavare un antidoto contro il suo appestante morso» spiegò ai due che lo guardavano schifati.

«Che paura! Non avrei mai creduto che in vita mia potessi io, finire mangiato da un ratto e non viceversa!» si sfogò Djeek il cui orgoglio era stato messo a dura prova da quell'esperienza.

«Stupido sbruffone di un cavian!» gli sbraitò contro Fargon che aveva recuperato il suo status naturale, cioè irato instabile, tendente alla furia. «Saresti tu il famoso infiltratore! Un infiltratore che si fa cogliere di sorpresa da una bestia grossa quanto una tigre.»

«Non c'è di che! Sono alquanto lieto che tu mi sia grato per averti salvato la vita» replicò sarcastico l'altro, mentre con una pinza estraeva gli incisivi della belva per riporli in un sacchetto. Continuò: «Per tua informazione, il rattopardo è la cavalcatura delle truppe scelte rattoidi. È un dono di Ovathan ai suoi fidi servi ed è stato selezionato nei secoli per combattere efficacemente i loro nemici naturali tra cui si annoverano anche i cavian. Esso, nonostante la sua mole, è alquanto silenzioso, neanche un corristrello potrebbe sentirlo muoversi: d'altra parte è una creatura della dea della segretezza. E, se proprio vuoi saperlo, il suo odore è stato affinato nei secoli al fine di renderlo indistinguibile dal muschio persino al nostro finissimo olfatto. Vedi il sudore unticcio che ne ricopre il pelo? Ha proprio quella funzione.»

«Bella lezione di bestiologia! Comunque… grazie!» bisbigliò imbarazzato il mago che si era reso conto di aver esagerato. Poi, per rompere la tensione, chiese: «Cos'era quell'arma che hai usato?»

«Questo?» Prese a giocare a farlo muovere sotto e sopra facendolo rotolare e srotolare sul filo che lo avvolgeva. «Questo è un artefatto gnomico alquanto versatile, noi lo chiamiamo il “dono non gradito”. Come vedi, torna sempre indietro, tuttavia se lo apri, nasconde dei regalini come dire? poco azzeccati? ehm... che ti lasciano di stucco? Quella che avete visto è solo una delle sorpresine che vi si nascondono» spiegò.

I tre varcarono la porta guardinghi ritrovandosi in un ampia stanza al cui interno erano ammassate ossa di varia natura, anche di origine umanoide. In alto, sul centro del soffitto, vi era una botola metallica a grata, attraverso cui filtrava una fioca luce.

«A quanto pare, il nostro caro Aaron sa bene come far sparire i suoi nemici!» commentò ironico Fargon.

«Be', vorrà dire che noi entreremo nella sua casa esattamente da dove, normalmente, fa uscire i suoi ospiti più sgraditi. Ritengo che questo ci avvantaggerà alquanto» osservò Girolamo fissando la botola.

«Ma come facciamo ad arrivare lassù?» obiettò Djeek.

Effettivamente la grata metallica era posta a un'altezza di almeno dieci passi.

«È una situazione alquanto frequente nelle mia attività e sono attrezzato per questo» disse il cavian mostrando un sacchetto di velluto dal quale estrasse uno strano oggetto metallico. Era a forma di ferro di cavallo, con agganciato nella parte posteriore un anello grande quasi quanto un palmo e rivestito da una guaina di uno strano materiale nero, liscio e lucido.

«Questo è un artefatto alquanto prezioso, tra i più preziosi che abbiamo nella nostra comunità. Esso è il bottino che mio nonno presentò al termine del suo Pellegrinaggio ottenendo, così, la carica di Granmaestro dei Doni. Pare che l'abbia prelevato addirittura dalla Torre Grigia sotto il naso dei paradartha, prole dei Dharta e primi Elfi grigi, i più sapienti e i più potenti. Come faccia a funzionare è un mistero anche per molti maghi runici, ma noi abbiamo condotto delle ricerche. Grazie a un altro artefatto, l'Occhio di Verahia, abbiamo potuto scrutarne l'interno: dentro la parte in metallo, pare ci sia un filo avvolto come le spire di un serpente intorno a un'anima di ferro. Per quanto riguarda l'anello, quando il Maestro dei Congegni ha usato l'Occhio su di esso, per poco non ci ha rimesso la vista: pare che ci sia un'enorme quantità di magicka che scorre al suo interno senza consumarsi.»

Poi, con un atteggiamento solenne, simile a un prestigiatore che si esibisce dinanzi agli occhi rapiti dei bambini, proclamò: «E ora, Signori, se avete con voi oggetti metallici, allontanatevi alquanto e, visto che ci siete, portate via anche la mia sacca degli attrezzi... Sto per attivare la Stretta di Mano di Energon.»

Djeek, portando con sé solo la sua veste malandata, decise di rimanere a osservare da vicino Girolamo che nel frattempo mosse una minuscola levetta a scorrimento posta nel punto di congiunzione tra le due parti.

Al click, il goblin fu tirato per la manica da una forza misteriosa verso l'artefatto e andò a franare addosso al cavian che, nel cadere, ebbe il riflesso di disattivare l'artefatto.

«Ehi! Alquanto ardito da parte tua! Guarda che non sei il mio tipo!» scherzò Girolamo anticipando e quindi mortificando sul nascere ogni tentativo di battuta di Fargon.

«No, guarda che ti sbagli!» replicò imbarazzato Djeek senza cogliere l'ironia.

Girolamo gli sfiorò la manica e un ago simile a quello che aveva freddato la guardia comparve tra le sua dita abili. «A quanto pare, ne avevi un altro. E visto che l'ho ritrovato io, ora me lo tengo» aggiunse facendolo cadere in un piccolo contenitore che andò a riporre nella sua tasca.

Djeek, ancora confuso, si sentì un po' depredato, ma non ebbe da replicare.

«Bene! Alquanto bene! Dove eravamo rimasti?» Il cavian riattivò l'artefatto, lo legò a una corda attraverso l'anello, lo ricoprì con un panno imbottito, e lo lanciò in alto senza badare troppo alla mira. Questo, infatti, come se fosse animato da volontà propria, deviò il proprio volo aumentando di velocità fino a incollarsi alla grata soprastante con un suono attutito.

«Bravo, non ci avevo pensato: se non l'avessi opportunamente rivestito, avrebbe fatto un fragore degno di una campana. Sei un tipo molto attento ai dettagli. Non pensavo che esistessero topi così svegli» osservò Fargon.

«Un tentativo alquanto maldestro di complimento, “nobile” Fargon» ribatté l'altro che odiava sentirsi chiamare topo. Con una smorfia di stizza, prese ad arrampicarsi agevolmente lungo la fune.

Una volta in alto, incastrò un gancio in una fessura, liberò la fune e ve la legò reggendosi con due dita alla grata; quindi agì sulla levetta della Stretta di Energon per disattivarla e riporla.

«Toglietevi da lì sotto: è alquanto pericoloso!» intimò a bassa voce, mentre estraeva una siringa contenete acido ad alta concentrazione che, a contatto con i perni di fissaggio della grata, li sciolse come fango. Le gocce che piovvero a terra produssero sfrigolando dei piccoli fori.

Si aggrappò con entrambe le mani al bordo dell'apertura e con la testa alzò lentamente il tombino fino a sporgere gli occhi oltre il pavimento della stanza che, come già aveva intuito grazie all'olfatto, si rivelò essere una cantina. «Naso alquanto buono non mente, vero Khiki?» bisbigliò soddisfatto. Il suo famiglio, passandogli sulla spalla, si avventurò nella stanza emettendo i suoi tipici vocalizzi.

«Ehi! Che cosa c'è lassù?» domandò Djeek ad alta voce.

 

Girolamo rispose con uno sguardo di rimprovero e tornò a concentrarsi sui vocalizzi del suo piccolo roditore. Quando si quietarono sostituiti dal rumore di masticazione, il cavian si issò per entrare nella cantina facendo cenno ai compagni di salire. Non appena girò l'angolo della nicchia in cui era posta la botola, ebbe una visuale più completa del posto: ciò che vide gli strappò un'imprecazione. «Per Givedon!»

Allarmati, i compagni si diedero da fare per raggiungerlo. Djeek risalì la fune con buona lena: seppur imbranato, era pur sempre un goblin; Fargon sudò e sbraitò non poco per tenergli il passo.

Una volta sopra, lanciandosi sguardi per comunicare, si mossero con cautela rasenti il muro. Quando, ormai pronti a ogni evenienza, sbucarono nell'ampio locale sotterraneo, si trovarono di fronte a una scena che spiazzò tutte le loro previsioni.

«Venite, accomodatevi e sollazzatevi alquanto!» li invitò, stravaccato su una grossa sedia imbottita, il rampollo della casata Bartolommei. Alzò un calice di vino rosso con una mano, mentre il gomito dell'altro braccio poggiava su un di tavolo apparecchiato con altri due bicchieri, una bottiglia, un sacchetto aperto e alcuni peperoni gialli.

«Montefiaschetto del sessantadue, prodotto nei Collicretosi: la migliore annata di uno dei migliori vini di Xantis. E sì! Si tratta alquanto bene il nostro Aaron!» continuò ignorando lo sguardo sgomento dei compagni di fuga.

Come Fargon fece per avvicinarglisi con la mano protesa verso il suo collo, questi vi pose un calice con un gesto repentino.

«Certo, il gusto ne avrebbe giovato alquanto se avessimo avuto il tempo di farlo decantare un po'. Tuttavia, mio impetuoso compare, sappi che non avrai più occasione alcuna nella tua vita di estasiare i tuoi sensi come potresti fare oggi. Credimi: un solo sorso vale tutta la prigionia che abbiamo patito» proseguì con sguardo malizioso, mentre provvedeva a mescere il vino nel bicchiere tremolante nella morsa furiosa del mago.

«Dai, Djeek! Non mostrarti alquanto imbarazzato, bevine anche tu e scoprirai cosa possono generare un sole caldo, delle verdeggianti colline e delle buone botti di rovere, coadiuvati dal lavoro accorto e amorevole dei contadini del Regno di Villaneia, laddove fervida è l'adorazione per il mio Dio. Vedi mio bizzarro amico, per un agricoltore devoto a Givedon produrre un buon vino è come officiare un rito sacro e goderne è come pregare.»

Il goblin, senza farsi ulteriormente sollecitare, ignorò il bicchiere, afferrò la bottiglia, se la rovesciò direttamente nella gola e, dopo aver ruttato, sentenziò «Bah! Deludente! Eppure, il colore prometteva bene… pensavo sapesse di sangue, almeno un po', almeno... »

«Oh, Givedon! Oh, Dio delle feste! Perché ci elargisci doni di cotale sublimità e permetti l'esistenza di esseri rozzi al punto di non goderne alquanto?» si lamentò il cavian.

Nel frattempo, il gambo del calice di Fargon non aveva più retto la presa, spezzandosi.

«Umano! Almeno tu non deludermi alquanto! Ché io non so se il mio povero e sensibile cuore possa reggere un altro oltraggio di cotale brutalità.»

«Per Tempèra!» imprecò l'altro. «L'alcol deve averti mandato in fumo il cervello! Guardatelo! Si atteggia a valletto di corte!» Rovesciò il contenuto del bicchiere sul pavimento, sfidando lo sguardo esterrefatto di Girolamo.

«E poi,» continuò poggiando quel che restava del calice sul tavolo per non far rumore «dovresti sapere che noi fiammamastri siamo astemi: l'alcol potrebbe renderci instabili durante l'esercizio delle nostre facoltà... per non dire infiammabili.»

«Da un dottore in materia come te, mi sarei aspettato alquanto che ti classificassi quale piromastro» obiettò il cavian che, seppur vistosamente turbato, non voleva dargli la soddisfazione di mostrarsi ferito dal gesto ingiurioso.

«Me ne sbatto della saccenza degli accademici! Fiammamastro va benissimo!» Fargon odiava essere corretto.

Girolamo estrasse un frutto secco dal sacchetto, lo sbucciò con rapida esperienza usando i lunghi incisivi e prese a masticarlo con sguardo sognante. «Pistacchi dell'isola vulcanica di Cesilia, perfetti per accompagnare questo nettare che voi barbari non avete il dono di saper apprezzare. Siete fortunati che ora sono alquanto estasiato da questa inaspettata degustazione, altrimenti vi avrei infilzati entrambi con la mia lama che non conosce sconfitta!»

Degustò l'ultimo sorso chiudendo gli occhi e inspirando profondamente. Poi, continuò: «Alquanto sublime! Forza, almeno i pistacchi potete mangiarli!»

«Basta! Ti ricordo che stiamo nel bel mezzo di un'evasione!» urlò il mago al massimo che la sua voce afona gli consentisse.

«Se c'è qualcuno che deve ben tenere in mente cosa stiamo facendo, quello sei tu mio “infiammabile” compare, visto che gridando alquanto, rischi di farci scoprire!» lo redarguì l'altro con sguardo ora divenuto severo. Porse un peperone alla piccola Khiki che accolse il dono con fischi oculati, ma entusiastici. «Almeno tu, mia cara, sai godere di quanto la natura ci offre.»

Nel frattempo, Djeek si era lanciato sui pistacchi. Con l'istintiva rapidità acquisita in anni di lotte per assicurarsi le misere razioni di cibo che gli venivano lesinate nel vivaio, si svuotò in bocca quasi tutto il sacchetto con tutte le bucce e, masticando fragorosamente, commentò: «Nom male! Cofì proccanti mi ricordano le ossa. Anche fe qui niente sa di carne o di fangue, ammeno un po', ammeno... »

«Ho capito. Sono, ormai, alquanto consapevole dei vostri limiti: procediamo dunque!» constatò Girolamo rassegnato. Si alzò e si mosse verso la scalinata che menava fuori dalla cantina, non prima, però, di aver infilato nella saccoccia un prezioso sacchetto di zafferano proveniente dal feudo de' L'Astore.

Djeek lo seguì e imitandolo, si pose intorno al collo una fila di salsicce. Fargon si incamminò scuotendo la testa e borbottando tra sé.

Sbucarono in un'ampia cucina illuminata dalla sola luce delle stelle e delle lune: essa filtrava da un ampio lucernaio posto in alto su un lato della stanza.

«È notte. Quindi gli umani dormono. Giusto?» osservò il goblin sperando di mostrare arguzia.

«Non ne sono sicuro alquanto» rispose Girolamo sorridendo all'essenzialità del ragionamento del compagno. «Sai? Ci sono anche umani pagati per restare svegli e montare la guardia.»

«Ma per fortuna, il nostro amico alchimista non ha ritenuto importante vigilare la cantina, almeno non dall'accesso sotterraneo» si inserì Fargon.

«Alquanto prevedibile! In effetti, non è che ci si possa aspettare un'intrusione attraverso un antico passaggio segreto abitato da simpatiche belve e sigillato da una grata fissata da staffe di ferro spesse come i polsi di un orco e posta a oltre dieci passi da terra. Pagare una guardia per vigilarlo sembrerebbe un inutile spreco di denaro o meglio, lo sarebbe se non esistesse Girolamo il mastro infiltratore» si gongolò il cavian atteggiandosi in un inchino degno di un attore da teatro dinanzi all'ovazione del pubblico.

«Quando ti ci metti, sei odioso!» osservò il mago. «Comunque, visto che sei così svelto, vedi di trarci fuori di qui, possibilmente senza altre ridicole digressioni.»

«Bravo! Vedo che ormai, sei alquanto consapevole delle mie abilità...» ribatté l'altro. «Ma dov'è Djeek?»

Lo ritrovarono nel locale dispensa aggrappato con braccia e gambe a un mezzo maiale che penzolava da un gancio: quando li sentì arrivare sollevò la bocca del fiero pasto e, mostrando la faccia completamente imbrattata di sangue, li accolse con un roboante rutto.

Lo scassinatore, il cui udito era sottilissimo, udì qualcuno da qualche parte della magione allertarsi.

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