Читать книгу: «Conquista Di Mezzanotte», страница 3
Davina aspettava con il fiato bloccato nel petto, osando sperare nella sicurezza che suo padre le offriva. Gli attimi si allungarono all'infinito, mentre guardava Parlan riflettere sulle parole di Munro. Con un profondo sospiro, Parlan annuì. “Te lo concedo.”
Davina restò a bocca aperta e il suo cuore precipitò nel più profondo del suo essere.
“Ad una condizione: resterete tutti qui come nostri ospiti per due settimane o persino di più. Desidero passare del tempo con mia figlia, darle la possibilità di una tregua ed osservare per un certo periodo tuo figlio.” Parlan puntò il dito verso il viso di Munro e fece una smorfia. “Ma se vedrò il minimo accenno di dolore negli occhi di mia figlia o anche il più piccolo segno sul suo corpo, se non vedrò il suo comportamento trasformarsi in quello di una donna beatamente felice in breve tempo, scioglierò questo matrimonio e non mi importa dello scandalo che ciò potrà causare o di quanto potrà costarmi.”
Munro strinse la mascella e i suoi occhi divennero freddi. “Sì, sono sicuro che lo scandalo sia qualcosa che sei pronto ad affrontare, considerate le tue origini.”
Il volto di Parlan divenne scarlatto. “Nonostante le mie origini, io sono ancora quello con i legami con la Corona e non solo grazie alla mia nascita illegittima. Condividere la nursery ed essere cugino stretto di colui che è attualmente sul trono ha i suoi vantaggi.”
I due uomini si fissarono in uno scontro silenzioso, ma alla fine un ampio sorriso si allargò sul viso di Munro. “Non preoccuparti, amico mio! Non sarai deluso. Ian sarà un genero modello e noi avremo molti nipoti dei quali esser fieri!” Le pacche sonore di Munro sulla schiena di Parlan non riuscirono a cancellare la linea determinata della bocca di quest'ultimo, che tuttavia annuì di nuovo in assenso.
Davina inghiottì le nuove lacrime di sgomento che minacciavano di tradirla. Retrocedendo dalla soglia, percorse il corridoio in silenzio e si allontanò da quell'incontro tra uomini, quell'insieme di potere maschile che le imponeva una vita dominata dal destino. Barcollò nella cucina, poi all'esterno nel cortile deserto e dietro le scuderie, mentre il suo cuore sprofondava ancora di più all'idea della protezione di Munro, nella quale non credeva affatto. Davina non aveva mai detto niente a suo padre, e Parlan era venuto a sapere che Ian la maltrattava durante le poche visite che i suoi genitori le avevano fatto, o durante le brevi visite che lei e il marito avevano fatto a casa. Com'era possibile che Munro fingesse di ignorare ciò che avveniva sotto il suo stesso tetto? Si lasciò cadere su un piccolo mucchio di paglia dietro alcuni barili di acqua piovana, avvicinò le ginocchia al petto e nascose il viso tra le braccia, lasciando scorrere le lacrime.
Non si era confidata con suo fratello Kehr neppure una volta durante quell'orribile farsa di matrimonio. Persino adesso, non poteva andare da lui, perché Kehr si trovava ad Edimburgo, ad almeno tre giorni di viaggio dalla loro casa a Stewart Glen. In quel momento Davina non riusciva a capire la ragione per la quale non aveva mai condiviso i suoi guai riguardo a Ian con il fratello. Gli aveva sempre raccontato tutto, incluse le sue fantasie di diventare la moglie dello zingaro indovino. Non i dettagli più intimi, ovviamente, ma l'idea che lui sarebbe tornato e le avrebbe dichiarato il vero amore. Era stata felice che suo fratello accettasse i suoi sogni, anche se ogni tanto la prendeva in giro. Kehr l'aveva sempre sostenuta, ma l'aveva ammonita di non farsi intrappolare eccessivamente nel mondo dei sogni. Dopotutto, erano solo fantasia.
Trasse un profondo respiro per calmare il battito del cuore e le mani tremanti, cercando quelle fantasie per alleviare le preoccupazioni. Che impressione aveva fatto su di lei, quello zingaro gigante che prediceva la sorte! Aveva fatto molte visite all'accampamento degli zingari durante il loro ultimo soggiorno e aveva conversato con Amice, mentre sorseggiavano il tè accanto al fuoco. Broderick andava e veniva senza quasi degnare Davina di uno sguardo, prediceva la sorte e andava avanti con le sue occupazioni. Troppo timida per rivolgergli direttamente la parola, Davina approfittava di ogni opportunità per vederlo e la sua infatuazione cresceva. E quando lui le rivolgeva la parola, lei non riusciva a mettere insieme più di due parole senza una raffica di risatine. Tuttavia, aveva memorizzato ogni lineamento del viso di Broderick: la curva del suo naso aquilino, il bell'angolo dei suoi zigomi, la linea dritta della sua mascella squadrata. Alla tenera età di tredici anni, l'innocenza e la mancanza di esperienza davano ai suoi sogni il gusto di passeggiate attraverso le foreste illuminate dalla luna e baci rubati. Mentre cresceva, quelle fantasie erano maturate e bruciavano di abbracci pieni di passione. Amice aveva detto che sarebbero tornati. Negli otto anni trascorsi da quando lo aveva incontrato, ogni gruppo di zingari che attraversava il loro piccolo villaggio di Stewart Glen le incendiava il cuore, ma la delusione di non vedere Broderick tra loro gettava acqua su quel fuoco. Quando suo padre aveva stipulato il contratto matrimoniale con Munro e aveva concesso la sua mano a Ian, lei si era costretta ad abbandonare i sogni ed era giunta alla conclusione realistica di dover mettere da parte i capricci, come le consigliava suo fratello.
Tuttavia, la tetra realtà della sua unione con Ian aveva fatto rinascere quelle fantasie, alle quali si aggrappava come alla vita.
Dei gattini miagolarono da qualche parte nelle scuderie: i loro piccoli versi impotenti attirarono la sua attenzione e le fecero sollevare gli angoli della bocca dalla compassione. Sospirò. Almeno il suo cuore aveva smesso di martellare e le sue mani erano di nuovo ferme.
Appoggiò la testa contro la struttura di legno delle scuderie e fissò le pietre del muro perimetrale dall'altra parte... pietre che suo padre aveva disposto con le sue stesse mani. Sorrise al ricordo del suo tentativo di progettare l'apertura segreta situata sul lato nord del muro perimetrale, alle spalle dei loro terreni, proprio alla sinistra di Davina. Suo padre si era lamentato di quanto fossero imperfetti i meccanismi. Kehr e Davina si erano divertiti ad usare quel passaggio negli anni, anche se il padre li aveva ammoniti severamente di non rivelare dove si trovava. Anche se la loro casa non era stata progettata per essere una formidabile fortezza contro un esercito, le mura li tenevano al sicuro, indirizzando il traffico verso i cancelli anteriori. Parlan si era sempre preoccupato della propria famiglia, come dovrebbe fare un padre responsabile.
Davina sobbalzò a un rumore dall'altra parte del muro e si portò la mano al petto, costringendo il respiro a rallentare. Senza muovere un muscolo o osare respirare, aspettò che qualche altro rumore rivelasse cosa era successo. Il sangue scomparve dal suo viso quando il borbottio di Ian le giunse alle orecchie. Delle proteste profonde e nervose si levarono dai cavalli nelle scuderie, quando Ian prese a calci quelli che sembravano dei secchi o degli sgabelli. “Puttana! Tutto questo è colpa sua!” Il rumore delle fibbie e dei finimenti risuonò nella confusione. “Stai fermo, stupido animale!”
Davina si rannicchiò a terra dove era seduta e sbirciò attraverso le fessure degli infissi nell'apertura sopra di lei. Ian faticava a sellare il cavallo. Lei sobbalzava ad ogni strattone e spinta che il cavallo subiva dal padrone, fino a quando lo stalliere Fife non si schiarì la gola, entrando nel box. “Posso esservi di aiuto, padron Ian?”
Ian si ritrasse al suono della voce di Fife, poi trasse un respiro per calmarsi, allontanandosi dal cavallo. “Sì Fife, lo apprezzerei.”
Il cuore di Davina si contorse alla vista del bel sorriso di Ian e della sua aria affascinante. Era stato così con lei, durante il corteggiamento, ma adesso mostrava quel lato della sua personalità a tutti, tranne che a lei. La gente non poteva sospettare che un uomo crudele si nascondesse sotto quell'aspetto attraente.
“C'è qualcosa che vi preoccupa, padron Ian?” Fife si strofinò il naso largo e rotondo, stringendo gli occhi segnati dall'età, mentre accarezzava il collo del cavallo e si spostava dall'altro lato, per allacciare le cinghie di cuoio.
“Oh, solo un piccolo disaccordo con mio padre. Niente di serio.” Ian sorrise e scosse la testa. “Mi chiedo se si smetta mai di avere disaccordi con i genitori.”
Fife ridacchiò e scosse la testa, abbassando la guardia. “E' una battaglia infinita che dobbiamo sopportare per tutta la vita, ragazzo. Tutta la vita.” Risero entrambi per quella saggezza. Fife porse le redini a Ian. “Andateci piano con lei, padron Ian. Fate una bella cavalcata, per alleviare la tensione, e ritornate in tempo per la cena.”
Ian scosse la testa di buon umore e salì in sella con il suo corpo snello. “Mi sembra di avere più di un padre qui, visto che voi e Parlan mi siete così affezionati.”
“Ci stiamo semplicemente prendendo cura di voi, padron Ian.” Fife salutò con la mano, guardando Ian che girava il cavallo e si dirigeva verso il cancello anteriore. “Bravo ragazzo,”sussurrò mentre sistemava le scuderie.
Davina si morse il labbro inferiore dalla frustrazione. Era l'unica a riconoscere la crudeltà di Ian? Stringendo i pugni, uscì a passo di marcia da dietro le scuderie e si diresse verso il castello; Fife le rivolse uno sguardo stupito quando Davina chiuse la porta dietro di sé. No, non era l'unica. Suo padre aveva occhi per vedere e si sarebbe assicurata che sapesse fino a che punto poteva arrivare la brutalità del marito.
Si diresse immediatamente nel salotto, ma trovò la stanza vuota e il fuoco che bruciava ancora nel camino. Girò sui tacchi e si scontrò quasi con sua madre.
“Oh! Davina, mi hai spaventata!” Lilias si posò una mano sul petto e trattenne il respiro. “Tuo padre mi ha mandata a cercarti.”
“Lo stavo proprio cercando anch'io.”
Lilias prese sua figlia per mano e la condusse attraverso il pianterreno della loro casa fino al primo piano, che ospitava le camere da letto private. Ogni pietra che superavano lungo la strada verso la camera dei genitori ricordava a Davina l'orgoglio negli sforzi di suo padre e la propria fiducia nella sua saggezza, che avrebbe dato ascolto alle suppliche della figlia.
Quando Lilias aprì la porta della camera da letto, sospinse Davina nella stanza, chiuse la pesante porta dietro di loro e si sedette sul divanetto accanto al fuoco, occupando un posto tranquillo ma di sostegno al fianco del marito. Parlan era in piedi davanti al camino, con le spalle alla porta, in un atteggiamento simile a quello che aveva tenuto nel salotto. “Non so con certezza quanto tu abbia sentito fuori dal salotto, Davina, ma mi dispiace che la conversazione ti abbia sconvolta così tanto.” Si voltò a guardarla, aggrottando la fronte per il dispiacere. “Non temere, ero l'unico testimone della tua fuga in preda alle lacrime.” Le sue ultime parole furono un sussurro confortante.
Davina mise il labbro tremante tra i denti, per calmarlo, e si dimostrò forte davanti al padre. “Non si tratta di niente che tu abbia provocato, padre. Sono felice di sapere che sei al corrente della mia situazione.” Le tremava la voce, ma si schiarì la gola e trattenne le lacrime. “Stavo andando nel salotto, per prendere il mio lavoro di ricamo, quando mio suocero ti ha implorato di perdonare mio marito.”
Parlan inarcò le sopracciglia, apparentemente sorpreso che lei avesse sentito tutto ciò. Annuì. “Allora sei al corrente della punizione di Ian, per la sua incapacità di affrontare le responsabilità.”
Davina annuì.
Dopo una lunga pausa, suo padre disse: “Mi rendo conto che le condizioni di questo accordo suonano come se ti stessi rimandando indietro nella tana del leone.” Parlan osservò il morbido cuoio marrone dei suoi stivali, prima di guardarla di nuovo negli occhi. “Ian non è affatto felice della stretta al suo borsellino, che Munro gli imporrà, ne sono sicuro. Per questo ho insistito che restassero qui, sotto il mio tetto, in modo da offrirti una certa sicurezza e assicurarti che sarai protetta.”
Davina diede libero sfogo al suo dolore. “Per favore, padre, fai che io non debba sopportare un istante di più di questa unione! Non possiamo fare come hai detto e sciogliere il matrimonio?”
Parlan strinse la mascella e rivolse uno sguardo dispiaciuto alla moglie. Lilias gli afferrò la mano e sembrò offrirgli il proprio sostegno. “Davina, i Russell offrono delle immense opportunità di affari, sia per me che per tuo fratello e io non potrò affidarmi per sempre a mio cugino il re. Dobbiamo sforzarci di aumentare da soli i nostri possedimenti.” Si concentrò di nuovo su Davina, le si avvicinò e le prese entrambe le mani nelle sue. “Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare una dose maggiore di maltrattamenti da parte di tuo marito, rispetto a tutte le altre donne. Ora che non posso più fingere di ignorare questo suo comportamento, spero che potrai perdonarmi per non avere detto niente prima. Prenderò delle misure che ti assicurino la protezione e, con il tuo aiuto, penso che riusciremo a fare funzionare questa faccenda.”
Davina dovette fare un grande sforzo per riuscire a parlare, a causa del groppo che le si era formato in gola. “Sii la mano gentile che domerà la bestia,” sussurrò, ripetendo le parole di suo suocero.
Parlan annuì. “Munro ha chiaramente fatto ben poco per mostrare a Ian come essere uomo. Il tuo soggiorno, il loro soggiorno qui, darà indefinito. Ian e Munro staranno ciascuno in una stanza degli ospiti di sopra e tu avrai di nuovo la tua stanza privata, su questo livello. Ho insistito ulteriormente con Munro e supervisioneremo entrambi il comportamento di Ian nelle prossime, numerose settimane. Munro ha accettato umilmente la mia guida come padre, e quella di Lilias come madre, per mettere Ian sulla retta via. Solo quando vedremo dei miglioramenti, ti permetteremo di osare ritornare a casa loro. Solo quando mi sentirò sicuro che tu sia amata e curata come la donna preziosa che sei, ti consentirò di andare con loro.”
Anche se Davina si sentì sollevata al pensiero che le botte e i rapporti sessuali crudeli sarebbero cessati, si sentì comunque crollare il mondo addosso. “Non conosci il vero Ian, padre. E' capace di indossare una maschera affascinante sopra il mostro che è in realtà. Lui...”
“Davina, non gli permetterò assolutamente di farti del male. Sono d'accordo che lui stia prendendo troppo sul serio la propria responsabilità di esercitare il suo dominio di marito, ma non è un pericolo per la tua vita. Se pensassi che lo fosse, scioglierei all'istante questo matrimonio. Ti proteggeremo.”
Davina odiava sapere che la sua famiglia credeva che lei avesse una propensione per il dramma. Suo padre le baciò la fronte e la attirò in un forte abbraccio. “Non lascerò che ti faccia del male. Devi farlo per la tua famiglia. Un giorno, quando Ian avrà imparato il suo ruolo e i suoi doveri coniugali, forse riuscirai a perdonarlo e ad amarlo. In caso contrario, almeno potrai trarre gioia dai figli che avrai un giorno.”
Davina lasciò scorrere le lacrime, bagnando la tunica del padre e tenendolo stretto per farsi forza e sottomettersi ai suoi desideri. Sarebbe stata l'agnello sacrificale per dare alla sua famiglia un futuro stabile.
* * * * *
Il clangore dell'acciaio contro acciaio risuonava nell'aria, rimbalzando tra le pareti e l'alto soffitto della Sala Grande e mescolandosi ai ringhi, agli ansimi e ai gemiti di Kehr e Ian che stavano duellando. Kehr parava gli affondi di Ian, si girava e colpiva il lato scoperto dell'avversario, strappandogli un grugnito. Con un sorriso sul viso, Ian spingeva Kehr in avanti e quest'ultimo ricambiava il sorriso con un proprio affondo; comunque, Ian lo bloccava efficacemente con lo scudo.
“Bene!” lo incoraggiava Kehr.
“Grazie!” diceva Ian con un altro colpo di spada, che Kehr schivava.
Davina sorrise a suo fratello, confortata dalla sua presenza. Finalmente era tornato a casa dopo una lunga permanenza a Edimburgo, in visita a Corte. Era arrivato solo il giorno prima in tarda serata e, anche se lei aveva atteso con ansia il suo arrivo e l'opportunità di passare del tempo con lui, la notizia dell'apparizione che aveva fatto visita al re aveva fatto sprofondare il suo spirito.
Tutta la Scozia era in fermento per quello che era successo al re e Kehr aveva riportato la storia con grande enfasi, nel salotto. Con il fuoco che bruciava nel camino e gettava ombre nella stanza, la famiglia si era seduta in cerchio, con gli occhi fissi sulla drammatica messinscena di Kehr.
“Inginocchiatevi di fronte al re di Scozia!” aveva gridato il consigliere del re mentre inseguiva l'uomo che aveva fatto irruzione nella cappella privata del sovrano. Kehr imitò l'ufficiale John Inglis che correva dietro all'intruso. “Ma il re ha sollevato la mano ed ha bloccato i consiglieri, perché l'uomo si è fermato prima di raggiungere Sua Maestà.”
Scoppi di risate circolarono nella stanza e Davina si mise la mano sulla bocca, per reprimere i propri risolini. “E dite che io ho la tendenza al dramma!” scherzò.
Kehr rise per la sua interruzione, ma andò avanti. “ 'Basta',” disse il re. 'Lasciatelo parlare.' I consiglieri si sono osservati a vicenda per un lungo istante di silenzio, poi l'uomo ha allungato il braccio,” Kehr mimò le azioni dell'intruso, che si chinava in avanti con il pugno di fronte a sé, “ed ha afferrato la tunica del re, dicendo 'Sua Maestà, mia madre mi ha mandato da voi per chiedervi di non recarvi dove avete intenzione di andare.'” Kehr aggrottò la fronte, rivelando il grave messaggio che l'uomo aveva consegnato al re. “' Se lo farete, non starete bene durante il viaggio, e neppure tutti quelli che verranno con voi.'” Kehr camminò altezzoso davanti alle persone sedute in cerchio nella stanza, guardando ciascuno di loro negli occhi. Davina scosse la testa per quella pausa che lui usava con efficacia. Kehr si fermò al centro del pubblico. “E semplicemente così...” schioccò le dita, “l'uomo sparì come un battito di ciglia al sole!” La famiglia sobbalzò e si scambiò mormorii. Kehr si strinse nelle spalle. “E così il re ha deciso di non dichiarare guerra all'Inghilterra.”
Davina si calmò quando il fiato le uscì di colpo dal petto... mentre tutti gli altri scoppiavano in applausi, gioivano e festeggiavano quella grande occasione. Kehr afferrò l'idromele, fece un cenno a Davina e sollevò la tazza. Lei ricambiò il cenno con un sorriso forzato. Suo fratello si sedette tra gli applausi, mentre la famiglia si congratulava con lui per quella scena e per le meravigliose notizie.
Davina aveva fatto ogni sforzo possibile per apparire felice, proprio come in quel momento, sforzandosi di mantenere la maschera di un sorriso e aggrappandosi alla consapevolezza che Kehr e suo padre non sarebbero andati in guerra, dopotutto. Per fortuna, i discorsi sulla guerra la tenevano sempre lontana dalla Corte, dove odiava passare il tempo. Inoltre, voleva Ian sul campo di battaglia... non suo fratello o suo padre.
“Resisti, Ian”, lo ammonì Kehr e riversò su di lui un assalto di fendenti, colpi e affondi che fecero arretrare Ian per tutta la lunghezza della stanza. Poiché non faceva attenzione ai propri passi, inciampò e cadde all'indietro, ma si rimise rapidamente in piedi e si voltò, per evitare l'assalto di Kehr.
“Ti stai facendo prendere dall'eccitazione, nipote?” Tammus, il fratello di sua madre, si fermò accanto a Davina.
Davina si accorse di essersi aggrappata allo schienale della sedia, mentre guardava il fratello e il marito impegnati in quella finta battaglia, come parte dell'addestramento di Ian. Allontanò le mani dal legno duro e solo allora si accorse del dolore alle dita. Rivolse lo sguardo allo zio, il viso del quale era illuminato da una tinta arancione calda, a causa della luce delle torce disposte nella stanza. “Sì, Zio, mi preoccupo per entrambi,” mentì.
Tammus le mise un braccio intorno alle spalle con affetto e la strinse a sé. “Oh, non preoccuparti, ragazza. Di sicuro una finta battaglia è diversa da quella vera che, per fortuna, non dovremo combattere affatto.”
“Sì, Zio.” Davina sorrise e rivolse di nuovo l'attenzione ai duellanti.
Quando Kehr le fece l'occhiolino, con la schiena rivolta a Ian, quest'ultimo lo colpì al sedere con la parte piatta della spada, strappando un grido al fratello di Davina. Ian inarcò le sopracciglia con finta sorpresa e Kehr partì al suo inseguimento, ma Ian scappò gridando come una ragazza e facendo il giro dell'ampia superficie della stanza. Tutti scoppiarono a ridere per quella scena comica, eccetto Davina, perché quella scena di Ian la fece stare male. Nelle ultime sei settimane, da quando il marito era stato punito con una stretta ai lacci del borsellino, Ian aveva organizzato un'incredibile messinscena per conquistare la famiglia di Davina ad ogni occasione. Anche se loro due non venivano mai lasciati soli, con suo grande sollievo, nei rari momenti nei quali lui riusciva a gettare un'occhiata nella sua direzione o la metteva con le spalle al muro nel castello, le faceva capire in privato che tutto ciò sarebbe tornato a perseguitarla, quando lui avesse ottenuto lo scopo di avere di nuovo il controllo e il denaro.
“E' un gioco delizioso tra il gatto e il topo, vero?” le aveva chiesto una volta in cui l'aveva bloccata in un angolo.
“Non riuscirai ad ingannare la mia famiglia,” gli aveva detto Davina con sicurezza.
Lui l'aveva bloccata, facendola arretrare nel vano delle scale ed appoggiando le braccia alla parete. “Pensano di potermi controllare,” sibilò, “di controllare i fili di questa marionetta, facendomi misere concessioni del loro denaro? Vedremo se a loro piace essere controllati. Sono dei tipi fiduciosi, proprio come te.” La maledisse con un sorriso malvagio e si allontanò impettito. Davina aveva iniziato a tenere un pugnale nello stivale, dopo quell'incontro. Adesso, mentre osservava la sua famiglia diventare un giocattolo nelle mani di Ian, quell'affermazione del marito le sembrò piuttosto vera. A Ian piaceva quella messinscena, gli piaceva manipolare la gente, fargli credere e fare quello che voleva lui, un gioco nel quale riusciva alla perfezione. Fino a che punto si sarebbe spinto?
Kehr riuscì a fare inciampare Ian, che finì lungo disteso sul pavimento di pietra. Tutti accorsero in suo aiuto, Kehr primo tra tutti, scusandosi. Ian rimase per un attimo stordito e Davina si concesse un sorriso segreto. Dopo essersi ripreso, Ian si pulì il sangue sul labbro inferiore e la guardò. Sollevò un sopracciglio e sorrise brevemente- solo abbastanza perché lei lo notasse- prima che il suo viso diventasse di nuovo serio, poi abbassò lo sguardo, come se soffrisse. Rivolgendo un'occhiata a Davina, si alzò da terra e si spolverò i calzoni. Il suo lieve gesto fece voltare verso Davina suo fratello e suo padre. Prima che lei capisse il piano di Ian, era stata sorpresa a gongolare per l'incidente del marito, proprio come voleva lui.
Il calore le risalì fino alle guance. Parlan la fulminò con lo sguardo, spingendo il resto del gruppo a voltarsi verso di lei. Davina si scusò per dover lasciare la scena, uscì dalla Sala Grande, attraversò il corridoio oltre il salotto, la cucina e il cortile verso le scuderie, cercando di soffocare i singhiozzi. Il crepuscolo avvolgeva il castello, gettando su tutte le cose delle sfumature grigie. Degli aloni di luce ambrata circondavano le torce disposte nei terreni intorno, per illuminare almeno un po' il percorso. Davina entrò nelle scuderie e colpì con il piede un secchio vuoto sul pavimento. Il rumore svegliò i gattini, che si stiracchiarono.
“Come possono credere alla sua messinscena?” sibilò incrociando le braccia sotto il petto, stringendo i pugni e camminando avanti e indietro. Dopo il primo incidente, Davina era andata da suo padre per svelargli il piano di Ian e lui le aveva creduto. Tuttavia, quando Ian era stato portato davanti a Munro, Parlan e Davina per spiegarsi, aveva affermato che Davina lo aveva capito male e si era scusato per essere un inetto con le parole, incapace di dire le cose nel modo giusto. All'inizio, persino Davina aveva creduto di aver sentito male, fino a quando Ian non l'aveva messa un'altra volta con le spalle al muro. Era impossibile sbagliarsi. Dopo un po', il padre aveva iniziato a credere che Davina stesse cercando di screditare Ian, mentre lui si stava sforzando di cambiare. Comunque, quei fallimenti non l'avevano scoraggiata e aveva continuato a tentare.
Due gattini sbucarono da sotto una cesta sul retro della zona di lavoro di Fife. Davina si fermò e li fissò, aspettando. Dov'erano gli altri gattini? Si chinò sui talloni, sbirciando nell'oscurità. Un altro gattino strisciò fuori, miagolando. Erano cresciuti così tanto nelle ultime sei settimane... ma solo di taglia. Il ridursi del loro numero era quello che preoccupava Davina. Quando aveva visto i gattini per la prima volta, ne aveva contati otto. Una settimana dopo- quella successiva all'inizio della punizione e della supervisione di Ian- ce n'erano sette. Aveva rimosso quella differenza nel numero, pensando di aver contato male. Quando la settimana successiva era scomparso un altro micetto, aveva pensato che quel poveretto fosse stato catturato da un gufo o da qualche altro predatore. Giusto, un altro predatore. Fife le aveva detto del terzo gattino che era scomparso due settimane dopo e aveva affermato che Ian glielo aveva portato con il cuore quasi spezzato. La testa era stata schiacciata... da un cavallo, aveva immaginato Fife. Davina aveva cercato di parlargli dei suoi sospetti, ma lui le aveva detto in un tono paterno che era troppo dura con il padrone Ian, che doveva imparare a perdonarlo per le sue passate trasgressioni e come Ian si fidasse di lui riguardo al modo di provare ad essere un marito migliore.
Erano scomparsi troppi gattini perché lei non avesse sospetti, nonostante quello che diceva Fife. Si accucciò, aspettando che il quinto micetto uscisse dalla cesta. Niente. Prese una lanterna dalla parete e diresse la luce verso l'oscurità crescente della notte che stava scendendo, nella zona di lavoro di Fife. La cesta era vuota. Quattro gattini girovagavano intorno a lei: quattro su otto. Dov'era il quinto?
Mise a posto la lanterna e fece due giri intorno all'area davanti ai box, prima di entrare in quello della sua giumenta, Heather. Afferrò la sella e la sollevò sul dorso di Heather.
“Andate da qualche parte?” La voce di Ian la fece sobbalzare e sentì dei brividi freddi danzarle lungo la schiena.
Strinse le labbra e si concentrò nello stringere i lacci di cuoio, sforzandosi di sentire quello che faceva Ian al di sopra del tambureggiare incessante del proprio cuore. Spostandosi sull'altro lato del cavallo, pestò con il piede qualcosa di morbido e balzò indietro con un grido, pensando di aver calpestato un topo. Non si mosse niente. Con la punta dello stivale, toccò la paglia che aveva calpestato. Non ci fu nessun movimento, quindi si mise in ginocchio, allungò la mano tremante e spostò la paglia. Il quinto gattino.
“Oh, mio Dio!” disse Ian in un tono triste, ma quando Davina lo vide sbirciare nel box, aveva un sorriso sulle labbra. “Non un altro?” Nonostante il terrore, lei si meravigliò di come Ian riuscisse a dare un tono affettuoso o preoccupato alla sua voce, pur mostrando un ghigno così minaccioso sul volto. Le si rizzarono i peli sulla nuca.
“Perché?” piagnucolò. “Perché lo fai?”
Lui si diede un'occhiata oltre la spalla e sorrise. “Credulona fino alla fine,” sussurrò facendole l'occhiolino.
Davina afferrò uno straccio appeso a un chiodo in fondo al box e raccolse il corpicino freddo. Singhiozzava, quando mostrò a Ian il gattino. “Hai così tanta rabbia dentro di te, che devi sfogarla sugli animali innocenti, visto che non puoi sfogarla su di me?”
“Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”
“Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”
“E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.
“Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”
Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?
Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.
Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”
Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.
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