Il Regno Delle Ombre

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Из серии: Re e Stregoni #5
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Il Regno Delle Ombre
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Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campione d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri, della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende undici libri (e che continuerà a pubblicarne altri); della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende due libri (e che continuerà a pubblicarne); e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende sei libri. I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono tradotti in 25 lingue.

TRAMUTATA (Libro #1 in Appunti di un Vampiro) ARENA UNO (Libro #1 de La Trilogia della Sopravvivenza),UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1 in L’Anello dello Stregone) e L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro 1 un Re e Stregoni) sono tutti disponibili per essere scaricati gratuitamente!

Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati!

Cosa dicono di Morgan Rice

“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

–-Books and Movie Reviews

Roberto Mattos

“L'ASCESA DEI DRAGHI ottiene grande successo direttamente dall'inizio… Un fantasy superiore… Inizia, come dovrebbe, con le lotte di un protagonista e si sposta poi nettamente verso una cerchia più ampia di cavalieri, draghi, magia, mostri e destino… Vi si trovano tutti gli intrighi di un fantasy di alto livello, dai soldati e le battaglie ai confronti con se stessi… Un libro di successo raccomandato per coloro che amano le storie epiche e fantasy pregne di giovani protagonisti potenti e credibili.”

–-Midwest Book Review

D. Donovan, eBook Reviewer

“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini… Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

–-The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)

“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)

“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos

“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly

Libri di Morgan Rice
RE E STREGONI
L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)
L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)
IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)
LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)
IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)
LA NOTTE DEL CORAGGIOSO (Libro #6)
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
SOGNO DA MORTALI (Libro #15)
GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)
IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)
LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA
ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)
ARENA DUE (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
PROMESSA (Libro #6)
SPOSA (Libro #7)
TROVATA (Libro #8)
RISORTA (Libro #9)
BRAMATA (Libro #10)
PRESCELTA (Libro #11)
Ascolta RE E STREGONI nella sua edizione Audio libro!
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Copyright © 2015 by Morgan Rice

All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.

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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Algol, used under license from Shutterstock.com.


 
“La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso,
che si dimena sopra un palcoscenico,
per il tempo assegnato alla sua parte
e poi di lui non si udirà più nulla.”
 
--William Shakespeare, Macbeth


CAPITOLO UNO

Il capitano della Guardia Reale si trovava in cima alla torretta di controllo e guardava le centinaia di Guardiani ai suoi piedi, tutti giovani soldati che sorvegliavano Le Fiamme sotto il suo occhio attento, e intanto sospirava per il malcontento. Un uomo che avrebbe potuto guidare battaglioni, il capitano considerava come un quotidiano insulto il suo essere relegato lì, ai remoti confini di Escalon, destinato a guardare un disordinato gruppo di criminali che venivano definiti soldati. Quelli non erano soldati: erano schiavi, criminali, ragazzi, vecchi, i reietti della società, tutti ingaggiati per sorvegliare un muro di fuoco che non cambiava da un migliaio di anni. Era veramente soltanto un’incensata galera, e lui certo meritava di meglio. Meritava di trovarsi in qualsiasi altro posto, ma non lì, davanti alle porte reali di Andros.

Il capitano diede un’occhiata verso il basso, con scarso interesse, mentre si verificava l’ennesima zuffa, la terza ormai quel giorno. Quella sembrava essere scoppiata tra due ragazzi cresciuti un po’ troppo che litigavano per un pezzetto di pane. Un gruppo di ragazzi urlanti subito si raccolse attorno a loro, incitandoli. Questo era tutto ciò in cui potevano sperare, là fuori. Erano tutti estremamente annoiati, costretti a sorvegliare Le Fiamme giorno dopo giorno; tutti assetati di sangue. E lui lasciava che avessero il loro divertimento. Se si uccidevano, tanto meglio: ci sarebbero stati per lui due ragazzi i meno da sorvegliare.

 

Si levò un grido mentre uno dei ragazzi aveva la meglio sull’altro, piantandogli un pugnale nel cuore. Il ragazzo si afflosciò mentre gli altri esultavano per la sua morte e poi si avventavano sul suo corpo per arraffare qualsiasi cosa vi potessero trovare. Almeno era stata una morte misericordiosamente rapida, molto meglio di quelle lente che gli altri avrebbero affrontato in quel luogo. Il vincitore si fece avanti, spinse gli altri da parte e si chinò afferrando il tozzo di pane dalla tasca del morto e infilandolo nella propria.

Era semplicemente un giorno come un altro lì a Le Fiamme, e il capitano ardeva di indignazione. Non si meritava tutto questo. Aveva fatto un errore, disobbedendo una volta a un ordine diretto, e come punizione era stato spedito lì. Non era giusto. Cosa non avrebbe dato per essere in grado di tornare indietro e cambiare quel momento passato. Era convinto che la vita potesse essere estremamente eccitante, estremamente assoluta, ma anche assolutamente crudele.

Il capitano, rassegnato al suo destino, si voltò a guardare Le Fiamme. C’era qualcosa nell’onnipresente crepitio, dopo tutti quegli anni, che era per lui seducente, ipnotico. Era come tenere gli occhi fissi sul volto di Dio stesso. Mentre si perdeva in quel bagliore, si interrogava sulla natura della vita. Sembrava tutto così insignificante. Il suo ruolo lì – il ruolo di tutti quei ragazzi in quel luogo – gli apparivano così insignificanti. Le Fiamme si ergevano da migliaia di anni e non sarebbero mai morte. E fintanto che avessero continuato ad ardere, la nazione di troll non avrebbe mai potuto fare irruzione. Marda si poteva anche trovare dall’altra parte del mare. Se fosse stato per lui, avrebbe preso i migliori tra quei ragazzi e li avrebbe messi di pattuglia da qualche altra parte ad Escalon, lungo le coste, dove sarebbero veramente stati utili. Quindi avrebbe giustiziato tutti i criminali che si trovavano tra loro.

Il capitano perse la concezione del tempo, come spesso gli accadeva, perdendosi nel bagliore del fuoco, e solo in tarda giornata si riscosse improvvisamente, allerta. Aveva visto qualcosa, qualcosa che non poteva capire del tutto. Si strofinò gli occhi, convinto di aver avuto una visione. Ma quando guardò con maggiore attenzione, si rese lentamente conto che non erano per niente visioni. Il mondo stava cambiando davanti ai suoi occhi.

Lentamente il continuo crepitio, quello accanto al quale aveva vissuto in ogni momento di veglia sin da quando era arrivato lì, si spense. Il calore che sempre gli aveva inondato il volto improvvisamente svanì, lasciandogli un brivido, un vero brivido, il primo da quando era lì. E poi, mentre guardava, la colonna di brillanti fiamme rosse e arancio, quelle che gli avevano bruciato gli occhi, che erano state accese giorno e notte ininterrottamente, per la prima volta si spense.

Scomparve.

Il capitano si strofinò gli occhi di nuovo, incredulo. Stava sognando? Davanti a lui, mentre osservava, Le Fiamme si stavano abbassando fino a terra, come un sipario che veniva calato. E un attimo dopo non c’era più nulla.

Niente.

Il capitano smise di respirare, il panico e l’incredulità lentamente presero il sopravvento su di lui. Si trovò a guardare, per la prima volta, verso ciò che si trovava dall’altra parte: Marda. Ne aveva una visuale chiara e completa. Era una terra completamente nera: montagne desolate e nere, rocce frastagliate e nere, terra nera, morta, alberi neri. Era una terra che non avrebbe mai dovuto vedere. Una terra che nessuno ad Escalon avrebbe dovuto vedere.

Calò un sorpreso silenzio mentre i ragazzi di sotto, per la prima volta, smettevano di bisticciare tra loro. Tutti paralizzati dallo shock si voltarono a guardare. Il muro di fuoco era scomparso e lì davanti a loro, dall’altra parte, intenti a guardarli bramosi, c’erano un intero esercito di troll che riempivano il territorio fino all’orizzonte.

Una nazione.

Il capitano si sentì il cuore sprofondare in petto. Lì, a pochi passi di distanza, si trovava la nazione delle bastie più disgustose che avesse mai visto: enormi, malformati, tutti con grosse alabarde in mano e tutti in paziente attesa del loro momento. Milioni di troll li fissavano, apparentemente stupiti quanto loro mentre si rendevano conto che non c’era più nulla a separarli da Escalon.

Le due nazioni si trovavano lì, una di fronte all’altra. I troll erano raggianti di vittoria, gli umani in completo panico. Dopotutto lì c’erano poche centinaia di uomini, schierati contro un milione di troll.

Si levò un grido a spezzare il silenzio. Veniva dalla parte dei troll: un grido di trionfo, seguito da un forte tuono, mentre i troll si lanciavano all’attacco. Avanzavano rombanti come una mandria di bufali, sollevando le alabarde e tagliando le teste dei ragazzi paralizzati dal panico e che non riuscirono a raccogliere il coraggio neanche per mettersi a correre. Fu un’ondata di morte, un’ondata di distruzione.

Il capitano stesso rimase fermo sulla sua torretta, troppo spaventato per fare qualsiasi cosa, anche solo per sguainare la sua spada mentre i troll gli correvano incontro. Un momento dopo si sentì cadere mentre la folla imbufalita lo spingeva giù dalla sua torretta. Si sentì cadere tra le braccia dei troll e gridò sentendo che lo tiravano con i loro artigli, facendolo a pezzi.

E mentre si trovava lì, morente, sapendo ciò che attendeva Escalon, un ultimo pensiero gli attraversò la mente: il ragazzo che era stato pugnalato, che era morto per un tozzo di pane, era stato alla fine il più fortunato di tutti.

CAPITOLO DUE

Dierdre si sentiva schiacciare i polmoni mentre roteava su se stessa sott’acqua, in disperato bisogno di aria. Cercava di orientarsi, ma non ne era capace. Veniva spinta con violenza da enormi onde, il mondo era sottosopra e continuava a girare. Voleva più di ogni altra cosa prendere una boccata d’aria, tutto il suo corpo urlava nella richiesta di ossigeno, ma sapeva che farlo avrebbe significato morte certa.

Chiuse gli occhi e urlò, con le lacrime che si mescolavano all’acqua, chiedendosi se quell’inferno avrebbe mai avuto fine. L’unico conforto le veniva dal pensare a Marco. Lo aveva visto, insieme a lei, roteare in acqua. Lo aveva sentito tenerle la mano e si voltò a cercarlo. Ma non vide nulla, nient’altro che oscurità e onde di schiuma, acqua che si infrangeva spingendola in basso. Ipotizzò che Marco fosse ormai bell’è morto.

Dierdre voleva piangere, ma il dolore le scacciava dalla mente ogni pensiero di autocommiserazione e la faceva pensare solo alla sopravvivenza. Proprio quando pensava che le onde non potessero essere più forti di così, quelle la schiacciavano verso il suolo, spingendola verso il basso con una tale forza da farla sentire come se l’intero peso del mondo fosse sopra di lei. Sapeva che non sarebbe sopravvissuta.

Ironico, pensò, morire lì, nella sua città natale, schiacciata dalla marea di onde create dalle cannonate pandesiane. Avrebbe di gran lunga preferito morire in un altro modo. Pensava di poter gestire più o meno qualsiasi genere di morte, eccetto quella per annegamento. Non riusciva a sopportare quell’orrendo dolore, quel dimenarsi, quell’essere incapace di aprire la bocca e prendere quella boccata d’aria che ogni angolo del suo corpo desiderava così intensamente.

Si sentì divenire più debole, sentì che stava cedendo al dolore. A quel punto, proprio quando gli occhi stavano per chiudersi, proprio quando pensava di non poter resistere un secondo di più, si sentì improvvisamente girare e salire rapidamente verso l’alto, sostenuta dall’onda con la stessa forza con cui l’aveva schiacciata giù. Salì con lo slancio di una catapulta, diretta a tutta birra verso la superficie, scorgendo la luce del sole e con la pressione che le faceva un male indicibile alle orecchie.

Con suo shock si trovò un attimo dopo in superficie. Annaspò prendendo enormi boccate d’aria, più riconoscente di quanto mai si fosse sentita in vita sua. Annaspò inglobando più aria possibile e un attimo dopo, con suo immenso orrore, si ritrovò ad essere nuovamente risucchiata sott’acqua. Ma questa volta aveva abbastanza ossigeno per resistere un po’ di più. E poi questa volta l’acqua non la spinse così in basso.

Risalì presto di nuovo, riaffiorando e prendendo un’altra boccata d’aria prima di essere risospinta sotto un’altra volta ancora. Era diverso ogni volta, l’onda stava perdendo forza e quando tornò in superficie di nuovo, sentì che la marea stava raggiungendo il limitare della città esaurendosi.

Dierdre si trovò presto oltre i confini della città, oltre i grandi edifici, tutti ora sommersi. Venne spinta nuovamente sott’acqua, ma abbastanza lentamente da riuscire finalmente ad aprire gli occhi e vedere sotto di sé tutti gli edifici che una volta si erano eretti così maestosi. Vide anche un sacco di cadaveri che galleggiavano in acqua passandole accanto, come pesci. Erano corpi le cui espressioni di morte aveva già cercato di levarsi dalla mente.

Finalmente, non poteva dire dopo quanto tempo, Dierdre tornò in superficie, questa volta definitivamente. Era abbastanza forte da poter far fronte all’ultima debole onda che cercava di risucchiarla per l’ennesima volta, e con un’ultima scalciata rimase a galla. L’acqua del porto si era portata troppo all’interno e non era rimasto posto dove andare. Dierdre si sentì trasportata su un prato erboso da qualche parte, mentre le acque arretravano e tornavano al mare lasciandola lì da sola.

Rimase sdraiata prona, il volto piantato nell’erba fradicia, lamentandosi per il dolore. Stava ancora ansimando, i polmoni le facevano male, ma inalava profondamente e assaporava ogni respiro. Riuscì lentamente a ruotare la testa, a guardarsi alle spalle, e fu inorridita nel vedere quella che un tempo era stata una grandiosa città e che ora non era altro che mare. Scorse solo la parte più alta del campanile che spuntava di qualche metro e si meravigliò pensando che un tempo si innalzava di decine di metri.

Oltre che esausta, Dierdre alla fine si lasciò andare. Il volto le cadde a terra mentre se ne stava sdraiata lì, permettendo al dolore di sopraffarla. Anche se ci avesse provato, non sarebbe riuscita a muoversi.

Pochi attimi dopo era completamente addormentata, viva a stento su un remoto prato in un angolo del mondo. Ma in qualche modo era viva.

*

“Dierdre,” disse una voce, accompagnata da un leggero colpetto.

Dierdre aprì lentamente gli occhi, meravigliata di constatare che era il tramonto. Congelata, gli abiti ancora bagnati, cercò di orientarsi, chiedendosi da quanto si trovasse lì distesa, chiedendosi se fosse viva o morta. Poi la mano si fece sentire ancora, dandole un altro colpetto sulla spalla.

Dierdre sollevò lo sguardo e lì, con suo immenso sollievo, vide Marco. Era vivo, e lei era felicissima di vederlo. Sembrava abbattuto, tirato, troppo pallido, come se fosse invecchiato di cento anni. Ma era vivo. In qualche modo era riuscito a sopravvivere.

Marco stava inginocchiato accanto a lei, sorridendo ma guardandola con occhi tristi, occhi che non brillavano di vita come una volta.

“Marco,” rispose lei debolmente, sorpresa di quanto roca fosse la sua stessa voce.

Notò un taglio profondo sul lato del suo volto e preoccupata allungò una mano per toccarlo.

“Sembri preso male tanto quanto me,” disse.

Lui la aiutò a rimettersi in piedi, il corpo dolorante per tutti i colpi e le botte, i graffi e i tagli lungo braccia e gambe. Ma controllando ogni arto notò che almeno non c’era nulla di rotto.

Dierdre fece un respiro profondo e si irrigidì voltandosi per guardare dietro di sé. Come temeva era un incubo: la sua amata città era scomparsa e ora non era altro che un pezzo di mare. L’unica cosa che spuntava e si vedeva era una parte del campanile. Oltre, all’orizzonte, vide la flotta di nere navi pandesiane che si avvicinavano sempre più verso l’entroterra.

“Non possiamo stare qui,” disse Marco con urgenza. “Stanno arrivando.”

“Dove possiamo andare?” chiese Dierdre sentendosi priva di speranza.

Marco la guardò con occhi vuoti, chiaramente non avendone idea neppure lui.

Dierdre guardò verso il tramonto, cercando di pensare, con il sangue che le batteva nelle orecchie. Tutti coloro che lei conosceva e amava erano morti. Sentiva che non le era rimasto nulla per cui vivere, nessun posto dove andare. Dove si poteva andare quando la propria città era distrutta? Quando il peso del mondo intero ti schiacciava a terra?

 

Dierdre chiuse gli occhi e scosse la testa, addolorata, desiderando che tutto questo scomparisse. Sapeva che suo padre era laggiù, morto. I suoi soldati erano pure tutti morti. Gente che aveva conosciuto e amato per tutta la vita, tutti morti, tutti per mano di quei mostri pandesiani. Ora non era rimasto nessuno a fermarli. Quale motivo c’era per andare avanti?

Dierdre nonostante tutto scoppiò in lacrime. Pensando a suo padre cadde in ginocchio: si sentiva devastata. Continuò a piangere, avrebbe voluto morire lì lei stessa, desiderava essere già morta e maledisse il cielo per averla lasciata in vita. Perché non poteva semplicemente essere annegata tra le onde? Perché non poteva essere rimasta uccisa insieme a tutti gli altri? Perché era stata maledetta dalla vita stessa?

Sentì una mano confortante sulla spalla.

“Va tutto bene, Dierdre,” le disse Marco con voce morbida.

Dierdre sobbalzò, imbarazzata.

“Mi spiace,” disse alla fine, singhiozzando. “È solo che… mio padre… Ora non ho più nulla.”

“Hai perso ogni cosa,” disse Marco con voce pure pesante. “Anche io. Neanche io ho voglia di andare avanti. Ma dobbiamo. Non possiamo starcene qui sdraiati a morire. Getterebbe il disonore su di loro. Su tutto ciò per cui hanno vissuto e lottato.”

Nel lungo silenzio che seguì Dierdre lentamente si rizzò in piedi, rendendosi conto che Marco aveva ragione. E poi, guardando gli occhi castani di Marco che la fissavano con compassione, si rese conto che tutto sommato ce l’aveva qualcuno. Aveva Marco. Aveva anche lo spirito di suo padre che vegliava su di lei e che le chiedeva di essere forte.

Si sforzò di riscuotersi. Doveva essere forte. Suo padre avrebbe voluto che lei fosse forte. L’autocommiserazione non avrebbe aiutato nessuno, se ne rendeva conto. E neanche la sua morte sarebbe stata di alcun aiuto.

Guardò Marco e vide ben più che semplice compassione: vide nei suoi occhi anche l’amore per lei.

Non ancora pienamente consapevole di ciò che stava facendo e con il cuore che le batteva forte in petto, Dierdre si chinò e sfiorò le sue labbra in un bacio inaspettato. Per un momento si sentì trasportata in un altro mondo e tutte le preoccupazione svanirono.

Lentamente si ritrasse, guardandolo scioccata. Anche Marco era sorpreso. Le prese la mano.

Subito, incoraggiata e piena di speranza, Dierdre fu nuovamente capace di riflettere con chiarezza, e un pensiero le passò per la mente. C’era qualcun altro, un altro luogo e una persona dalla quale andare.

Kyra.

Dierdre provò un’improvvisa ondata di speranza.

“So dove dobbiamo andare,” disse con eccitazione.

Marco la guardò curioso.

“Kyra,” disse lei. “Possiamo trovarla. Lei ci aiuterà. Ovunque sia, sta combattendo. Possiamo unirci a lei.”

“Ma come puoi essere certa che sia viva,” le chiese Marco.

Dierdre scosse la testa.

“Non ne sono certa,” rispose. “Ma Kyra sopravvive sempre. È la persona più forte che io abbia mai incontrato.”

“Dove si trova?” chiese lui.

Dierdre si fermò a pensare e riportò alla mente l’ultima volta che aveva visto Kyra, quando andava verso nord, verso la Torre.

“La Torre di Ur,” disse.

Marco la guardò sorpreso, poi un baluginio di ottimismo gli brillò negli occhi.

“I Sorveglianti sono lì,” disse. “E ci sono anche altri guerrieri. Uomini che possono combattere per noi.” Annuì eccitato. “Buona scelta,” aggiunse. “In quella torre possiamo essere al sicuro. E se la tua amica è lì, tanto meglio. È a un giorno di cammino da qui. Andiamo. Dobbiamo fare presto.”

Le prese la mano e senza dire un’altra parola i due partirono, Dierdre riempita di un nuovo senso di ottimismo mentre si dirigevano verso la foresta e da qualche parte, all’orizzonte, verso la Torre di Ur.

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