Il Regno Delle Ombre

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Из серии: Re e Stregoni #5
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CAPITOLO SEI

Kyle faceva roteare il suo bastone con tutto se stesso, esausto mentre si trovava a colpire sia i soldati pandesiani che i troll che gli si avvicinavano da ogni parte. Abbatteva uomini e troll a destra e a sinistra mentre le loro spade ed alabarde sbattevano contro il suo bastone e le scintille volavano ovunque. Anche se li sconfiggeva, provava un profondo dolore alle spalle. Stava combattendo da ore, era ora circondato da ogni lato e sapeva di trovarsi in una situazione critica.

In un primo momento i Pandesiani e i troll avevano combattuto tra loro, lasciandolo libero di lanciarsi contro chi desiderava, ma quando lo avevano visto fare piazza pulita attorno a sé si erano chiaramente resi conto che era nel loro interesse mettersi insieme ad ostacolarlo. Per un attimo i Pandesiani e i troll avevano interrotto il tentativo di ammazzarsi a vicenda e si erano invece concentrati insieme sull’uccidere lui.

Mentre Kyle faceva roteare il bastone e mandava al tappeto tre troll, un Pandesiano riuscì a sgattaiolare dietro di lui e a colpirlo allo stomaco con la sua spada. Kyle gridò per il dolore, ruotando per evitare il peggio, ma ad ogni modo sanguinando. Prima che potesse schivarlo, nello stesso istante un troll sollevò una clava e lo colpì alla spalla facendogli cadere il bastone di mano e mandandolo a terra carponi.

Kyle si trovò lì in ginocchio, il dolore che gli pulsava nella spalla mentre cercava di riprendere fiato. Prima che si potesse rimettere in sesto un altro troll si avventò su di lui e gli diede un calcio in faccia, mandandolo sdraiato a terra supino.

Un Pandesiano si fece quindi avanti con una lunga lancia, la sollevò in alto con entrambe le mani e la calò contro la sua testa.

Kyle, non pronto a morire, rotolò di lato e la lancia si piantò a terra a pochi centimetri dal suo volto. Kyle continuò a rotolare, si rimise in piedi e mentre altri due troll lo attaccavano afferrò da terra una spada, si voltò e li trafisse entrambi.

Mentre molti altri si avvicinavano, Kyle afferrò rapidamente il suo bastone e li colpì tutti, combattendo come un animale accerchiato e creando spazio attorno a sé. Rimase lì in piedi, respirando affannosamente, con il sangue che gli scendeva da un labbro, mentre i suoi avversari formavano un fitto cerchio attorno a lui e gli si avvicinavano sempre più, con gli occhi iniettati di sangue.

Il dolore allo stomaco e alla spalla era insopportabile, ma Kyle cercava di non pensarci e di concentrarsi mentre si trovava lì in piedi al centro. Sapeva di essere di fronte a una morte certa ed era felice almeno di aver salvato Kyra. Che ne valesse la pena e che fosse ora necessario pagarne il prezzo.

Guardò verso l’orizzonte e provò una sensazione di consolazione al pensiero che lei se ne fosse andata da tutto questo, che fosse fuggita in groppa ad Andor. Si chiese se fosse al sicuro e pregò che fosse così.

Kyle aveva combattuto brillantemente, per ore, un uomo solo contro entrambi quegli eserciti, e aveva ucciso migliaia di uomini e troll. Ma adesso sapeva di essere troppo debole per andare avanti. Erano semplicemente in troppi e sembravano non finire mai. Si era ritrovato nel mezzo di una guerra, con i troll che arrivavano da nord mentre i Pandesiani si riversavano da sud. Ora non poteva più battersi contro entrambi.

Kyle provò un improvviso dolore alle costole dopo che un troll si era avvicinato di colpo da dietro e lo aveva colpito alla schiena con il manico della sua ascia. Kyle ruotò con il suo bastone colpendo il troll alla gola e facendolo cadere. Ma nello stesso istante due soldati pandesiani corsero in avanti e lo colpirono con i loro scudi. Il dolore alla testa era fortissimo e Kyle cadde a terra, sapendo che questa volta era definitivo. Era troppo debole per rialzarsi.

Chiuse gli occhi e nella sua mente gli scorsero le immagini della sua vita. Vide tutti i Sorveglianti, gente che aveva servito per secoli, vide tutte le persone che aveva conosciuto e amato. Soprattutto vide il volto di Kyra. L’unica cosa di cui si pentiva era di non poterla rivedere prima di morire.

Kyle sollevò lo sguardo mentre tre orribili troll si avvicinavano sollevando le loro alabarde. Sapeva che era giunta l’ora.

Mentre iniziavano a calarle, ogni cosa divenne chiara. Sentì il rumore del vento e il vero odore dell’aria fresca e frizzante. Per la prima volta in secoli si sentì veramente vivo. Si chiese perché non fosse mai stato capace di apprezzare la vita fino ad ora che era sul punto di trovarsi quasi morto.

Mentre chiudeva gli occhi e si preparava ad accogliere la morte, improvvisamente un ruggito perforò l’aria e lo destò dai suoi pensieri. Kyle sbatté le palpebre e guardò, vedendo qualcosa che emergeva dalle nuvole. All’inizio pensò che si trattasse di angeli che venivano a prendere il suo corpo morto.

Ma poi notò che i troll sopra di lui rimanevano paralizzati dalla confusione loro stessi, tutti intenti a scrutare il cielo. Kyle capì che era reale. Era qualcos’altro.

E poi ne vide uno scorcio e il cuore gli si fermò.

Draghi.

Un branco di draghi volava in cerchio e scendeva furiosamente, soffiando fuoco. Si calavano rapidamente, con gli artigli protesi, scatenando le loro fiammate senza avviso, uccidendo centinaia di soldati e troll in un colpo solo. Un’ondata di fuoco discese sulla terra diffondendosi in pochi secondi e arrostendo anche i troll che si trovavano sopra a Kyle. Lui, vedendo le fiamme che si avvicinavano, afferrò un pesante scudo di rame accanto a lui e si riparò dietro ad esso rannicchiandosi a palla. Il calore era intenso mentre le fiamme lo lambivano quasi bruciandogli le mani, ma resistette. I soldati e troll morti caddero su di lui e le loro armature gli fornirono ulteriore protezione mentre un’altra ondata di fuoco sopraggiungeva, questa volta ancora più potente. Ironicamente quei troll e quei Pandesiani ora lo stavano salvando dalla morte.

Kyle resistette, sudando, quasi incapace di sopportare il calore mentre i draghi continuavano a sputare fuoco. Non potendo resistere oltre, perse i sensi, pregando con tutto se stesso di non venire bruciato vivo.

CAPITOLO SETTE

Vesuvio si trovava in cima alla scogliera, accanto alla Torre di Kos, e fissava le onde del Mare dei Dispiaceri che si infrangevano in basso e il vapore che saliva da dove la Spada di Fuoco era sprofondata. Sorrideva. Ce l’aveva fatta. La Spada di Fuoco non esisteva più. Aveva derubato la Torre di Kos – aveva derubato Escalon – del suo più prezioso artefatto. Una volta per tutte aveva abbassato Le Fiamme.

Vesuvio era raggiante, frastornato dall’eccitazione. Le mani ancora gli pulsavano per aver stretto la spada incandescente e abbassando lo sguardo vi vide il marchio impresso. Fece scorrere le dita sopra alla cicatrice fresca, sapendo che sarebbe rimasta lì per sempre: il marchio del suo successo. Il dolore era accecante, ma si sforzò di eliminarlo dalla mente, si sforzò di non pensarci. In effetti aveva da tempo imparato a godere del dolore.

Dopo tutti quei secoli, finalmente ora il suo popolo avrebbe avuto ciò che spettava loro. Non sarebbero più rimasti relegati a Marda, al limite settentrionale dell’impero, in una terra arida e sterile. Ora avrebbero avuto la loro vendetta per essere stati relegati dietro a un muro di fuoco, avrebbero invaso Escalon e l’avrebbero fatta a pezzi.

Il cuore si fermò per un battito al pensiero. Non vedeva l’ora di voltarsi, attraversare il Dito del Diavolo e tornare sulla terraferma per incontrarsi con il suo popolo nel centro di Escalon. L’intera nazione di troll si sarebbe diretta verso Andros e insieme, una piazza alla volta, avrebbero distrutto Escalon per sempre. Quella sarebbe diventata la nuova patria dei troll.

Ma mentre stava lì in piedi a guardare le onde e il punto in cui era affondata la spada, a Vesuvio venne in mente una cosa. Guardò verso l’orizzonte esaminando le acque nere della Baia della Morte, dove c’era qualcosa che restava ancora sospeso, qualcosa che rendeva la sua soddisfazione incompleta. Scrutando l’orizzonte, in lontananza scorse una piccola nave con le vele bianche che si allontanava dalla Baia della Morte. Aveva trovato la torre vuota. Le porte erano state lasciate aperte. La spada lo stava aspettando. I guardiani l’avevano abbandonata. Era stato tutto molto facile.

Perché?

Vesuvio sapeva che l’assassino Merk era a caccia della spada: lo aveva seguito per tutto il tragitto attraverso il Dito del Diavolo. Allora perché avrebbe dovuto lasciarla lì? Perché se ne stava andando per mare lontano da lì, nel mezzo della Baia della Morte? Chi era quella donna nella nave con lui? C’era lei a guardia della torre? Quali segreti nascondeva?

E dove stavano andando?

Vesuvio guardò il vapore che saliva dall’oceano, poi riportò lo sguardo verso l’orizzonte e sentì il sangue che ardeva nelle vene. Non poteva fare a meno di sentire di essere stato in qualche modo raggirato. Che gli fosse stata strappata di mano una vittoria completa.

Più ci pensava su e più Vesuvio si rendeva conto che qualcosa non andava. Era stato tutto troppo comodo. Osservò i violenti mari sotto di lui, le onde che si infrangevano contro gli scogli, il vapore che saliva, e capì che mai avrebbe saputo la verità. Mai avrebbe saputo se la Spada di Fuoco era effettivamente affondata del tutto. Se lì c’era qualcosa di cui non si stava accorgendo. Se quella era stata la spada giusta. Se anche Le Fiamme sarebbero rimaste giù.

Vesuvio, ardendo di indignazione, giunse a una decisione: doveva seguirli. Se non l’avesse fatto, non avrebbe mai saputo la verità. C’era da qualche altra parte un’altra torre segreta? Un’altra spada?

Anche se non era così, anche se aveva portato a termine ciò che doveva fare, Vesuvio era famoso per non lasciare mai in vita nessuna vittima. Mai. Seguiva sempre ogni uomo fino alla morte. E mentre se ne stava lì a guardare quei due che sfuggivano alla sua presa, non si sentiva a posto. Semplicemente sapeva di non poterli lasciar andare.

 

Vesuvio guardò verso le decine di navi ancora ancorate a riva, abbandonate, che dondolavano selvaggiamente tra le onde, come se lo stessero aspettando. E subito giunse a una decisione.

“Alle navi!” comandò al suo esercito di troll.

Come un unico corpo tutti si lanciarono ad eseguire il suo ordine, correndo lungo la riva rocciosa e salendo a bordo delle navi. Vesuvio li seguì e si mise al timone dell’ultima imbarcazione.

Si voltò, sollevò in aria la sua alabarda e tagliò la fune.

Un attimo dopo aveva salpato, tutti i troll con lui, tutti ammucchiati sulle navi, nella leggendaria Baia della Morte. Da qualche parte all’orizzonte si trovavano Merk e quella ragazza. E Vesuvio non si sarebbe fermato, per nessuno motivo, fino a che entrambi non fossero stati morti.

CAPITOLO OTTO

Merk si teneva stretto al corrimano mentre stava alla prua della piccola nave insieme alla figlia dell’ex re Tarnis, entrambi perduti nel loro mondo, in balia delle violente onde della Baia della Morte. Merk fissava l’acqua nera e mossa dal vento, chiazzata di spuma bianca, e non poteva fare a meno di farsi delle domande sulla donna che aveva vicino. Il mistero che la circondava si era solo infittito da quando erano partiti dalla Torre di Kos e si erano imbarcati su quella nave, diretti verso un qualche luogo misterioso. Nella mente aveva un sacco di domande che la riguardavano.

La figlia di Tarnis. Per Merk era difficile da credere. Cosa ci faceva lì, all’estremità del Dito del Diavolo, rinchiusa nella Torre di Kos? Si stava nascondendo? Era in esilio? La proteggevano? E da chi?

Merk sentiva che lei, con i suoi occhi trasparenti, la sua pelle pallidissima e il suo portamento flemmatico, apparteneva a un’altra razza. Ma se era così, allora chi era sua madre? Perché l’avevano lasciata da sola a guardia della Spada di Fuoco e della Torre di Kos? Dov’era andata tutta l’altra gente?

E cosa ancora più urgente: dove lo stava portando adesso?

Con una mano sul timone, la giovane faceva virare la nave portandola sempre più lontana, verso qualche destinazione all’orizzonte che Merk poteva solo intuire.

“Non mi hai ancora detto dove stiamo andando,” le disse con voce alta, in modo da poter essere sentito anche sopra il rumore del vento.

Seguì un lungo silenzio, così lungo che Merk era insicuro che lei avrebbe mai risposto.

“Almeno dimmi il tuo nome allora,” aggiunse, rendendosi conto che non glielo aveva mai detto.

“Lorna,” rispose.

Lorna. Gli piaceva quel suono.

“I Tre Pugnali,” aggiunse voltandosi verso di lui. “Ecco dove stiamo andando.”

Merk si accigliò.

“I Tre Pugnali?” chiese sorpreso.

Lei si limitò a guardare fisso davanti a sé.

Ma Merk era frastornato dall’informazione. Le isole più remote di tutta Escalon. I Tre Pugnali erano così lontani, nella Baia della Morte, che non aveva mai realmente sentito di qualcuno che vi fosse andato. Knosso, ovviamente, la leggendaria isola e fortezza, era l’ultima di quell’arcipelago e una leggenda narrava che lì si trovassero i più feroci guerrieri di Escalon. Erano uomini che vivevano su un’isola desolata, staccata da una penisola altrettanto desolata, nel tratto di mare più pericoloso che esistesse. Erano uomini che si diceva fossero grezzi come il mare che li circondava. Merk non ne aveva mai incontrato uno di persona. A nessuno mai era capitato. Erano più leggenda che realtà.

“I tuoi Sorveglianti si sono ritirati lì?” chiese.

Lorna annuì.

“Ci aspettano,” disse.

Merk si voltò per guardarsi alle spalle, volendo dare un’ultima occhiata alla Torre di Kos, e così facendo il cuore subito gli sprofondò nel petto per ciò che vide: lì all’orizzonte, intente a seguirli, c’erano decine di navi con le vele spiegate.

“Abbiamo compagnia,” disse.

Lorna, con sua sorpresa, non si voltò neppure e si limitò ad annuire.

“Ci inseguiranno fino ai confini della terra,” disse con calma.

Merk era confuso.

“Anche se hanno la Spada di Fuoco?”

“Non è mai stata la spada l’obiettivo della loro caccia,” lo corresse. “Ma la distruzione. La distruzione di tutti noi.”

“E quando ci raggiungeranno?” chiese Merk. “Non possiamo batterci da soli contro un esercito di troll. Né può farlo una piccola isola di guerrieri, sebbene forti e valorosi.”

Lei annuì, ancora impassibile.

“È chiaro che potremmo morire,” rispose. “Ma dobbiamo farlo in compagnia dei nostri amici Sorveglianti, combattendo per ciò che sappiamo essere vero. Ci sono ancora tanti segreti da sorvegliare.”

“Segreti?” chiese Merk.

Ma lei rimase in silenzio a guardare le acque.

Stava per chiederle altro, quando un’improvvisa folata di vento fece quasi capovolgere la barca. Merk cadde prono, andando a sbattere contro lo scafo e scivolando oltre il bordo.

Barcollando, si aggrappò al corrimano per tenersi in piedi, mentre le gambe affondavano nell’acqua, acqua così gelida da fargli pensare che sarebbe morto congelato. Si tenne con una sola mano, per lo più sommerso, e mentre si guardava alle spalle il cuore gli balzò in gola vedendo un branco di squali rossi che improvvisamente gli si avvicinavano. Provò un tremendo dolore mentre i denti iniziavano ad affondargli in un polpaccio e vide nell’acqua del sangue che seppe essere il suo.

Un attimo dopo Lorna si avvicinò e colpì l’acqua con il suo bastone. Subito una luce bianca e brillante si propagò sulla superficie e gli squali si allontanarono. Con lo stesso movimento Lorna afferrò la mano di Merk e lo trascinò di nuovo a bordo.

La barca si raddrizzò mentre il vento calava e Merk sedeva sul ponte, bagnato e infreddolito, respirando affannosamente e con un terribile dolore al polpaccio.

Lorna esaminò la ferita, strappò un pezzo di stoffa dalla propria camicia e glielo avvolse attorno alla gamba tamponando il sangue.

“Mi hai salvato la vita,” le disse Merk con immensa gratitudine. “Ce n’erano a decine di quei cosi là sotto. Mi avrebbero ammazzato.”

Lei lo guardò con i suoi grandi e ipnotici occhi azzurri.

“Quelle creature sono la minima delle tue preoccupazioni qui,” gli disse.

Continuarono a navigare in silenzio e Merk si rimise lentamente in piedi guardando l’orizzonte, tenendosi saldo al corrimano, questa volta con entrambe le mani. Scrutava l’orizzonte, ma per quanto guardasse non vedeva alcun segno dei Tre Pugnali. Guardò in basso ed esaminò le acque della Baia della Morte, ora con nuovo rispetto e paura. Guardò con attenzione e vide branchi di piccoli squali rossi sotto la superficie, appena visibili, per lo più nascosti dall’acqua. Ora sapeva che immergersi in quelle acque significava morte certa, e non poteva fare a meno di chiedersi quali altre creature popolassero quel mare.

Il silenzio si fece più profondo, interrotto solo dall’ululare del vento. Dopo che furono passate altre ore, Merk, sentendosi desolato là fuori, provò la necessità di parlare.

“Cos’hai fatto con quel bastone?” chiese voltandosi verso Lorna. “Non ho mai visto niente di simile.”

Lorna rimase impassibile e continuò a guardare l’orizzonte.

“Dimmi di te,” insistette lui.

Lei gli lanciò un’occhiata, poi si rigirò verso l’orizzonte.

“Cosa vorresti sapere?” gli chiese.

“Qualsiasi cosa,” rispose Merk. “Tutto.”

Lei fece silenzio a lungo, poi alla fine disse: “Inizia tu.”

Merk la guardò sorpreso.

“Io?” chiese. “Cosa vuoi sapere?”

“Dimmi della tua vita,” gli disse. “Qualsiasi cosa che tu voglia raccontarmi.”

Merk fece un respiro profondo e si voltò a guardare l’orizzonte. La sua vita era argomento del quale non voleva parlare.

Alla fine, rendendosi conto che avevano un lungo viaggio davanti a loro, sospirò. Sapeva di dover affrontare se stesso prima o poi, anche se non ne era fiero.

“Per la maggior parte della mia vita sono stato un assassino,” disse lentamente, con rammarico, fissando l’orizzonte. La sua voce era greve e piena di ripugnanza per se stesso. “Non ne sono fiero. Ma ero il migliore in ciò che facevo. Venivo richiesto da re e regine. Nessuno poteva rivaleggiare con me quanto ad abilità.”

Merk fece silenzio a lungo, intrappolato nei ricordi di una vita che rifiutava, ricordi che avrebbe volentieri dimenticato.

“E ora?” chiese lei sottovoce.

Merk fu grato di non trovare alcun giudizio nella sua voce, diversamente da quanto accadeva solitamente con altre persone. Sospirò.

“Ora,” disse, “non lo faccio più. Non sono più quella persona. Ho giurato di rinunciare alla violenza. Di mettermi al servizio di una causa. Eppure, per quanto ci provi, sembra che non mi ci possa allontanare. Sembra che la violenza mi trovi ovunque. Sembra che ci sia sempre un’altra causa.”

“E qual è la tua causa?” chiese Lorna.

Merk ci pensò.

“Inizialmente era di diventare Sorvegliante,” rispose. “Di dedicarmi al servizio. Di sorvegliare la Torre di Ur, di proteggere la Spada di Fuoco. Quando la torre è crollata, ho sentito che la mia causa era di raggiungere la Torre di Kos, di salvare la spada.”

Sospirò.

“E ora eccoci qui, nel mezzo della Baia della Morte, la spada sparita, i troll al seguito, diretti verso un desolato arcipelago di isole,” continuò Lorna.

Merk si accigliò, per niente divertito.

“Ho perso la mia causa,” disse. “Ho perso lo scopo della mia vita. Non mi riconosco più. Non so dove andare.”

Lorna annuì.

“Questo è un buon punto,” disse. “Un luogo di incertezza è sempre un luogo di possibilità.”

Merk la fissò pensieroso. Era toccato dalla sua mancanza di condanna. Chiunque sentisse la sua storia lo disprezzava.

“Tu non mi giudichi,” osservò, stupefatto, “per ciò che sono.”

Lorna lo fissò con occhi così intensi che pareva di avere di fronte la luna.

“Questo è ciò che eri,” lo corresse. “Non ciò che sei adesso. Come posso giudicarti per ciò che eri un tempo? Io giudico solo gli uomini che ho di fronte.”

Merk si sentì rincuorato dalla sua risposta.

“E chi sono adesso?” chiese, desideroso di conoscere la risposta, insicuro lui stesso di quale fosse.

Lei lo fissò.

“Vedo un bravo guerriero,” rispose. “Un uomo generoso. Un uomo che vuole aiutare gli altri. E un uomo pieno di desideri. Un uomo perduto. Un uomo che non si è mai conosciuto.”

Merk soppesò le sue parole e quelle calarono profondamente dentro di lui. Sentiva che erano tutte vere. Verissime.

Calò un lungo silenzio tra loro, mentre la piccola imbarcazione dondolava tra le acque dirigendosi lentamente verso occidente. Merk ricontrollò la situazione dietro di loro e vide che la flotta dei troll era sempre all’orizzonte, ancora a discreta distanza.

“E tu?” chiese alla fine. “Sei la figlia di Tarnis o no?”

Lei scrutò l’orizzonte con occhi luccicanti e alla fine annuì.

“Sì,” rispose.

Merk era stupito di sentirlo.

“Allora perché eri lì?” chiese.

Lei sospirò.

“Sono stata nascosta lì fin da bambina.”

“Ma perché?”

Lorna scrollò le spalle.

“Suppongo fosse troppo pericoloso tenermi nella capitale. La gente poteva venire a sapere che ero la figlia illegittima del re. Qui ero più al sicuro.”

“Più al sicuro qui?” chiese Merk. “Ai confini della terra?”

“Mi è stato consegnato un segreto da sorvegliare,” spiegò lei. “Ancora più importante del regno di Escalon.”

Il cuore di Merk batteva forte mentre pensava di cosa potesse trattarsi.

“Me lo dirai?” le chiese.

Ma Lorna si voltò lentamente e indicò davanti a loro. Merk seguì il suo sguardo e lì, all’orizzonte, vide il sole che illuminava tre isole desolate che si ergevano dal mare, l’ultima con l’aspetto di una fortezza di solida roccia. Era il luogo più desolato ma bello che Merk avesse mai visto. Un luogo abbastanza lontano per detenere i segreti della magia e del potere.

“Benvenuto,” disse Lorna, “a Knosso.”

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