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2 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda1
1 È noto che, nell’acquisizione spontanea di lingue seconde soprattutto da parte di adulti, la componente fonologica risulta essere più caratterizzata da fenomeni di interferenza che non quella morfosintattica, il cui sviluppo è meno dipendente dalla struttura delle lingue prime degli apprendenti. Questo fatto è rispecchiato anzitutto nella possibilità di individuare gruppi diversi di apprendenti una lingua seconda sulla base delle caratteristiche fonologiche delle rispettive varietà di apprendimento ma non sulla base di quelle morfosintattiche, come mostra, oltre all’osservazione impressionistica, un recente esperimento (Ioup 1984).Anche se per la morfosintassi non si può escludere totalmente la rilevanza di fenomeni di interferenza, questi hanno però un peso più o meno grande a seconda di altri fattori (p. es. la relativa vicinanza tipologica tra le lingue coinvolte) e sembrano agire per lo più a un livello profondo, favorendo certe ipotesi piuttosto che altre nella (ri)costruzione della lingua di arrivo da parte dell’apprendente2. Al contrario, per la fonologia, l’interferenza indirizza fin da subito l’iter di apprendimento e ad essa vanno subordinati i modi in cui questo si configura.Un’altra differenza fondamentale tra morfosintassi e fonologia di lingue seconde è data dal fatto che nell’acquisizione della prima riconosciamo regolarità di ordine generale che accomunano processi di apprendimento di lingue seconde e di lingue prime [si rammenti il caso ormai emblematico dell’acquisizione di negazioni postverbali, per cui v. Dulay-Burt-Krashen 1982: 123-126]. Per la seconda, invece, ci troviamo di fronte a processi di apprendimento piuttosto diversi a seconda che si tratti di lingue prime [per le quali valgono regolarità di ordine generale di tipo jakobsoniano, cfr. Jakobson 1942; Locke 1983] o di lingue seconde, per le quali si deve invece tener conto di un complesso intreccio di fenomeni di interferenza e di sviluppo3. A questo proposito è emblematico il caso dell’apprendimento di nessi consonantici iniziali di parola dell’inglese da parte di bambini di lingua prima e, p. es., di arabofoni adulti. La parola floor ‘pavimento, piano’ è resa dai primi come [for], con la riduzione del nesso in questione. I secondi, invece, risolvono la difficoltà del nesso iniziale riproducendo mediante epentesi o prostesi la struttura sillabica iniziale di parola prevalente nella rispettiva varietà di arabo e pronunciando [fiˈlor] o [ifˈlor] a seconda che quella sia egiziana o irachena (cfr. Broselaw 1983)4.Nonostante la centralità dei fenomeni di interferenza, il modello dell’analisi contrastiva di derivazione weinreichiana (cfr. Weinreich 1974: 21-31) non è però sufficiente come modello di analisi dell’apprendimento della fonologia di lingue seconde. Infatti esso permette solo di fare previsioni corrette circa gli ambiti di probabile interferenza, ma non di descrivere i processi di apprendimento tramite successivi stadi di avvicinamento al sistema fonologico della lingua seconda, caratterizzati da rese sempre più approssimate di fonemi e nessi di fonemi e dallo stemperarsi delle rese di transfert, dove sembra configurarsi una certa regolarità.In questa prospettiva vediamo di prendere in esame la componente fonologica, e in particolar modo il consonantismo, delle varietà di apprendimento dell’italiano di un gruppo di arabofoni. Si tratta di 10 soggetti (7 egiziani, 2 palestinesi, 1 libico) di età compresa tra i 20 e i 40 anni, in Italia per periodi variabili da 3 a 15 anni. Quattro soggetti svolgono lavori manuali, tre lavorano nel settore commerciale, due sono studenti, uno è giornalista5.
2 La prima considerazione da fare, scontata e al limite della banalità se intesa come (ri)affermazione di un principio metodologico, ma cruciale sul piano applicativo, riguarda le dimensioni del confronto tra i sistemi fonologici in questione. Questo, oltre che riguardare, ovviamente, le varietà primaria e di arrivo effettivamente coinvolte (nel nostro caso l’arabo egiziano con le sue sottovarietà, quello palestinese e quello libico da una parte e l’italiano settentrionale milanese dall’altra), deve comprendere tutto lo spettro delle possibilità di rese allofoniche, anche quelle soggette a variabilità sociale e funzionale.Nel nostro caso, l’attenzione ai fenomeni di variabilità della lingua di arrivo ci permette di valutare in maniera diversa gli errori da interferenza nel quadro generale dei processi di sviluppo del sistema fonologico. P. es., la resa delle palatali come nessi di nasale e rispettivamente laterale alveolare o prepalatale più approssimante palatale, [nj lj] o [ᶇj ᶅj], da parte degli apprendenti si sovrappone alle realizzazioni più frequenti da parte dei nativi, che dal canto loro tendono a realizzare gli allofoni palatali più che altro in registri sorvegliati6. In questo caso la resa di transfert non è interessante, in quanto non si distingue (almeno impressionisticamente) da quella più diffusa tra i nativi, né è più pertinente porsi il problema dei corrispondenti fonemi palatali nelle diverse interlingue. Diverso, come vedremo, è il caso delle affricate alveopalatali, che nelle varietà di italiano in questione hanno una resa allofonica costante e quindi si prestano alla verifica di fenomeni di interferenza e di eventuali regolarità di apprendimento.In generale si può quindi affermare che descrizioni accurate della fonetica delle varietà di lingua prima e oggetto di apprendimento sono un prerequisito indispensabile, sul piano pratico, a un corretto approccio contrastivo, che permette di scalare i fenomeni di transfert in maniera da poter essere integrati in un quadro più generale dell’effettivo processo di apprendimento della fonologia.
3 Vediamo ora di confrontare i sistemi consonantici delle varietà di arabo dei nostri soggetti e quello dell’italiano nella sua varietà lombardo-milanese, riportati qui sotto7:
arabo egiziano/palestinese/libico

italiano settentrionale milanese

Si tenga presente che () indica variabilità e che / separa gli allofoni di uno stesso fonema. Nel sistema dell’arabo il punteggiato indica l’affricata alveopalatale sonora (presente nelle varietà del Medio Egitto, quella di G, e di Libia, quella di F) e la fricativa omorganica (presente nella varietà palestinese, quella di AF e di O).
I settori di maggior difficoltà di apprendimento, come risultano dall’analisi contrastiva, sono l’occlusiva bilabiale sorda, la fricativa labiodentale sonora, le affricate dentali, l’affricata-alveopalatale sorda, che non hanno corrispondenti nelle varietà di partenza. Per quanto riguarda invece l’affricata alveopalatale sonora, essa non è presente nel sistema primario di sei soggetti egiziani provenienti dalle zone del Cairo e del delta del Nilo (cioè A, AZ, H, S, SZ). L’arabo di tipo cairota [Il Cairo e sobborghi, corso del Nilo fino a Damietta, Fayyūm, cfr. Fischer-Jastrow 1980: 208] presenta infatti, nel settore alveopalatale-velare, i seguenti fonemi:

Le varietà rurali di arabo palestinese hanno invece l’affricata alveopalatale sonora, mentre quelle urbane hanno l’omologo fricativo. In entrambe manca l’occlusiva velare sonora [cfr. Fischer-Jastrow 1980: 174]:

I nostri soggetti AF e O hanno come sistema di partenza quello urbano, che tra l’altro rappresenta per tutta la regione (oltre che per Libano e Siria) il modello di prestigio. L’italiano /g/ non sembra soggetto a problemi di acquisizione, nonostante manchi nella lingua prima8.
I rimanenti due soggetti G e F hanno invece nel sistema di partenza l’affricata alveopalatale sonora in questione. Sia l’arabo della media Valle del Nilo che quello di Libia [cfr. Fischer-Jastrow 1980: 209, 36 rispettivamente] hanno le seguenti consonanti alveopalatali e velari:

La [dʒ] è d’altronde presente nella varietà letteraria dell’arabo, quella che si usa anche nella lettura del Corano [cfr. Fischer 1972: 18 e Canepari 1983: 1114] e dobbiamo quindi ipotizzare che per tutti i nostri apprendenti (che hanno un’istruzione media o superiore) essa sia un fono noto, anche se di occorrenza limitata. Ciononostante, i nostri dati rivelano che l’affricata in questione rappresenta comunque un problema di apprendimento.
1 Per tutti i sei fonemi o allofoni in esame, abbiamo presso gli stessi apprendenti realizzazioni variabili che comprendono rese derivanti da interferenza, rese coincidenti con quelle dei nativi e rese intermedie tra le prime due, testimoni appunto del processo di apprendimento in corso. In particolare, per quanto riguarda le singole realizzazioni, abbiamo la seguente situazione9.Per /p/ abbiamo rese da interferenza che consistono nella sua sostituzione col suo omologo sonoro (e conseguente ipodifferenziazione), cfr. [bajˈzano, no kaˈbito, ˈbjatsa reˈbobːlɪqa, laβaˈbjat˙ɪ, broˈblema, ɪm ˈbarte, mbaˈrato, karbenˈd̤jere, zboˈzarsɪ, la ˈzbeza, mɪ dɪzˈbjatʃe, rɪzˈbetːɪ]. Le rese intermedie sono costituite da occlusive bilabiali più o meno assordite che qui indichiamo come mormorate10, cfr. [b̤ɪtːseˈrɪa, ˈdob̤o, ˈanːo b̤enˈsano (per ‘hanno pensato’), b̤er eˈzemb̤jo, b̤ərˈsone, b̤rofeˈsorɪ, mb̤aˈrato, sb̤etʃalɪˈdːzatɪ, sb̤jeˈgato]. Solo i due soggetti palestinesi AF e O differenziano le due bilabiali come i nativi, benché la sorda compaia qua e là anche presso altri apprendenti (specialmente H, M). Qualche esempio: [peˈrudʒa, lavaˈpjati, ˈproprɘ, espesjaliˈdːzatɪ, paˈezi ˈarabi, aˈbːjamo paˈsːato]./v/ è reso in certi casi come approssimante bilabiale sonoro [β], che ne rappresenta una buona approssimazione, cfr. [βɪˈnɪsja (‘Venezia’), l-aβoˈkato, uniβersɪˈta, mɪ ˈβwole mbaˈrare (per ‘voglio imparare’), do ˈβ·olte, dɪ ˈβɪa ˈbaolo ˈsarbi]. Solo in casi marginali abbiamo rese fricative bilabiali mormorate, p. es. [ˈɛ v̤ɪˈtʃɪnᴜ, ˈserv̤e]] e solo in due casi (presso A) sostituzione col suo omologo sordo, cfr. [[ˈkomɘ fɪ ˈtʃɪnᴜ, troˈfato]. Qualche esempio di resa corretta: [ventɪˈtʃɪnkwe, ˈiᴜ veˈnuto, na ˈv·olta, ˈskrivɘ].Le affricate dentali [ts, dz], che nella varietà di italiano in questione sono in distribuzione quasi complementare, mostrano una gamma di realizzazioni che vanno dalle fricative omorganiche (con conseguente ipodifferenziazione rispetto a /s/), a rese semiaffricate e a rese corrette. Cfr. per la sorda: [nasjoˈnalɪ, staˈsːjone, βɪˈnɪsja, (e)ʒɪˈsjanɪ, niˈsjato, neˈgosjo, ters-ˈan·o, ˈsforso, ˈstansa, raˈgas·o, (a)nˈdresːo, ˈbjasa, forˈtesːa; natsjoˈnalɪ, lɪˈtŋentsja, ɲoˈrantsa, ᶇjoˈrantsa, per ˈfortsa, raˈgatsːo, ˈbjatsa, baˈlatsːo; natsjoˈnalɪ, edʒiˈtsjano, ˈtertso, ˈsentsa, raˈgatːso, b̤ɪtːseˈrɪa, bulɪˈtːsia, indiˈritːso]. Per la sonora cfr.: [zuˈrigo, dɪ ˈzukːɘro, e ˈzio; organiˈdzːati, ˈmedzːo; organiˈdːzata, medzaˈnotːe, magaˈdːzini]. In un solo caso (presso G) abbiamo per [ts] una resa alveopalatale, in [staˈʃone], mentre più frequenti sono gli scambi di sonorità, cfr. [ˈsenza, ˈsendza, abːaˈstandza; ˈdu-e ˈmetːso].La stessa gamma di realizzazioni vista per le affricate dentali si ritrova anche per quelle alveopalatali, per le quali, in caso di geminazione, la deaffricazione si accompagna sempre allo scempiamento. Cfr. per la sorda: [elet·riˈʃɪsta, seˈʃɪlja, beʃjaˈlɪsta, dɪˈfːɪʃɪle, ber dɪʃɪ, ˈfaʃɪle, koˈm·erʃjo, soˈʃabili, koˈmɪnʃɘ, ˈsedɪʃ-ˈan·ɪ, ᴜ ˈʃɪta, staˈʃone ʃenˈtrale, ˈʃentro, ɔ ʃɪrˈkato; dɪˈtʃjamo, ˈtante ˈtʃɪta, berˈke tʃ-ˈɛ ˈgrana, kaˈb̤ɪrtʃɪ, komːertʃaˈlɪsta, franˈtʃeze; n kuˈtʃina, diˈtʃamo, ˈfat(ː)ʃo, tʃ-ˈanːo, b̤rɪntʃɪˈb̤ale, ˈtʃento per ˈtʃento, ɘl ˈtʃɪn̦ema]. Per la sonora, cfr.: [ˈtuti ˈʒoβani, la ˈstrada ˈʒusta, lj artɪˈʒanɪ, glotːoloˈʒɪa, al ʒorno, alʒeˈrɪa, n-ʒeneˈralɪ, ber ˈʒente, ˈkwindiʃ ˈʒorni, ˈleʒere, maˈʒore; dʒerˈmanja, la ˈstrada ˈdʒustɪ, edʒiˈt-sjano, glotːoloˈdʒɪa, aldʒeˈrɪa, n-ˈdʒiro, de lːedʒe, maˈdʒor; dʒjorˈdanja, dʒjoˈβanːɪ, beˈerudʒa, ɪ dʒeniˈtori, dɪ ˈdʒorno, manˈdʒ(j)arɪ, aldʒeˈrɪa, ˈledʒere, ˈvjadːʒo, ˈledːʒe, adːʒusˈtarlo, ˈredːʒo eˈmilja].Come si può facilmente osservare, le affricate vengono spesso sostituite dalle corrispondenti fricative, presenti nei sistemi di partenza e probabilmente sentite come i suoni a quelli più simili. Lo stesso vale anche per l’affricata alveopalatale sonora, la cui corrispondente fricativa, come già abbiamo visto, è presente solo nell’arabo palestinese. La frequente resa fricativa indipendentemente dalla varietà di partenza e la marginalità di altre rese (esemplificate da [leˈsjamo, ˈledjere]) sono probabilmente riconducibili al fatto che quella è nota e sentita come fono caratteristico di certe varietà regionali (appunto siro-palestinese e libanese) ed entra quindi nel gioco delle interferenze.La forte variabilità che caratterizza i singoli apprendenti (tranne AF, F, O, le cui interlingue mostrano una fonologia molto vicina a quella di arrivo) attesta chiaramente i processi di apprendimento in corso ed è riprova dell’opportunità di integrare l’approccio contrastivo con quello evolutivo. Indizio di processi di apprendimento ormai conclusi o in corso sono anche diversi esempi di fossilizzazione e di sovraestensione che compaiono qua e là. Tra i primi è notevole il sintagma [n-ˈsak:o ˈbel:o] per ‘un sacco a pelo’, prodotto da O che distingue le due occlusive bilabiali. Il sintagma è evidentemente il risultato di una reinterpretazione lessicale sulla base di una pronuncia ipodifferenziata delle labiali.Probabilmente sono da assegnare a questa categoria anche i lessemi [βɪˈnɪsja, staˈs(ː)jone ʃenˈtrale, (a)nd(ɘ)ˈrɪsːo, (e)ˈʒɪt(ː)o, (e)ʒɪˈsjano, (e)ʒɪˈtsjano], che ritornano soprattutto negli apprendenti con stadi di apprendimento meno avanzati e non mostrano mai variabilità. Questi lessemi sembrano mantenere la fonetica precoce del primo periodo di apprendimento (si noti che si tratta di parole in qualche modo legate alle prime esperienze comunicative in lingua seconda: il porto di arrivo, il luogo di ritrovo, il paese di origine).Tra gli esempi di sovraestensione abbiamo diversi casi di sostituzione e in particolare: (a) rese mormorate di /b/ come in [b̤uˈsːjamo, ˈb̤won ˈdʒorno]; (b) rese affricate di fricative, come in [ˈnsomːa tɪ ˈfanːo na ˈtʃena ˛dela maˈdonːa (per ‘una scena’), liˈtʃeo tʃenˈtifiko, nel tʃentifiko, tsents-ˈaltro, ˈtsi, ˈntsomːa]; (c) rese geminate di affricate scempie, come in [raˈdɪtːʃɪ, oroˈlodːʒo, eseˈdːʒezi].Tutti questi casi sono sintomo di adattamento al sistema fonologico di arrivo tramite diffusione lessicale, che, per le affricate alveopalatali, prende probabilmente le mosse dalle parole in cui esse compaiono come geminate. Per quanto riguarda, più in generale, la rilevanza che hanno i fenomeni di interferenza nell’apprendimento lessicale, il corpus contiene il caso interessante dell’apprendimento della parola città da parte di A, un apprendente con un’alta percentuale di occorrenze di affricata alveopalatale sorda. Il caso è illustrato dai seguenti frammenti di conversazione (dove I sta per ‘intervistatore’):

Si può osservare come l’affricata, nella parola in questione, venga realizzata come tale solo in una risposta-eco e venga altrimenti sostituita dalla corrispondente fricativa o resa come semi-affricata.
1 Facendo astrazione dalle singole realizzazioni variabili e tenendo conto della media di percentuali di rese corrette da parte dei nostri soggetti otteniamo, per i fonemi e i foni in esame, una sequenza di apprendimento che vede ai primi posti /v/ e /tʃ/ (con più del 90% di rese corrette) seguiti da [ts] (con circa i 3/4 di rese corrette), da [dz] e da /dʒ/ (2/3 circa di rese corrette) e infine da /p/ (meno del 50% di rese sorde). L’unica riserva che occorre avanzare riguardo a questa sequenza concerne l’affricata dentale sonora, per la quale abbiamo poche occorrenze11.La sequenza di apprendimento così delineata è molto istruttiva per quanto concerne la stima dei fenomeni di interferenza nel processo di apprendimento della fonologia. Infatti essa ci mostra chiaramente come questi non abbiano tutti lo stesso peso e non concorrano a determinare l’iter di apprendimento nella stessa maniera. Inoltre la relativa difficoltà di acquisizione dei foni in esame sembra porsi in un’interessante correlazione con stime di marcatezza fonologica operate in base a confronti interlinguistici.In particolare, l’approssimante labiovelare [w] e, alternativamente, la fricativa labiodentale sonora [v] sono le due possibili realizzazioni del termine non marcato rispetto a /f/, che li presuppone (cfr. Gamkrelidze 1978). La facilità di realizzazione e acquisizione di /v/ può dunque essere vista come correlato di un semplice spostamento di articolazione all’interno della gamma di realizzazioni del termine non marcato, che, come abbiamo visto, comporta solo sporadiche rese assordite e non viene mai reso con l’occlusiva bilabiale sonora, come invece accade nei processi di acquisizione di lingue prime [cfr. Locke 1983: 145]12.All’altro estremo, la persistenza dell’ipodifferenziazione di /p – b/ è coerente con una gerarchia di marcatezza delle occlusive che pare correlata con le condizioni che ne favoriscono l’articolazione sorda e sonora e che si configura come segue per le sorde da una parte e per le sonore dall’altra: t > k > p, d > b > g (Gamkrelidze 1978; Ferguson 1984). Tale gerarchia sembra essere un universale fonologico particolarmente forte, visto il ritardo nell’acquisizione del termine più marcato tra le occlusive sorde e che non compare nel sistema primario dei nostri apprendenti.Tra questi due estremi, la sequenza delle affricate (cioè tʃ > ts > dz, dʒ) ripropone nuovamente la scala di marcatezza che si riscontra tra i sistemi fonologici delle lingue del mondo e che è imperniata sulla combinazione di sonorità e di luogo di articolazione: le sorde sono in generale meno marcate delle sonore, ma per le affricate il luogo di articolazione (alveo)palatale è meno marcato di quello dentale/alveolare, mentre per le fricative vale l’inverso (Lass 1984: 154). In quest’ambito è soprattutto interessante il caso dell’alveopalatale sonora, che mostra rese imperfette anche presso F e G, i due apprendenti nei cui sistemi primari essa è presente. Le loro rese, disaggregate, sono in effetti migliori per l’affricata in questione che non per quelle dentali, ma non si può certo parlare di transfert positivo che favorisce nettamente realizzazioni corrette. Tutto questo induce a pensare che in certi casi prendano il sopravvento fattori di marcatezza e che di conseguenza l’apprendimento si configuri di più in termini meramente evolutivi, indipendentemente dalle lingue di partenza, come ipotizzano anche Mulford e Hecht (1980), per i quali i fenomeni di interferenza sono più caratteristici delle vocali, mentre rese di tipo evolutivo contraddistinguono affricate e fricative. Tra questi due estremi si pongono le liquide (con un comportamento più vicino a quello delle vocali) e le occlusive (più simili, nel comportamento, alle affricate/fricative). In generale, però, l’articolazione della /dʒ/ sembra essere piuttosto debole, come mostra la sua deaffricazione in alcune varietà di italiano (fra cui il toscano) e anche il suo raddoppiamento in certe altre. A ciò sarebbe dovuto il ritardo nel suo apprendimento rispetto al suo omologo sordo e alle affricate dentali.
2 In conclusione, l’apprendimento del consonantismo dell’italiano lingua seconda, almeno per quanto riguarda questo primo gruppo di apprendenti, mostra come, all’interno del quadro fissato dai parametri dell’analisi contrastiva e valido solo per le lingue considerate di volta in volta, agiscano gli stessi principi generali di marcatezza che governano la costituzione dei sistemi fonologici nelle lingue prime di adulti. Questi condizionano il processo di apprendimento ritardando più o meno l’acquisizione dei fonemi della lingua di arrivo in funzione della maggiore o minor marcatezza che questi rivestono. In particolare, il grado di difficoltà nell’apprendimento del sistema fonematico della lingua seconda verrebbe variamente determinato da universali e tendenze indipendentemente dal sistema della lingua prima degli apprendenti per certi gruppi di consonanti (cfr. il caso di /tʃ/ di acquisizione precoce e di /dʒ/ di acquisizione piuttosto tarda) e in base al sistema primario per certi altri (cfr. il caso di /v/ e di /p/).La rilevanza dei fenomeni di marcatezza conferma i risultati di altri studi [p. es. Eckman 1977, 1981a e 1984] sui nessi iniziali e finali di parola nelle interlingue. Infine, lo studio di sequenze di apprendimento in fonologia può risultare utile alla verifica di universali e tendenze allo stesso modo dello studio dell’apprendimento della morfosintassi [per cui cfr. Comrie 1984].
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