Il Mio Marchese Per Sempre

Текст
Автор:
0
Отзывы
Читать фрагмент
Отметить прочитанной
Как читать книгу после покупки
Il Mio Marchese Per Sempre
Шрифт:Меньше АаБольше Аа

Il mio marchese per sempre

Indice

Ringraziamenti

Prologo

1. CAPITOLO PRIMO

2. CAPITOLO SECONDO

3. CAPITOLO TERZO

4. CAPITOLO QUARTO

5. CAPITOLO QUINTO

6. CAPITOLO SESTO

7. CAPITOLO SETTIMO

8. CAPITOLO OTTAVO

9. CAPITOLO NONO

10. CAPITOLO DECIMO

Epilogo

NOTE SULL’AUTRICE

Also By

Postfazione

Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotti dell'immaginazione dell'autrice o usati in modo fittizio e non devono essere interpretati come reali. Qualsiasi somiglianza con luoghi, organizzazioni o persone reali, vive o morte, è del tutto casuale.

Il mio marchese per sempre Copyright © 2018 Dawn Brower.

Copertina e revisione di Victoria Miller.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata o riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, tranne nel caso di brevi citazioni contenute nelle recensioni.


Questo libro è per chi crede nell'amore e spera un giorno di trovarlo. A volte bisogna solo avere fede, a volte è sempre stato lì. Continua a crederci e un giorno l'amore ti troverà.

Ringraziamenti

Come sempre grazie alla mia copertinista, Victoria Miller. Sei favolosa come sempre. Grazie anche a Elizabeth Evans, rendi la stesura piacevole. Grazie per avermi aiutato e per aver letto tutte le mie bozze.

Prologo

Inghilterra 1795

Le campane nuziali suonavano nella campagna, annunciando le imminenti nozze di Lord Victor Simms, secondogenito del Duca di Ashthrone, e di Lady Penelope Everly. Non era il primo matrimonio per nessuno dei due. Il piccolo Ryan Simms era entusiasta di avere finalmente una madre. Da quando si ricordava, erano rimasti solo lui e suo padre. Presto avrebbe avuto anche una madre e due sorelle: Delilah e Mirabella. Delilah era due anni più grande di Ryan e aveva i capelli più neri che avesse mai visto. Mirabella aveva i capelli rossi ed era un anno più giovane di lui. Ryan aveva festeggiato il suo settimo compleanno un mese prima del matrimonio.

«Come va, ragazzo mio?» Suo padre si chinò e gli arruffò i capelli. «Sei felice?»

«Sì, papà,» rispose. Voleva dire a suo padre che non era mai stato così felice, ma non sapeva se poteva. Suo padre sembrava avere uno stato d'animo più rilassato, e non voleva ricordargli i momenti più tristi. Il suo sguardo era sempre stato dolce, ma il più delle volte diventava cupo. Anche un bambino di sette anni riconosceva il dolore, e sebbene non avesse mai conosciuto sua madre, Ryan comunque ne sentiva ogni giorno la mancanza. Lady Penelope non poteva sostituire quel vuoto, ma poteva riempirlo parzialmente.

«Sono contento,» disse suo padre. «È meraviglioso tesoro ritrovare la felicità nelle nostre vite. Ora corri a sederti con la tata. Fai il bravo ragazzo.»

Ryan fece come gli disse suo padre e corse a sedersi con la sua tata sulla panca. Delilah e Mirabella erano già lì. Sedevano con la schiena dritta e le espressioni cupe sul viso. Non erano contente di far di nuovo parte di un'intera famiglia? Perché sembravano così infelici? Lady Penelope percorse la navata della chiesa e raggiunse il padre di Ryan. Il vicario disse molte cose che Ryan non capì appieno, ma non gli importava molto. Alla fine tutto ciò che gli importava era avere una famiglia. Una famiglia che sarebbe stata sempre lì per lui, che lo avrebbe ricoperto d'amore, di attenzioni e di tanti abbracci. Avrebbe davvero voluto avere qualcuno che lo abbracciasse più spesso. Una volta aveva visto una madre e un figlio. Non sapeva cosa gli mancava fino a quel giorno. La donna aveva tirato il suo bambino tra le braccia, abbracciandolo e baciandolo come se fosse la cosa più preziosa per lei. Il vicario chiese a suo padre di ripetere alcune parole, e poi a Lady Penelope. Entrambi fecero come lui gli aveva chiesto. Alla fine, li dichiarò marito e moglie. Tutti in chiesa batterono le mani. Un sorriso riempì il volto di Ryan, e lui applaudì insieme a loro.

«È un ragazzo sciocco,» disse Delilah, alzando il naso all'insù. «Non posso credere che ora dovremo avere a che fare con lui tutti i giorni.»

Mirabella annuì, ma Ryan pensava che neanche lei avesse capito Delilah. Le ragazze erano un enigma che non avrebbe mai capito. Soprattutto perché non aveva mai avuto a che fare con nessuna di loro prima. «Che significa sciocco!?»

«Non si rende nemmeno conto di cosa sia un insulto— sbuffò Delilah—suppongo che questo potrebbe rendere le cose più interessanti.»

Ryan non la pensava così, e, al momento, non gli importava capire cosa ella volesse dire. Fece spallucce e tirò la manica della tata «È già ora di andare? Ho sonno.» Aveva sette anni e aveva già fatto più di quanto di solito facesse. Suo padre non gli permetteva di uscire di casa molto spesso; era come se temesse di perdere Ryan se lo avesse perso di vista. E la tata lo viziava per volere di suo padre.

«Non appena la coppia di sposi esce, possiamo andare dietro a loro.»

Ryan annuì e attese che suo padre e la sua nuova madre lasciassero la chiesa, poi la tata lo avrebbe portato a casa. Forse avrebbe potuto giocare con i soldatini nella sua stanza. Gli piacevano la pace e la tranquillità. Ultimamente a casa sua c'era stata troppa confusione; tutti venivano a far visita prima delle nozze. Aveva anche una nuova cugina: la piccola Estella, Era una neonata e non poteva giocare con lui, eppure a lui piaceva guardarla. La tata si prendeva cura di Estella durante le visite degli ospiti, perciò lui poteva ammirarla spesso.

Finalmente, suo padre e Lady Penelope si avviarono verso la navata laterale. Dopo essere usciti dalla chiesa, tutti si alzarono per seguirli; la tata gli prese la mano e si rivolse a Delilah e Mirabella. «Venite con me, bambine.»

«Non siamo obbligate ad ascoltarti,» disse Delilah altezzosamente.

«Sì, non ascoltare!» fece eco Mirabella.

La tata emise un sospiro profondo: «Non ho tempo per i capricci. Voi due venite con me, ora, o vi tirerò le orecchie!»

Delilah si alzò e voltò la testa con aria di sfida. «Me ne vado, ma non perché me l'hai detto tu. Voglio andare a casa e lo farò.» Mirabella le corse dietro mentre uscivano dalla chiesa.

Ryan dando la mano alla tata «Conoscono la strada?»

«Non lo so, tesoro» rispose lei «Meglio seguirle. Quelle due mi faranno impazzire! Molto presto avremo nostalgia della quiete e avremo difficoltà a ricordare com'era!» Egli annuì anche se non capiva. Perché non avrebbero avuto più pace? Egli non dovrebbe averla sempre nella sua stanza? Quello era il suo spazio sicuro! Pensava che più tardi, forse, l'avrebbe capito. Quello era un giorno felice glielo aveva detto suo padre e lui ci credeva.


Inghilterra 1800

«Ryan,» gridò la sua matrigna. La sua voce stridula gli perforò i timpani anche da lontano e non riusciva ancora a credere di essere stato entusiasta nell'avere quella donna come madre! «Vieni giù subito, stupido ragazzo.»

Egli fissò le pareti spoglie della soffitta dove lei lo costringeva a dormire. La sua bella cameretta gli fu tolta e data a Delilah. Oh, tutto ciò non accadde subito, ma, una volta morto suo padre, Lady Penelope aveva acquisito il totale controllo su di lui. Avrebbe dovuto prepararsi per andare a Eton, ma rimase bloccato a causa di un lavoro non pagato da Lady Penelope che sosteneva di non avere i fondi per mandarlo a scuola e dare alle sue figlie la giusta educazione che meritavano. Per tutte loro, quindi assunse dei tutori, mentre lui ebbe una normale educazione. Se avesse potuto impedirlo ella non gli avrebbe permesso di avere un tutor, ma suo nonno, il duca di Ashthrone, insisteva per avere dei rapporti trimestrali da Lady Penelope e se non avesse avuto notizie, esse non avrebbero ricevuto da lui alcun compenso.

Ryan saltò giù per le scale, due gradini alla volta, e si diresse verso il salotto. Lady Penelope era seduta in poltrona e leggeva un libro, le sue due figlie, Mirabella e Delilah sedevano di fronte a lei: Delilah ricamava e Mirabella con gli acquarelli dipingeva su una tela.

«È ora!» disse Lady Penelope sbuffando «Ho bisogno che tu accenda il camino. Fa freddo nella stanza!»

 

La sua matrigna aveva licenziato quasi tutti i domestici, un altro modo per essere parsimoniosa e spendere più soldi per le sue figlie e per sé stessa: egoiste tutte! Avevano solo tenuto un cuoco e un cocchiere. Ryan non doveva essere visto mentre le portava in giro in carrozza. Se ciò fosse arrivato alle orecchie di suo nonno, lei avrebbe avuto molto da contestare. Per quanto riguarda la cucina, Lady Penelope aveva tentato di metterlo ai fornelli, ma si arrese quando capì che egli non era in grado di farlo, e il ragazzo non fu mai così felice di non saper fare qualcosa. Ryan era diventato praticamente lo schiavo della sua matrigna sin dalla morte del padre, avvenuta qualche anno prima. Egli non vedeva l'ora di entrare in possesso della sua eredità, piccola che fosse e costringere Lady Penelope a lasciare la propria dimora. Sicuramente aveva dei parenti dove poter abitare! Non aveva mai odiato nessuno tanto quanto la matrigna e le due sorellastre.

«Immediatamente.» rispose Ryan.

Si mise al lavoro accendendo il fuoco nel camino. Ben presto le fiamme leccarono il legno e il calore si diffuse all'esterno. Ryan si alzò e si passò una mano sui pantaloni, lasciando una striscia di cenere e fuliggine sopra di essi.

«Vai a lavarti. Hai un aspetto vergognoso!»

Ryan strinse forte la mascella e annuì alla sua matrigna, non aveva voglia di replicare. Un forte rimbombo echeggiò attraverso la sala, seguito da un urlo: «Che fine hanno fatto tutti in questa maledetta casa?»

Lady Penelope saltò in piedi per correre fuori dalla stanza, ma non fece due passi prima che il proprietario dell'urlo entrasse. «Eccovi qui!» Guardò Ryan e si accigliò. «Che cosa hai addosso?»

Era il duca di Ashthrone in persona, nonno di Ryan che era finalmente venuto a controllarlo. Egli non era stato in quella casa dalla morte di suo padre. E, onestamente, non capiva perché il duca lo avesse lasciato con la sua matrigna, anche se all'epoca, gliene fu grato Perché suo nonno non era un uomo gentile ed egli aveva creduto che la sua matrigna fosse la migliore delle due opzioni. Aveva pensato di dovere restare lì fino a quando non fosse arrivato il momento di andare a Eton. Ma ciò non accadde.

«Ciao, nonno!» salutò Ryan. «Stavo accendendo il caminetto per le signore». Egli non gli disse che Lady Penelope lo aveva costretto a farlo. Si sarebbe guadagnato diverse frustate con la frusta preferita dalla matrigna che aveva un lato cattivo che rivaleggiava con qualsiasi entità malvagia. Per quanto lo riguardava, Ryan non riusciva a capire cosa suo padre avesse mai visto in quella donna. Anche le sue due figlie erano rapidamente diventate lei miniatura.

«Ecco a cosa servono i domestici, ragazzo.» Si guardò intorno nella stanza. «Vai a chiamarmene uno. Avremo bisogno di assistenza per quello che ho in mente.»

Ryan guardò la matrigna per capire come orientarsi. Non sapeva chi avrebbe dovuto chiamare: l'autista? Non avevano né cameriere né camerieri; avevano Ryan come tuttofare. Non era sicuro di come suo nonno avrebbe reagito alla notizia che suo nipote faceva tutto il lavoro sporco in casa. Il duca guardava sempre dall'alto in basso le persone delle classi meno abbienti. Questo avrebbe cambiato il modo in cui suo nonno lo avrebbe visto? Sperava di no. Se così fosse stato, non sarebbe stato un buon auspicio per il suo futuro.

«È necessario?» Chiese Lady Penelope. «Il fuoco è già acceso. Ryan è un bravo ragazzo che si prende cura di noi e può aiutarla per qualunque cosa voi abbiate bisogno.»

Egli si trattenne a malapena dal roteare i suoi occhi. La sua matrigna era buona... Sembrava così dolce e innocente! Ryan lo sapeva bene: niente di puro o di onesto viveva dentro quella donna.

«Immagino.» concordò il duca. «Non mi tratterrò a lungo. Sono venuto a prendere il ragazzo.»

«Oh?» disse Lady Penelope, inclinando la testa, «Pensavo vi fidaste di me per quanto riguarda la sua educazione.» Più che altro non voleva perdere il suo servo...

Il duca la fulminò con uno sguardo e quello sguardo sembrava dirle: Come osate mettere in discussione le mie azioni? chiudendo la bocca della matrigna più in fretta di quanto avesse mai visto. Ryan avrebbe voluto avere un carattere come quello.

«Mio nipote deve conoscere il suo ruolo nel mondo. Questo non succederà qui. Sembra che l'altro mio figlio, il marchese di Cinderbury, avrà solo una figlia. Sua moglie non è in grado di avere altri figli, il che fa di questo ragazzo il mio erede. Un giorno sarà un duca e dovrà conoscere le sue responsabilità.»

«Capisco,» disse Lady Penelope «dovete andarvene via oggi?»

«Sì,» disse il duca in modo perentorio, poi rivolto a Ryan. «Hai dieci minuti per fare i bagagli.»

Ryan non se lo fece dire due volte, praticamente scappò dalla stanza e salì in soffitta. Non c'era molto che volesse portare con sé; nella sua stanza c'era un piccolo baule che conteneva tutti i suoi effetti personali. La sua matrigna non pensava che lui avesse bisogno di un vero armadio, quindi tutto quello che fece fu afferrare il suo baule e trascinarlo giù per le scale. Neanche si fermò per assicurarsi che ci fosse tutto. Non importava se lasciava qualcosa.

Suo nonno lo aspettava nell'atrio. Per certi versi, il duca si era trasformato in un vecchio e irascibile padrino per lui. Stranamente, questa descrizione gli calzava a pennello, anche se non era così vecchio come pensava Ryan. Egli aveva dodici anni e tutti quelli più grandi di lui gli sembravano antichi.

«Hai fatto molto più veloce di quanto mi aspettassi.» disse suo nonno. «Forse non sarai una causa persa, dopo tutto. L'ultima volta che ti ho visto eri un bambino piagnucolone!»

Se il duca si fosse preso la briga di controllarlo, avrebbe capito che Ryan era costretto a crescere molto più in fretta di qualsiasi altro ragazzo. Prima aveva perso la madre e diversi anni dopo, poi, prima di sanare il dolore, suo padre. Il suo cuore si era indurito e dubitava che avrebbe mai provato qualcosa di nuovo. Le emozioni gli causavano sofferenza e lui non ne aveva bisogno. Adesso suo nonno poteva essere il suo benefattore, ma era tutt'altro che benevolo.

«Mi basta poco.» disse a suo nonno. «Sono pronto, quando volete.»

Egli annuì a Ryan e si diressero fuori verso la sua carrozza. Nessuno dei due si fermò a salutare Lady Penelope o le sue figlie, Ryan perché le odiava, e il duca, probabilmente, non ci pensò. Per certi versi, egli era simile a loro, aveva dei fini e avrebbe voluto che Ryan li adempiesse; ma almeno suo nonno lo avrebbe preparato per il suo futuro. La sua matrigna voleva usarlo come schiavo. Era un compromesso che avrebbe accettato più che volentieri. Su alcune cose valeva la pena di rischiare. Non che suo nonno gli avesse dato un'ampia scelta. Doveva tornare nella sua tenuta e imparare tutto sull'essere un duca e sperava di non trasformarsi in un vecchio irritabile come lui.

La carrozza si mosse sul vialetto. La piccola casa che un tempo per lui aveva significato qualcosa si faceva sempre più piccola man mano che la carrozza scendeva lungo la strada. Un tempo credeva che potesse diventare la sua vera casa con una famiglia che lo amasse, ma alcune cose non erano destinate a esserlo e non avrebbe mai avuto una madre in vita sua. Almeno Penelope non avrebbe più avuto alcun controllo su di lui. Lei era il suo passato e non avrebbe mai più voluto vedere lei e le sue sorellastre.

Avrebbe preferito lasciare alla sua matrigna la casa della sua infanzia, mantenere le distanze tra loro e dimenticarsi della loro esistenza. Suo nonno lo avrebbe trasformato in un uomo capace di avere il controllo completo della sua vita. Ryan cercò di trovare una parte della sua anima che fosse rimasta felice e pura, ma Penelope, dopo la morte del padre, gliela aveva strappata. Ora tutto quello che poteva fare era andare avanti e cercare di essere una persona migliore di quelle che lo avevano circondato. Giurò che nessuna donna avrebbe mai avuto potere su di lui...

CAPITOLO PRIMO

Kent 1816

La carrozza cigolava mentre percorreva la strada. Il sole filtrava dai finestrini, illuminando i sedili rivestiti di velluto. Durante il viaggio, lady Annalise Palmer guardava gli alberi fuori dal finestrino. Non che il paesaggio fosse particolarmente meraviglioso, anche se aveva un certo fascino, ma non era sicura dell'accoglienza, una volta raggiunta la loro destinazione. Aveva scritto alla sua sorellastra, Estella, la nuova viscontessa di Warwick, spiegando perché si fosse comportata in quel modo, ma questo non significava che l'avrebbe perdonata. Aveva ricevuto una lettera da Estella, che la invitava a visitare il castello di Manchester. Annalise non poteva fare a meno di chiedersi perché si trovassero nel Kent, e non nella tenuta di Warwick. «Avevate davvero bisogno di arrivare fin qui per vedere Estella?» Le chiese suo fratello, Marrok, il marchese di Sheffield. «Odio i lunghi viaggi in carrozza.»

«Non tanto quanto me.» ella rispose amaramente. «Siete un orribile compagno di viaggio.»

«Siate felice che io abbia accettato di accompagnarvi. Altrimenti papà non vi avrebbe mai fatto uscire dal convento.» Marrok sbadigliò rumorosamente. «È ancora piuttosto arrabbiato per aver aiutato Estella a sposare Warwick.»

Suo padre, il duca di Wolfton, non aveva idea di tutto ciò che ella aveva fatto per aiutare Estella. Lui credeva che ella le avesse mandato i suoi fondi per sopravvivere, ma aveva fatto molto di più. Suo padre non era un brav'uomo e aveva fatto tutto il possibile per assicurarsi che Estella fosse infelice per il resto della sua vita. Annalise avrebbe voluto aiutarla prima, ma non sapeva come fare. Il duca controllava ogni sua mossa, e se ci avesse provato, egli avrebbe trovato un modo per impedirlo. Doveva essere più intelligente di lui e, questo, richiedeva un'enorme quantità di pazienza. Il suo piano aveva dato i suoi frutti quando trovò il modo di far incontrare Estella con l'uomo che amava.

«Non ho rimpianti,» disse. «Estella aveva bisogno del mio aiuto.»

«Non sono d'accordo. Papà è uno zuccone: Estella non doveva essere mandata via.» Marrok allungò le braccia sopra la testa. «Da quanto tempo siamo in questa maledetta carrozza?»

Almeno suo fratello non si era trasformato in una copia del loro padre. Oh, non era perfetto in nessun modo, ma non aveva una vena crudele. Marrok non aveva pazienza per l'idiozia e non sopportava le sciocchezze. Poteva fulminare qualcuno con uno sguardo o con qualche parola se decideva di fare lo sforzo; in breve, tirava fuori la tipica espressione del maschio malinconico che, anzi, aveva perfezionato. Annalise amava suo fratello, ma neanche lei riusciva a tollerarlo così a lungo. Provava pietà per la donna che un giorno egli avrebbe deciso di sposare. Sarebbe stato piuttosto difficile vivere con lui. Diavolo, non c'era niente di meglio: era un perfetto stronzo in una meravigliosa giornata. Distolse lo sguardo dal finestrino, si voltò verso di lui e rispose alla sua domanda «Più o meno come la volta precedente che me l'avete chiesto. Siete peggio di un bambino piccolo.»

«Non più di quanto lo siate voi» Egli si sporse e sbirciò fuori dal finestrino. «Dico sul serio, però. Non dovremmo già essere lì?»

Mentre egli stava parlando si intravide il castello di Manchester. La struttura era maestosa e meravigliosa da vedere. La casa ancestrale dei Wolfton aveva una sua bellezza, ma in un modo diverso rispetto a quello di Manchester. Questo castello sembrava più luminoso, in un certo senso più accogliente. Forse lei era un po' estrosa o forse desiderava essere libera, di essere sé stessa. A causa delle aspettative del padre, aveva sempre dovuto mettersi in gioco e fingere di non preoccuparsi di niente e di nessuno.

«Oh, grazie al cielo.» Marrok si appoggiò allo schienale. «Presto potrò sgranchirmi le gambe come si deve.»

Annalise alzò gli occhi al cielo, anche se in realtà non lo biasimava. Ogni centimetro dei suoi muscoli era rigido per il permanere in carrozza per ore. Sarebbe bello uscire finalmente da questa maledetta cosa e camminare un po'. La carrozza si avviò verso il lungo sentiero che portava al castello. Rimbalzò su un dosso e lanciò Annalise verso l'alto. Il dolore le attraversò il fondoschiena e su per la schiena, mentre atterrava sul sedile. «Ahi,» urlò, incapace di trattenerlo.

«Sono pronto a scommettere che siete contenta che siamo quasi arrivati.» Marrok ridacchiò allegramente. «Ammettetelo.»

 

«Vi odio,» mormorò lei.

«No, non è vero,» rispose Marrok e poi rise di nuovo. «Mi adorate, e lo sappiamo entrambi.» Le fece l'occhiolino. «Non preoccupatevi, non vi farò strisciare e vi chiederò scusa per essere stato crudele.»

«Come se lo fossi.» rispose lei. «Potete aspettare quanto volete, questo non accadrà mai.» Annalise non riusciva a impedire alle sue labbra d'inclinarsi verso l'alto. L'allegria di Marrok l'aveva sollevata dal malumore. Si preoccupava troppo per niente. Estella non l'avrebbe invitata a Manchester se non l'avesse perdonata per le sue azioni. A Lord Warwick non era stato arrecato nessun danno nell’intento di farlo salire sulla nave di Estella. Entrambi erano stati infelici senza l'altro, ora potevano essere felici, come avrebbero dovuto essere fin dall'inizio.

La carrozza si fermò e Marrok spalancò la porta prima che lo facesse il cocchiere. Aveva molta fretta di uscire dalla carrozza e di mettere i piedi su un terreno solido. Annalise ridacchiò leggermente ai suoi movimenti. Alcune cose non cambiavano mai. Marrok aveva sempre odiato viaggiare, ma si ricordava di essere un gentiluomo. Si voltò e allungò la mano per aiutarla a scendere. «Grazie, caro fratello.»

«Come sempre, cara sorella.» Le strizzò l’occhio. «Sapete che potete contare su di me.»

Raggiunsero la porta principale e questa si aprì prima che avessero la possibilità di battere il batacchio contro di essa. Un uomo alto e magro li salutò. «Come posso aiutarvi?»

«Siamo qui in visita a Lady Warwick,» rispose Annalise. «Ho ricevuto un suo invito.»

«Lady Annalise Palmer, presumo,» disse l'uomo alto. «E voi siete, il signor? Ero ignaro che qualcun altro avrebbe accompagnato la signorina.»

«Sono suo fratello, il marchese di Sheffield.» Marrok sollevò un sopracciglio. «Vi aspettavate davvero che mia sorella viaggiasse da sola?»

«No,» rispose l'uomo. Pensavo magari a una damigella, ma non un altro pari. Prego, entrate. Farò in modo che un cameriere si occupi dei vostri bauli.» Il maggiordomo, almeno questo era quello che Annalise presumeva che l'uomo fosse, chiuse la porta dietro di loro appena entrati. «Volete riposarvi dal lungo viaggio, o unirvi a Lady Manchester e Lady Warwick nel salotto per il tè?»

«Preferirei fare una passeggiata.» rispose Marrok. «Sono sfinito per l'inattività.»

«Molto bene, mio signore,» rispose il maggiordomo. «La governante avrà il tempo di preparare le vostre camere.» Si voltò verso Annalise. «E voi, mia signora?»

Ella cominciò a pensare che avrebbe dovuto scrivere a Estella prima di partire per farle sapere che Marrok sarebbe venuto con lei. «Mi piacerebbe unirmi alle signore per il tè.» Il riposo poteva aspettare fino a dopo l'incontro con la sorellastra. Altrimenti non sarebbe mai stata in grado di rilassarsi come si deve.

«Allora per favore seguitemi,» rispose il maggiordomo.

La condusse lungo un corridoio e in una grande stanza. Non assomigliava a nessun salotto in cui fosse mai stata. Non c'erano nemmeno sedie nella stanza, ma c'era un lungo tavolo. «Troverete le altre signore dall'altra parte della stanza.» Il maggiordomo si voltò e uscì, lasciando Annalise da sola. L'uomo fu piuttosto scortese...

Camminando verso l'interno iniziò a sentire i distinti suoni del metallo che batteva sul metallo, seguiti rapidamente dalle risate femminili. Annalise inclinò la testa verso i rumori. Interessante… Ella accelerò il passo verso la loro provenienza e, dopo aver girato l'angolo, scoprì i motivi della risata: Estella era nel bel mezzo di una partita di scherma con un'altra donna. Annalise non aveva mai visto l'altra donna prima e non poteva essere certa di chi fosse, ma sospettava che fosse Lady Manchester.

«Basta,» rispose Estella dopo un altro tintinnio dei fioretti. «Se continuiamo così, vostro marito entrerà e ci rimprovererà.»

L'altra signora rilassò il braccio con il fioretto e poi arricciò il naso. «Garrick non oserebbe.»

«No?» Estella alzò la fronte. «A entrambe ci ha fatto la predica per un'ora intera prima di accettare che tirassimo di scherma. Dubito in qualche modo che apprezzerebbe se vi permetteste di esagerare.»

«Va bene.» la signora acconsentì. «Garrick si arrabbierebbe.» Ma credo che si possa dire con certezza che suo marito non avrebbe mai alzato un dito su di lei.

«Anche questo è vero.» La risata di Estella riecheggiò in tutta la stanza. Si avvicinò a un tavolo vicino e appoggiò il fioretto, poi prese una teiera e ne versò un po' in una tazza. «Pensate che questo tè sia ancora caldo?»

«Non lo so,» rispose la signora. «Ma non mi interessa. Improvvisamente sto morendo di fame.» Prese un pasticcino da tè e praticamente lo infilò tutto in bocca, poi afferrò la tazza dalla mano di Estella e ne bevve il contenuto. «È incredibile.»

«La gravidanza fa un effetto strano sulle donne.»

«Non intendo interrompere...» Annalise entrò in scena.

«Il maggiordomo…»

«Annalisa,» esclamò Estella e si precipitò al suo fianco, poi la strinse in un abbraccio. «Siete qui.» Fece un passo indietro. «Siete appena arrivata?»

Annalisa non sapeva cosa pensare della sorellastra che faceva della scherma con la contessa di Manchester, perché doveva essere lei l'altra signora. Sembravano avere una relazione amichevole che Annalise invidiava. Si coprì il volto con un sorriso e fece un cenno a Estella. «Pochi minuti fa. Marrok era con me, ma sapete com'è. Doveva fare una passeggiata prima di potersi calmare.»

«Sono contenta che sia qui con voi. Ero in pensiero che viaggiaste da sola,» disse Estella. «Venite, lasciate che vi presenti Hannah. È stata piuttosto occupata con il suo tè e le sue torte, ma dovete perdonare la sua poca educazione. Portare in grembo un bambino a volte la rende famelica.» Estella la condusse dove si trovava la donna. «Lady Manchester, Hannah, vi presento la mia sorellastra, Lady Annalise Palmer.»

Lady Manchester posò la tazza di tè e fece una riverenza. «Per favore perdonatemi,» disse la signora in questione. «Quello che dice è verissimo. Mi arriva spesso e di solito inaspettatamente.» Sorrise calorosamente. «È un piacere conoscervi.»

"È un piacere anche per me.» Annalise sorrise alla donna.» Non c'è bisogno di scusarsi. È casa vostra, e siete libera di fare quello che volete all'interno di queste mura. Inoltre, se mai avrò la fortuna di avere un figlio, vorrei che la gente rispettasse i miei desideri.»

«Gradireste del tè?»

Dalle osservazioni fatte in precedenza sul tè, doveva essere terribile. Annalise fu beccata tra l'essere scortese e il consumare tè freddo. I pasticcini sembravano piuttosto deliziosi. Il suo stomaco brontolava solo al pensiero. «Che tipo di dolci sono questi?»

«Oh,» disse lady Manchester allegramente. «Questi sono dolcetti al limone. Per loro ho avuto delle voglie tremende e il cuoco è stato così gentile da prepararli ogni giorno per me.»

«Scusate, vi dispiace?» Annalise fece un gesto verso di loro. Non voleva togliere alla signora il suo dolce preferito.

«Servitevi» disse e si portò una mano sul ventre. «Non mi sento bene. Penso che andrò a stendermi un po'.»

Annalise prese un pasticcino e gli diede un morso. Il pasticcino al limone era dolce e croccante, assolutamente delizioso. Riusciva a capire perché Lady Manchester le divorava ogni giorno. Probabilmente andavano bene anche con il tè. Guardò il tè freddo e pensò di versarne una tazza, ma abbandonò l'idea. Non era così assetata...

«Su,» insistette Estella. «Ne aggiungeremo altri più tardi.»

Lady Manchester annuì e uscì dalla stanza, lasciando sole Estella e Annalise. Estella si rivolse a lei dicendole. «Siete stanca?»

«Solo un po'» ammise Annalise. Ora che aveva incontrato Estella, il suo nervosismo si era attenuato. Poteva finalmente rilassarsi e forse fare un pisolino. L'avrebbe aiutata a riprendersi dal viaggio.

«Venite.» disse Estella. «Vi faccio vedere la vostra stanza, e più tardi potremo chiacchierare un po'.»

Annalise sorrise alla sorellastra. Uscirono insieme dalla grande stanza. Il corridoio era ancora lungo e anche la scala. Il tragitto verso la stanza assegnatale era più lungo di quanto pensasse. Alla fine la raggiunsero, ed Estella l'abbracciò di nuovo. «È così bello vedervi. Grazie per essere venuta a trovarmi.»

«Non c'è posto in cui vorrei essere.»

Estella fece un passo indietro e la lasciò sola. Annalise chiuse la porta dietro di sé e poi si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi e trovò sonno prima di rendersi conto di aver smesso di pensare.

Бесплатный фрагмент закончился. Хотите читать дальше?
Купите 3 книги одновременно и выберите четвёртую в подарок!

Чтобы воспользоваться акцией, добавьте нужные книги в корзину. Сделать это можно на странице каждой книги, либо в общем списке:

  1. Нажмите на многоточие
    рядом с книгой
  2. Выберите пункт
    «Добавить в корзину»