Il Volto della Rabbia

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Из серии: Un Thriller di Zoe Prime #5
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“Beh, temo che ci sia già qualcuno in lista d’attesa. Vedrà, sarà perfetto.” Maitland alzò la voce per farsi sentire. “Se è là fuori, Agente Flynn, entri pure. È tempo che voi due vi conosciate.”

CAPITOLO CINQUE

La testa di Zoe si girò in tempo per vedere la porta che si apriva per lasciar entrare un giovane uomo che indossava un completo scuro. Era alto un metro e novanta, magro ma con l’abito abbastanza aderente da far notare la sua muscolatura, capelli neri raccolti sulla fronte, un sorriso furbo pieno di denti bianchi e dritti. Ventitre o ventiquattro anni. A Zoe non piacque da subito.

“Agente Aiden Flynn,” disse, allungando la mano davanti a sé, con quel ghigno ancora stampato sul viso.

Zoe prese la sua mano e la strinse con noncuranza, prendendo le misure del suo viso e gli angoli dei suoi zigomi alti. Aveva l’aspetto di un uomo che portava guai, dalla testa ai piedi. Quel vestito si adattava perfettamente al suo corpo: non era stato acquistato in negozio ma fatto su misura. Veniva da una famiglia benestante. La sua mano era morbida e Zoe non ebbe bisogno dei numeri per capire che le sue scarpe fossero nuove di zecca.

Zoe rivolse uno sguardo accusatorio a Maitland. “Questo è il suo primo incarico,” disse.

“È appena uscito dall’Accademia,” rispose Maitland, prima di allungarsi, mettendo le mani dietro la testa e appoggiandosi allo schienale della poltrona. La sua schiena rimase perfettamente dritta; a cambiare fu soltanto l’angolo dei suoi fianchi.

“Non voglio fare da babysitter,” scattò Zoe, forse più bruscamente di quanto avesse voluto. Maitland avrebbe ancora potuto decidere di non affidarle il caso. “Questi omicidi sono gravi. L’assassino deve essere preso alla svelta.”

“Posso farcela,” si intromise subito l’Agente Flynn. “Ero il migliore del mio corso. Me ne occuperò senza problemi.”

“Quanti anni ha?” domandò Zoe. “Ventitre?”

“Sì,” rispose l’Agente Flynn con voce perplessa. “Come ha fatto a…”

“È un ragazzino,” disse Zoe, rivolgendosi a Maitland.

Gli angoli della bocca del suo superiore si contorsero, sollevandosi di mezzo centimetro e cambiando l’espressione del suo viso. “Agente Prime, le darò due opzioni,” disse. “O lavora su questo caso insieme all’Agente Flynn o è fuori. Quale preferisce?”

Zoe guardò di nuovo Flynn, vedendo brulicare i numeri davanti ai suoi occhi. Oltre a essere troppo inesperto, le comunicava troppe informazioni. Quel ragazzo era tutto angoli acuti: la sua corporatura, i suoi zigomi, il suo vestito. Almeno con le persone che conosceva bene riusciva a mettere a tacere i numeri. Lavorando con lui sarebbe stato impossibile.

Però non aveva mai parlato dei numeri con nessuno dei suoi partner, fatta eccezione per Shelley. La vedevano già come se fosse una tipa strana, e non voleva dar loro altre ragioni per pensarlo. Quindi non poteva tirarli in ballo adesso per usarli come scusa. Non poteva dire a Maitland che vedeva numeri ovunque e che quelli le avrebbero impedito di concentrarsi.

Zoe sapeva fin troppo bene che una tale ammissione non soltanto l’avrebbe fatta apparire  una matta agli occhi di Maitland, ma probabilmente l’avrebbe anche spinto a metterla in malattia e a chiederle di sottoporsi a una serie di sedute con uno psichiatra messo a disposizione dall’agenzia – o forse persino a farla internare. Non aveva nessuna intenzione di rischiare.

“Non mi sta dando scelta, a quanto pare,” disse, nel tentativo di capire se ci fosse qualche remota possibilità che potesse fare a meno di questo nuovo partner.

“Certo che ha una scelta,” disse Maitland. “Può salire su un aereo nel giro di qualche ora oppure può tornarsene a casa. Cosa sceglie?”

Zoe sospirò. La risposta era scontata. Non poteva lavorare insieme a questo giovane idiota, con le sue scarpe scintillanti e il suo sorriso da ragazzo ricco. Ma non poteva nemmeno tornarsene a casa così; non poteva limitarsi a restarsene seduta sul divano con i suoi gatti con lo sguardo perso nel vuoto, né poteva continuare a presentarsi davanti alla casa di Shelley di notte. Aveva un dovere, non solo nei confronti della sua partner morta ma anche verso le vittime, che chiedevano giustizia. E delle vittime che sarebbero morte nei giorni e nelle settimane seguenti se l’assassino non fosse stato catturato.

I gatti sarebbero stati bene senza di lei. La sua mangiatoia a rilascio lento si sarebbe presa cura di loro. E non c’era nessun altro al mondo che avesse bisogno di lei. Non quanto questo caso.

Avrebbe dovuto reprimere le obiezioni che le bloccavano la gola, minacciando di soffocarla se non le avesse sputate. Sapeva che era quello che Shelley avrebbe voluto che facesse.

Aprì la bocca per dare la sua risposta, seppur pentendosene immediatamente.

***

Zoe lesse nuovamente i dettagli del caso per prendervi confidenza. Il volo era breve, ma aveva abbastanza tempo per memorizzare tutte le informazioni e iniziare a pensare ai passi da fare una volta atterrati. Tanto per cominciare, avrebbero dovuto dare un’occhiata all’ultima scena del crimine e ad entrambi i cadaveri.

“Ti dispiace leggerlo ad alta voce?” Flynn, seduto accanto a lei, stava disperatamente cercando di dare un’occhiata ai fogli, senza però avere successo. Le sue lunghe gambe erano stranamente piegate nell’angusto spazio del sedile dell’aereo, mentre i suoi gomiti erano una costante minaccia allo spazio personale di Zoe. “Vorrei farmi trovare pronto.”

Zoe sospirò sommessamente, desiderosa che lui la lasciasse in pace. Ma la sua non era certo una richiesta irragionevole. È solo che non sapeva che avrebbe dovuto tradurre tutto nella sua mente, rimuovere i numeri che vedeva dappertutto e leggere il testo come un robot. Nessun contesto, nessuna inflessione, soltanto le parole scritte sulla pagina. Per lei era difficile farlo, esattamente come sarebbe stato difficile per un neonato leggere quelle pagine.

“Il primo cadavere è stato ritrovato a nord della città di Syracuse, e il secondo proprio a Syracuse,” disse. “La prima vittima era una donna di quarantuno anni di nome Olive Hanson, strangolata e lasciata nei pressi di un’ansa del fiume Oneida dove, a quanto pare, stava facendo un’escursione.”

Zoe gli passò le foto della scena del crimine, immagini che aveva già studiato. La donna era distesa sulla riva, il suo collo era violaceo mentre il resto era pallido e indistinto; i suoi occhi fissavano il vuoto. Poi l’immagine finale: l’addome esposto, la maglietta sollevata senza indizi di manomissione dei suoi vestiti, e il simbolo inciso nella sua carne già fredda. Risaltava nettamente, come succedeva sempre in casi del genere. Un taglio che squarciava la pelle bianca, macchiandola di rosso e dandole la consistenza della carne in scatola.

Zoe fissò le mani di Flynn. Non riusciva a concentrarsi sul suo viso e leggere la sua espressione, non con tutti gli angoli e i calcoli nuovi che la travolgevano ogni volta che i muscoli dell’uomo si contraevano. Ma poteva prestare attenzione al tremolio. E lo vide, non appena lui passo all’ultima foto: un tremito della sua mano che fece sussultare leggermente anche la carta. Ne era sconvolto.

Era un bene. La paura l’avrebbe reso più facile da controllare, da zittire quando lei avrebbe avuto bisogno di tempo e spazio per riflettere. E voleva anche dire che era umano, che aveva quell’empatia di cui Zoe, a detta di tutti, era carente. In termini pratici, era un bene avere accanto una persona empatica che parlasse alle famiglie delle vittime: quando percepivano che qualcuno capiva il loro dolore, erano più disposti a dire la verità.

Zoe prese gli altri due fogli, leggendo con attenzione le informazioni che vi erano riportate. “Anche la seconda vittima è una donna. Un’astronoma di nome Elara Vega, trovata morta nel planetario dove lavorava. Cinquantanove anni. Si presume che sia morta la sera prima del suo ritrovamento. È stata affogata in un secchio per pulire i pavimenti.”

Queste foto mostravano una storia simile alla prima, se non esattamente la stessa. Il corpo lasciato disteso nel punto in cui era caduto, i capelli ancora bagnati. Anche la sua maglietta era stata tirata su, i bottoni inferiori erano stati slacciati per permettere all’assassino di incidere quel simbolo sulla sua pelle. Una linea dritta superiore e poi due linee parallele verso il basso.

“Quindi non esiste una vera e propria correlazione tra le due vittime, se si esclude il simbolo,” disse Flynn. Stava esaminando con attenzione le immagini, confrontandole. “Nessuna corrispondenza in termini di luogo, metodo, tipo di donna; l’unico elemento in comune è l’età avanzata. Ma gli agenti che se ne sono occupati pensano che i casi siano collegati.”

“È palese che lo siano,” affermò Zoe, sforzandosi di mantenere la calma. “Il simbolo è un biglietto da visita. Indica che gli omicidi sono stati commessi dalla stessa mano.”

“Uhm.” Flynn le restituì le fotografie, guardandola mentre le riponeva nel fascicolo. “Ehi, ho sentito dire che sei nell’FBI da parecchio.”

“Ho dieci anni più di te,” rispose Zoe. Voltò la testa per guadare fuori dal finestrino dell’aereo. Sarebbe stato perfetto se Flynn avesse fatto silenzio. Finché guardava fuori e ignorava il vetro del finestrino, poteva concentrarsi su quelle nuvole bianche e soffici, del tutto prive di numeri.

“Hai anche avuto un sacco di partner, non è così?” domandò Flynn. “Mi hanno parlato di te quando sono stato assegnato.”

Zoe si irrigidì. Se le avesse chiesto di Shelley, si sarebbe alzata e si sarebbe diretta verso la parte anteriore dell’aereo, fingendo di dover usare il bagno. Non voleva farlo: uno spazio così ristretto sarebbe stato pieno di numeri; le dimensioni ridotte di una stanza rimpicciolita alla grandezza di un armadio. Ma sarebbe stato meglio che parlare di Shelley. Insomma, chi mai avrebbe voluto parlare dei propri fallimenti più grandi? Soprattutto quando erano così recenti e pesavano così tanto.

 

“Mi hanno detto che sei particolarmente in gamba quando si tratta di risolvere questi casi complicati,” disse. Si era avvicinato a lei, quasi impercettibilmente. Questione di millimetri. “Sei una sorta di genio o cose del genere.”

“Davvero?” domandò seccamente Zoe; non aveva intenzione di abboccare.

“Sì. Mi hanno detto che imparerò molto lavorando con te.”

“Chi te l’ha detto?” domandò Zoe, voltandosi per guardarlo negli occhi. Voleva sapere chi aveva parlato di lei alle sue spalle, anche se non avrebbe fatto molta differenza. Il sorriso spavaldo sul viso di Flynn tentennò e svanì, mentre i muscoli che circondavano la sua bocca si contrassero.

“Beh, insomma, un po’ tutti,” disse Flynn con voce insicura. Si spostò di nuovo, allontanandosi da lei e riprendendo la sua posizione precedente. “Voglio dire, magari riusciremo a risolvere velocemente questo caso lavorando insieme, no? Magari potrei gestire tutto io e tu potresti dirmi se mi sta sfuggendo qualcosa.”

Zoe continuò a fissarlo per un istante, sbattendo le palpebre una sola volta con aria sbalordita, dopodiché si voltò per riprendere a guardare fuori dal finestrino.

Non le piaceva questo Aiden Flynn. Era arrogante, forse anche più della maggior parte delle nuove reclute. Un novellino che non aveva ancora scoperto i propri limiti. Forse le sue origini avevano qualcosa a che fare con questa sua spavalderia. Molto probabilmente non era abituato a sentirsi dire di no.

Non era interessata a condividere niente con lui, men che meno le sue abilità. Doveva ancora capire bene se fossero un dono o una maledizione, ma in ogni caso non voleva affatto che un estraneo ne venisse a conoscenza. Non soltanto si trattava di una cosa che non confidava a nessuno – o quasi – ma sarebbe anche stato un insulto alla memoria di Shelley. Soltanto un partner in tutta la sua carriera aveva spinto Zoe a rivelare il suo vero io.

Questo giovane arrogante, con i suoi capelli lucenti e l’abito su misura, non sarebbe entrato nell’elenco.

Il che significava che Zoe sarebbe stata costretta a combattere su due fronti: da un lato, avrebbe dovuto tenere a bada i numeri che minacciavano costantemente di travolgere i suoi sensi per poter risolvere il caso, e dall’altro, impedire al pivello di capire in che modo ci riuscisse.

Zoe tenne lo sguardo fisso sulle nuvole, assaporando questo breve attimo di quiete prima della tempesta. Non sarebbe stato un caso semplice. Sperò soltanto di riuscire a risolverlo velocemente, in modo da non dover sopportare troppo a lungo questo suo nuovo partner.

CAPITOLO SEI

Zoe allontanò nuovamente la cintura di sicurezza dal collo, stringendola più forte. Dovette respirare profondamente diverse volte per calmare lo stomaco. Non le era mai piaciuto essere un passeggero – le faceva sempre venire il mal d’auto – ma era persino peggio con il novellino alla guida. Prendeva le curve troppo velocemente e accelerava sui rettilinei anche se si trovava in un territorio non familiare. Ogni volta che il GPS gli diceva di prendere un’uscita, era costretto a fare una curva stretta a velocità vertiginosa per riuscirci. Era un miracolo che non avesse ancora usato il freno a mano e non avesse sbandato.

“A quanto pare siamo arrivati,” disse Flynn, allungando il collo per vedere più facilmente davanti a sé. Si erano fermati fuori dalla stazione di uno sceriffo; sembrava non esserci nessuno, a parte qualche volante parcheggiata e un solo giornalista che indossava un cappotto lanuginoso.

Zoe fece un profondo respiro di sollievo, togliendo finalmente le mani dalla cintura di sicurezza. Anche dopo essersi fermati, la pressione che esercitava sul suo collo era sufficiente a farla sentire male. La nausea, insieme all’emicrania che continuava a tormentarla e ai numeri che affollavano la sua vista, lasciarono Zoe senza fiato e incapace di concentrarsi. Voleva soltanto sedersi, appoggiare la testa al sedile e magari dormire per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile farlo.

Il novellino stava già aprendo la sua portiera per uscire dall’auto, quindi Zoe fece altrettanto, seppur a malincuore. Non poteva permettersi di restare indietro, non con un partner che non sapeva ancora come muoversi. Aveva già collaborato con delle reclute. Volevano soltanto mettersi alla prova e tendevano a seguire troppo la procedura. Erano riluttanti a separarsi dalla rigida struttura che avevano imparato all’Accademia. Quello le avrebbe provocato un grosso mal di testa e avrebbe innescato un sacco di discussioni. Proprio ciò di cui aveva bisogno in questo periodo.

Raggiunse Flynn mentre era ormai arrivato alle doppie porte dell’edificio tozzo, basso e grigio dello sceriffo. Si stava facendo tardi; un’occhiata al suo orologio le mostrò che erano le sette di sera e il sole era da tempo tramontato. La luce gialla dalle lampade di sicurezza che circondavano l’edificio lo rendeva completamente visibile; moscerini e falene si muovevano attorno a ognuna di esse, danzando avanti e indietro spinte da un’irresistibile forza d’attrazione. Il giornalista, che stava cercando di scaldarsi le mani mentre camminava su e giù, li vide entrare ma non li chiamò.

Una receptionist con una giacca di lana alzò lo sguardo quando entrarono, togliendosi l’estremità di una penna dalla bocca. “Salve, posso aiutarvi?” domandò. Zoe notò che portava tre orecchini a ogni orecchio e che le sue unghie erano di plastica, lunghe cinque centimetri e ornate con un complesso motivo screziato.

Aprì la bocca per rispondere, ma fu come se a uscire fosse un’altra voce. “Siamo dell’FBI,” disse Flynn, alzando il distintivo per mostrarglielo. “Abbiamo appuntamento con lo sceriffo.”

La receptionist annuì con noncuranza e alzò la cornetta del telefono che si trovava sulla scrivania. Disse qualche parola; Zoe era troppo occupata a contare le spirali del cavo del telefono fisso per sentirle. Dopo aver messo giù, la receptionist riportò la penna in bocca e continuò a ignorarli, studiando attentamente qualcosa che era posato sulla scrivania, appena fuori dalla loro vista.

Zoe si voltò spazientita quando sentì un rumore di passi. Più avanti, nel corridoio, si aprì una porta e ne uscì una donna. Indossava la classica uniforme beige da sceriffo, con tanto di radio e pistola infilati nella cintura. Aveva circa cinquant’anni; i suoi capelli erano leggermente grigi ma li aveva tinti, anche se erano ancora visibili radici di due centimetri.

Zoe ne stimò l’altezza in un metro e sessantotto, più bassa di lei di dieci centimetri. Pesava circa sessantotto chili e camminava con passo determinato, sebbene leggermente ingobbito; la sua schiena era più una curva che una linea retta.

“Sceriffo Danielle Petrovski,” disse, con un marcato accento newyorkese, allungando una mano davanti a sé. Inizialmente la indirizzò verso Zoe, il che fu una piacevole sorpresa: nella maggior parte dei casi, le persone erano inclini a presumere che l’uomo fosse il capo.

“Agente Speciale Zoe Prime,” disse Zoe, dandole la mano e mostrando il distintivo con l’altra. La strinse saldamente, calcolando la forza della stretta dello sceriffo. “Questo è l’Agente Speciale Adrian Flynn.”

“Aiden,” la corresse, dando a sua volta la mano allo sceriffo. Zoe mantenne un’espressione assente. Non era il caso che sapesse che aveva sbagliato di proposito per cercare di fargli calare un po’ la cresta.

“Avete intenzione di mettervi subito al lavoro o preferite trovarvi un motel per la notte?” domandò Petrovski, guardandoli entrambi in attesa di una risposta.

“Preferiremmo metterci subito al lavoro,” disse Zoe, anticipando qualsiasi tentativo di Flynn di prendere la parola. Era un novellino. Probabilmente voleva andare a dormire. “Che ne dice di iniziare mostrandoci la scena del crimine?”

“Certo.” Lo sceriffo annuì. Si toccò la tasca, indicando la presenza di chiavi. “Se a voi sta bene, vi ci porto io. È a circa dieci minuti da qui.”

Zoe annuì, dopodiché sprofondò nel silenzio più assoluto quando si voltarono per dirigersi verso l’uscita e il parcheggio. Permise a Flynn di iniziare a parlare e fare domande. Nulla di ciò che disse, né tantomeno le risposte che ottenne, diedero loro nuove informazioni rispetto a quelle che avevano già letto negli appunti. Era ancora abbastanza inesperto da non iniziare a indagare immediatamente. Voleva verificare le informazioni che gli erano già state fornite, come gli era stato detto di fare. Non sapeva ancora come investigare.

Non che Zoe fosse mai stata particolarmente brava a tirare la verità fuori dalle persone, ma almeno lei scopriva le risposte in altri posti.

Fu lieta di mettersi sul sedile posteriore dell’auto dello sceriffo, nonostante quello spazio fosse solitamente riservato ai criminali. Era bello essere lontani dal sedile anteriore e usare la scusa della distanza dagli altri occupanti dell’abitacolo per continuare a non prendere parte alla conversazione. Guardò fuori dal finestrino, ammirando il paesaggio che scorreva veloce: gli alberi erano ricoperti di foglie arancioni e marroni, che ormai cadevano liberamente a terra lasciandosi alle spalle rami spogli e appassiti. Le foglie morte giacevano in ampi cumuli raccolti da qualche volontario, il quale evidentemente non aveva pensato al fatto che il giorno dopo sarebbero cadute altre foglie e che il vento gelido avrebbe potuto mandare in malora tutto il suo lavoro.

Le strade erano quasi deserte; il freddo pungente spingeva le persone a restare in casa, a meno che non fossero assolutamente costrette a uscire. Tra gli edifici il paesaggio era grigio e spoglio, ormai privo di vita in questo periodo dell’anno. Zoe appoggiò la testa al vetro, osservando il tutto con disinteresse.

Una volta arrivati a destinazione, Zoe si accorse che era quasi sul punto di crollare dal sonno, se non fosse stato per i numeri e il loro costante bisogno di essere contati.

Scesero dall’auto e si ritrovarono in un freddo parcheggio, stavolta davanti a un edificio a cupola che si ergeva su una particolare collinetta che sorgeva sul terreno della città. C’era qualcosa di teatrale in quell’enorme struttura, abbellita da alte colonne ai due lati delle porte d’ingresso.

Zoe e Flynn seguirono lo sceriffo verso l’ingresso, superando il nastro da scena del crimine apposto su ciascun lato della doppia entrata. L’ambiente interno era completamente buio, e lo sceriffo procedette a tentoni fino a quando non trovò un interruttore e accese le luci.

Zoe fece un lungo respiro: l’aria fredda della sera percorse le sue narici e le invase i polmoni, mentre osservava l’interno dell’auditorium per cogliere qualsiasi dettaglio della scena. I numeri le travolsero immediatamente i sensi, comunicandole tutto quello che doveva sapere.

“Ci siamo limitati a portare via il cadavere,” stava dicendo lo sceriffo Petrovski. “Tutto il resto è intatto. Abbiamo chiuso a chiave il posto non appena siamo arrivati. In centrale abbiamo già le foto della scena.”

Zoe si diresse verso l’area delimitata al centro della stanza. Tutte le poltrone di quella sorta di teatro, installate sulle gradinate che salivano fino a una certa altezza, erano rivolte verso quel punto preciso. Era come se fosse stato allestito per un pubblico assente. Il secchio dell’addetto alle pulizie, ancora pieno d’acqua, aveva le ruote bloccate e occupava il centro della scena.

“Ha detto che la morte è avvenuta ieri sera tardi?” domandò Flynn. “Cosa ci faceva qui la vittima a quell’ora? Capisco che lavorava qui come astronoma, ma non osservava il normale orario di lavoro?”

“No, qui gli orari possono variare,” rispose lo sceriffo. “La signora Vega stava studiando il percorso di una cometa, monitorandola attraverso i telescopi e prendendo appunti. Sappiamo che aveva completato le sue osservazioni della serata: era tutto scritto nei quaderni sistemati sulla sua scrivania. Uno dei suoi colleghi ce lo ha confermato. Pare che avesse finito e stesse per tornare a casa quando è successo.”

Zoe era ferma proprio sopra il secchio, osservando tutto. Non c’erano molte prove fisiche su cui lavorare, ma la sua attenzione fu attirata dalle lenti di un proiettore installato in alto. Dalla sua posizione e dall’angolazione alla quale era montato, capì che quest’area sarebbe stata raggiunta dalla proiezione: la luce avrebbe colpito direttamente il volto della vittima, come anche il forte audio surround proveniente dagli altoparlanti sistemati in molteplici punti su tutto il soffitto.

Aveva senso. Immaginò una donna che percorreva il tragitto verso l’uscita, seguendo una linea retta che partiva dagli uffici. Stava andando a casa. Poi il proiettore si era acceso, offuscandole i sensi e rendendola cieca e sorda per un istante. In seguito, l’assassino le aveva messo la testa nel secchio, tenendola ferma per affogarla. Non era una storia difficile da capire.

 

Ma non le diceva comunque abbastanza. Non ancora. Non riusciva a capire l’altezza dell’assassino da questa scena, perché lui si era limitato a colpire la vittima e metterle la testa nel secchio per portare a termine l’omicidio. Poteva soltanto stimare la forza necessaria per tenere giù un essere umano adulto intento a lottare per la propria vita. Non era un’impresa facile. L’assassino doveva essere abbastanza robusto per riuscirci.

Zoe non capiva nemmeno se il colpevole fosse stato un uomo o una donna, sebbene a dire il vero un crimine violento indicasse quasi sempre un colpevole di sesso maschile. E lei era incline a propendere per un uomo, semplicemente perché le statistiche dicevano quello.

Ma la scena del crimine non le stava fornendo nessun altro indizio.

Zoe distolse lo sguardo dal secchio e tornò dallo sceriffo, lasciando che Flynn facesse le proprie osservazioni. “Siete riusciti a trovare qualche prova fisica?” domandò.

“A parte il cadavere?” Lo sceriffo Petrovski le rivolse uno sguardo ironico. “No. Nessuna impronta, niente di niente. Sembra che l’assassino abbia ripulito tutta la scena. O forse indossava dei guanti. Difficile a dirsi, dato che sono stati usati attrezzi per le pulizie. Niente fibre, né capelli; non siamo riusciti a raccogliere nulla. Qui dentro era tutto pulito.”

“Questo è un bel problema.” sospirò Zoe. Era sempre meglio quando c’erano prove concrete. In quel caso avrebbero potuto semplicemente trovare la persona giusta, prenderne le impronte, chiudere il caso e tornarsene a casa in tempo per la cena. Ma sarebbe stato comunque impossibile: l’ora di cena era passata già da un pezzo.

“Beh,” disse Flynn, rimettendosi in piedi dalla posizione accovacciata che gli aveva permesso di esaminare più da vicino il secchio. “Credo che la faccenda sia piuttosto chiara.”

“Ah sì?” disse Zoe; il suo tono era ironico.

Flynn si pulì le mani, dirigendosi verso la porta per unirsi a loro. “È un pazzoide qualsiasi in cerca di opportunità per commettere un crimine. Deve aver avuto accesso al planetario in qualche modo, e questo ci aiuterà a restringere le ricerche. Ma è chiaro che sta cercando donne in posti isolati, in modo da mettere le mani su di loro senza essere scoperto né interrotto. Come nel caso della vittima ritrovata vicino al fiume. Chissà, forse anche lui è un escursionista, o magari si tratta di uno del posto che conosce bene la zona. Nessuno era lì per fermarlo, gli è scattato qualcosa e ha deciso di ucciderla.”

“Molto interessante,” disse Zoe, sempre ironicamente. Non credeva a una singola parola. L’incisione di un simbolo sulla carne era un gesto deliberato: indicava un ragionamento, se non una vera e propria premeditazione. Non era soltanto un pazzo qualsiasi: c’era uno scopo, un messaggio, in questi omicidi.

Zoe aveva già visto casi del genere prima d’ora. Come aveva detto Maitland, era il motivo per il quale era stata scelta per questo caso.

“Vorrei vedere i cadaveri,” continuò. “Soprattutto i simboli che vi sono stati incisi sopra. Credo ci sia qualcosa che valga la pena approfondire.”

Percepì Flynn irrigidirsi dietro di lei, con le linee della sua schiena e delle sue spalle che diventavano più dritte. Non aveva gradito la sua decisione. Non era comunque un problema: non le interessava risultare simpatica al suo partner, ma soltanto catturare un assassino.

“Ora?” domandò lo sceriffo Petrovski, con un accenno di delusione nella sua voce.

Zoe annuì. “Sarebbe meglio di sì.”

Non aveva alcuna intenzione di attendere: non quando c’era un assassino in giro, forse in procinto di colpire di nuovo.

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