Tracce di Omicidio

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Из серии: Un Thriller di Keri Locke #2
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Читает Alessia De Lucia
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T R A C C E D I O M I C I D I O

(UN THRILLER DI KERI LOCKE — LIBRO 2)

B L A K E P I E R C E

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include sette libri (più altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore della serie di MACKENZIE WHITE, che comprende cinque libri (più altri in arrivo); della serie di AVERY BLACK, che comprende quattro libri (più altri in arrivo); e della nuova serie thriller di KERI LOCKE.

Avido lettore e fan dei gialli e dei thriller, Blake vorrebbe avere tue notizie, quindi visita il suo sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.

Copyright © 2017 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia per sé. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright Anna Vaczi, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.

I LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

I MISTERI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

FUOCO A BOSTON (Libro #3)

I GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

INDICE

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRÉ

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO UNO

Il lungo corridoio era buio. Anche con la torcia accesa, Keri faticava a vedere a più di tre metri davanti a lei. Ignorò il nodo di paura nello stomaco e proseguì. Con una mano a tenere la torcia e l’altra chiusa sulla pistola, avanzò lentamente. Alla fine raggiunse la porta del seminterrato. Ogni parte di lei le diceva di aver finalmente trovato il posto giusto. Era lì che veniva tenuta la sua piccola Evie.

Keri spinse la porta per aprirla e mise piede sul primo scricchiolante gradino di legno. L’oscurità era ancor più soverchiante che nel corridoio. Mentre lentamente scendeva le scale, le venne in mente quanto fosse strano trovare una casa con seminterrato nella California del sud. Era la prima in cui si fosse mai imbattuta. Poi udì qualcosa.

Sembrava il pianto di un bambino – di una bambina, forse sugli otto anni. Keri la chiamò e una voce le rispose.

“Mamma!”

“Non ti preoccupare, Evie, la mamma è qui!” Le rispose Keri mentre correva giù dalle scale. Qualcosa però la divorava, le diceva che la cosa non quadrava.

Non fu che quando un dito del piede urtò contro un gradino e perse l’equilibrio, cadendo nel nulla, che capì che cosa la mettesse a disagio. Evie era scomparsa da cinque anni. Come poteva avere ancora la stessa voce?

Ma era troppo tardi per farci qualcosa ormai, e sfrecciò attraverso l’aria fino al pavimento. Si preparò all’impatto. Che non ci fu. Con suo orrore, capì che stava cadendo in una fossa apparentemente infinita, che l’aria si faceva più fredda, che attorno a lei si sentiva un vagito che non cessava mai. Aveva fallito con sua figlia ancora una volta.

Keri si svegliò con un sobbalzo, scattando a sedere dritta nella macchina. Le ci volle un momento per capire cos’era accaduto. Non si trovava in una fossa infinita. Non si trovava in un inquietante seminterrato. Si trovava nella sua malcolcia Toyota Prius nel parcheggio della stazione di polizia, dove si era addormentata mangiando il pranzo.

Il freddo che aveva sentito veniva dal finestrino aperto. Il vagito era in realtà la sirena di una volante che partiva dopo aver ricevuto una chiamata. Era zuppa di sudore e il cuore le batteva veloce. Ma nulla era stato reale. Era stato solo un altro orribile e tremendo incubo. Sua figlia, Evelyn, ancora non era stata ritrovata.

Keri si scacciò quel che restava dei suoi pensieri dalla testa, bevette un sorso dalla bottiglia d’acqua, uscì e puntò alla stazione, ricordando a se stessa che non era più solo una madre: era anche una detective dell’Unità persone scomparse del Dipartimento di polizia di Los Angeles, il LAPD.

Le ferite multiple la costringevano a muoversi con cautela. Erano passate solo due settimane dal brutale scontro con un violento rapitore di bambini. Pachanga, almeno, aveva avuto ciò che si meritava dopo che Keri aveva salvato la figlia del senatore. Pensarci rendeva il dolore lancinante che ancora sentiva su tutto il corpo un po’ più tollerabile.

I dottori le avevano permesso di togliersi la maschera protettiva dal viso solo qualche giorno prima, dopo aver determinato che l’orbita oculare fratturata stava guarendo abbastanza bene. Il braccio era ancora fasciato dopo che Pachanga le aveva rotto la clavicola. Le era stato detto che avrebbe potuto togliere l’imbracatura tra una settimana, ma stava prendendo in considerazione l’idea di buttarla via prima perché era davvero fastidiosa. Non c’era nulla che si potesse fare per le costole rotte a parte indossare un’imbottitura protettiva. Anche quella la infastidiva, perché la faceva sembrare più grassa di quattro o cinque chili in confronto ai suoi cinquantanove chili standard di peso forma. Keri non era una donna vanitosa. Ma a trentacinque anni le piaceva riuscire ad attirare ancora qualche sguardo. Con l’imbottitura che spingeva contro la camicetta all’altezza della vita e che la avvolgeva al di sopra dei pantaloni che usava al lavoro, dubitava di attirare grandi sguardi.

 

Visto il periodo di riposo che le era stato dato per la guarigione, non aveva più gli occhi castani iniettati di sangue dalla stanchezza come al solito e i capelli biondo sporco, trattenuti all’indietro da una semplice coda di cavallo, venivano lavati davvero. Ma l’osso orbitale fratturato le aveva lasciato sul lato sinistro del viso un grosso livido giallo che solo ora stava cominciando a scomparire, e la fasciatura non la rendeva più attraente. Probabilmente non era il momento migliore per darsi ai primi appuntamenti.

Il pensiero di uscire con qualcuno le fece venire in mente Ray. Era stato suo partner per l’ultimo anno e suo amico negli ultimi sei, e ora era ricoverato in ospedale dopo un colpo di arma da fuoco preso allo stomaco da Pachanga. Fortunatamente stava abbastanza bene da essere stato spostato dall’ospedale che si trovava vicino al luogo della sparatoria al Cedars-Sinai Medical Center di Beverly Hills. Era a soli venti minuti di macchina dalla stazione di polizia, quindi Keri poteva andare a fargli visita spesso.

Comunque durante quelle visite nessuno dei due aveva mai accennato alla crescente tensione romantica che, lei lo sapeva, entrambi sentivano.

Keri fece un respiro profondo prima di affrontare i familiari eppure snervanti passi all’interno dell’ufficio della stazione. Le sembrò che fosse di nuovo il suo primo giorno di lavoro. Sentiva gli occhi su di sé. Ogni volta che superava i colleghi, percepiva le loro occhiate rapide e furtive e si chiedeva a che cosa stessero pensando.

La consideravano ancora tutti solo un’imprevedibile trasgressiva? Si era guadagnata un po’ di invidioso rispetto per aver preso un killer che rapiva bambini? Per quanto ancora essere l’unica detective donna della squadra l’avrebbe fatta sentire un’outsider permanente?

Mentre li superava nel via vai della stazione e si accomodava alla sedia della scrivania, Keri cercò di controllare il nodo di risentimento che le stava nascendo nel petto e di concentrarsi solo sul lavoro. Almeno il posto era gremito e caotico come sempre e, in quel modo rassicurante, nulla era cambiato. La stazione era piena di civili che riempivano moduli di proteste, delinquenti che venivano schedati, e detective impegnati al telefono a seguire le loro piste.

Da quando era tornata, Keri era costretta a dedicarsi solo al lavoro d’ufficio. E la sua scrivania era piena. Dal suo ritorno era stata inondata da un mare di scartoffie. C’erano decine di rapporti di arresto da rivedere, mandati di perquisizione da ottenere, dichiarazioni di testimoni da valutare, e rapporti di prove da esaminare.

Sospettava che i colleghi le stessero rovesciando addosso il loro lavoro, dato che ancora non le era permesso di tornare sui casi. Fortunatamente sarebbe tornata sul campo il giorno seguente. E la verità era che non le dispiaceva essere incastrata in ufficio per una sola ragione: i documenti che riguardavano Pachanga.

Quando i poliziotti avevano perquisito casa sua dopo l’incidente, avevano trovato un laptop. Keri e il detective Kevin Edgerton, il guru informatico del distretto, avevano craccato la password di Pachanga, riuscendo così ad aprire i file. La speranza di Keri era che i file avrebbero portato alla scoperta molti bambini scomparsi, magari anche di sua figlia.

Purtroppo ciò che a una prima occhiata era sembrata la vena principale di informazioni su molti rapimenti si era rivelata di difficile accesso. Edgerton aveva spiegato che i file criptati potevano essere aperti solo con il giusto codice, che loro non avevano. Keri aveva trascorso l’ultima settimana imparando tutto ciò che poteva su Pachanga, nella speranza di craccare il codice. Ma fino a quel momento non era arrivata a niente.

Mentre sedeva lì a rivedere i documenti, i pensieri di Keri tornarono a qualcosa che la stava divorando da quando aveva ripreso il lavoro. Quando Pachanga aveva rapito Ashley, la figlia del senatore Stafford Penn, aveva agito sul volere del fratello del senatore, Payton. I due avevano comunicato sul dark web per mesi.

Keri non poteva fare a meno di chiedersi come il fratello di un senatore fosse riuscito a contattare un rapitore professionista. Non frequentavano certo gli stessi giri. Però una cosa in comune ce l’avevano. Entrambi erano rappresentati da un avvocato che si chiamava Jackson Cave.

L’ufficio di Cave si trovava in cima a un grattacielo del centro, ma molti suoi clienti erano ben piantati a terra. Oltre al lavoro aziendale, Cave aveva un lungo curriculum come rappresentante di stupratori, rapitori e pedofili. Volendo essere generosa, Keri sospettava che così fosse perché sapeva di poter ingannare quegli sgradevoli clienti. Ma una parte di lei pensava che ci avesse preso gusto davvero. In ogni caso lo disprezzava.

Se Jackson Cave aveva messo in contatto Payton Penn e Alan Pachanga, era logico che sapesse anche come accedere a tutti i file criptati. Keri era sicura che da qualche parte nel suo elegante ufficio ai piani alti ci fosse il codice di cui aveva bisogno per scoprire i dettagli su tutti i bambini scomparsi, forse anche sulla sua. Era giunta alla conclusione che in un modo o nell’altro, legale o meno, sarebbe entrata in quell’ufficio.

Mentre si metteva a pensare a come farlo, Keri notò un’agente donna in divisa appena sopra alla ventina che si dirigeva lentamente verso di lei. Le fece cenno con la mano di avvicinarsi.

“Mi ricordi come ti chiami?” chiese Keri, non sapendo se dovesse già saperlo.

“Sono l’agente Jamie Castillo,” rispose la giovane donna dai capelli scuri. “Sono appena uscita dall’accademia. Sono stata riassegnata qui la settimana in cui tu eri in ospedale. Ero alla Divisione West.”

“Quindi non devo sentirmi in colpa perché non mi ricordo il tuo nome?”

“No, detective Locke,” disse decisa Castillo.

Keri rimase impressionata. La ragazza aveva una sicurezza e un acume negli occhi scuri che suggerivano un’astuta intelligenza. Sembrava anche che sapesse badare a se stessa. Alta almeno un metro e settantasette, aveva una corporatura atletica e muscolosa che faceva pensare che proporle una lotta sarebbe stato imprudente.

“Bene. Cosa posso fare per te?” chiese Keri, cercando di non avere un tono intimidatorio. Non c’erano molti poliziotti donna alla Divisione Pacific, e Keri non voleva spaventarle.

“Sono stata assegnata alle chiamate, nelle ultime settimane. Come puoi immaginare, moltissime telefonate riguardavano il tuo scontro con Alan Pachanga e la dichiarazione che hai rilasciato su tua figlia.”

Keri annuì, ricordando ciò che era avvenuto. Dopo aver salvato Ashley, il dipartimento aveva tenuto una grande conferenza stampa per celebrare il fortunato esito.

Ancora sulla sedia a rotelle, Keri aveva elogiato Ashley e la sua famiglia, prima di cooptare la conferenza per parlare di Evie. Aveva mostrato una foto e aveva pregato il pubblico di dare qualsiasi informazione che avrebbe potuto essere utile per le ricerche. Il suo supervisore diretto, il tenente Cole Hillman, si era così arrabbiato con lei per aver usato una vittoria del dipartimento come strumento della sua personale crociata che Keri aveva pensato che l’avrebbe licenziata sul posto se avesse potuto. Ma dato che era costretta su una sedia a rotelle, e dato che era l’eroina salvatrice di una teenager, non poteva.

Anche quando era bloccata all’ospedale, Keri aveva sentito delle voci che dicevano che si era infastidito quando il dipartimento era stato inondato da centinaia di telefonate al giorno.

“Mi dispiace che tu sia bloccata con questa mansione,” disse Keri. “Volevo solo tirare fuori il massimo da quell’opportunità e non ho pensato a chi avrebbe dovuto gestirne le conseguenze. Immagino che tutte le chiamate si siano rivelate dei vicoli ciechi, vero?”

Jamie Castillo esitò, come chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta. Keri riusciva a vedere la testa della giovane donna elaborare. La guardò calcolare la mossa giusta e la ragazza non poté che piacerle. Si sentiva come se stesse guardando una versione più giovane di se stessa.

“Be’,” disse alla fine Castillo, “per la maggior parte, sono state escluse facilmente, dato che venivano da persone instabili o in vena di fare scherzi. Ma stamattina abbiamo ricevuto una telefonata che era diversa. Aveva una schiettezza che ha fatto sì che la prendessi più seriamente.”

Quasi subito a Keri si seccò la bocca e sentì il cuore che cominciava a batterle forte.

Resta calma. Probabilmente non è niente. Non reagire in maniera sproporzionata.

“Posso sentirla?” chiese con più calma di quanta le sembrasse possibile.

“Te l’ho già inoltrata,” disse Castillo.

Keri guardò il telefono e vide l’icona che indicava un messaggio in segreteria. Cercando di non sembrare disperata, raccolse lentamente il ricevitore e ascoltò.

La voce del messaggio era roca, aveva un suono quasi metallico ed era difficile da capire, cosa resa ancor più difficile dai colpi rumorosi che si sentivano in sottofondo.

“Ti ho vista parlare della tua ragazzina alla tv,” diceva. “Voglio aiutarti. C’è un deposito abbandonato a Palms, di fronte alla centrale elettrica di Piedmont. Dagli un’occhiata.”

C’era solo quello – una voce roca e maschile che offriva un’indicazione vaga. Allora perché le dita le formicolavano dall’adrenalina? Perché aveva difficoltà a deglutire? Perché nei suoi pensieri improvvisamente le ritornavano flash dell’aspetto che poteva avere Evie adesso?

Forse perché il messaggio non aveva nessuna delle caratteristiche delle chiamate false standard. Non cercava di attirare l’attenzione su se stesso, ed era quello che aveva chiaramente colpito l’attenzione di Castillo. E quello stesso elemento – la sua inequivocabile insipidezza – era la caratteristica che in quel momento faceva scendere giù per la schiena di Keri goccioline di sudore.

Castillo la osservava in attesa.

“Credi che sia vera?” chiese.

“Difficile a dirsi,” rispose Keri obiettivamente, nonostante il battito furioso del cuore, mentre cercava la centrale elettrica su Google Maps. “Più tardi verificheremo da dove è venuta la telefonata e faremo ripulire il messaggio a un tecnico per vedere cos’altro può essere capito dalla voce e dai rumori di sottofondo. Ma dubito che riusciranno a capirci molto. Chiunque abbia telefonato è stato attento.”

“L’ho pensato anch’io,” disse Castillo. “Non ha lasciato nessun nome, chiaramente ha cercato di mascherare la voce, più i rumori di disturbo in sottofondo. Sembrava… diversa dalle altre telefonate.”

Keri ascoltava solo a metà mentre guardava la mappa sullo schermo. La centrale elettrica si trovava sulla National Boulevard, appena a sud della freeway 10. Guardando l’immagine dal satellite, verificò che ci fosse un deposito dall’altra parte della strada. Che fosse abbandonato o meno, non lo sapeva.

Ma sto per scoprirlo.

Guardò Castillo e provò un impeto di gratitudine nei suoi confronti – e anche qualcosa che non sentiva da molto tempo per un collega: ammirazione. La ragazza le aveva fatto una buona impressione, ed era felice che fosse lì.

“Bel lavoro, Castillo,” disse in ritardo alla giovane, che osservava anche lei lo schermo. “Tanto bello che credo farei meglio a dargli un’occhiata.”

“Hai bisogno di compagnia?” Chiese piena di speranza Castillo mentre Keri si alzava in piedi e raccoglieva le sue cose per recarsi al deposito.

Ma prima che potesse rispondere, Hillman sbucò con la testa fuori dal suo ufficio e la chiamò.

“Locke, deve venire nel mio ufficio subito.” Le lanciò uno sguardo truce. “Abbiamo un nuovo caso.”

CAPITOLO DUE

Keri gelò sul posto. Era consumata da un’ondata di emozioni conflittuali. Tecnicamente, era una buona notizia. Pareva che sarebbe tornata sul campo con un giorno d’anticipo, un segnale che Hillman, nonostante i problemi che aveva con lei, sentiva che era pronta a riprendersi le sue normali responsabilità. Ma una parte di lei voleva solo ignorarlo e andare dritta al deposito.

 

“Oggi, per cortesia,” le urlò Hillman, cacciandola fuori dalla sua momentanea indecisione.

“Arrivo, signore,” disse. Poi, voltandosi verso Castillo con un mezzo sorriso, aggiunse, “Continuiamo poi.”

Quando mise piede nell’ufficio di Hillman, notò che le sue sopracciglia tipicamente aggrottate erano ancor più accartocciate del solito. Ciascuno dei suoi cinquant’anni era visibile sul suo viso. I capelli sale e pepe erano spettinati come al solito. Keri non riusciva mai a capire se non ci facesse caso o se semplicemente non gli interessasse. Indossava una giacca ma aveva la cravatta allentata e la camicia della taglia sbagliata non riusciva a nascondere la lieve pancia.

Seduto sul vecchio e malconcio divanetto contro il muro lontano c’era il detective Frank Brody. Brody aveva cinquantanove anni ed era a meno di sei mesi dalla pensione. Tutto del suo atteggiamento lo rifletteva, dai suoi tentativi appena competenti di educazione alla camicia elegante trasandata e macchiata di ketchup che quasi scoppiava contro il suo girovita enorme, ai suoi mocassini con le cuciture quasi rotte che sembravano sul punto di cadere a pezzi.

Brody non aveva mai colpito Keri come il detective più zelante e stacanovista di tutti, e recentemente era sembrato più interessato alla sua preziosa Cadillac che alla risoluzione dei casi. Di solito lavorava alle Rapine con omicidio ma era stato riassegnato alle Persone scomparse per via della penuria di personale dovuta alle ferite di Keri e di Ray.

La mossa lo aveva messo in un permanente cattivo umore, che veniva solo rinforzato dallo sprezzo all’idea di dover lavorare con una donna. Era davvero un uomo di altri tempi. Una volta Keri l’aveva sentito di nascosto dire, “Preferirei lavorare con dei cretini e degli stronzi che con pupe e bambole.” Il pensiero, anche se magari detto con altre parole, era corrisposto.

Hillman fece segno a Keri di sedersi sulla sedia pieghevole di metallo di fronte alla scrivania, poi tolse l’interfono dalla modalità muta e parlò.

“Dottor Burlingame, sono qui con i due detective che le manderò. Al telefono ci sono i detective Frank Brody e Keri Locke. Detective, sto parlando con il dottor Jeremy Burlingame. È preoccupato per sua moglie, con cui non riesce a mettersi in contatto da più di ventiquattr’ore. Dottore, può per cortesia ripetere quello che ha detto a me?”

Keri prese il blocco per gli appunti e la penna per scrivere. Si insospettì subito. In qualunque caso di moglie scomparsa, il primo sospettato era sempre il marito e voleva sentire il timbro della sua voce la prima volta che parlava.

“Certo,” disse il dottore. “Ieri mattina mi sono recato in auto a San Diego per fornire il mio aiuto in un’operazione chirurgica. L’ultima volta che ho parlato con Kendra è stato prima di partire. Sono tornato a casa molto tardi ieri sera e mi sono messo a dormire in una stanza per gli ospiti per non svegliarla. Stamattina ho dormito fino a tardi, dato che non avevo pazienti da visitare.”

Keri non era sicura che Hillman stesse registrando la conversazione, quindi prendeva appunti furiosamente, cercando di tenere il passo mentre il medico proseguiva.

“Quando sono entrato in camera da letto, lei non c’era. Il letto era fatto. Ho pensato che fosse uscita di casa prima che mi svegliassi, quindi le ho mandato un messaggio. Non mi ha risposto – e non è così strano. Viviamo a Beverly Hills, e mia moglie presenzia a molte attività ed eventi benefici e di solito mette il telefono in silenzioso in questi casi. A volte dimentica di rimettere la suoneria.”

Keri scriveva tutto, valutando la veridicità di ogni commento. Finora non aveva sentito campanelli d’allarme, ma non voleva dire niente. Chiunque poteva mantenere il controllo al telefono. Voleva vedere il suo atteggiamento di persona, quando si sarebbe trovato davanti i detective del LAPD.

“Sono andato al lavoro e l’ho chiamata di nuovo per strada – ancora nessuna risposta,” continuò. “Verso l’ora di pranzo ho cominciato a preoccuparmi. Nessuno dei suoi amici l’aveva sentita. Ho chiamato la nostra domestica, Lupe, che ha detto di non aver visto Kendra né oggi né ieri. È stato allora che ho cominciato a preoccuparmi davvero. Quindi ho chiamato il 911.”

Frank Brody si sporse in avanti e Keri capì che stava per interromperlo. Sperò che non lo facesse ma non c’era nulla che potesse fare per fermarlo. Di solito preferiva lasciare che un interrogatorio proseguisse finché lo voleva l’interlocutore. A volte si mettevano a loro agio e commettevano degli errori. Ma apparentemente Brody non condivideva la sua filosofia.

“Dottor Burlingame, perché la sua chiamata non è stata deviata al dipartimento di polizia di Beverly Hills?” chiese. Il tono burbero non recava traccia di compassione. A Keri sembrava che si stesse chiedendo come mai fosse rimasto incastrato in quel caso.

“Credo perché vi ho chiamati dal mio ufficio, che si trova a Marina del Rey. Ha importanza?” chiese. Sembrava perso.

“No, certo che no,” lo rassicurò Hillman. “Siamo felici di aiutarla. E la nostra unità di persone scomparse probabilmente sarebbe comunque stata chiamata dal dipartimento di Beverly Hills. Perché non torna a casa dove incontrerà i miei detective verso l’una e mezza? Ho il suo indirizzo.”

“Okay,” disse Burlingame. “Parto ora.”

Dopo aver riattaccato, Hillman osservò i due detective.

“Prime impressioni?” chiese.

“Probabilmente è andata a Cabo con delle amiche e si è dimenticata di dirglielo,” disse Brody senza esitazioni. “Quello, oppure l’ha uccisa lui. Dopotutto, il colpevole è quasi sempre il marito.”

Hillman guardò Keri. Lei rifletté per un secondo prima di rispondere. L’applicazione delle regole abituali per quel tizio non le sembrava andare bene, ma non sapeva dire il perché.

“Tendo a essere d’accordo,” disse alla fine. “Ma voglio vederlo in faccia prima di giungere a qualsiasi conclusione.”

“Be’, sta per avere la sua opportunità,” disse Hillman. “Frank, può uscire. Devo parlare a Locke un momento.”

Brody le fece un sorrisetto malizioso mentre usciva, come se fosse stata messa in punizione e lui fosse riuscito a scamparla. Hillman chiuse la porta alle sue spalle.

Keri si preparò, certa che qualsiasi cosa stesse per sentire non sarebbe stata una buona notizia.

“Potrà andarsene tra un minuto,” disse, con un tono più dolce del previsto. “Ma volevo ricordale un paio di cose, prima. Innanzitutto, credo che sappia che non sono stato molto felice del suo trucchetto alla conferenza stampa. Ha messo le sue necessità prima del dipartimento. Lo capisce, vero?”

Keri annuì.

“Detto questo,” continuò, “mi piacerebbe che noi due ricominciassimo da capo. Mi rendo conto che in quel momento stava male e che ha visto l’opportunità di accendere i riflettori sulla scomparsa di sua figlia. Quello lo rispetto.”

“Grazie, signore,” disse Keri, leggermente sollevata ma sospettando che stesse ancora per calare un’ascia.

“Comunque,” aggiunse, “solo perché la stampa la adora non significa che non la caccerò a calci se mantiene il suo atteggiamento da lupo solitario. Ci siamo chiariti?”

“Sì, signore.”

“Bene. Infine, per cortesia la prenda con calma. È uscita da meno di una settimana dall’ospedale. Non faccia nulla che possa riportarla lì, okay? Discorso finito.”

Keri lasciò l’ufficio, vagamente sorpresa. Si aspettava una lavata di capo. Ma non era preparata al lieve cenno di preoccupazione per la sua salute.

Cercò Brody con lo sguardo prima di capire che doveva essersene già andato. Apparentemente non voleva neanche condividere un’auto con una detective donna. Normalmente ne sarebbe stata infastidita ma oggi era un bene insperato.

Mentre raggiungeva la macchina, trattenne un sorriso.

Sono di nuovo sul campo!

Non fu che quando le fu assegnato un nuovo caso che capì quanto le fosse mancato tutto questo. La frenesia familiare e l’aspettativa cominciarono a prendere piede e il dolore delle costole sembrò addirittura dissiparsi leggermente. La verità era che, a meno che non stesse risolvendo casi, Keri sentiva che le mancava un pezzo di se stessa.

Non poteva neanche fare a meno di sorridere per qualcos’altro – stava già progettando di violare due degli ordini di Hillman. Stava per agire da lupo solitario e stava per non prenderla con calma nello stesso tempo.

Perché avrebbe fatto una piccola sosta sulla strada per la casa del dottore.

Aveva intenzione di controllare quel deposito abbandonato.

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