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Caso 3: Uomo con amnesia in contesto di possibile coinvolgimento in reato grave

Situazione: Un uomo, caposquadra edile, richiede una consulenza per chiarire alcune circostanze. In seguito a un consumo collettivo di alcolici con i suoi sottoposti, è sorto un conflitto tra loro e un uomo sconosciuto. Il cliente presenta amnesia per gli eventi della serata. Il mattino seguente, l’agente di polizia locale ha comunicato che nelle vicinanze è stato rinvenuto il corpo dello sconosciuto con segni di morte violenta. Il cliente desidera accertare se abbia partecipato all’omicidio e al successivo smembramento. Questione preliminare: sindrome di Korsakoff.

Algoritmo d’intervento per lo psicologo clinico:

– Definizione chiara dei limiti professionali: Lo psicologo informa immediatamente il cliente che la sua competenza professionale consiste nella valutazione e nel recupero delle funzioni psichiche (memoria, pensiero), non nell’accertare la commissione di un reato. Si sottolinea che lo specialista non è un investigatore né un giudice.

– Valutazione dello stato psichico: Viene condotta una diagnosi preliminare per identificare sintomi caratteristici della sindrome di Korsakoff (amnesia fissativa, confabulazioni, disorientamento) o di altri disturbi organici e tossici (alcolici).

– Dilemma etico e giuridico: Lo specialista si trova di fronte a una scelta complessa. Da un lato, vige la riservatezza. Dall’altro, sussiste la conoscenza di un possibile reato grave. Le azioni dello psicologo devono rigorosamente conformarsi alle procedure interne dell’istituzione e alle norme di legge. In una simile situazione, lo psicologo è tenuto a consultare il servizio legale.

– Raccomandazione di rivolgersi alle autorità: La principale raccomandazione al cliente deve essere quella di recarsi immediatamente presso la polizia per fornire dichiarazioni e sottoporsi a perizia psicologica e psichiatrica forense, secondo le modalità previste dalla legge. Lo psicologo spiega che solo una perizia nell’ambito di un procedimento penale può valutare legittimamente il suo stato e il grado di responsabilità.

– Astensione da attività non di competenza: Lo psicologo clinico si astiene da qualsiasi tentativo di recuperare la memoria mediante ipnosi o altri metodi, poiché ciò potrebbe alterare potenziali prove e risulta inaccettabile da un punto di vista legale. Il lavoro si concentra sullo spiegare al cliente il suo attuale stato e la necessità di attenersi alla lettera della legge.

Metodi moderni di ricerca nella psicologia clinica

I metodi della psicologia generale e clinica coincidono in larga misura, poiché tecniche come lo studio della memoria, dell’attenzione, del pensiero e del tipo di personalità trovano applicazione sia nella popolazione «sana» che in quella «clinica». Il gruppo «sano» viene spesso utilizzato come riferimento comparativo.

Una serie di metodiche è stata sviluppata specificamente per le esigenze della psicologia clinica e implementata, in particolare, presso l’Istituto Psico-Neurologico V.M. Bekhterev di San Pietroburgo. Tra queste:

– LOBI (Questionario Personale dell’Istituto Bekhterev): concepito per analizzare il benessere soggettivo dei pazienti, il loro atteggiamento verso la malattia, il trattamento, il personale sanitario, la famiglia e altri aspetti significativi;

– PDO (Questionario Diagnostico Patocaratterologico): impiegato per lo studio dei tipi di personalità negli adolescenti, l’identificazione delle accentuazioni del carattere, delle anomalie e della predisposizione a comportamenti devianti.

Esistono metodiche riservate all’uso esclusivo di psicologi o psicoterapeuti. Tuttavia, semplici procedure diagnostiche possono essere applicate anche dal personale sanitario di supporto, solitamente su indicazione del medico. Questi operatori possono condurre valutazioni di specifiche funzioni cognitive (memoria, attenzione, pensiero) e di determinati tratti della personalità (temperamento, autostima, livello d’ansia) avvalendosi di strumenti non complessi.

Nella pratica contemporanea, la maggior parte delle metodiche utilizzate in psicologia clinica sono informatizzate, con il calcolo dei risultati automatizzato. Nonostante ciò, gli psicologi clinici sono tenuti a comprendere e saper applicare i metodi «manuali» di lavoro con i protocolli cartacei, conoscerne i contenuti e i principi interpretativi.

Dal punto di vista degli psicologi clinici, le basi metodologiche della disciplina, secondo la classificazione di V.D. Mendelevič, comprendono tre gruppi principali di metodi:

– Il colloquio clinico

– I metodi di ricerca psicologico-sperimentale (esperimenti psicologici)

– I metodi di valutazione dell’efficacia degli interventi di psicocorrezione e psicoterapia

Un posto particolare è occupato dalla psicodiagnostica, senza la quale l’attività pratica dello psicologo clinico risulterebbe impossibile. L’assenza di lavoro psicodiagnostico nella pratica significa che lo specialista non sta esercitando la psicologia clinica nella sua completezza.

I principali metodi nella pratica dello psicologo clinico sono: il colloquio clinico, i metodi psicologico-sperimentali e i metodi proiettivi.

1. Il colloquio clinico

Questo metodo, in precedenza noto come «metodo conversazionale» o «osservazionale», costituisce parte integrante del processo diagnostico. Il suo obiettivo è chiarire i problemi del paziente, studiarne l’atteggiamento verso la malattia (la cosiddetta «immagine interna della malattia») e elaborare un piano di assistenza psicoterapeutica.

Un compito importante del primo colloquio è valutare la tolleranza alla frustrazione – la capacità dell’individuo di sopportare stati di frustrazione (l’esperienza di ostacoli percepiti come insormontabili, di un «limite invalicabile» nel raggiungimento degli obiettivi) senza compromettere l’adattamento psicologico e sociale. Una bassa tolleranza alla frustrazione si manifesta, ad esempio, quando una persona ai primi segni di una malattia non grave cade nel panico, tralascia i propri doveri e si immerge completamente nelle proprie sofferenze. Un esempio lampante di alta tolleranza è il comportamento di A.P. Čechov, il quale, sebbene affetto da tubercolosi incurabile, negli ultimi anni di vita creò opere letterarie eccezionali, mantenne contatti sociali e non cedette alla depressione, nonostante la consapevolezza della fine inevitabile.

Il criterio di un colloquio clinico riuscito è il raggiungimento della massima confidenzialità. A tal fine si impiegano adeguate tecniche di comunicazione verbale e non verbale, tra le quali assume un ruolo chiave l’instaurazione del rapport – un legame fiduciario speciale. Il rapport si stabilisce con delicatezza, nel rispetto della distanza professionale (circa 1,5 metri, corrispondente alla zona di comunicazione sociale).

Sul processo interattivo influiscono:

– la distanza (si distinguono zone intima, personale, sociale e pubblica; la violazione dei confini provoca disagio);

– la disposizione reciproca (la posizione frontale senza scrivania favorisce la fiducia, mentre lo stare opposti con la scrivania fra loro può provocare conflitto);

– le caratteristiche ambientali (disposizione dei mobili, ora del giorno, durata del colloquio).

Lo psicologo clinico deve controllare il tono di voce, tenere sotto controllo i propri gesti ed evitare domande dirette e inopportune («Ha mai avuto allucinazioni?»). Una sequenza di domande risulta efficace se segue uno schema preliminare, e frequenti espressioni di approvazione verso il paziente favoriscono l’approfondimento del contatto.

Se in una stessa giornata sono previsti sia il colloquio che la somministrazione di test, la conversazione viene suddivisa in due parti: prima e dopo l’esperimento. Al termine del colloquio è importante verificare se il paziente ha percepito una qualche forma di aiuto e se si sente sollevato.

Durante il colloquio, lo psicologo clinico osserva costantemente l’espressività facciale, le inflessioni vocali e le reazioni del paziente, attuando una sorta di «profilazione» professionale o verifica delle emozioni. Questo lavoro richiede elevata concentrazione e dispendio energetico, nonostante l’apparente disinvoltura dello specialista.

2. Metodi psicologico-sperimentali

Questo gruppo di metodiche è estremamente diversificato e include test, questionari, tecniche proiettive e ricerche psicofisiologiche. La diagnosi può essere finalizzata sia alla valutazione di singole funzioni psichiche che allo studio delle caratteristiche individuali e di personalità.

Metodi psicometrici: utilizzati per lo studio dell’intelligenza (ad esempio il test di Wechsler) e rappresentano strumenti complessi e standardizzati, applicabili esclusivamente da psicologi clinici o psichiatri.

Ricerche psicofisiologiche: condotte in tandem con esperimenti comportamentali, includono la misurazione della risposta galvanica cutanea, del ritmo cardiaco, dell’EEG in risposta a trigger specifici (ad esempio in pazienti con PTSD).

Il processo psicodiagnostico deve essere protetto da influenze casuali. Non è possibile, ad esempio, somministrare un test sull’ansia a un paziente con fobia sociale in un corridoio affollato, poiché ciò distorcerebbe i risultati. I risultati vengono classificati chiaramente in norma, stato borderline e patologia (ad esempio, nel test di Ebbinghaus sul ricordo di 10 parole, le persone sane le ricordano tutte dopo 5—7 ripetizioni).

I questionari si dividono in:

– chiusi, che prevedono una scelta tra un numero limitato di opzioni («sì/no», «più sì che no/più no che sì», scale da 1 a 4). Esempi: il test di Leonhard-Schmisek, il questionario di Eysenck;

– aperti, che consentono risposte libere. Esempio: la metodica per lo studio del livello di aspirazione, in cui si chiede al soggetto di elencare il maggior numero possibile di nomi, città, ecc.

3. Metodi proiettivi

Nell’utilizzo di metodiche proiettive (test di Rorschach, metodo delle frasi da completare) al soggetto viene presentato del materiale-stimolo ambiguo, che egli deve integrare, sviluppare o interpretare. Questi metodi consentono di ottenere una valutazione generalizzata delle pulsioni inconsce, dei conflitti intrapersonali e dei meccanismi di difesa psicologici. Attraverso di essi è possibile valutare, ad esempio, il tipo di reazione alla frustrazione:

– estrapunitiva: orientata verso l’esterno, con accuse rivolte agli altri;

– intrapunitiva: orientata verso sé stessi, con autoaccuse (autoaggressività);

– impunitiva: valutazione della situazione come poco significativa.

I metodi proiettivi si caratterizzano per l’alta complessità e l’ambiguità interpretativa, pertanto il loro utilizzo richiede allo psicologo clinico una significativa esperienza e qualificazione. Ai specialisti alle prime armi non è raccomandato fare affidamento esclusivamente su queste metodiche, poiché un errore interpretativo potrebbe avere serie conseguenze nel lavoro con disturbi borderline di personalità, dipendenze e altre condizioni complesse.

Nella pratica clinica, i metodi proiettivi non possono fungere da strumenti principali e vengono utilizzati esclusivamente in combinazione con altri strumenti diagnostici.

Al termine di un ciclo di psicocorrezione o psicoterapia, gli psicologi clinici valutano l’efficacia degli interventi intrapresi. A questo scopo, B.D. Karvasarskij ha sviluppato scale specifiche che consentono allo specialista di valutare:

– il grado di miglioramento sintomatico del paziente;

– il livello di consapevolezza dei meccanismi psicologici della malattia;

– la dinamica di cambiamento delle relazioni personali compromesse;

– il grado di miglioramento del funzionamento sociale

Per la valutazione dell’efficacia terapeutica viene generalmente utilizzato un’ampia gamma di strumenti, inclusi metodi di studio della memoria, scale per la valutazione dell’ansia e altre metodiche standardizzate.

La psicologia clinica è una disciplina scientifica basata su evidenze e risulta incompatibile con aree come la parapsicologia o la percezione extrasensoriale. Sebbene nell’arsenale dello psicologo clinico siano presenti tecniche suggestive (quali il training autogeno o l’ipnosi clinica), la loro applicazione richiede il possesso del relativo diploma e di una certificazione specialistica. Lo psicologo clinico o il neuropsicologo competente ha il dovere di mettere in guardia pazienti e loro familiari dal rivolgersi a pseudospecialisti, motivando la propria posizione con i dati della medicina basata sulle evidenze.

Dallo specialista in psicologia clinica si richiede un pensiero estremamente razionale e un’elevata competenza. Ad esempio, quando si lavora con un paziente che presenta un’accentuazione paranoide della personalità, qualsiasi menzione inappropriata o approvazione indiretta di pratiche legate alla divinazione o alla percezione extrasensoriale potrebbe provocare la manifestazione di schizofrenia paranoide.

L’ambito di attività dello psicologo clinico è estremamente ampio e comprende la neuropsicologia, la patopsicologia, la psicoterapia familiare, il lavoro con dipendenze sessuali, disturbi post-traumatici, anomalie dello sviluppo e malattie psicosomatiche. L’attività professionale non si limita al colloquio clinico e alla psicodiagnosi; include inoltre la conduzione di programmi di training, la supervisione obbligatoria o l’intervisione, nonché una costante terapia personale.

La terapia personale è considerata un requisito necessario per mantenere la salute mentale dello psicologo stesso, sviluppare una sana autostima e prevenire il burnout professionale. Consente allo specialista di valutare i casi clinici in modo appropriato, senza proiettare su di essi i propri problemi irrisolti.

La supervisione rappresenta un elemento cruciale per la crescita professionale, specialmente per gli psicologi clinici alle prime armi. Offre l’opportunità di analizzare casi complessi sotto la guida di un collega più esperto, favorendo il miglioramento delle competenze e prevenendo errori. Esistono vari formati per ricevere supporto supervisionale, dal lavoro individuale ai gruppi di intervisione economicamente più accessibili.

Un posto particolare nella struttura della psicologia clinica è occupato dalla patopsicologia – il ramo che studia le regolarità della disintegrazione dell’attività psichica e delle proprietà della personalità, confrontandole con le regolarità della formazione e del decorso dei processi mentali nella norma. Il termine fu introdotto da V.M. Bekhterev nel 1903.

La patopsicologia come parte della psicologia clinica

La fondatrice della patopsicologia russa è B.V. Zeigarnik, allieva del noto psicologo tedesco K. Lewin. A lei si deve la scoperta del cosiddetto effetto Zeigarnik, per cui gli individui tendono a ricordare meglio le azioni interrotte rispetto a quelle portate a termine. Questo fenomeno è concettualmente vicino al popolare concetto di «Gestalt incompiuta». B.V. Zeigarnik sviluppò le basi teoriche della patopsicologia, descrisse i disturbi dei processi mentali e formulò i principi operativi del patopsicologo, successivamente sviluppati dai suoi allievi (tra cui Ju. F. Poljakov, S.J. Rubinštejn, B.S. Bratuš).

Mentre la psicopatologia clinica identifica e sistematizza le manifestazioni delle funzioni psichiche alterate, la patopsicologia rivela le caratteristiche del decorso e della struttura dei processi mentali che conducono ai disturbi osservati. Nonostante l’iniziale forte connessione con la psichiatria, i metodi patopsicologici trovano oggi applicazione anche in cliniche di medicina generale.

I concetti chiave in patopsicologia sono il sintomo, come indicatore singolo di uno stato patologico, e la sindrome, intesa come combinazione coerente di sintomi uniti da un meccanismo patogenetico comune. La diagnosi sindromica possiede maggiore specificità e valore poiché lo stesso sintomo, ad esempio le allucinazioni, può presentarsi in condizioni diverse come intossicazioni, deprivazione di sonno e disturbi d’ansia, mentre la sindrome rappresenta un quadro più definito.

La sindrome patopsicologica include non solo gli indicatori di deficit, ma anche gli aspetti preservati del funzionamento mentale, consentendo la formulazione di una diagnosi funzionale. Questa diagnosi riflette le caratteristiche dinamiche della condizione dell’individuo, le sue relazioni con l’ambiente sociale e il potenziale di compensazione dei deficit. La ricerca patopsicologica risulta particolarmente preziosa in assenza di chiari criteri clinici, per valutare la dinamica dello stato del paziente e l’efficacia del trattamento.

Lo psicologo clinico non è abilitato a formulare diagnosi mediche, ma elabora una diagnosi psicologica, come ad esempio «ritardo dello sviluppo psichico». La relazione redatta dallo specialista funge da base per la collaborazione con altre figure professionali: psichiatri, neurologhi, logopedisti e terapisti della riabilitazione.

La relazione psicologica, fornita su richiesta del paziente o quando necessario per l’invio a uno specialista correlato, deve includere:

– gli esiti della valutazione diagnostica e del colloquio clinico;

– un’ipotesi esplicativa delle cause dei disturbi emersi;

– raccomandazioni specifiche e le misure di psicocorrezione intraprese.

Queste informazioni assistono il medico curante nel determinare la strategia più appropriata per la gestione successiva del paziente, rendendo la collaborazione tra psicologo e medico estremamente produttiva.

Gli psicologi clinici e i neuropsicologi partecipano a varie tipologie di perizie: medico-legali per l’invalidità civile, medico-militari, medico-pedagogiche e psichiatrico-forensi. Nell’ambito giudiziario, i risultati della valutazione condotta dallo psicologo clinico possono costituire una forma autonoma di prova.

Gli specialisti in psicologia clinica, psicologi clinici, neuropsicologi, patopsicologi, partecipano attivamente alla riabilitazione dei pazienti e al lavoro psicocorrettivo. Il processo riabilitativo integra mezzi farmacobiologici, metodi di trattamento psicosociale e interventi mirati all’ottimizzazione dell’ambiente sociale e delle condizioni esterne di adattamento dell’individuo.

Nei centri gerontologici, l’operato dello psicologo clinico, del neuropsicologo o del patopsicologo rappresenta una necessità, poiché il recupero dei pazienti dopo ictus, infarti, lesioni cerebrali e interventi neurochirurgici dipende in misura significativa non solo dal supporto farmacologico, ma anche da un’adeguata strutturazione di interventi di psicocorrezione, psico-riabilitazione e psicoterapia.

Distinzione tra psicoterapia, psicocorrezione e riabilitazione

Dal punto di vista della psicologia clinica, è fondamentale distinguere concetti affini.

La psicoterapia (dal greco antico «cura dell’anima») rappresenta un’analisi approfondita dei problemi del cliente, orientata ai processi inconsci e alla ristrutturazione strutturale della personalità. La sua azione terapeutica non agisce sulla psiche in modo isolato, ma attraverso la psiche – sull’intero organismo umano. La psicoterapia favorisce la risoluzione di problemi emotivi, comportamentali e interpersonali, e il suo obiettivo finale è la trasformazione della visione del mondo e il miglioramento della qualità della vita.

La psicocorrezione (che significa «rettifica») è un complesso di metodiche finalizzate a correggere carenze della psicologia o del comportamento umano prive di base organica. La psicocorrezione accresce la flessibilità e l’adattabilità della psiche. La differenza cruciale rispetto alla psicoterapia risiede nel fatto che la psicocorrezione non persegue la modificazione della struttura della personalità e può rivelarsi efficace anche senza la piena consapevolezza da parte del cliente dei propri problemi.

Se la psicoterapia agisce sul mondo interiore e sulla visione del mondo, la psicocorrezione si concentra sull’eliminazione di specifiche carenze nello sviluppo psichico o di pattern comportamentali.

La riabilitazione si occupa del reinserimento nella vita sociale e professionale di persone che hanno sofferto di disturbi psichici o somatici. In questa fase si parla di prevenzione terziaria.

La riabilitazione non può essere ridotta a uno o due metodi di intervento (quali psicoterapia o ergoterapia) né descritta esclusivamente attraverso l’obiettivo finale (l’inserimento abitativo o lavorativo). Secondo l’approccio sistemico, la riabilitazione rappresenta un sistema dinamico di componenti interconnesse, costituendo simultaneamente sia metodo che fine.

Il concetto di riabilitazione proposto da M.M. Kabanov e implementato nelle cliniche dell’Istituto Psico-Neurologico V.M. Bekhterev di Leningrado possiede una sua storia specifica. Nato a metà degli anni ’20 dalle idee della «medicina fisica», si è arricchito dei progressi della psicologia medica, della pedagogia medica e della sociologia medica, strutturandosi sulla base dei principi della non costrizione e della terapia sociale.

Molti erroneamente riducono la riabilitazione a un «completamento della cura» o allo sfruttamento della residuale capacità lavorativa, il che restringe indebitamente questo concetto complesso. In conformità con le raccomandazioni dell’OMS, la riabilitazione è intesa come prevenzione terziaria (dove la primaria rappresenta la prevenzione in senso proprio, e la secondaria il trattamento). La riabilitazione costituisce innanzitutto un approccio fondamentalmente diverso alla persona malata.

Il concetto moderno di riabilitazione prevede un approccio integrale e complesso al paziente, che considera non solo le caratteristiche clinico-biologiche della malattia, ma anche i tratti personality e i fattori ambientali. Lo scopo della riabilitazione è il recupero dello status personale e sociale del paziente, indipendentemente dalla nosologia (sia esso un disturbo nevrotico, schizophrenia, infarto miocardico o patologie dell’apparato muscolo-scheletrico).

La selezione degli strumenti diagnostici è effettuata dallo psicologo clinico in modo individualizzato, in base agli obiettivi specifici. Lo specialista opera nel quadro degli standard professionali, ma assume la piena responsabilità della scelta metodologica.

Gli psicologi clinici esperti (con oltre 10 anni di esperienza) detengono il diritto all’adattamento metodologico: possono applicare metodi standardizzati in versione non standardizzata per l’analisi qualitativa delle caratteristiche dell’attività psichica, qualora ciò sia giustificato dagli obiettivi diagnostici e dall’esperienza professionale.

Oltre ai metodi patopsicologici, per risolvere compiti diagnostici, specialmente in neurologia, neurochirurgia e nella pratica pediatrica, vengono utilizzati metodi neuropsicologici. Questi sono finalizzati allo studio delle caratteristiche del linguaggio, della gnosi visiva, uditiva e tattile, e consentono di identificare la specificità dei deficit della memoria a breve e lungo termine, compresi quelli con predominanza patologica in una specifica modalità (visiva, tattile, uditiva). Sono particolarmente diffuse le varianti non standardizzate dei metodi neuropsicologici, sebbene vengano impiegati anche strumenti standardizzati come la diagnostica secondo L.I. Vasserman.

Dal punto di vista degli psicologi clinici, nella scelta del metodo psicologico è necessario guidarsi secondo i seguenti principi:

1. Scopo della ricerca. Se l’obiettivo è la diagnosi differenziale, la determinazione della profondità del difetto psichico o lo studio dell’efficacia terapeutica, la scelta del metodo è determinata dalle caratteristiche del disturbo presunto. Ad esempio, in caso di sospetto disturbo del pensiero, lo psicologo clinico opterà non per il test di Rorschach bensì per il metodo delle pittogramme di A.R. Luria, che consente di evidenziare problematiche nell’attività pensante e valutare la memorizzazione mediata.

2. Istruzione ed esperienza di vita del paziente. Nella selezione della metodica, lo psicologo clinico è tenuto a considerare il livello di istruzione, il bagaglio esperienziale e l’anamnesi del paziente. Metodiche diagnostiche complesse possono rivelarsi inefficaci per una persona dedita al lavoro manuale. Ad esempio, un compito sulla formazione di analogie complesse risulterebbe inappropriato per un paziente privo della relativa esperienza cognitiva.

3. Caratteristiche del contatto con il paziente. La scelta metodologica dipende dalle peculiarità della relazione con il malato. Ad esempio, nell’esaminare pazienti con deficit dell’analizzatore uditivo, è più opportuno utilizzare compiti basati sulla percezione visiva.

Nel processo di ricerca, gli psicologi clinici generalmente impiegano compiti progressivamente più complessi. Fanno eccezione i casi in cui si sospetti pseudodemenza, aggravamento o simulazione. In presenza di sospetta simulazione, lo psicologo potrebbe somministrare intenzionalmente un compito complesso per verificare la propria ipotesi.

Tra le giovani generazioni di studenti, purtroppo, si è diffusa una moda di simulare patologie psichiche. Se alcuni anni fa manifestavano prevalentemente sintomi di disturbo ossessivo-compulsivo o depressivo, oggi sono diventati di moda sintomi patopsicologici caratteristici della schizofrenia lentamente progressiva o del disturbo bipolare. Tali casi sono particolarmente tipici negli adolescenti con personalità isteroide, che sperimentano carenza di attenzione. Questi adolescenti possono trarre in inganno non solo psicologi clinici, ma anche psichiatri, il che occasionalmente conduce a ricoveri ingiustificati per osservazione.

B.V. Zeigarnik sottolineava che condurre una ricerca patopsicologica in ambito clinico è significativamente più complesso che in ambiente naturale. Gli esperimenti patopsicologici non mirano a misurare processi isolati, bensì a studiare l’essere umano nel processo dell’attività reale. Essi presuppongono l’analisi qualitativa delle varie forme di disintegrazione psichica, l’identificazione dei meccanismi sottostanti i deficit funzionali e la ricerca di possibili strategie di recupero.

Poiché ogni processo psichico possiede una dinamica e una direzionalità intrinseche, le indagini sperimentali devono cogliere la preservazione o l’alterazione di tali parametri. I risultati sperimentali devono privilegiare una caratterizzazione qualitativa, non limitandosi a quella quantitativa. Ripetute somministrazioni testologiche che si limitano a constatare una «disintegrazione della personalità» risultano inefficaci senza un’adeguata descrizione dell’evoluzione sintomatologica.

I risultati delle indagini patopsicologiche devono garantire affidabilità. L’elaborazione statistica dei dati viene applicata solo ove appropriato, essendo l’analisi quantitativa complementare ma non sostitutiva di quella qualitativa. Come sottolineava Zeigarnik, risulta essenziale considerare non solo le prestazioni del paziente, ma anche la sua comprensione dei compiti, le interpretazioni fornite e le cause soggiacenti agli errori commessi.

L’analisi qualitativa degli errori, andando oltre la loro mera rilevazione, fornisce il materiale più significativo per valutare le caratteristiche del funzionamento psichico dei pazienti. L’impostazione della ricerca psicologico-sperimentale in ambito clinico si distingue dall’esperimento psicologico convenzionale per il ricorso a una metodologia plurima, atta a indagare un processo di disintegrazione psichica che non si presenta mai come monodimensionale.

Nella somministrazione di qualsiasi compito sperimentale in patopsicologia è possibile evidenziare diverse forme di alterazioni mentali, sebbene non tutte le metodiche consentano di valutare con pari efficacia entità e tipologia del deficit. È fondamentale che la valutazione sperimentale documenti non solo gli aspetti compromessi, ma anche le risorse preservate della personalità, aspetto determinante nella progettazione di interventi riabilitativi.

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Возрастное ограничение:
18+
Дата выхода на Литрес:
05 ноября 2025
Объем:
150 стр. 1 иллюстрация
ISBN:
9785006843608
Правообладатель:
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