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In faccia al destino

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Benedetta sii tu da tutti i cuori che sentono e da tutte le menti che pensano, o arcana Onnipotenza d'amore, che Ti riveli così formidabile nella immensità dei cieli come pia nella brevità terrestre!



Sii benedetta, o amore infinito in tutto quanto ci circonda, e infinito nel mio cuore che vuole che io ti benedica!



Così io pensavo; così io sentivo…



E non per altro che per questo, – per l'amore, – ho scritto, – capite adesso? – la mia storia.



XVI

Finirò la mia storia con lo strazio, lo spasimo che mi tiene in vita. E mi bisogna pur dirlo il perchè ho scritto finora, comprimendo in cuore un dolore insanabile per rammentar fin particolari della verità che talvolta facessero sorridere!



Oh io non ho voluto soltanto dolermi della giustizia umana che si lasciò sfuggire un colpevole!



Narrando tutto della mia storia io ho avuto per iscopo il mistero dell'esistenza umana.



Dopo uno stato di infelicità morbosa, con l'amore, l'errore, il rimorso, il sacrificio io ero riuscito a concepire altrimenti la vita e credevo essere divenuto degno della felicità. Valendomi sin della fosca tragedia del risaiuolo io avevo elevato la mente a considerare la felicità della vita!



Ma che dico di me? Ortensia, Ortensia che io e la sventura traemmo a così lungo soffrire, Ortensia che da tanti turbamenti e affanni fu risollevata, per la energia del suo spirito a quella fede nella vita ch'ella solo aveva potuto ridarmi, Ortensia io credevo meritasse di essere felice!



Ebbene: io domando se il caso, solo il caso, o la malvagità di un uomo, solo la malvagità di un uomo, potè arrestarci al punto di toccare la meta; o se fu piuttosto il destino non mio, non d'Ortensia, ma il destino che pesa su tutta l'umanità. Io domando se quando ero caduto in così squallida miseria di pensiero e di cuore e quando la vita pareva anche a me inutile miseria, io non ero più nel vero allora che dopo, quando con vigoroso animo e intensa vitalità percepivo tutte le gioie dell'esistenza e con sguardo inebbriato d'avvenire vedevo come fosse mio l'universo. O – io mi domando – fui travolto dalla fatalità per una colpa di cui mi sfugge La conoscenza?.. O la colpa che meritò tanto castigo fu il mio pessimismo non abbastanza punito, la mia antica disperazione e tristezza?



Ma chi mi risponde? Io sono qua solo, in faccia al Destino; e mi par d'esser solo a interrogarlo con l'animo sopraffatto da tutta l'infelicità umana…



XVII

… Ogni giorno all'approssimare dell'ora che suo padre soleva tornare a casa, Ortensia gli andava incontro per la viottola fra l'orto e la vigna.



Mino restava nella sua camera perchè Claudio, rincasando, lo trovasse a studiare; e studiava infatti, povero ragazzo, per i prossimi esami.



Ma a quando a quando, egli svagava l'occhio dalla finestra, socchiusa per non essere visto, e invidiava la sorella che andava incontro al padre per la viottola, al tramonto.



Così il 29 settembre. Mino è alla finestra e Ortensia è a mezza via. Come al solito, quando sarà al pioppo sradicato, laggiù, ella siederà ad attendere il babbo e torneranno insieme…



Quand'ecco dalla vigna sbuca, d'improvviso, un uomo; s'imbatte quasi in Ortensia. Non è l'ortolano. È un operaio… o un povero? Ortensia si è fermata un istante e si rivolge: fa alcuni passi tornando indietro… L'uomo resta immobile, con un braccio teso quasi per trattenerla. Ortensia si ferma; si rivolge di nuovo. Parlano; si comprende dai gesti d'Ortensia ch'essa lo sgrida. Che cosa dirà? Dirà: – Andate a lavorare, vagabondo!



Ma perchè non chiama Cleto? Dove sarà Cleto, l'ortolano? La vigna è già vendemmiata; e Cleto sarà lontano, nell'orto…



– Mamma, mamma! Vieni a vedere! Corri!



Mino vede; ha paura.



– Mamma! – urla subito dopo; e si slancia fuori della camera. Ha visto quell'uomo gettarsi su Ortensia, atterrarla… – Aiuto! L'ammazza!..



XVIII

Da un giornale:



«Un'audace aggressione è avvenuta ieri sera, verso le ore diciotto, nei pressi dell'Arcoveggio. Mentre la signorina Ortensia Moser, figlia dell'ingegner Moser direttore della Società Renana di fabbriche laterizi, passeggiava nella località denominata Ca' Rossa, è stata affrontata da un individuo, in apparenza operaio, che con insistenza le ha chiesto denaro. Al rifiuto di lei, il malfattore l'ha assalita strappandole dal collo una collana di perle e tentando soffocarla perchè non gridasse. Fortunatamente il pronto accorrere dell'ortolano Cleto Gualandi ha impedito l'efferato proposito. L'aggressore scomparve in una vigna attigua e finora è riuscita vana ogni ricerca per arrestarlo e identificarlo».



XIX

Colui che doveva consegnarmi il telegramma mi credette presso un malato mentre io ero da un altro più lontano; ed io tornai a casa a sera ormai tarda, quando il messo era ancora in cerca di me.



Di chi poteva essere il telegramma? Di Ortensia? di Moser? perchè? quale disgrazia?



L'ebbi finalmente; diceva:





Coraggio vieni subito – Claudio.



Come un baleno in una notte buia, nelle tenebre della mia mente corse l'idea che la vendetta di Roveni era compiuta!



E non c'era più un treno in partenza per Bologna! Trovammo un cavallo che andasse un po' più forte che quello del Biondo…



… Di quel viaggio eterno mi restano nella memoria sensazioni piuttosto che pensieri.



Pareva che il galoppo del cavallo mi si ripercotesse nel cervello e un'eco continua l'accompagnasse: – Roveni, Roveni, Roveni…



… Morta? Se Ortensia, al mio arrivo, fosse morta?



A lunghi tratti la povera bestia che mi trasportava, cessava il galoppo nonostante le frustate, per rifiatare. Io, similmente, interrompevo l'angoscia per sperare.



Nell'apprensione esagerata del pericolo, quale si fosse, senza dubbio Claudio non aveva compreso che terribile cosa potrebbe significare quella sua parola

coraggio!

 Raccomandava coraggio a me lui,

suo

 padre! quasi ci minacciasse una sventura più crudele per me che per lui,

suo padre!

 Non era possibile!..



Roveni, Roveni, Roveni…



Morta?



Provavo la sensazione d'un sogno in cui, per sfuggire a un pericolo enorme, si corre, si corre, e un abisso vi si apre improvvisamente dinanzi, e bisogna precipitarvi.



Ricordo anche l'urlo di un birocciaio che a stento evitò la carrozza; e ricordo che a una borgata vidi una fiammella dinanzi a una Madonna; in una osteria altercavano.



Eppoi, quando giunsi alla Ca' Rossa?



Claudio su la porta mi abbracciò singhiozzando, e nella loggia, illuminata da una candela, due occhi sbarrati, immobili, mi guardavano…: Mino.



A piè della scala, per informarmi o prepararmi, mi arrestò uno sconosciuto: il medico. Io sembravo ascoltarlo attento e freddo, ma di quel che diceva non afferravo che poche parole.



– Trauma… per spavento… Sincope con paralisi… minaccia al cuore… Vano ogni tentativo di ridestare le facoltà psichiche…



Salimmo. Entrando scorsi nello stesso tempo il volto cereo di lei, in una apparenza di morte soave, e, accosto al letto, un mucchio di vesti nere; era Eugenia…



– Ortensia!



Non aveva più udito suo padre, sua madre; udì la mia voce; ma le labbra livide non ebbero che un tremito.



Io sentivo il polso; guardai le pupille; le posi una mano sul cuore… Fra poco… E tutto ciò avvertivo come per una morente estranea al mio affetto. Ma per una estranea

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