Il regno dei draghi

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CAPITOLO QUARTO



Il principe Vars scolò un boccale di birra, assicurandosi di avere un’ottima visuale di Lyril mentre lo faceva. Era immobile, ancora nuda nel suo letto, seduta a guardarlo con un interesse piuttosto evidente, e i lividi della notte precedente erano appena visibili.



Non poteva fare altrimenti, pensò Vars. Era principe di sangue, dopotutto; forse non era muscoloso quanto il suo fratello maggiore, ma a ventun anni era ancora giovane, ancora bello. Doveva guardarlo con interesse, e deferenza, e forse timore se avesse immaginato tutte le cose che pensava di farle in quel momento.



No, meglio lasciar perdere per ora. Essere rude con lei era una cosa, ma quella ragazza era nobile abbastanza perché avesse importanza. Era meglio lasciarsi andare del tutto con quelle di cui non avrebbe sentito la mancanza.



Anche Lyril era discreta, certo, perché Vars non ci sarebbe andato a letto se non lo fosse stata: dai capelli rossi e la pelle pallida, formosa e con gli occhi verdi. Era la figlia maggiore di un nobiluomo che si credeva un commerciante, o di un commerciante che aveva comprato un titolo nobiliare; Vars non riusciva a ricordare quale, ma non gli interessava in modo particolare. Era di rango inferiore al suo, quindi doveva sottostare ai suoi ordini. Cos’altro aggiungere?



“Guardato abbastanza, mio principe?” chiese, alzandosi e camminando verso di lui. A Vars piacque il modo in cui lo fece; gli piaceva il modo in cui faceva molte cose.



“Mio padre vuole che vada a caccia con lui domani,” disse Vars.



“Potrei uscire con voi a cavallo,” propose Lyril. “Guardarvi e offrirvi i miei servizi mentre cavalchiamo.”



Vars rise, e se quello le avesse dato una scossa di dolore, a chi importava? Inoltre, Lyril doveva averci fatto l’abitudine ormai. Di solito, non andava a letto con una donna per molto prima di stancarsi, o prima che lei sgattaiolasse altrove, o che la ferisse troppo facendola fuggire. Lei stava durando più tempo della maggior parte; andava avanti da anni ormai, nonostante era ovvio che ce ne fossero state anche altre nel frattempo.



“Vi vergognate a farvi vedere con me?” chiese.



Vars le si avvicinò, gelandola con lo sguardo. In quel momento di paura, era più bella di chiunque altra avesse mai visto.



“Io faccio quello che voglio,” disse Vars.



“Va bene, mio principe,” rispose lei, mentre un altro brivido di desiderio la faceva tremare insieme alle braccia di Vars.



“Sei più graziosa di qualsiasi altra donna sulla terra, di origine nobile e perfetta,” disse.



“Allora perché ci state mettendo così tanto a sposarmi?” chiese Lyril. Era una discussione vecchia; glielo stava chiedendo, accennando e insinuando da tanto tempo quanto Vars riuscisse a ricordare.



Prese la parola, rapido e tagliente, afferrandola per i capelli. “Sposarti? Perché dovrei sposarti? Credi di essere speciale?”



“Lo sono,” replicò. “O un principe come voi non mi avrebbe mai voluta.”



Lo aveva messo con le spalle al muro.



“Presto,” disse Vars, reprimendo la sua ondata di rabbia. “Quando sarà il momento.”



“E quando sarà il momento?” domandò Lyril, mentre iniziava a rivestirsi; e il solo guardarla mentre lo faceva bastò a fargli tornare la voglia di spogliarla di nuovo. Andò da lei e le dette un bacio profondo.



“Presto,” promise Vars, perché promettere era facile. “Per ora però…”



“Per ora, dobbiamo andare al banchetto di vostro padre, celebrare l’arrivo del promesso sposo di vostra sorella,” disse Lyril, sembrando per un attimo sovrappensiero. “Mi domando se è bello.”



Vars la fece voltare a guardarlo, stringendola abbastanza forte fra le braccia da farla sussultare. “Non sono abbastanza per te?”



“Abbastanza, e anche di più.”



Vars gemette alla trappola che racchiudeva, poi si allontanò e si vestì, afferrando un fiasco di vino e sorseggiandolo mentre si incamminava. Lo offrì a Lyril, che ne bevve un poco. Uscirono dalla stanza e dentro al castello, facendosi strada fra le sue curve e i suoi tornanti, giù verso la grande sala.



“Vostra altezza, mia signora,” disse un domestico mentre passavano, “il banchetto è già iniziato.”



Vars inveì contro l’uomo. “Credi che abbia bisogno che tu me lo dica? Credi che sia stupido, o che non sappia che ore sono?”



“No, mio principe, ma vostro padre…”



“Mio padre sarà impegnato a fare politica, o starà ascoltando mio fratello Rodry mentre si vanta per qualsiasi impresa eroica abbia compiuto in questi giorni,” lo interruppe Vars.



“Come desiderate, vostra altezza,” rispose l’uomo e fece per andarsene.



“Aspetta,” intervenne Lyril. “Credi di potertene andare così? Dovresti scusarti con il principe e con me, per averci interrotti.”



“Sì, certo,” acconsentì il domestico. “Sono estremamente…”



“Delle scuse adeguate,” disse Lyril. “Inginocchiati.”



L’uomo esitò per un attimo e Vars infierì. “Fallo.”



Il domestico si accasciò sulle ginocchia. “Mi scuso per avervi interrotti, vostra altezza, mia signora. Non avrei dovuto farlo.”



Vars vide Lyril sorridere alla scena.



“No,” concluse lei. “Adesso vai, sparisci dalla nostra vista.”



Il domestico non fece altro che fuggire via al suo ordine, come un levriero dietro a un coniglio. Vars rise mentre se ne andava.



“Puoi essere crudele in modo delizioso a volte,” disse. Gli piaceva quel suo lato.



“Solo quando è divertente,” rispose Lyril.



Proseguirono, giù verso il banchetto. Ovviamente, quando entrarono, era in pieno svolgimento, con tutti che bevevano, ballavano, mangiavano e si divertivano. Vars vide la sua sorellastra in pole position, al centro dell’attenzione insieme al suo futuro marito. Non riusciva a capire perché la figlia della seconda moglie del re dovesse ricevere tanta attenzione.



Inoltre, era abbastanza fastidioso che anche Rodry fosse lì, in un angolo con un gruppetto di nobili giovanotti, a ricevere la loro ammirazione mentre narrava e rinarrava le storie delle sue gesta. Perché il fato aveva pensato bene di scegliere lui come maggiore? Non aveva senso per Vars, quando era ovvio che Rodry fosse adatto al futuro ruolo di re quanto lui lo era ad agitarsi e sbattere le sue braccia muscolose.



“Certo, un matrimonio come questo offre un sacco di possibilità,” disse Lyril. “Riunisce così tanti signori e signore…”



“Che possono diventare nostri amici,” aggiunse Vars. Aveva capito come funzionava il gioco. “Certo, aiuta conoscere i loro punti deboli. Sapevi che quello di Earl Durris laggiù è fumare ambra rossa?”



“Non lo sapevo,” disse Lyril.



“Nessun altro dovrebbe saperlo, se si ricorda che sono suo amico,” disse Vars. Avanzarono nella folla, spostandosi lenti in direzioni separate. Poteva vederla osservare le altre donne, cercando di individuare tutte le sfaccettature che le rendevano meno carine di lei, o più deboli, o semplicemente non al suo livello. Magari cercava anche di determinare i vantaggi che avrebbe potuto trarre da loro; c’era una spregiudicatezza in quella valutazione che a Vars piaceva. Forse era parte del motivo per cui stava con lei da così tanto.



“Certo, c’è un’altra ragione per non unirmi alla battuta di caccia domani,” disse. “Con tutti questi idioti lontani, posso fare cosa voglio, magari volgere le cose a mio vantaggio.”



“Ho forse sentito menzionare la caccia?”



La voce di suo fratello era più rimbombante e finta che mai. Vars si voltò verso Rodry, stampandosi in volto quel sorriso forzato che aveva imparato a padroneggiare in un’infinità di occasioni durante la sua infanzia.



“Rodry, fratello,” disse. “Non mi ero accorto che eri tornato da… di nuovo, dov’eravate tu e Papà?”



Rodry alzò le spalle. “Potevi venire anche tu e scoprirlo.”



“Ah, ma siete usciti di corsa,” replicò Vars, “e sei tu quello che gli sta a cuore.”



Se Rodry aveva colto l’asprezza di quella frase, non lo dava a vedere.



“Avanti,” disse invece, dandogli una pacca sulla schiena. “Unisciti a me e ai miei amici.”



Faceva sembrare che unirsi a quel gruppo di giovani sciocchi, che non facevano altro che venerarlo come un eroe, fosse un grande dono, piuttosto che un orrore che Vars avrebbe pagato oro puro per evitare. Giocavano a fare i Cavalieri dello Sperone di suo padre, ma nessuno di loro si era fatto notare fino ad allora. Il suo sorriso si fece più forzato mentre si addentrava al centro fra loro, e afferrò un calice di vino come una gradita distrazione. Lo svuotò in un istante, quindi ne prese un altro.



“Stiamo parlando di tutte le battute di caccia che abbiamo fatto,” dichiarò Rodry. “Berwick dice che una volta ha abbattuto un cinghiale con un pugnale.”



Uno di quei giovani uomini accennò un inchino che fece venire voglia a Vars di prenderlo a sberle. “Mi ha morso due volte.”



“Allora avresti forse dovuto usare una lancia,” disse Vars.



“Mi si era rotta durante un addestramento alla Casa delle Armi,” rispose Berwick.



“Quando è stata la tua ultima volta sui campi d’addestramento, fratello?” chiese Rodry, conoscendo ovviamente la risposta. “Quando ti unirai ai cavalieri, come ho fatto io?”



“Mi alleno con la spada,” replicò Vars, forse un po’ troppo sulla difensiva rispetto a quanto avrebbe dovuto. “Credo solo che ci siano cose più importanti da fare, piuttosto che dedicare ogni singolo momento della giornata a quello.”



“O forse non ti piace l’idea di trovarti davanti a un nemico pronto a farti a pezzi, eh, fratello?” ribatté Rodry, dandogli una pacca sulla spalla. “Come non ti piace andare a caccia, perché potrebbe succederti qualcosa.”

 



Rise, e la cosa più crudele era che suo fratello forse neanche reputava quell’atteggiamento scortese; ma, dopotutto, era un uomo che si muoveva nel mondo senza il minimo riguardo.



“Mi stai dando del codardo, Rodry?” domandò Vars.



“Oh no,” rispose lui. “Ci sono degli uomini che sono fatti per affrontare il mondo e combattere, e altri che stanno meglio a casa, giusto?”



“Potrei cacciare se volessi,” affermò Vars.



“Ah, il cavaliere coraggioso!” ribatté Rodry, provocando un’altra di quelle risate che nessuno avrebbe visto come crudeli, eccetto Vars. “Beh, allora, dovresti venire con noi! Stiamo andando in città per assicurarci di avere le armi necessarie per domani.”



“E abbandonate il banchetto?” gli rispose seccato.



“Il banchetto proseguirà per vari giorni,” replicò suo fratello. “Coraggio, possiamo trovarti una buona lancia, così potrai mostrarci come cacciare un cinghiale.”



Vars desiderava potersi semplicemente allontanare o, ancora meglio, spaccare la faccia a suo fratello contro al tavolo più vicino. Magari continuando a sbatterla fino a ridurla in poltiglia, in modo da affermarsi come l’erede che avrebbe sempre dovuto essere. Invece, sapeva di dover scendere in città, oltre ai ponti, ma almeno laggiù avrebbe potuto trovare qualcuno su cui sfogare la sua rabbia. Sì, non vedeva l’ora di farlo, e di spingersi anche oltre; forse persino a diventare re un giorno.



Per adesso, però, la parte di lui che urlava di stare al sicuro per evitare i pericoli gli stava dicendo di non sfidare suo fratello. No, avrebbe aspettato per quello.



Ma chiunque avesse incrociato la sua strada giù in città l’avrebbe pagata cara.





CAPITOLO QUINTO



Devin fece oscillare il martello, sbattendolo contro il blocco di metallo che sarebbe dovuto diventare una lama. Gli dolsero i muscoli della schiena quando lo fece e il calore della fucina gli faceva scorrere il sudore sotto ai vestiti. Nella Casa delle Armi, faceva sempre caldo e quella vicinanza a una delle forge, era quasi insopportabile.



“Stai andando alla grande, ragazzino,” disse il Vecchio Gund.



“Ho sedici anni, non sono un ragazzino,” replicò Devin.



“Sì, ma hai ancora la stazza da ragazzino; e poi, per un uomo anziano come me, siete tutti ragazzini.”



Devin alzò le spalle in risposta. Sapeva di non apparire come un fabbro agli occhi di chiunque guardasse, ma ragionò; il metallo richiesto pensava di comprenderlo davvero. Le delicate variazioni di calore e i modelli di acciaio, che potevano rendere un’arma imperfetta priva di difetti, erano quasi magici, e Devin era determinato a conoscerli tutti, a capire davvero.



“Attento, o si raffredderà troppo,” disse Gund.



Rapido, Devin rimise il metallo al calore, osservandone le sfumature finché non raggiunse quella perfetta; poi lo estrasse per lavorarlo. C’era quasi, ma non era ancora impeccabile; doveva limare un altro goccio la punta. Devin ne era certo quanto della differenza fra destra e sinistra.



Era ancora giovane, ma conosceva le armi. Conosceva i modi per lavorarle e affilarle al meglio… sapeva persino come brandirle, nonostante suo padre e il Maestro Wendros sembrassero determinati a dissuaderlo dall’obiettivo. L’allenamento offerto alla Casa delle Armi era destinato ai giovani uomini della nobiltà, che andavano a imparare dai maestri di spada più esperti, fra cui l’abile e ineguagliabile Wendros. Devin doveva farlo da solo, esercitandosi con tutto, dalle spade, alle asce, alle lance, ai coltelli, infliggendo colpi ai manichini e sperando di far bene.



Un baccano vicino all’entrata della Casa rapì per un attimo l’attenzione di Devin. Le grandi porte metalliche di accesso si aprirono, bilanciate a regola d’arte per oscillare al minimo tocco. Il giovane uomo che le oltrepassò era senza dubbio nobile e, altrettanto senza dubbio, un poco ubriaco. Essere ubriachi era pericoloso all’interno della Casa delle Armi. Chi si recava ubriaco agli addestramenti, veniva mandato a casa e se lo faceva più di una volta, veniva respinto.



Persino ai clienti veniva mostrata la porta se non erano abbastanza sobri. Un uomo ubriaco munito di una lama era pericoloso, anche se non intenzionalmente. Quelli, però… indossavano colori di reali, ed essere qualcosa di diverso da educati significava rischiare più del mero lavoro.



“Ci servono delle armi,” disse quello davanti. Devin riconobbe il principe Rodry all’istante, grazie alle storie sul suo conto se non perché lo aveva già visto. “Abbiamo una battuta di caccia domani e potrebbe esserci anche un torneo dopo il matrimonio.”



Gund li raggiunse, perché era uno dei maestri della lavorazione del ferro lì dentro. Devin rimase concentrato sulla lama che stava forgiando, perché il minimo lapsus o errore poteva farvi entrare bolle d’aria che avrebbero formato delle crepe. Era motivo di orgoglio per lui che le sue creazioni non si rompessero, né frantumassero se battute.



Nonostante il metallo richiedesse tutta la sua attenzione, Devin non riusciva a distogliere gli occhi dai giovani nobili che erano andati lì. Sembravano suoi coetanei; ragazzi che cercavano di diventare amici del principe, piuttosto che Cavalieri dello Sperone al servizio di suo padre. Gund cominciò a mostrare loro lance e lame che avrebbero potuto fare al caso degli eserciti del re, ma loro le rifiutarono con un cenno rapido.



“Questi sono i figli del re!” disse uno del gruppo, indicando prima il principe Rodry e poi un altro uomo che Devin ipotizzò fosse il principe Vars, forse solo perché non sembrava abbastanza snello, cupo ed effeminato per essere il principe Greave. “Meritano qualcosa di più ricercato di questo.”



Gund iniziò a far vedere loro armi più sofisticate, con l’elsa dorata o con decorazioni sulla punta affilata. Mostrò loro persino alcune di quelle fabbricate dai maestri, con strati su strati dell’acciaio più raffinato, motivi ondulati incastonati in esse mediante il trattamento ad alta temperatura dell’argilla e punte che potevano fungere da rasoi qualora fosse servito.



“Troppo raffinate per loro,” mormorò Devin fra sé e sé. Prese la lama che stava forgiando e la esaminò; era pronta. La riscaldò un’altra volta, pronto a temprarla nella lunga vasca di olio scuro che era lì ad attenderla.



 Poteva vedere dal modo in cui sollevavano le armi e le agitavano che la maggior parte di loro non aveva la minima idea di cosa stesse facendo. Forse il principe Rodry sì, ma in quel momento era dall’altra parte del primo piano della Casa, in cerca di una grande lancia con la lama a foglia, per farla vorticare con la destrezza derivante da una lunga pratica. Al contrario, i suoi accompagnatori sembravano giocare a fare i cavalieri piuttosto che esserlo davvero. Devin poteva scorgere la goffaggine in alcune delle loro movenze e il modo in cui la loro presa sulle armi era un poco imprecisa.



“Un uomo dovrebbe conoscere le armi che fa e usa,” disse Devin, mentre immergeva la lama che aveva fabbricato nella vasca di raffreddamento. Scoppiettò con una fiammata istantanea, poi fischiò mentre si intiepidiva lenta.



Si esercitava con le lame, in modo da sapere quando erano perfette per un guerriero esperto. Allenava l’equilibrio e la flessibilità, così come la forza, perché gli sembrava giusto che un uomo forgiasse se stesso con la stessa cura che riservava a una qualsiasi arma. Trovava difficili entrambi i processi; conoscere le cose era più semplice per lui, fabbricare utensili perfetti, comprendere il momento in cui…



Un fracasso da dove i nobili stavano giocando con le armi catturò la sua attenzione, e lo sguardo di Devin guizzò rapido, appena in tempo per vedere il principe Vars in piedi nel mezzo a una pila di armature collassate dal supporto. Stava fissando Nem, un altro dei ragazzi che lavoravano alla Casa delle Armi. Nem era amico di Devin da tanto tempo quanto fosse in grado di ricordare; era robusto e, a essere onesti, nutrito fin troppo bene; forse non era il più acuto di mente, ma aveva delle mani in grado di dare forma al più raffinato oggetto metallico. Il principe Vars lo spinse con la forza che Devin avrebbe potuto riversare su una porta bloccata.



“Stupido ragazzo!” scattò. “Non guardi dove metti i piedi?”



“Mi dispiace, mio signore,” disse Nem, “ma siete stato voi a essermi venuto addosso.”



A Devin si fermò il respiro a quell’affermazione, perché sapeva quanto fosse pericoloso rispondere a un qualsiasi nobile, tralasciando che in questo caso era ubriaco. Il principe Vars si raddrizzò in tutta la sua altezza e poi colpì Nem in pieno volto, abbastanza forte da farlo ruzzolare giù fra l’acciaio. Urlò e si tirò su con del sangue sul braccio, dove qualcosa di affilato lo aveva colpito.



“Come osi rispondermi?” chiese il principe. “Dico che mi sei venuto addosso e tu mi dai del bugiardo?”



Forse qualcun altro lì dentro avrebbe potuto scoprirsi arrabbiato e pronto a combattere ma, nonostante la sua stazza, Nem era sempre stato mite. Sembrava solo mortificato e perplesso.



Per un attimo, Devin esitò, guardandosi intorno per capire se qualcun altro sarebbe intervenuto. Nessuno al seguito del principe Rodry sembrava volersi immischiare, forse troppo preoccupati di insultare qualcuno così superiore a loro nonostante il ceto; magari alcuni di loro credevano anche che il loro amico si meritasse qualche percossa per qualsiasi cosa pensavano avesse fatto.



Quanto al principe Rodry, era ancora di sopra, dall’altra parte del piano della Casa, a testare la lancia. Se aveva sentito il trambusto nonostante il baccano dei martelli in azione e i soffi di quelle forge incessanti, non lo dava a vedere. Gund non sarebbe intervenuto, perché quel vecchio uomo non era sopravvissuto così a lungo nel mondo delle ferriere andando in giro a piantare grane.



Devin sapeva di dover fare altrettanto e stare sulle sue, anche quando vide il principe alzare di nuovo la mano.



“Non ti scusi?” chiese Vars.



“Non ho fatto niente!” insistette Nem, forse troppo sconvolto per ricordarsi come funzionasse il mondo, ma la verità era che non era molto brillante quando si trattava di cose di questo genere. Era ancora convinto che il mondo fosse retto, pensava che non fare torti a nessuno bastasse come scusa.



“Nessuno può parlarmi così,” disse il principe Vars e colpì Nem di nuovo. “Adesso ti inculcherò le buone maniere a suon di legnate e, quando avrò finito, mi ringrazierai per la lezione; e se sbagli il mio titolo mentre lo fai, ti metterò in testa anche quello con lo stesso metodo. O, no, iniziamo con una bella lezione.”



Devin era consapevole di non poter fare niente, perché lui non era giovane quanto Nem, e sapeva come andava il mondo. Se un principe di sangue ti pesta un piede, sei tu a doverti scusare con lui o a doverlo ringraziare per quel privilegio. Se vuole la tua opera migliore, gliela vendi, anche se sembra incapace di brandirla nel mondo corretto. Non interferisci, non intervieni, perché farlo implicherebbe delle conseguenze, per te e per la tua famiglia.



Devin aveva una famiglia, al di fuori delle mura della Casa delle Armi. Non voleva che venisse fatto loro del male perché era stato una testa calda e si era scordato le buone maniere; ma non voleva neanche restare lì fermo, a guardare un ragazzo mentre viene picchiato fino a perdere i sensi per i capricci di un principe ubriaco. La sua presa si strinse sul martello e Devin lo posò, cercando di convincersi a restarne fuori.



Poi il principe Vars afferrò Nem per una mano e gliela posò di forza in basso, su una delle incudini.



“Vediamo che bravo fabbro diventi con una mano rotta,” disse. Impugnò un martello e lo sollevò e, in quel momento, Devin capì cosa sarebbe successo se non avesse fatto niente. Il cuore gli ruggiva in petto.



Senza pensarci due volte, balzò in avanti e afferrò il principe per un braccio. Non fece deflettere il colpo di molto, ma bastò a fargli mancare la mano di Nem per approdare sul ferro dell’incudine.



Mantenne la presa, nel caso il principe tentasse un secondo colpo per spaccargli la faccia.



“Che cosa?” disse il principe Vars. “Toglimi le mani di dosso.”



Devin lottò per immobilizzargli la mano; così vicino a lui, poteva sentire l’odore dell’alcol nel suo respiro.



“Non se avete intenzione di attaccare il mio amico,” disse Devin.



Sapeva che il solo aver fermato il principe, lo aveva messo nei guai; ma era troppo tardi ormai.

 



“Nem non capisce, e non è stato lui ad avervi fatto rovesciare metà delle armature qui dentro. L’alcol è la vera causa.”



“Toglimi le mani di dosso, ho detto,” ripeté il principe, mentre faceva scivolare l’altra mano verso il coltello da tavola che portava alla cintura.



Devin lo spinse via da sé con più delicatezza possibile. Una parte di lui sperava ancora di poter giungere a una risoluzione pacifica, anche se sapeva benissimo cosa stava per succedere.



“Non volete farlo davvero, vostra altezza.”



Vars gli lanciò uno sguardo truce, respirando forte, con un’espressione di odio puro.



“Non sono io ad aver commesso un errore qui dentro, traditore,” ringhiò il principe Vars, con un tono che evocava la morte.



Vars posò il martello e sollevò una spada d’armi da uno dei banchi da lavoro, sebbene fosse ovvio a Devin che non fosse esperto nel manovrarla.



“Proprio così, sei un traditore. Attaccare un reale è alto tradimento e chi commette il fatto muore per questo.”



Agitò la spada verso Devin che, d’istinto, prese la prima cosa che trovò. Era un martello che aveva forgiato lui stesso e lo alzò per bloccare il colpo, facendone risuonare il ferro su quello della spada prima che lo prendesse dritto alla testa. L’impatto gli fece vibrare le mani e non c’era tempo per pensare adesso. Colpendo la lama con la testa del martello, la scaraventò via dalla presa del principe con tutta la sua forza, facendola sferragliare sul pavimento per unirla alla pila di armature che giacevano lì.



Si fermò a quel punto. Era arrabbiato che il principe potesse andare lì e percuoterlo in quel modo, ma Devin era una persona di pazienza: i metalli la richiedono; un uomo che cede alle smanie in una ferriera finisce per farsi del male.



“Lo avete visto?” urlò il principe Vars, puntandogli contro un indice che tremava per rabbia, o paura. “Mi ha colpito! Catturatelo. Voglio che venga rinchiuso nella cella più profonda del castello e la sua testa deve essere appesa a un palo al mattino.”



I giovani uomini attorno a lui sembravano riluttanti ad agire, ma era ovvio che non si sarebbero schierati con qualcuno di umili natali che affronta un principe, com’era Devin. La maggior parte teneva ancora in mano spade o lance che avevano brandito con movenze di dilettanti e ora Devin si ritrovava nel mezzo di un anello formato da tali armi, tutte puntate dritte al suo cuore.



“Non voglio problemi,” disse, non sapendo cos’altro fare. Abbandonò il martello che risuonò sul pavimento, perché sarebbe stato inutile in quella posizione. Cosa poteva fare, cercare di cavarsela contro così tanti? Nonostante sospettasse di saperci fare con le lame più di quegli uomini, erano troppi anche solo per fare un tentativo, e cosa sarebbe successo se ci avesse provato? Dove sarebbe potuto fuggire e cosa ne sarebbe stato della sua famiglia?



“Forse non serve neanche una cella,” disse il principe Vars. “Forse lo decapiterò qui, dove potete vedere. Fatelo mettere in ginocchio. In ginocchio, ho detto!” ripeté quando gli altri non lo fecero abbastanza in fretta.



Quattro di loro avanzarono e spinsero Devin a terra, mentre gli altri tenevano le loro armi puntate su di lui. Il principe Vars, nel frattempo, aveva impugnato di nuovo la spada. La sollevò, ovviamente testandone il peso e, in quel momento, Devin comprese che sarebbe morto. La paura prese il sopravvento su di lui, perché non riusciva a vedere una via d’uscita. Non importava quanto pensasse, non importava quanto fosse forte; le cose non sarebbero cambiate. Gli altri potevano non essere d’accordo con ciò che il principe era sul punto di fare, ma si sarebbero comunque attenuti ai suoi ordini. Sarebbero rimasti lì in piedi, a guardare il principe agitare quella spada e…



… e il mondo sembrò assopirsi in quel momento, un battito cardiaco che scemava nel successivo. In quell’istante, era come se potesse vedere ogni muscolo nel corpo del principe, insieme alle faville del pensiero che lo animavano. Era facile in quel momento raggiungerle e incanalarle a suo piacimento.



“Ahia! Il mio braccio!” gridò il principe Vars, con la spada che sferragliava contro il pavimento.



Devin fissò la scena, attonito. Cercava di dare un senso a ciò che aveva appena fatto.



Ed era terrorizzato da se stesso.



Il principe era in piedi lì, a stringersi fo

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