Dannato Malloppo!

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Le buone maniere.

Se Hugg Badfinger aveva puntato diritto ad Agua Dulce, c'era un motivo. Lì, si trovava un misero negozio di cianfrusaglie; tuttavia se si avevano le giuste conoscenze, si poteva accedere a una discreta varietà di servizi... accessori. Ad esempio, era possibile impegnare qualcosa per un prestito o, addirittura, rivendere merce anche e soprattutto di dubbia provenienza. Certo, Aaron Mansill non era che un ricettatore da quattro soldi, però era il solo che Hugg conoscesse da quelle parti ed era l’unico con il quale aveva già concluso dei buoni affari. Una cosa era sicura, il commerciante non avrebbe mai potuto riscattare l'intera refurtiva: sia perché non aveva agganci così importanti da riuscire a reimmettere sul mercato tutta quella roba, sia perché non disponeva, neanche lontanamente, di una liquidità così cospicua da poterla acquistare. Se l’avesse avuta, non sarebbe stato lì a spillare spiccioli dai ladri di polli. A ogni modo, Hugg da qualche parte doveva pur sempre cominciare.

Non si era fidato a portarsi dietro tutto quel ben di Dio, così aveva nascosto larga parte del bottino sotto una roccia poco fuori dal paese. Era stato molto prudente e, prima di darsi da fare, si era appostato ed era rimasto a vigilare intorno a sé a lungo. In pratica, per tutto il tempo necessario a essere assolutamente certo che nessuno lo stesse spiando: una precauzione ai limiti della paranoia.

Giunse nel saloon di Agua Dulce poco prima di mezzogiorno. Giusto in tempo per farsi servire qualcosa dal vecchio Ben: una birra sgasata e calda come piscio, insieme a uno stufato di patate e coniglio. Era ragionevolmente sicuro che il coniglio non fosse coniglio, ma faceva lo stesso: l’importante era mettere qualcosa sotto i denti. Fortunatamente, grazie al suo aspetto lercio e all’atteggiamento cupo, era riuscito a starsene per i fatti suoi, in un angolo appartato, senza che nessuno lo avvicinasse. Regole non scritte stabilivano che avrebbe dovuto offrire da bere al suo vicino di bancone: aveva sempre odiato farlo e tale avversione non risultava affatto mitigata dal fatto che fosse diventato ricco. Completato il pasto, si fece assegnare una topaia ove alloggiare e vi si chiuse dentro a doppia mandata. Intendeva attendere la sera per recarsi dal ricettatore: presentandosi in corrispondenza dell’orario di chiusura, avrebbe avuto tutto il tempo di sbrigare l’affare a battenti serrati, senza essere disturbato da avventori occasionali.

Giunse la sera ed era quasi ora di incontrare Aaron. Prima di ogni altra cosa, si assicurò che i gioielli che si era portato dietro fossero ancora con lui. D’altra parte, dove potevano essersene andati. Poi infilò in una tasca interna del gilet il documento dall’aspetto importante, si accese un sigaro e scese di sotto a farsi un whiskey. Aveva la gola secca, inoltre, non ci si trovava a concludere affari senza un po’ di spirito in corpo.

Aveva appena portato il bicchiere alle labbra, quando una voce spiacevolmente familiare gli fece andare di traverso il drink.

«Sapevo che ti avrei trovato qui! Vedi che succede a ingozzarsi da soli? Lo dico sempre io: chi beve da solo si strozza!» Voleva dire esattamente ciò che stava affermando o quella frase nascondeva un doppio senso?

«Ben! Un bicchiere di acqua di fuoco anche per il mio amico.» “Che il diavolo se porti! Stupido alcolizzato! Perché non è crepato insieme agli altri di Little Pit?”

«Dimmi, Hugg: dove andavate tu e il tuo marmocchio con quella corsa? Ero di ritorno al villaggio. Prima, mi ha sorpassato un pistolero a cavallo che sembrava avere molta fretta, poi, quando ero quasi arrivato, vi ho visto schizzare via come se aveste il diavolo alle calcagna: avevate la stessa fretta del tizio e... anche lo stesso cavallo. Ho provato a seguirvi con il mio carretto, ma eravate così lanciati che vi ho persi di vista. Però, ho scommesso sul fatto che vi avrei trovato qui. Cosa gli avete trovato addosso?» Joe Otthims, che si era accomodato accanto a lui, accompagnò la domanda con un sorrisone complice e una gomitata scherzosa. L’uomo era enorme e sfoggiava un pancione oltremodo prominente. Era molto più grosso di Badfinger che, comunque, era assai ben piazzato. Il viso butterato e rubicondo era contornato da barba e capelli neri, incolti e schizzati di bianco. La voce rude, poderosa e il gergo colorito stridevano con il suo accento perfettamente inglese.

«Stai zitto, idiota!» gli sibilò l’altro guardandosi intorno allarmato.

«Allora, ci ho preso! A quanto ammonta la refurtiva? Cento? Duecento?» Ci provò, ma non era proprio capace di parlare sottovoce. Così, Hugg si limitò a rivolgergli uno sguardo feroce. Qualcuno si voltò verso di loro interessato.

«Cento bigliettoni e un orologio placcato d’oro che potrà fruttarmi centocinquanta dollari, almeno spero» sussurrò, in modo volutamente udibile, però. Due-trecento verdoni era la refurtiva più ricorrente dei clienti di Aaron: una discreta somma, ma nulla che potesse indurre qualcuno a fare cretinate. D’altra parte, quel posto brulicava di ruba galline che cercavano di ottenere somme simili dai loro miseri bottini. Anche lui non era mai andato oltre i duecento dollari di guadagno. Fino ad allora, s’intende.

«Hai cento verdoni in tasca e speri di cavartela con un solo sorso? Perlomeno, mi devi offrire un quarto di gallone di buon whiskey!»

Badfinger scosse la testa, sbuffò e infine fece un cenno al barista che gli consegnò un’intera bottiglia di bourbon. L'afferrò con rabbia e la sbatté sul bancone davanti a Joe, poi saldò il conto e se ne andò senza proferir parola. Si era pure dimenticato del sigaro, ma non importava: gli era passata anche la voglia di fumare. “Spero che sarà abbastanza ubriaco da scordarsi della faccenda per il tempo necessario a dileguarmi! Anzi, sarebbe molto meglio che gli scoppi il fegato una volta per tutte a quel dannato impiccione!” pensò imboccando l'uscita.

«Amico, stai attento a Mansill! Tira, sempre, a fregare sui prezzi!» gli gridò dietro il Gigante. No, non avrebbe dovuto offrirgli da bere, doveva riempirlo di buchi per vedere se zampillasse fuori dell’alcool. A stento, si era trattenuto dal farlo, ma i suoi non erano scrupoli: già così come erano andate le cose, buona parte della discrezione era andata a farsi friggere; se lo avesse affrontato, avrebbe attirato l’attenzione di tutto il paese.

Joe non si era ancora tracannato un terzo della sua bottiglia, che Donnola fece irruzione nel saloon. Era trafelato e ansimante.

«Ehi, Moccioso, hai sbagliato porta, qui non servono latte!» lo irrise un ceffo suscitando l’ilarità degli altri avventori e soprattutto quella dei suoi due compari di bevuta. Il solito spaccone: senza ombra di dubbio, si trattava di una mezza calzetta che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di darsi tante arie con un suo pari. Il ragazzo ignorò la provocazione e s’incamminò verso il bancone.

«Hai sentito cosa ti ho detto, puzzola, o vuoi che te lo spieghi a calci nel sedere?» Lo sbruffone si alzò per sbarrargli la strada.

Per nulla impressionato, Finn fece per passargli accanto. L’uomo decise di dargliene di santa ragione e fece per afferrarlo; tuttavia non ci riuscì, poiché si ritrovo con il braccio torto dietro la schiena da una forza incontrastabile. Immediatamente dopo, un calcio ben assestato lo mandò a schiantarsi contro il tavolo da cui veniva. Questa volta, l’ilarità della sala era rivolta a lui.

«Il ragazzo è un mio paesano. Tu e i tuoi compari continuate i vostri affari e non avrete noie.» Joe gli diede le spalle e, assai mestamente, tornò a sedersi per terminare la sua bevuta.

«Credo che sarai tu ad avere delle noie, scimmione!» Il rumore di tre pistole che venivano armate era inequivocabile. Otthims prese il sigaro lasciato da Hugg, fece un tiro, mise una mano sotto il gilet per grattarsi la pancia e sbuffò contrariato. Poi, con la sua usuale flemma, si girò verso di loro senza neanche alzarsi dallo sgabello: aveva un ordigno pieno di polvere nera in mano. La miccia era accesa… e assai corta.

«Innanzitutto, imparate le buone maniere: non ci si siede a tavola con le pistole! Avrete capito che di questa locanda e anche di noi tutti, ovviamente, non rimarrà che il ricordo. Questo, se non buttate le armi entro tre, due, uno…» I tre obbedirono e Finn requisì i revolver in un attimo. Nel frattempo, Joe spense l’ultimo quarto di pollice rimasto dell’innesco.

«Molto bene. Ora, siccome sono impegnato con questa bella signora, gradirei non essere disturbato.» Lisciò il fianco della bottiglia come se fosse quello della bagascia nuda raffigurata nello squallido dipinto in mostra dietro il bancone.

I tre compari disponevano ancora di coltelli a serramanico, mentre il bestione si era disinteressato delle loro pistole, lasciandole nelle mani del moccioso. Così, si guardarono e si intesero: in tre e armati, contro un pachiderma disarmato e di spalle non ci sarebbe stata storia.

Estrassero le lame e si lanciarono verso di lui. Il primo capitombolò a terra a causa dello sgambetto di Finn. L’affondo del secondo fu intercettato da Joe che gli afferrò il polso con un vigore tale che si sentì uno schiocco d’ossa spezzate: forse, voleva solo fargli perdere la presa sul coltello, ma, evidentemente, non aveva ben dosato la forza. In un lampo, senza lasciare la presa, schiantò la mano stessa dell’uomo in faccia al terzo che, impressionato dall’accaduto, aveva esitato un attimo nel portare l’attacco. Un doppio crack sovrapposto testimoniò che né le ossa della mano del ceffo né quelle della faccia dell’altro avevano retto l’immane impatto. Un uomo giaceva esanime in una maschera di sangue, mentre l’altro guaiva per le fratture riportate al braccio. Per fortuna, durò poco, poiché, con un pugno in testa tale da abbattere un bisonte, Joe mandò a dormire pure lui. Nel parapiglia, il tipo sgambettato da Donnola cercò di strisciare quatto, quatto per piantare la lama nel polpaccio del bestione; tuttavia il ragazzo lo notò prontamente e gli stampò la punta dello stivale nella tempia mettendolo definitivamente fuori combattimento. Una cosa era certa, i tre non si sarebbero rimessi in piedi a breve. Tutti gli altri clienti, smisero di ridere e, dissimulando disinvoltura, tornarono alle loro cose.

 

Il barista scosse la testa estenuato, gettò sul bancone il panno con cui stava asciugando i bicchieri e trasse un respiro profondo: in quel dannato posto, non passava una settimana senza una rissa. Otthims notò il suo sconcerto e lo consolò: «Spero di non aver fatto troppi danni. Solamente io ti posso capire: gestivo un saloon un tempo.» Solo che in quello suo, non c’erano mai state abbastanza persone per metterne una contro una in una zuffa.

Il Gigante rovistò nei vestiti dei due che aveva steso, ma ne ricavò a stento nove dollari che depositò direttamente sul bancone. «Ben, questi sono per il disturbo. Giovane Badfinger, lui ripuliscilo pure tu.» Indicò il tizio steso dal ragazzo: era lo spaccone che lo aveva schernito. In tasca aveva solo sei dollari; in compenso, con un colpo ben assestato del calcio della pistola, gli carpì un dente d’oro.

Quando vide l’oste togliersi il grembiule per sistemare il locale, Joe lo fermò con un gesto della mano accompagnato da un sorriso cordiale. «Stai, stai! Ci penso io a gettare la spazzatura.» Si caricò un uomo sulla spalla ampia come la sella di un palafreno, gli atri due li sollevò, uno per mano, usando la loro camicia come manico. Quindi, li trasportò fuori e li gettò nello spiazzo a raccogliere polvere.

Si riavviò verso il locale per finirsi la bevuta in santa pace, ma si trovò dinanzi Donnola.

«Signor Otthims, Ben mi ha detto che il mio vecchio ha parlato con te e se n’è andato poco fa. Sai dove?» Sapeva che il padre si recasse sporadicamente da quelle parti a vendere oggetti, ma non aveva idea di dove andasse con esattezza, inoltre, sperava di appurare quali informazioni il Gigante era riuscito a spillare dal padre.

«E’ andato da Aaron Mansill a cambiare il bottino.» Il sorriso era quello di chi la sapeva lunga.

“Non posso credere che abbia detto del malloppo a questo sempliciotto!” Doveva indagare un po’ meglio.

«Ma questo Aaron può cambiare una refurtiva come quella nostra?»

«Certo, è facile smerciare un buon orologio, anche se dovesse rivenderlo al doppio di quanto l'ha pagato. Ho provato a dirglielo a tuo padre, ma se n’è andato senza darmene l’occasione! Magari fai ancora in tempo ad avvertirlo: se è veramente placcato d’oro come dice, non deve scendere sotto i duecento dollari, centocinquanta sono decisamente pochi.»

«Allora devo sbrigarmi! Solo che non so dove si trova il ricettatore.»

«Nessun problema, figliolo. Vai a sinistra fino al maniscalco, imbocca la via a destra, poi procedi per qualche passo e troverai un negozietto malmesso e pieno di cianfrusaglie: non puoi sbagliarti, questo paese è buco. Muoviti, se vuoi fare in tempo.»

«Grazie!» Il ragazzo si lanciò in una corsa a capofitto. Il motivo della sua fretta era ben più importante di cinquanta dollari. Probabilmente, lo Sbirro, Rick, era da quelle parti e doveva avvertire il padre. Infatti, quando stava per giungere ad Agua Dulce, aveva sentito un rumore di zoccoli dietro di lui; fortunatamente, era coperto da una montagnola, così, aveva fatto in tempo a nascondersi dietro un cespuglio. Da lì, lo aveva visto passare: che fosse andato anche lui a concludere affari con Mansill?

Buoni affari.

Gli orologi esposti nel negozio, null’altro che cianfrusaglie in un cumulo di cianfrusaglie, tutti quegli orologi da quattro soldi segnavano le sette. Come ogni maledetto giorno, lo avevano tenuto in ostaggio con il loro incedere pressoché immoto. E allo stesso modo di sadici aguzzini, lo avevano torturato con il loro ticchettio tedioso e con la loro metodica flemma. Tuttavia, essi stessi proclamavano la migliore notizia quotidiana: la sua liberazione. Finalmente le sette, l’ora di chiudere i battenti, sedersi da Ben per ingoiare a forza lo scempio culinario del giorno, lamentarsi con il primo che gli capitasse a tiro degli affari che andavano a rotoli e infine, buttare le stanche membra sulla branda sgangherata della sua squallida stanzetta.

Aaron Mansill non era un plurimilionario, ma abbastanza abbiente per permettersi qualche agio in più, lo era senz’altro. Il fatto era che fosse ossessionato dai ladri, li vedeva ovunque e in chiunque, persino negli uomini che, di volta in volta, ingaggiava per farsi proteggere o per riscuotere quanto gli spettava. Per tale motivo, preferiva scegliere assistenti un po’ tonti e ligi al limite del ridicolo: le cretinate o le sviste, che potevano commettere, erano controbilanciate dal fatto che non l’avrebbero fregato e soprattutto dal fatto che da guardie non si sarebbero trasformati in rapinatori. Faceva di tutto per mostrarsi povero ed effettivamente viveva come tale. Era condannato a condurre un'esistenza da miserabile fino alla morte; tuttavia era quello il prezzo da pagare per diventare sempre più ricco...

Non che gli restasse molto da campare: aveva poco più di sessant'anni, ma decenni di stenti e rinunce lo avevano logorato nel fisico e nello spirito. Così, ne dimostrava venti in più. Era di statura infima, magro, ricurvo e malnutrito: la sua pelle era cadaverica, i suoi arti, deboli e tremanti. Era quasi completamente sdentato, ma non portava protesi: preferiva così, non poteva concepire che si impiegasse dell'oro, il nobile araldo della ricchezza, per dei miseri denti. Aveva serie difficoltà a mangiare? Ancora meglio, avrebbe speso meno danaro in effimere vivande.

Non vi erano dubbi, Aaron era proprio un uomo generoso. Aveva dato tutto se stesso per i soldi: per loro, si era speso senza risparmiarsi, in anima e corpo, e in cambio, non aveva mai chiesto nulla. Li aveva messi al sicuro, li aveva protetti, coltivati, coccolati e, mai e poi mai, li aveva sperperati.

Era necessario che il suo negozio apparisse esattamente come lui: vecchio, ripugnante, inutile e malandato. Quale fuorilegge avrebbe mai potuto bramare di rapinare un posto del genere? E poi, anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla: Danny, così chiamava il suo adorato tesoro, era al sicuro altrove.

Ripose il libro mastro nel cassetto della scrivania tarlata e si sollevò dalla sedia con un gemito. In piedi non era tanto più alto che da seduto. Indossò il piccolo copricapo di stoffa nera e afferrò il bastone da passeggio, praticamente una stampella per lui. Anche questo era malmesso: le sporadiche macchie di vernice rimaste testimoniavano che un tempo fosse laccato, ma ormai non era altro che un asta di legno scorticata con una testa in ottone ossidato.

Era intento a chiudere gli infissi, quando intravvide una grossa sagoma attraverso il vetro lordato da anni di sporco mai lavato. Come sempre, ebbe un brivido. Aaron asseriva di ripudiare l’uso delle armi, quindi non le usava: la realtà era che non aveva neanche la forza di sollevare una pistola senza tremare, figuriamoci di sparare. Comunque, non ripudiava affatto che altri le utilizzassero al posto suo per le faccende inerenti i suoi affari.

«Ripulite l’argento, qui?» Entrando, il cliente aveva esordito con la frase che presupponeva la necessità di riciclare merce di dubbia provenienza. La porta era così minuscola che l’omone dovette chinarsi e torcersi per entrare.

«E non solo quello. Ah, sei tu, Hugg.» Aveva già lavorato per lui e sempre come ricettatore, purtroppo: il più delle volte si trattava di effetti personali sottratti a chissà chi o piccole refurtive. Una cosa era certa, quell’uomo era un vero spilorcio, spaccava il cent: condurre affari con lui era, a dir poco, spiacevole.

Con il riciclaggio Mansill guadagnava abbastanza, ma i veri introiti li faceva con i prestiti. Prestare danaro era come coltivare i fagioli: metti un seme nella terra e se è fertile, ne ottieni un sacchetto pieno. Il suo piccolo contributo finanziario ai desideri del cliente era il seme, il vano ottimismo degli stolti era la terra fertile e gli interessi erano il concime. A prima vista, verrebbe da pensare che Aaron fosse un uomo troppo attaccato ai beni materiali; tuttavia non era così: i tassi d’interesse non sono fisicamente tangibili, sono un concetto astratto, eppure li adorava quasi al pari del denaro stesso. Li rispettava con diligente dedizione, quindi, che male c’era, se pretendeva che anche le persone in affari con lui facessero lo stesso?

A dispetto della sua bruttezza esteriore, il commerciante aveva diversi altri pregi interiori. Ad esempio, era un uomo di larghe vedute e assai tollerante. Infatti, pur essendo un convinto astemio, non denigrava coloro che passavano le giornate a ubriacarsi: tutt’altro, li vezzeggiava, li coccolava ed era sempre pronto ad aiutarli. Capitava spesso che per farsi una bevuta, impegnassero effetti personali che valessero almeno dieci volte quanto ricevevano in cambio: l’importante era rassicurarli che ce l’avrebbero fatta a ripagare un così piccolo debito. Naturalmente, non ci riuscivano, praticamente, mai. Nessun problema, si sarebbe accontentato di quanto lasciato a garanzia. La stessa apertura mentale la dimostrava anche con i giocatori d’azzardo: per quel che lo riguardava, non aveva neanche idea di come si giocasse a carte o a dadi, tuttavia era sempre pronto a supportare i praticanti.

Mansill considerava il riciclaggio come una forma di propaganda, un ottimo modo per azionare la macchina dei suoi affari. Gli uomini di quelle parti non erano avvezzi a gestire più di dieci dollari alla volta. Così, quando entravano nel suo negozio per vendere merce rubata, molto spesso, ne uscivano con un bel gruzzoletto, un enorme sorriso stampato sul volto e un unico desiderio: andarsela a spassare. Che fosse in un saloon, in una sala da gioco, in un bordello o in tutti e tre, non importava: una cosa era certa, ci prendevano gusto e non riuscivano più a smettere. Finivano i soldi e tornavano da lui per un prestito.

I vizi sono una brutta bestia e se a un certo punto non si pone un freno, ti uccidono.

Anche a questo ci pensava il buon Aaron: quando quei poveri sprovveduti non avevano più neanche le mutande da impegnare, il commerciante capiva che, ormai, avevano sviluppato una vera dipendenza e smetteva di foraggiarli per evitare che le cose peggiorassero ulteriormente. Quante persone aveva salvato in quel modo!

Insomma, era un autentico benefattore. Eppure, tutti lo disprezzavano.

A ogni modo, di una cosa era sicuro: quell’uomo, Badfinger, era un vero spilorcio e sicuramente non sarebbe incappato nella trappola dei vizi costosi neanche se da lì fosse uscito con mille dollari in tasca.

Questo era un altro buon motivo per non nutrire simpatia nei suoi riguardi. Sapeva per esperienza che se gli avesse dato dei soldi in cambio della merce, questi, a differenza di quanto gli accadeva di solito, non sarebbero tornati indietro mai più.

Stava di fatto che ormai l’uomo fosse entrato e che non gli restava altro di cercare di pagare quanto gli proponeva il meno possibile, in modo di guadagnare almeno qualcosa con il ricarico. Una cosa era certa: non gli avrebbe dato neanche un cent oltre la metà di quanto valesse la sua refurtiva sul mercato nero, cioè, un quarto del valore stimato per i canali commerciali legali.

«Caro Aaron, questa volta, ti faccio arricchire sul serio!» esordì Hugg con un sorriso complice.

“Se tutti i clienti fossero come te, il negozio sarebbe fallito e io starei a revisionare i libri contabili di qualche imprenditore” pensò e disse: «Ricco? Non vedi come mi sono ridotto? Purtroppo, non tutti i clienti sono affidabili come te, ed è per causa loro che sono sul lastrico. Sono felice che sia qui, abbiamo sempre fatto buoni affari, noi due.»

«Soprattutto tu. Tuttavia, non mi lamento: non mi hai mai affibbiato una banconota falsa.»

Aaron ne aveva rifilate parecchie di false valute, ma sempre a persone con un piede nella fossa o comunque incapaci di nuocergli e impossibilitate da una taglia sulla testa a presentarsi nell’ufficio dello sceriffo per avanzare rimostranze legali. Sicuramente, non si sarebbe mai azzardato a fare un tiro mancino così palese a un tipo pericoloso come Badfinger.

«Ti piace scherzare. Magari avessi qualcosa per stamparle!»

«Mi hanno detto che sei anche un falsario, a questo punto devo dedurre che sei un pessimo falsario. Comunque, non importa: a me servi come ricettatore.»

 

«Come al solito, d’altra parte!»

«Eh già! Ma stavolta, l’argomento è un po’ più sostanzioso. Ci sarà da parlare a lungo e senza intromissioni.» Si era portato dietro abbastanza ninnoli per ottenere almeno mille dollari. Certo, ne valevano quasi tremila, ma sapeva bene che da quello spilorcio di Aaron non avrebbe mai potuto spillare tanto denaro.

«Ho capito. Chiudiamo la porta, ma sappi che per i contanti dovrai aspettare domani, ho solo diciotto dollari nella cassa.» Meglio chiarire subito che non valesse la pena tirare brutti scherzi.

«Sì, so come funziona: abbiamo fatto così anche la scorsa volta. Ora ci accordiamo per il prezzo. Poi, domani, mi mandi un tuo scagnozzo per portarmi i soldi e ritirare la mercanzia.»

«Dipendente temporaneo, non scagnozzo. Se dici così, mi fai sentire come un uomo di malaffare.»

«Sei o no un dannato strozzino?»

«Il fatto che mi impietosisca nel vedere delle persone in difficoltà economica non fa di me un usuraio.»

«Ho visto come ti sei impietosito di Mudd: è partito da Little Pit con una cassa di fucili sottratta, a suo rischio e pericolo, sotto il naso dei soldati ed è tornato in mutande, con la faccia gonfia ed entrambi i pollici spezzati.»

«Le armi, specie quelle dei militari, sono un argomento scomodo, molto scomodo. Nonostante ciò, ho trovato il modo di pagargliele profumatamente. Subito dopo, quello sprovveduto si è giocato tutto a poker ed è tornato da me. Un tipo meno generoso lo avrebbe mandato via, io invece ho voluto aiutarlo. Poi, però, voleva prendersi gioco di me e allora sono stato costretto a mandare un mediatore a persuaderlo di restituirmi il maltolto. Non sono tanto bravo a convincere le persone, così mi sono avvalso della competenza di chi sapeva farlo meglio di me. Non sono certo io l’esperto in recupero crediti. Tu sei libero di ritenere che il mio collaboratore abbia un po’ esagerato con il tuo amico, ma personalmente mi astengo dal formulare giudizi sull’operato di un professionista in un mestiere del quale, ti ribadisco, so poco e niente.»

«Tutte queste parole complicate per dirmi che te ne lavi le mani. Non pensare di raggirarmi, Strozzino! E poi, se hai potuto fare dei buoni affari con me, lo devi proprio a Mudd che ci ha fatto conoscere.» Ecco, proprio l'avergli messo quell’ostico cliente tra i piedi era un altro valido motivo per averlo fatto sistemare per le feste, oltre al fatto che aveva provato a non restituirgli quanto gli spettava. Lo ricordava perfettamente: si trattava di riavere indietro i cinquanta verdoni che gli aveva prestato, più un altro piccolo obolo accessorio di quarantanove per il servizio offerto. Ovviamente, si era reso necessario farsi rimborsare ulteriori venti dollari per l’onorario da conferire al mediatore che aveva gentilmente provveduto alla sistemazione definitiva del conto in sospeso. Tutti costi documentabili; eppure, la gente si ostinava a considerarlo un usuraio.

«Non è mia intenzione raggirare nessuno: la cosa che più mi preme è essere trasparente e chiaro con i miei clienti, soprattutto con i migliori clienti, come te. Sarà perché sono troppo onesto che, pur commerciando con tanta roba di valore, non sia mai riuscito a sollevarmi dalla mia condizione di totale indigenza. Purtroppo, non sono che un intermediario e di quanto mi passa per le mani mi resta ben poco. Se poi si considerano quelli che tirano le cuoia prima di saldare i debiti o il fatto che non sempre riesca a rivendere quanto acquistato, ti sarà evidente che è un miracolo che non sia del tutto fallito. Come puoi constatare con i tuoi occhi, mi sono ridotto a uno spettro nel praticare questo lavoro e non ne ho tratto un ragno dal buco.» Quante volte aveva riproposto lagnanze simili e in quanti diversi contesti! Era, forse, l’unico argomento di cui discuteva e l’unica confidenza che concedeva. Fasulla, tra l’altro. D’altra parte, nascondere qualcosa era il modo migliore di proteggerla. Di Danny era geloso, lo era all’inverosimile: esclusivamente lui doveva essere al corrente, non solo della sua consistenza, ma anche della sua stessa esistenza.

«Sbaglio o questo discorso l’ho già sentito? Comunque, bando alle ciance e rifatti gli occhi! Qua ci sono quasi cinquemila dollari in oro e pietre preziose.» Hugg aprì il fagotto sulla scrivania rivelandone il contenuto.

Effettivamente, lo sguardo di Aaron brillò per un istante di un barlume inquietante. Per Badfinger fu spiacevole come se stesse guardando con desiderio il posteriore della sua donna, però, in quel momento, doveva concludere un affare e per un migliaio di verdoni, avrebbe acconsentito a privarsi di quegli ori. D’altra parte, sua moglie, buonanima, l’avrebbe tranquillamente venduta per molto, molto meno. Anzi, a dirla tutta, l’aveva fatto sul serio, ma lei si era rifiutata: fu anche per quel motivo che l’aveva uccisa, oltre al fatto che aveva osato interferire con i suoi diritti in termini di patria potestà. I figli erano sua proprietà e se stabiliva di eliminarne uno perché indegno, era un suo pieno diritto. Si trattava di un concetto semplicissimo e incontestabile. Eppure, quell’oca, che aveva malauguratamente sposato, aveva preso a starnazzare fino a esasperarlo. Ammazzare anche lei fu inevitabile, ne andava del suo onore di capofamiglia. Un tempo, aveva un futuro come trapper: era il migliore, ma per colpa loro aveva dovuto darsi alla macchia per vivere come un cane randagio in quella landa maledetta. Tuttavia, il tempo del riscatto era finalmente giunto.

Rapito da quei pensieri, si era perso tutto l’inutile preambolo in cui il ricettatore, armato di monocolo, aveva sciorinato parole complicate per screditare la sua merce. Tornò alla realtà nell’istante migliore per cogliere l’unico concetto di quel lungo discorso che valeva la pena di ascoltare: la valutazione finale.

«…tutto ciò predetto, direi che potrei addirittura arrivare a darti ben cinquecento dollari. Non chiedermi di più perché farei fatica a trovare ulteriore contante.»

«Che ti venga un colpo, dannato spilorcio! Hai sentito quello che ti ho detto? So per certo che questa roba ne vale cinquemila!» imprecò Hugg pensando: “Molto bene! Cinquecento dollari sono un buon punto d’inizio.”

“Eccellente! Non sembra averla troppo male. La sua roba vale tremila verdoni, ma non gliene darò più di settecentocinquanta, cioè un quarto del suo prezzo” constatò Aaron che rispose: «Ora non esageriamo giovanotto! Al più, ne vale duemila sul mercato pulito. In quello nero non arriva alla metà. Poi considera il fatto che debba trovare acquirenti e che non è detto che li trovi, le spese organizzative… Pagandoti cinquecento dollari, se va tutto bene, ne guadagno, sì e no, trecento. Se invece dovesse andare male, rimarrei con un pugno di mosche.»

«E’ il caso che tu chiuda i battenti, sei troppo vecchio per fare questo lavoro. Oltre a non sentirci, neanche ci vedi bene. Ti sembrano gioielli che puoi trovare a soli duemila dollari? Vedi di pulire bene quella lente e guarda quali meraviglie sono entrate in questo mondezzaio di negozio! Vorrà dire che andrò da qualcun altro senza la cataratta negli occhi: non sei l’unico con cui sono in affari.»

«D’accordo, d’accordo. Te lo concedo: forse in una boutique per nababbi questa roba la smerceresti a duemilacinquecento dollari. Tuttavia, il mercato nero paga al massimo la metà: cioè milleduecentocinquanta bigliettoni. Guarda, giusto perché sei tu e per garantirmi che continueremo a fare buoni affari insieme, questa volta, voglio rovinarmi. Non sono un avido e se riesco a guadagnare i miei onesti trecento dollari, sono contento. Quindi, i duecento cinquanta in più, che con cieco ottimismo ho voluto conferire al valore di questa roba, li do tutti a te. Chiudiamo a settecentocinquanta. Poi la gente si chiede come mai sia sul lastrico...»

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