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Читать книгу: «Le stragi delle Filipine», страница 17

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Capitolo XXVIII. L’ULTIMA LOTTA

Il valore e la tenacia delle truppe spagnuole, dopo quattro mesi di lotte sanguinose, avevano trionfato contro le innumerevoli, ma male organizzate bande degl’insorti.

L’ultima ora stava per suonare per l’insurrezione scoppiata nella maggiore isola delle Filippine. Nessuno sforzo, nessun eroismo, poteva piú rialzare le sorti.

Caduta Cavite, Noveleta, Rosario e Malabon, agl’insorti piú non rimanevano che Bulacan al nord dell’ampia baia, ma già stretta da vicino dalle vittoriose truppe del generale Jaramillo; Santa Cruz sul lago Bay, ma già in procinto di cadere, Naie nella provincia di Cavite dove si erano ritirate le bande di Aguinaldo contro le quali si preparava ad agire il generale Sucre alla testa di venti compagnie, e pochi altri luoghi di nessuna importanza, che dovevano cadere al primo assalto.

Le sottomissioni erano cominciate su vasta scala, dopo quelle strepitose vittorie. Nella sola provincia di Manilla, dal 2 al 4 aprile novecento insorti e duemila famiglie si erano presentati per l’indulto e millecento combattenti avevano deposto le armi nella provincia di Nueva-Eciya, compresa l’intera banda del capo Castillo, la piú numerosa e agguerrita, mentre dieci mila famiglie avevano abbandonata la causa della libertà.

Malgrado però cosí tanti disastri e cosí tristi notizie, Romero e Hang-Tu non avevano cedute le armi, quantunque fossero convinti dell’inutilità dei loro sforzi.

Dopo d’aver combattuto valorosamente, con coraggio disperato, dinanzi alla borgata che fiammeggiava alle loro spalle, si erano ritirati nell’interno dell’isolotto per mettere le bande, che erano ancora rimaste, al coperto dagli obici della flotta, improvvisando un accampamento a due chilometri dalle rovine di Malabon.

Erano ancora in quattrocento, la maggior parte meticci e tagali e tutti bene armati; ma una sessantina di loro erano feriti piú o meno gravemente e destinati, in gran parte, a morire, non possedendo medicamenti e non avendo un solo medico. Per di piú i viveri, distrutti quasi tutti dall’incendio che aveva divorato Malabon, stavano per mancare e le bande erano quasi completamente accerchiate e quindi nell’impossibilità di poter ricevere soccorsi.

Romero ed Hang, dopo d’aver fatto improvvisare alcune trincee, avevano fatto radunare tutti i capi delle bande per risolvere sul da farsi.

– La nostra posizione è, se non disperata, certo gravissima, – disse Romero, rivolgendosi ai capi. – È necessario prendere una decisiva deliberazione, prima che gli spagnuoli, imbaldanziti dalle vittorie, si risolvano a varcare il canale ed assalirci qui, distruggendo gli ultimi difensori della libertà.

«Ormai non possiamo contare che sulle nostre sole forze e sul nostro valore. Nelle regioni del sud l’insurrezione è domata o quasi, e in quelle settentrionali, le sconfitte dei nostri si succedono sempre piú disastrose. Anche Bulacan si può considerare perduta.

«L’intenzione mia e di Hang-Tu sarebbe di tentare di rompere la cerchia di ferro che minaccia di soffocarci, di attraversare il canale e di raggiungere le montagne dell’isola, per mantenere ancora viva la nostra morente fiamma della libertà. Manilla per noi è per sempre perduta e sarebbe follia sperare di prenderla.

«Sulle rive della Grande Pampanga e del Chica e sulle altre cime del Caraballo de Baler, noi potremo trovare un asilo sicuro ed attendere giorni migliori per riprendere la lotta contro gli avversari.»

– Credo che il vostro piano sia il migliore, – rispose un capo banda, dopo d’averlo ascoltato in silenzio. – Nella provincia di Manilla piú nulla ci rimane da fare.

– Ma non si potrebbe tentare di raggiungere le bande di Bulacan? – chiese un altro capo.

– Avevamo pensato a questo, – riprese Romero, – ma noi siamo troppo pochi, per assalire alle spalle le truppe del generale Jaramillo che ci chiudono la via. Si potrà tentare di raggiungerle piú tardi, scendendo lungo le rive della Grande Pampanga del Rio de Quingua.

– Riusciremo noi a forzare la cerchia che ci rinserra?

– Lo si tenterà, – disse Hang-Tu. – Forse gli spagnuoli non ci credono ancora tanto numerosi e non si attenderanno un attacco da parte nostra.

– Sarà cosa prudente, – osservò Romero, – di mandare alcuni uomini risoluti sulla riva opposta, per spiare le posizioni degli spagnuoli, onde sapere se converrà ripiegare subito su Obando o su Meyca.

– O su Calocan? – chiese un capo banda.

– Non bisogna pensarvi, – disse Romero. – Calocan deve essere già occupata dal nemico.

– E quando tenteremo l’attacco? – chiesero i capi banda.

– Appena avremo la certezza di poterci ritirare su una o l’altra delle due borgate sopraccennate, – rispose Romero. – Questa sera gli esploratori attraverseranno il canale e andranno a vedere quale via ci converrà prendere, dopo forzato il passo.

– E se questo ultimo tentativo risultasse vano?

– Morremo tutti col grido di «Viva la libertà» sulle labbra, – risposero Hang-Tu e Romero.

– E sia, – dissero i capi banda. – I difensori di Malabon non si arrenderanno.

– All’opera, fratelli, – disse Romero. – Dobbiamo costruire le zattere necessarie ad attraversare il canale.

La seduta fu sciolta e tutti ritornarono alle loro bande per dare principio alla costruzione dei galleggianti, mentre Hang-Tu andava a scegliere gli uomini destinati a prendere parte a quelle pericolose esplorazioni sul territorio occupato dal nemico.

Romero, uscendo, si era incontrato con Than-Kiú, che pareva lo attendesse.

– Ebbene, mio signore? – gli chiese la giovane chinese. – Tutto non è perduto ancora, è vero?

– No, fanciulla, – rispose Romero, – ma temo che il destino stia per segnare la fine dell’insurrezione.

– Ma noi fuggiremo da qui.

– Lo tenteremo, Than-Kiú.

– E dove andremo?

– Nelle regioni settentrionali dell’isola.

Un vivido lampo brillò negli occhi del chinese.

– Noi andremo lontano da Manilla! – esclamò.

– Sí, lontano, forse molto lontano, – rispose Romero, con un sospiro.

– L’aria di Manilla fa male a te, mio signore.

– E fors’anche a te, è vero Than-Kiú, – disse il meticcio con un malinconico sorriso.

– A me è fatale, mio signore. Là, sulle alte montagne del nord, il Fiore delle Perle forse rifiorirà piú rigoglioso ed il suo cuore soffrirà meno.

– Non illuderti, mia povera fanciulla.

– Il mio signore non dimenticherà forse mai la Perla di Manilla?

– Than-Kiú, credi tu che i lillà del tuo paese possono vivere senza il sole?

– È vero, non lo potrebbero, disse la fanciulla, diventando triste. – No, i lillà non germogliano senza il tiepido raggio dell’astro dorato.

– Lo vedi, Than-Kiú e poi… chissà, forse domani piú nessuno di noi potrebbe essere ancora vivo.

– Hai dei tristi presentimenti, mio signore? – chiese Than-Kiú, rabbrividendo.

– Vedo sempre buio nel mio avvenire. Mi sembra che le nere e gelide ali della morte mi sfiorino.

– Allora noi morremo tutti, mio signore. Anch’io ho sognato questa notte che la morte mi stava vicina, ed ho veduto volteggiarmi intorno lo spirito di mia madre.

– Triste presagio, – mormorò Romero, che aveva pure provato un brivido. – Temo che noi siamo tutti votati alla morte.

– Morremo insieme, mio signore!

– Ma prima di cadere io cercherò di salvarti, Than-Kiú. Tu sei troppo giovane per dare un addio alla vita.

– Che importerebbe a me la vita senza di te, mio signore?

– Il tuo cuore potrebbe ancora battere per un altro e con maggior fortuna. Quell’altro non avrebbe un’altra Perla di Manilla.

La giovane chinese crollò mestamente il capo, poi disse con suprema energia:

– Mai, mio signore!…

– Sublime creatura, – mormorò Romero, guardandola con tenerezza. – E tanto affetto, tanta costanza dovrà infrangersi contro il destino!

Aveva fatto a Than-Kiú un gesto d’addio e si era allontanato rapidamente, dirigendosi verso il mare. Si recava colà per vedere se la flotta spagnuola aveva sbarcati i suoi equipaggi nei dintorni delle rovine di Malabon, ma si era anche allontanato per nascondere la sua commozione e per troncare quel colloquio che per lui diventava penoso.

La flottiglia che aveva distrutta la borgata, non aveva abbandonate la acque dell’isola, anzi approfittando dell’assenza dei ribelli, le cannoniere che pescavano meno si erano avvicinate all’imboccatura del canale e qualcuna si era già ormeggiata sotto la costa, gettando a terra un pontile.

Gli equipaggi non erano sbarcati, ma ormai in pochi minuti potevano approdare indisturbati e correre addosso agl’insorti, se le truppe spagnuole di terra si fossero risolute a varcare il canale.

– Attendiamoci un attacco anche da questa parte, – disse Romero. – Il pericolo ci stringe da tutte le parti e forse ci schiaccerà!

Quando ritornò all’accampamento la notte era già inoltrata e gli uomini scelti da Hang-Tu fra i piú valorosi, si preparavano a partire per esplorare il terreno sulla riva opposta del canale, in direzione di Obando e di Meyca.

Alla mezzanotte quel piccolo gruppo di audaci, imbarcatisi su di una zattera, attraversarono silenziosamente il canale, sbarcando fra i canneti della riva opposta.

Hang-Tu, Romero e tutti i capi delle bande si erano radunanti sulla spiaggia dell’isola tendendo ansiosamente gli orecchi, ma nessun allarme era echeggiato al di là del canale, né alcuno sparo. Gli esploratori, protetti dalle tenebre, erano riusciti a passare senza essere veduti dagli spagnuoli che dovevano accampare in quei dintorni.

Il 4 maggio la situazione degl’insorti di Malabon non variò. Gli equipaggi delle cannoniere non erano ancora sbarcati e le truppe di terra nulla avevano intrapreso sulla riva opposta del canale, ma i due capi dell’insurrezione per ciò non erano tranquilli. Sentivano per istinto che i nemici si preparavano per un attacco decisivo.

Già alcune scialuppe erano state vedute all’estremità del canale, e quelle che indicavano che le truppe di terra si radunavano su qualche punto della costa per tentare, piú tardi, d’irrompere sull’isola.

Alla notte, uno degli otto uomini mandati in esplorazione faceva ritorno, attraversando a nuoto il braccio di mare, ma aveva cattive notizie. Obando era occupata da una forte avanguardia di spagnuoli con qualche pezzo d’artiglieria, e piú al sud aveva incontrato numerose truppe che marciavano verso il canale.

Il 5 alcuni marinai della flotta erano sbarcati cercando di trincerarsi fra le rovine di Malabon. Hang-Tu, accorso con alcune bande, era riuscito a sloggiarli dopo un breve combattimento.

Anche il 6 avevano rinnovato il tentativo, ma erano stati costretti a ripiegarsi ed imbarcarsi, malgrado fossero stati protetti dal fuoco della squadra.

La notte del 7, gli esploratori ansiosamente attesi dagli assediati, giungevano tutti meno uno che era stato sorpreso e ucciso dai nemici. Si erano spinti fino a Meyca che avevano trovata sgombra di truppe, ma recavano pure la notizia che gli spagnuoli si preparavano a varcare il canale per piombare in gran numero sulle bande, e che gl’insorti erano stati sconfitti nuovamente a Bulacan e anche a Laguna.

Era necessario affrettarsi per sfuggire quell’attacco che poteva avere conseguenza disastrose. Un ritardo forse di poche ore poteva diventare fatale.

Le zattere erano già state costruite per attraversare il canale ed erano state gettate in acqua, entro una profonda insenatura, nascosta da un gigantesco macchione d’alberi.

Per ingannare meglio il nemico, fu deciso che Hang-Tu, alla testa di alcune bande, avrebbe aperto il fuoco contro gli spagnuoli accampati sulla riva opposta, fingendo di voler forzare il passo in quel punto e contro la flotta ancorata dinanzi alle rovine di Malabon, per lasciar tempo al grosso degl’insorti, sotto la direzione di Romero, di attraversare indisturbati il canale, due chilometri piú al nord.

Alle due del mattino, le due colonne abbandonavano silenziosamente l’accampamento.

Prima di dividersi, Romero e Hang-Tu si erano abbracciati.

– Pensa a salvare Than-Kiú e le tue bande, – disse il chinese. – Io farò fronte al nemico finché voi avrete attraversato il canale e se non cadrò nella lotta, piú tardi verrò a raggiungervi.

– Ti attendo, – aveva risposto Romero. – Noi due possiamo ancora ravvivare la morente fiaccola della libertà.

Il grosso delle bande si era messo in marcia verso l’insenatura, mentre quelle di Hang-Tu muovevano verso le rovine di Malabon.

Un quarto d’ora dopo, alcuni spari echeggiavano verso le spiagge meridionali dell’isola. Il chinese, come aveva promesso, aveva cominciato l’attacco contro la flotta ed aperto il fuoco contro gli accampamenti spagnuoli.

Romero affrettava la marcia a fianco di Than-Kiú. Temeva che gli spagnuoli si fossero accorti di quella ritirata e si preparassero a respingere le zattere o che tendessero un agguato fra i canneti dell’opposta riva.

Alle due e mezzo, mentre la fucilata diventava piú furiosa al sud dell’isola e la flotta rispondeva a cannonate, le bande giungevano nel piccolo seno, dove galleggiavano ancora quattro zattere capaci di contenere trenta uomini ognuna.

– Affrettiamoci, – disse Romero. – Le due prime bande si imbarchino e prendano posizione sulla riva opposta, poi passeranno gli altri.

Indi volgendosi verso Than-Kiú:

– Finché i nemici sono lontani, attraversa il canale, – le disse.

– Ma tu? – chiese la giovanetta.

– Attendo Hang-Tu. Temo che egli stia per venire sopraffatto dagli equipaggi della squadra. Odo le fucilate avvicinarsi.

I primi centoventi uomini si erano imbarcati conducendo con loro una ventina di feriti. Than-Kiú s’affrettò a balzare sull’ultima zattera.

– Partite, – comandò Romero, – poi gli uomini incaricati riconducano subito i galleggianti. I nostri sono inseguiti.

Infatti si udivano gli spari echeggiare sempre piú vicini. Pareva che le bande di Hang-Tu si ripiegassero rapidamente.

Le quattro grandi zattere presero frettolosamente il largo, dirigendosi verso l’opposta riva del canale.

In quell’istante Romero vide alcune masse oscure correre dalla parte di Malabon. Il suo cuore provò una stretta angosciosa. Non poteva ingannarsi. Le bande di Hang-Tu fuggivano disperatamente, incalzate dagli equipaggi delle squadre e fors’anche dalle truppe di terra che si erano risolute ad attraversare il canale.

– Miei prodi, – gridò, rivolgendosi verso le bande che erano rimaste. – Andiamo a difendere i nostri fratelli!…

Gettò un ultimo sguardo sulle quattro grandi zattere che già stavano per approdare alla riva opposta, e si slanciò in soccorso di Hang-Tu, seguito dagl’insorti.

Le bande del chinese, dopo una disperata resistenza, erano state volte in fuga. Alcune compagnie di spagnuoli avevano attraversato il canale e riunitesi cogli equipaggi della squadra erano piombate sugl’insorti costringendoli a ritirarsi precipitosamente.

Romero lasciò passare i fuggiaschi affinché si riordinassero piú indietro, poi alla testa delle bande si rovesciò contro gli inseguitori, arrestando la loro marcia con un brillante attacco.

Hang-Tu, che con pochi uomini aveva protetta la ritirata, lo aveva raggiunto. Un breve dialogo, interrotto dagli spari, si impegnò fra i due capi dell’insurrezione.

– Siamo perduti! – aveva esclamato il chinese. – Abbiamo dinanzi tali forze, da non poter piú vincere.

– Morremo tutti qui, ma vendendo cara la vita, – aveva risposto Romero.

– E Than-Kiú? – chiese poi Hang, con voce alterata.

– Ormai è salva, almeno lo spero, – rispose Romero.

– Ha attraversato il canale?…

– Sí, Hang.

– Allora posso morire tranquillo. Avanti fratelli!… Moriamo per la libertà!…

Una lotta terribile, sanguinosa, si era impegnata fra le bande e gli spagnuoli. D’ambo le parti combattevano con furore, senza chiedere, né accordare quartiere.

Bruciate le ultime cartucce, gli spagnuoli avevano caricate le bande alla baionetta, costringendole a ripiegarsi. Hang-Tu e Romero, combattevano come leoni, quantunque il primo avesse ricevuto una puntata in un braccio ed il secondo avesse ricevuto due sciabolate, le quali dopo avergli sdrucita la casacca gli avevano intaccata la pelle, non erano riusciti ad impedire quel primo passo indietro.

Una seconda carica, piú irresistibile della prima aveva sgominate alcune bande.

I due capi dell’insurrezione, che vedevano assottigliarsi rapidamente la loro colonna, tentarono un contr’attacco disperato, ma vennero respinti. Gli spagnuoli aumentavano sempre, mentre era molto se cento insorti rimanevano ancora in piedi.

Tutto ormai era perduto. Non rimaneva ai due capi che di farsi uccidere.

Già si preparavano a scagliarsi disperatamente fra le fila nemiche, per vendere almeno cara la vita e morire, come aveva detto il fiero chinese, sul sangue spagnuolo, quando sull’opposta riva del canale, verso il luogo ove erano approdate le zattere, si udirono alcune scariche seguite da urla acute.

Hang-Tu si era arrestato, gettando un vero ruggito.

– Hanno assalito i nostri!… – gridò poi. – Romero, andiamo a salvare Than-Kiú!…

Gli spagnuoli che avevano di fronte li assalivano allora con uno slancio irresistibile, per opprimere quel gruppo d’insorti.

Hang-Tu e Romero non l’attesero:

– Fratelli!… – tuonarono. – In ritirata!…

Le bande, già mezzo distrutte, si ripiegarono confusamente slanciandosi dietro ai due capi, ma inseguite vigorosamente dal nemico.

In pochi istanti giunsero nella piccola cala, dove già erano state ricondotte le zattere.

Romero e Hang si erano già imbarcati con alcuni uomini ed arrancavano disperatamente verso la riva opposta, dove pareva che fra i canneti si combattesse con estremo furore.

Gli altri si gettarono sulle altre tre, ma una affondò tosto sotto il peso, la seconda, mal diretta, andò ad arenarsi sulla punta d’un banco sabbioso e solo l’ultima, che portava otto o dieci insorti, poté prendere il largo.

Hang e Romero, che non si erano accorti di nulla e che speravano di portare all’avanguardia un valido aiuto, quando sbarcarono fra i canneti della riva opposta, si trovarono quasi soli. Dei trecento insorti che avevano prima della lotta, solamente dodici o quindici erano riusciti a varcare il braccio di mare. Gli altri erano caduti nel combattimento od erano stati fatti prigionieri.

Ma non erano uomini da esitare. Raccolsero la loro piccola colonna, si gettarono in mezzo ai canneti, quantunque la battaglia impegnata dall’avanguardia pareva fosse per finire, poiché le fucilate si allontanavano rapidamente in direzione di Obando.

– Avanti!… Avanti!… – ripeteva Hang-Tu, con voce strozzata.

Si erano messi a correre attraverso i canneti ed i pantani, guidati dagli spari che sempre piú s’allontanavano.

La lotta impegnata dalle prime bande che avevano attraversato il canale, doveva essere stata tremenda, poiché ad ogni passo si vedevano gruppi di cadaveri, armi, cartucciere vuote, zaini. Vi erano spagnuoli ed insorti confusi insieme, immersi in vere pozzanghere di sangue.

– Avanti!… – ripeteva sempre Hang-Tu, che udiva gli spari diventare sempre piú fiochi e piú radi.

Avevano già percorso, correndo a precipizio, due chilometri e stavano per cacciarsi dentro un bosco, quando il chinese, che si trovavano dinanzi a tutti, vide sorgere da terra un uomo che aveva la fronte spaccata da un colpo di sciabola e che gli disse, con voce morente:

– Fermati!… capo… Siamo stati… distrutti… Piú… innanzi… vi è la… morte…

– Siete stati distrutti!… – urlò Hang, con disperazione.

– Sí… capo…

– E Than-Kiú?

– E Than-Kiú… – mormorò il ferito, con un filo di voce. – Sí… l’ho… veduta… è stata…

– Parla!… Affrettati!… – gridò Hang-Tu, vedendo che il disgraziato stava per ricadere.

– Presa… dagli… spagnuoli… – disse il ferito, facendo un ultimo sforzo.

Poi, come se si avesse esauriti, con quelle parole, tutti gli ultimi istanti di vita che ancor gli rimanevano, era caduto al suolo esalando l’ultimo respiro.

Hang-Tu aveva mandato un urlo di dolore.

– Prigioniera!… – aveva esclamato, con un accento straziante, indicibile. – Prigioniera!…

Poi era caduto accanto al morto, e quell’uomo cosí fiero era scoppiato in singhiozzi, mormorando:

– Povera sorella!… Me la uccideranno!…

Capitolo XXIX. GLI EROI DELL’INSURREZIONE

Romero era rimasto come fulminato, apprendendo la triste sorte toccata alla valorosa fanciulla, ma soprattutto nell’aver udito Hang-Tu, in quel momento di disperazione, pronunciare quelle parole.

– Tua sorella!… – aveva esclamato, dopo un lungo silenzio. Poi vedendo che il chinese non rispondeva e che continuava a singhiozzare, l’aveva sollevato e condotto nella foresta.

Gli spari erano cessati, ma forse gli spagnuoli che si trovavano nell’isola si erano imbarcati sulle due zattere e stavano attraversando il canale per distruggere o prendere gli ultimi difensori di Malabon.

Era quindi necessario, innanzi tutto, sottrarsi alle loro ricerche per non cadere prigionieri e perdere ogni speranza di essere ancora utili alla disgraziata Than-Kiú.

Romero, seguito dai pochi superstiti, s’inoltrò nel bosco finché trovò un macchione cosí fitto da non venire facilmente scoperti, vi fece entrare Hang-Tu aprendosi penosamente il passo fra quel caos di rami, di radici e di foglie gigantesche, poi quando credette di non aver piú nulla a temere da parte degli inseguitori, s’arrestò, dicendo al chinese:

– Attendimi un istante.

Dispose i quindici uomini del drappello intorno al macchione, raccomandando loro di avvertirlo nel caso che i nemici si mostrassero in quei dintorni, poi ritornò presso Hang-Tu e sedendoglisi di fronte, su una grande radice che usciva dal suolo, disse:

– Ed ora, pensiamo a salvare Than-Kiú; ma prima di agire non mi negherai una spiegazione, che da tanto tempo attendevo.

– Parla, Romero, – disse Hang.

– Chi è Than-Kiú?…

– Mia sorella, – rispose il chinese. – Sarebbe inutile ingannarti di piú.

– Tua sorella!… – esclamò Romero. – E tu non me lo hai detto?…

– No, e forse non l’avresti mai saputo.

– Ma perché, Hang?…

– Perché ti amava.

– Prima ancora che io amassi Teresita, forse?…

– Sí, Romero.

– Ma dove mi aveva veduto?…

– A casa mia, nel sobborgo di Binondo.

– Ma io mai l’avevo veduta, Hang.

– Nel nostro paese non si usa presentare le donne, nemmeno ai piú fidi amici, Than-Kiú t’aveva piú volte veduto e t’aveva amato in silenzio. Quand’ella mi svelò il suo amore per te, era troppo tardi. La donna bianca si era impossessata del tuo cuore.

– E tu non me lo avevi detto?…

– No, poiché tu avresti potuto credere che Hang-Tu non ti amasse che per puro affetto d’amicizia. Per questo ho soffocato sempre in fondo al cuore la confessione, che piú volte mi stava per sfuggire dalle labbra.

– E non mi hai odiato, Hang-Tu, per aver io preferito un’altra, una figlia di quella razza che noi combattevamo, a tua sorella?…

«Un altro al tuo posto mi avrebbe odiato.»

– Io invece ho ammirato l’immenso amor tuo per quella figlia dei nostri nemici, ed il mio affetto e la mia amicizia per te, lo hai veduto, mai sono scemati.

– Hang-Tu, – disse Romero, che era profondamente commosso. – Io devo a te ed a Than-Kiú la vita.

– E che cosa intendi dire? – chiese Hang, alzando il capo.

– Che se non potrò amare tua sorella, andrò almeno a salvarla od a morire con lei.

– Che cosa vuoi fare?…

– Lo so io.

Romero si era bruscamente alzato, come se avesse presa una incrollabile decisione.

– Parto, – disse, gettando a terra le armi che portava indosso. – Forse non ci rivedremo mai piú, ma quando apprenderai ciò che avrà potuto il tuo fratello d’armi, comprenderai quanto egli avrebbe potuto amare Than-Kiú, se non vi fosse stata la Perla di Manilla.

– Romero!… – esclamò Hang-Tu, che si era alzato. – Io leggo nei tuoi occhi una risoluzione disperata. Dove vuoi andare?

– A salvare la sorella del mio fratello d’armi od a morire nell’impresa.

– Tu… solo ed inerme!… Quale pazzia stai per commettere!

– Nessuna, Hang-Tu, – rispose Romero, sorridendo malinconicamente. – Seguo ciò che m’indica il destino.

– Ma se tu vai a salvare Than-Kiú, voglio venire anch’io.

– Non lo puoi, Hang.

– Ma perché?…

– Saresti d’imbarazzo al mio disegno.

– Due uomini possono fare piú d’uno solo.

– Basta uno solo, per quello che farò.

– Voglio sapere dove tu vai.

– Ti ricordi d’una frase, detta da un uomo che io avevo strappato alla morte?… Certe generosità non vanno perdute.

– Ah!… Ti comprendo!… Tu vai dal maggiore d’Alcazar!…

– Sí, – rispose Romero. – Addio fratello! Se io non ritorno piú, ricordati che se io non avessi dato il mio cuore alla Perla di Manilla, sarei stato ben felice di sposare il Fiore delle Perle.

Abbracciò Hang-Tu, poi s’allontanò.

Il chinese si era slanciato dietro a lui, ma Romero udendo i passi si era voltato dicendogli:

– Non puoi seguirmi, fratello: bisogna che io sia solo.

– Romero!… – esclamò Hang con voce commossa. – Grande Buddha, cosa stai per fare tu?…

– Te lo dissi: vado a salvartela.

Poi era tornato indietro ed i due valorosi uomini si erano nuovamente precipitati l’uno nella braccia dell’altro. Quando si separarono, entrambi avevano gli occhi umidi.

– Spera, – disse Romero, allontanandosi rapidamente e senza volgersi indietro.

Uscito dalla macchia s’avvicinò ad uno degli insorti, che vegliava appoggiato al suo fucile.

– Seguimi, – gli disse. – Nulla avrai da temere, te lo prometto.

– Sono ai tuoi ordini, capo, – rispose l’insorto.

Romero si rimise in cammino, procedendo rapidamente e con passo sicuro. Dove si recava?… Lui solo lo sapeva.

Giunto sul margine del bosco s’arrestò alcuni istanti per tendere gli orecchi, come se cercasse di percepire qualche lontano rumore, poi riprese la marcia, sempre seguito dall’insorto.

Attraversò i canneti senza piú arrestarsi, avvicinandosi al canale, sulle cui rive gli ultimi difensori di Malabon avevano combattuta quella lotta sanguinosa, poi si diresse verso il sud, dove si vedevano scintillare, sul tenebroso orizzonte, i fuochi degli accampamenti spagnuoli.

Romero si tolse da una tasca un fazzoletto di seta bianca e glielo porse, dicendogli:

– Lega questo alla canna del tuo fucile e non temere.

– Ti rechi a trattare la nostra resa?…

– No, seguimi.

I fuochi dei bivacchi ingrandivano rapidamente, illuminando le tende ed i fasci delle armi; ma Romero continuava ad avvicinarsi, come se invece di muovere contro a fieri nemici si recasse fra gli insorti. Era tranquillo, ma quella calma aveva qualcosa di terribile.

Giunto a cento passi dalla prima avanguardia si arrestò udendo la voce d’una sentinella a gridare:

– Chi vive?…

– Un parlamentario degl’insorti, – rispose Romero.

– Fermatevi.

Un istante dopo un sergente, seguito da tre soldati armati e muniti d’alcuni tizzoni accesi, gli mosse incontro.

– Che cosa volete? – chiese il sergente, guardando Romero con stupore.

– Parlare al comandante, – rispose il meticcio.

– A quest’ora dorme.

– Direte a lui che Romero Ruiz, capo supremo degl’insorti, ha delle comunicazioni urgenti da fargli.

– Carrai!… – esclamò il sergente. – Il capo don Ruiz?…

– Sí, ma gli direte pure che io, prima di entrare nel suo campo, esigo la sua parola d’onore che mi lascerà tornare libero assieme all’uomo che m’accompagna, se non avrà accettato il patto che devo proporgli. Aspetto qui la sua risposta.

– Attendete il mio ritorno, – disse il sergente.

Fece cenno ai soldati di rimanere, poi tornò sollecitamente nell’accampamento.

Romero avendo veduto poco lontano un albero atterrato, era andato a sedersi, guardando distrattamente i tre soldati, che lo fissavano colla piú viva curiosità.

Cinque minuti dopo il sergente era di ritorno.

– Il comandante vi aspetta, – disse.

Romero si era alzato. Si volse verso l’insorto che lo aveva accompagnato e gli disse:

– Tu rimarrai qui e condurrai la persona che ti sarà affidata ad Hang-Tu.

Poi seguí il sergente a testa alta, pallido, ma risoluto a compiere ciò che aveva irrevocabilmente deciso.

Attraversate cinque o sei linee di tende, sotto le quali russavano rumorosamente i soldati, e due file di sentinelle, il sergente s’arrestò dinanzi ad una tenda piú alta e piú spaziosa delle altre, il cui interno era illuminato.

Un colonnello, sulla cinquantina, dalla lunga barba quasi bianca, dallo sguardo vivido e dalla carnagione assai abbronzata dal sole, attendeva Romero dinanzi all’entrata della tenda. Doveva essersi appena alzato, poiché al fianco non aveva la sciabola, né alla cintura la rivoltella.

– Siete voi Romero Ruiz? – chiese egli, al meticcio.

– Sí, colonnello, – rispose questi, salutandolo.

– Entrate.

– Fatemi prima frugare per vedere se ho delle armi.

– È inutile, signore, – disse il colonnello. – Gli uomini valorosi come voi si battono, ma non assassinano.

– Grazie per la vostra fiducia, colonnello.

Entrò risolutamente nella tenda che era illuminata da una lampada ed ammobiliata con un piccolo letto da campo e con due sedie di bambú e dietro di lui entrò il colonnello, dopo d’aver fatto segno al sergente di allontanarsi.

Il vinto ed il vincitore si guardarono alcuni istanti in silenzio, con una certa curiosità, poi il primo incrociando le braccia e fissando il colonnello, gli chiese bruscamente:

– Credete voi che il governatore di Manilla sarebbe lieto di poter avere in mano il capo dell’insurrezione?…

– Lo credo bene, – rispose lo spagnuolo, che sembrava stupito da quella inaspettata domanda. – Voi, signore, siete uno di quegli uomini che avreste potuto dare ancora del filo da torcere, alle vittoriose armi della Spagna.

– Ebbene, se io, Romero Ruiz, capo supremo degl’insorti, vi dicessi:

«Vengo a consegnarmi a voi» ma ad una condizione, accettereste?…

– Voi!… – esclamò il colonnello, con maggiore stupore.

– Sí, io, – disse Romero, con voce risoluta.

– Ma sapete la sorte che attende i capi dell’insurrezione, don Ruiz?

– Lo so, colonnello: la morte.

– E non vi fa paura?

– No, io la sfido serenamente.

– Ma allora voi porrete per la vostra resa delle gravi condizioni.

– Forse meno di quello che credete.

– Parlate.

– Fra i prigionieri fatti questa notte sulla riva del canale, vi è una giovane chinese, è vero?…

– Sí, una fanciulla assai bella e molto valorosa, che si batteva come un vecchio soldato incanutito fra il fuoco e le battaglie.

– Chiedo la sua libertà in cambio della mia vita.

– Scherzate?…

– No, colonnello, – rispose Romero, con voce grave.

– Allora l’amate.

– No.

– Ma…

– Colonnello, accettate?…

– Voi volete uccidervi.

– Non importa.

– Lo volete?…

– Sí, colonnello, – rispose Romero, con incrollabile fermezza.

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Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
30 августа 2016
Объем:
310 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain
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