La Terra Delle Antiche Divinità Vyrajiane. Libro 1. La Ragazza E Il Cacciatore

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La Terra Delle Antiche Divinità Vyrajiane. Libro 1. La Ragazza E Il Cacciatore
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La Terra delle Antiche Divinità Vyrajiane Libro 1. La Ragazza e il Cacciatore

Elena Kryuchkova, Olga Kryuchkova

Traduzione di Manuel Martignano

"La Terra delle Antiche Divinità Vyrajiane. Libro 1. La Ragazza e il Cacciatore"

Scritto da Elena Kryuchkova e Olga Kryuchkova

Copyright © 2022 Elena Kryuchkova, Olga Kryuchkova

Tutti I diritti riservati

Editora Tektime

www.tektime.it

Traduzione di Manuel Martignano

Design della copertina © 2021 Elena Kryuchkova


Olga Kryuchkova

Elena Kryuchkova

La Terra delle Antiche Divinità Vyrajiane

Libro 1. La Ragazza e il Cacciatore

Prologo

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Libro 1. La Ragazza e il Cacciatore

Questa è una storia di finzione e fantasia. Qualsiasi riferimento a persone o situazioni reali è completamente casuale.

Questa è un’opera di fantasia.

Preghiera dell'antico Slavo

Credo nell’Onnipotente Rod – l’Unico e Grande Dio nelle sue varie forme, l’origine di tutte le cose viventi e non viventi, l’origine dell’Eterno per tutti gli Dei.

So che il Mondo appartiene a Rod, e tutti gli Dei con lo stesso nome sono collegati a lui.

Credo nella trinitaria esistenza di Prav, Yav e Nav, e che Prav è la Verità, tramandata di generazione in generazione.

So che Prav è con noi e Nav non ha paura, perché Nav non ha potere contro di noi.

Credo nell’unità con i nostri Dei Nativi e che, secondo i nipoti di Dazhbog, noi siamo i preferiti degli Dei. E loro stendono la mano destra sui nostri aratri.

So che la vita nel Grande Rod è eterna e ad essa sono rivolti i nostri pensieri, percorrendo i sentieri di Prav.

Credo nella forza e nella saggezza dei nostri Avi, nati tra noi, che tramite le nostre Guide ci conducono sulla via del bene.

So che la potenza è nell’unità delle glorificanti famiglie di Prav [1] , e che raggiungeremo la gloria, lodando gli Dei Nativi! Gloria a Rod e a tutti gli Dei esistenti in lui!

Prologo

Sopra la città sacra di Radogosh, situata sul Monte Alatyr[2], che si ergeva in una fitta foresta, il cielo si riempiva di nuvole. L'atmosfera tra i suoi abitanti si stava surriscaldando. C’era tensione nell’aria da diverso tempo, ma ultimamente si era fatta più intensa. Gli abitanti della città sacra, i Vyrajiani, che venivano venerati dagli Slavi come “divinità”, stavano attraversando tempi difficili. Questo perché il culto di Logos stava acquisendo sempre più forza nelle terre occidentali situate al di là del fiume Alba.

Il culto di Logos era considerato recente, poiché apparve solo circa sette secoli fa. Ma, nonostante ciò, questo giovane culto fece sprofondare le antiche divinità germaniche e scandinave nell’oblio, e raggiunse il suo apice. Accadde persino a Rod, il creatore di ogni forma di vita nelle terre degli Slavi (Vyrajiani di nascita), che fu il primo a scendere sulla Terra in un Uovo d’Oro più di cinquemila anni fa, venerato dagli Slavi occidentali e considerato loro antenato. Lui e suo nipote Dazhbog furono dimenticati, facendo largo a divinità più giovani.

I seguaci di Logos si riunirono in ordini sacri: la Croce d’Oro nella terra dei Franchi, e poi in Sassonia, Baviera e Turingia; a nord-ovest, invece, in Danimarca, Norvegia e Svezia, nacque l’Ordine dei Mantelli Bianchi, che era il corrispondente più giovane dell’Ordine franco della Croce d’Oro.

Inizialmente, l'influenza di Logos non infastidì i Vyrajiani. Non diedero importanza al nuovo culto di un dio debole. I Vyrajiani non poterono immaginare che, da lì a poco, il giovane dio avrebbe ottenuto una forza e un potere senza precedenti. In suo nome sarebbero state portate avanti diverse campagne contro i Pagani, che professavano il politeismo, per convertirli alla loro fede.

La giovane e aggressiva religione si diffuse come un’epidemia dalle terre degli Slavi occidentali fino ai territori dei militanti germanici, franchi, danesi e scandinavi, divorando le menti dei popoli europei.

Ora il culto di Logos stava diventando più pericoloso che mai. L’Ordine della Croce d’Oro eresse potenti roccaforti, come ad esempio Hammaburg, Linsburg e Magdeburg sulla sponda sinistra del fiume Alba. I crociati radunarono il meglio del loro esercito e si prepararono alla campagna decisiva contro i Pagani, ormai stanchi di effettuare semplici raid nei territori slavi. Il Meister dell’Ordine della Croce d’Oro, Heinrich von Bassenheim, famoso per la sua incredibile crudeltà e intransigenza verso i Pagani, ricevette il supporto di Gregorio IX in persona, Alto Vescovo di Avignone, l’incarnazione vivente di Logos sulla Terra.

Friedrich von Hogerfest, il Landmeister dell'Ordine della Croce d'Oro, la cui residenza si trovava ad Hammaburg, ed Eric von Linsburg, il Landkomtur di Linsburg, sostennero fortemente il loro superiore nelle sue azioni. Il loro sogno era quello di ottenere le terre degli Slavi sotto la loro completa sottomissione. Anche il Grandmeister Dietrich Voltingen, il leader dell’Ordine danese dei Mantelli Bianchi, non stette con le mani in mano. Da tempo aveva puntato l’attenzione su Rügen, l’isola sacra degli Slavi, e il suo sogno era quello di costruirci una base per la sua flotta.

La situazione era estremamente preoccupante per i Vyrajiani. Erano depressi nella loro città sacra di Radogosh, sopraffatti da molti pensieri sul loro futuro. Si chiedevano sempre più: cosa accadrà se le tribù slave orientali che vivono al di là del fiume Alba cominceranno a credere in Logos? E smetteranno di pregare i loro dei, i Vyrajiani? Infatti, senza la venerazione delle persone, senza l’energia rilasciata durante la preghiera, i Vyrajiani perderanno potere. La loro forza vitale si indebolirà e gradualmente diventeranno come i comuni mortali. E, alla fine, i loro giorni in questo mondo finiranno.

Purtroppo, il tempo è passato. Quanti dei sono finiti nell’oblio? I loro nomi sono stati dimenticati. E molti Vyrajiani hanno lasciato questo mondo, che non è più la loro dimora definitiva.

Quindi, dopo Rod e Dazhbog, molte divinità andarono all’altro mondo, la loro energia vitale si esaurì, i mortali non offrirono loro più preghiere. Col tempo, gli Slavi dimenticarono le divinità antiche e il loro posto venne gradualmente preso da altre nuove, discendenti dei primi Vyrajiani. Tuttavia, secoli dopo, il loro destino divenne poco invidiabile.

Capitolo 1

Dalla vita dei Vyrajiani. La città sacra di Radogosh.

La tristezza di Veles era dovuta a una ragione completamente diversa da quella dagli altri Vyrajiani.

In quel momento egli, poeta e narratore, non si preoccupava affatto della diffusione del culto di Logos. E purtroppo non pensava nemmeno al destino dei Vyrajiani e della sacra Radogosh. I Vyrajiani che un tempo abitavano a Radogosh ed erano andati all'altro mondo, erano probabilmente considerati da Veles più come vicini che come familiari. E i vicini possono cambiare...

La ragione della tristezza di Veles era esclusivamente creativa. Veles voleva scrivere poesie. Voleva recitare le sue creazioni al pubblico con una passione ossessiva. Ma solo gli abitanti di Radogosh, i Vyrajiani, potevano ascoltarlo. E il loro numero, con l'avvento dell'Ordine della Croce d'Oro nelle terre slave, di recente era drasticamente diminuito. Secondo Veles, i suoi concittadini erano così preoccupati dal culto di Logos che non gli prestavano la minima attenzione. E lui soffriva... Soffriva in silenzio. Come ogni persona creativa ed egoista, si sentiva infelice e il suo cuore era ferito.

Un Veles intristito vagava per le deserte e tortuose strade di Radogosh, reggendo una pergamena piena di iscrizioni runiche. Il vento gli lanciava addosso le foglie cadute dagli alberi: gialle, rosse, marroni… L'autunno era arrivato.

Veles rabbrividì per il freddo: il suo leggero caffettano non lo riscaldava di certo dalle raffiche del vento del nord. Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di tornare alla "Camera" della famiglia di Triglav. I pianti delle sorelle erano troppo stancanti. I litigi dei fratelli erano insopportabili… E il dispotismo di Triglav, che si considerava il successore di Rod, era semplicemente odioso. Pertanto, Veles preferiva il freddo al calore della loro Camera, dove il fuoco ardeva nel camino e le sorelle Rozhanitsy, sotto la guida di Mokosh, probabilmente preparavano una tisana calda.

Per quanto Veles ricordasse, Radogosh un tempo era una città popolosa. Appena seicento anni fa, quando i possedimenti degli Slavi si estendevano lungo la sponda sinistra del fiume Alba, a Radogosh vivevano molte famiglie di Vyrajiani, che erano venerate come divinità da diverse tribù slave.

In queste terre, circa 575 anni fa, ebbe origine la fede nell’unico dio Logos, che promette l’immortalità attraverso la rinascita dell’anima in una vita successiva. Poco prima, il leader di uno dei clan dei Vyrajiani, Dyi, che gli Slavi veneravano come il dio del cielo notturno, aveva cacciato Uslad[3] da Radogosh.

 

Uslad era intelligente e di bell’aspetto, e conosceva molto bene l’antica magia dei Vyrajiani, grazie alla quale riforniva la città di acqua potabile pulita. Tuttavia, il desiderio di piaceri carnali prevalse nella mente di Uslad. A quel tempo, ai clan era concesso il diritto di risolvere autonomamente i propri problemi interni, e il fratello maggiore di Uslad sopportò i suoi vizi per lungo tempo. La goccia che fece traboccare il vaso fu la seduzione della loro sorella minore, Zimzerla, la dea dell’alba mattutina. Ne conseguì la decisione del clan di espellere Uslad da Radogosh.

Da quel momento, gli insegnamenti di Logos si diffusero rapidamente tra gli Slavi della sponda sinistra del fiume, per poi penetrare nei territori delle tribù germaniche, franche, danesi e scandinave. In poco tempo, nella città franca di Avignone venne creato l’Ordine della Croce d’Oro, che predicava la fede in Logos.

Inoltre, gli Slavi occidentali, i primi a venerare il culto di Logos, iniziarono ad assimilarsi con le tribù germaniche. E dunque attrassero i vicini nella loro nuova fede.

Il clan di Avsen, che allevava una speciale razza di cavalli, era considerato uno dei più antichi di Radogosh. Le tribù slave che vivevano sulla sponda sinistra dell’Alba associavano il suo nome al cambio delle stagioni. Credevano che Avsen fosse colui che dava il via al ciclo solare primaverile e alla stagione del raccolto. Gli Slavi hanno continuato a pregarlo fino ad oggi. Perciò, Avsen rimase l’unico sopravvissuto del vecchio clan, mentre gli altri membri morirono, dimenticati da tutti. Il palazzo di Avsen si trovava vicino alle stalle. E lui, vecchio Vyrajian dai capelli grigi ma con una forza ancora notevole, per superare il dolore delle perdite, si prendeva cura giornalmente dei suoi cavalli, rossi come il fuoco e con le criniere bianche come la neve.

Anche il clan di Agunya, che gli Slavi veneravano come il dio del fuoco terreno, subì perdite irreparabili. Badnyak, Bozhich, German, Dabog[4]: tutti passati a miglior vita. Le mogli e i figli, ahimè, non poterono sostenere la grandezza dei loro padri e li raggiunsero nel regno dei morti. Così, il piccolo clan di Agunya si unì al clan di Perun.

Il clan di Zybog è completamente scomparso. Il suo posto nel pantheon degli Slavi è stato preso dalla Umida Madre Terra. La stessa triste sorte toccò ai clan di Ipabog e Nemiz[5]. La fede nelle antiche divinità stava morendo, al loro posto ne subentravano di nuove. E a volte un nuovo dio, per poter sopravvivere, concentrava su di sé le funzioni di due o persino tre antiche divinità. Ma la fede in tale dio poteva essere, ahimè, effimera. E dopo un po’ di tempo, il dio in questione andava inevitabilmente a raggiungere i suoi antenati all’altro mondo.

Dopo i clan di Ipabog e Nemiz, anche il clan di Dyi, il dio del cielo notturno, andò nell'Aldilà.

Il clan di Perun, che era adorato dai Volhyniani e dai Polyani, e il clan di Triglav, erano considerati tra i più antichi e forti di Radogosh. Avevano pieno possesso dei segreti della magia dei Vyrajiani, che però, purtroppo, andarono in parte persi da molti clan a causa di matrimoni con donne slave mortali.

Il frutto di una relazione amorosa di questo genere fu il nuovo clan Fire-Knyaz[6], che nacque trecento anni fa da Molonya, la bella "Knyaginya", e dal poeta e narratore Veles.

Per molto tempo, il consiglio di Radogosh discusse se accettare un bambino in città o se darlo in custodia a una madre mortale e lasciare che lo cresca lei. Alla fine, Sirin, che venne a sapere dell'amore tra Molonya e Veles, difese il bambino e il suo parere fu decisivo. Da allora, i bambini nati da Vyrajiani e donne mortali hanno trovato casa a Radogosh.

La loro vita non era lunga come quella dei Vyrajiani ma, nonostante ciò, vivevano molto di più di un comune mortale. Peraltro, i mezzosangue ereditarono alcune abilità magiche.

Il rapporto tra Veles e suo figlio Fire-Knyaz non era dei migliori. Veles non provava il minimo amore genitoriale per la sua prole. E lui rispondeva al padre con accentuata freddezza.

La vita di Fire-Knyaz era molto più breve di quella di Veles, a causa del fatto che Logos stava ottenendo sempre più forza e i crociati tormentavano costantemente le terre slave con le loro incursioni. Attiravano uomini, donne e bambini, li convertivano alla loro fede, e Radogosh diventava gradualmente una città sempre più deserta. Solo un clan dei Vyrajiani sopravvisse per intero, quello guidato da Triglav, il componente più saggio, il cui culto era ancora venerato. Tuttavia, i parenti di Triglav presto sentirono le energie mancare e, purtroppo, persero gradualmente le forze. Il clan di Perun subì perdite significative, ma sopravvisse. Di recente, Perun aveva scoperto la storia d'amore tra sua moglie Dodola e il poeta Veles, il famoso rubacuori di Radogosh. E se non fosse stato per l'intercessione di Magura (la figlia di Perun e Dodola) davanti a suo padre, egli, arrabbiato e geloso com'era, avrebbe fatto incenerire sua moglie e il suo poeta-amante.

Nonostante il mondo che circondava i Vyrajiani sulla Terra si stesse sgretolando, Veles fece di tutto per non notarlo.

Tuttavia, ultimamente Veles sentiva che le forze lo abbandonavano giorno dopo giorno. Comporre storie era diventato sempre più difficile. Inoltre, i Vyrajiani sopravvissuti non volevano ascoltarlo. Il poeta capì che tra soli venti o trent'anni avrebbe raggiunto i suoi antenati all'altro mondo. I giovani gli offrivano preghiere sempre più raramente, preferendo non scrivere poesie alle loro amate, ma conquistare i loro cuori in modo diverso. Ad esempio, tramite regali costosi o dando dimostrazione della loro forza.

Anche la sua amante Ziva (vedova di Dazhbog) ultimamente preferiva la compagnia dei bellicosi fratelli Radegast e Ruevit. Per qualche motivo, Ziva aveva trovato qualcosa di cui parlare con loro, ma non con Veles. Soprattutto con Ruevit, che cambiava umore sette volte al giorno e questo divertiva Ziva, permettendole di distrarsi almeno un poco dai problemi quotidiani. Veles non capiva niente. Non aveva il minimo sospetto che Ziva fosse a conoscenza della sua storia d'amore con Dodola. Nonostante Magura lo avesse protetto davanti a suo padre, era poi andata ovviamente da Ziva e le aveva parlato dell'amore tra Veles e sua madre. Scioccata dal tradimento di Veles, Ziva non sapeva cosa fare. Inizialmente voleva avventarsi sul traditore e graffiargli la faccia a sangue. Poi, pensò di buttarsi giù dalle alte mura della città e porre fine alla sua vita. Tuttavia, Magura le consigliò semplicemente di mantenere la sua dignità femminile e ignorare semplicemente Veles. Ed è quello che fece...

Così ora al poeta sembrava che il mondo intero si fosse unito contro di lui. E che la sua amante preferiva un altro uomo.

Veles si era ormai allontanato a sufficienza dalla Camera del clan. Una flebile voce femminile lo chiamò. Il poeta si voltò: si trovava di fronte al palazzo che un tempo apparteneva al clan di Troyan[7].

Sulla porta d'ingresso vide la gracile figura di Tarusa.

La Vyrajiana era pallida, i suoi occhi ardevano pieni di dolore.

«Tarusa[8]!» esclamò Veles, sorpreso. «Stai male?»

«Sto lentamente morendo...» rispose calma la donna. «La mia forza vitale si sta esaurendo. Per favore, entra dentro e leggimi una poesia...»

Veles obbedì. Entrò nella Camera, dove regnava il freddo e una semi-oscurità. Il focolare non veniva acceso da molto tempo. Tuttavia, Veles capì subito la situazione: vicino al focolare spento c'era un letto, con sopra una coperta di pelliccia. Su di esso giacevano due Vyrajiani: Barma e Pripekala, rimasti senza forze. Veles era avvolto da paura, disperazione e odio per le leggi dei Vyrajiani, che non permettevano loro di interferire con il corso degli eventi terreni. In precedenza, i Vyrajiani, grazie alla loro magia, fornivano agli Slavi molte conoscenze ed erano venerati da numerose tribù. Tuttavia, col tempo, i Vyrajiani divennero gradualmente solo osservatori esterni. Essi ricevevano l'energia vitale di cui avevano bisogno tramite le preghiere dei mortali (inizialmente in cambio delle conoscenze). La preghiera divenne parte della vita degli Slavi e i Vyrajiani erano adorati come divinità, lodati costantemente e venivano eretti templi in loro onore.

All'improvviso, Veles provò agitazione e angoscia. Ciò che aveva cercato di ignorare con tanta cura per molti anni, ovvero la morte della sua tribù, era ora davanti a lui. Un tempo, i Vyrajiani arrivarono in questo mondo giovani e forti. Tutti i clan erano uniti e questo permise loro di combinare i poteri magici e costruire Radogosh. Adesso, i Vyrajiani sono diventati come i comuni mortali. E muoiono tutti silenziosamente tra le mura delle Camere del proprio clan.

Veles si sforzò di trattenere le lacrime. In quel tragico momento, si rese conto della gravità e della disperazione della situazione della sua tribù... in cui si trovava anche lui. Senza le preghiere della gente, tutti i Vyrajiani periranno.

«Cosa stiamo facendo? Moriremo tutti se non affrontiamo Logos!» esclamò con fervore.

«Non abbiamo il potere di modificare il corso degli eventi», disse Tarusa con un filo di voce.

«Questo Logos assorbe l'energia umana», si sentì una voce proveniente dal letto. Barma appoggiò sua moglie.

Quasi un secolo dopo l'espulsione di Uslad da Radogosh, i Vyrajiani credevano che Logos fosse lui. Perché ad esempio, Uslad, con l'aiuto della magia, era riuscito a ottenere la fiducia delle tribù slave della sponda sinistra del fiume e aveva piegato le loro menti alla sua volontà, facendo loro dimenticare gli antichi dei. In questo modo guadagnò molti seguaci, che lo aiutarono a sopravvivere e lo nutrirono con l'energia della preghiera.

Ma gli osservatori Alkonost, Sirin, Gamayun e Semargl riuscirono ad arrivare alla verità e portarono notizie deludenti a Radogosh. Informarono i capi dei clan sopravvissuti che Logos era una creatura di un altro mondo, una sorta di entità energetica che si infonde in una persona ed è capace di subordinarne la mente alla sua volontà. Invece, l'esiliato Uslad pose fine alla sua vita da semplice mortale, lasciandosi dietro molti figli. Ognuno di loro ereditò una parte della magia del padre.

«Può muoversi in corpi diversi», specificò Pripekala con voce debole e tremante. «Possiamo sforzarci quanto vogliamo, ma non riusciremo a liberarci di lui. Per quanto proviamo ad attirare l'attenzione degli Slavi, Logos continua ad avanzare. È più forte che mai.»

«Leggici le tue poesie», chiese Tarusa e si sedette su un'ampia panca di legno.

«Leggile», le fecero eco Pripekala e Barma.

«Se è destino che debba morire, allora che avvenga durante le tue letture, Veles», cercò di scherzare Barma.

«Bene... Così sia». Veles aprì un rotolo di pergamena e, mettendo da parte il suo ego, iniziò a recitare la sua nuova composizione ai Vyrajiani morenti.

Appena il poeta tacque, dopo aver pronunciato le ultime strofe, Pripekala e Barma esalarono il loro ultimo respiro. Tarusa si alzò a fatica dalla panca, si avvicinò al letto su cui giacevano il marito e il fratello, e cadde in ginocchio. Di recente erano morti anche i figli di Tarusa: Man e Manya.

Barma stesso aveva fatto una pira funeraria per la sua prole. Ed ora bisognava farla a lui.

Veles era perplesso.

«Lasciamo che sia Triglav ad occuparsi della pira funeraria», disse Tarusa tra le lacrime, con difficoltà. «Lui, Perun e Avsen sono i capi dei clan sopravvissuti. Chiederò loro di onorare la memoria di mio marito e di mio fratello con un banchetto commemorativo».

Veles arrotolò la pergamena e si avvicinò al letto dei Vyrajiani che erano andati nell'Aldilà.

«Riposate in pace, fratelli», disse, e lasciò la Camera.

Poi attraversò lentamente la città deserta, diretto verso la Camera del suo clan.

Era sera. Il sole d'autunno, al tramonto, illuminava con i suoi ultimi raggi le foreste giallo-rosse che si trovavano intorno a Radogosh.

Ma, nonostante fosse vuota, la città era a suo modo bella. Le mura, che accarezzavano i raggi del tramonto, erano decorate con del ferro magico giallo che le rendeva inespugnabili. Gli osservatori (Sirin, Semargl e Gamayun) si libravano nel cielo sopra la città e dall'alto notavano come, a volte, alcuni pellegrini si avvicinavano alla dimora degli dèi e si prostravano davanti alla bellezza delle mura della città, credendo fossero dorate.

 

I pellegrini pensavano che le Pietre Arcobaleno sulle alte torri della città fossero gioielli. In realtà non erano gioielli, ma erano magiche. E, se necessario, potevano formare una speciale cupola intorno a Radogosh in modo che chiunque, avvicinandosi, vedesse una semplice montagna grigia invece della città.

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