Ammaliando Il Suo Furfante

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Ammaliando Il Suo Furfante
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AMMALIANDO IL SUO FURFANTE
UN ROMANZO DI LEGATI ATTRAVERSO IL TEMPO
DAWN BROWER
MONARCHAL GLENN PRESS

Questo è un lavoro di finzione. Nomi, personaggi, luoghi e eventi sono prodotti dall'immaginazione dell'autore o sono usati fittiziamente e non devono essere interpretati come reali. Qualsiasi somiglianza con luoghi, organizzazioni o persone reali, vive o morte, è del tutto casuale.

Charming Her Rogue 2018 Copyright © Dawn Brower

Cover Artist e Edits Victoria Miller

Tradotto da Aurora Torchia

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata o riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, tranne nel caso di brevi citazioni contenute nelle recensioni.

RINGRAZIAMENTI

Grazie a quelli che mi hanno aiutato a rifinire questo libro. Elizabeth sei la mia numero uno. Sei la migliore. Grazie ancora una volta al mio fantastico editor, Victoria Miller. Mi rendi una scrittrice migliore e senza di te non sarei dove sono oggi.

Nella vita ci troviamo di fronte a molte scelte. Questo libro parla di lealtà, dovere e amore. Ognuno di questi gioca un ruolo nelle decisioni prese dai personaggi – decisioni che non sono mai facili, ma questo è il fulcro della vita. Non siamo mai certi di quale svolta dovremmo prendere o se è quella giusta. Di frequente non lo scopriamo finché non è troppo tardi per modificare il nostro corso. Questo libro è per tutti coloro che sono incerti sul loro futuro, ma vanno avanti nonostante le avversità. Continuate a combattere, a vivere e ad amare. Questa è l'unica cosa che potete fare. Semplicemente siate voi stessi.


CAPITOLO UNO

18 Giugno, 1914

Lady Catherine Langdon faceva roteare lo champagne nel suo bicchiere, fissando le bolle mentre scoppiavano contro il lato del cristallo. La musica echeggiava per tutta la stanza mentre un violinista suonava le Quattro Stagioni di Vivaldi. Catherine avrebbe preferito qualcosa di un po' più rilassante per alleviare il suo attuale disagio, ma non aveva molta possibilità di scelta in nulla della sua vita. Si considerava una donna moderna, eppure doveva continuare a seguire i dettami della società.

A ventun'anni, le sarebbe piaciuto essersi trovata una propria residenza e usare la sua eredità come meglio credeva. Non sarebbe stato questo il suo destino, però. Suo padre si era assicurato che lei avesse un tutore per tutti i suoi beni, e lei non avrebbe avuto il controllo dei suoi fondi per altri quattro anni. Se si fosse sposata, sarebbero andati a suo marito. Catherine non aveva alcuna intenzione di permettere che qualcosa di così arcaico le accadesse. Nessun uomo avrebbe mai avuto potere su di lei.

"Trovate anche voi queste cene deprimenti?" chiese un uomo dietro di lei.

Era così presa dai suoi pensieri che non aveva notato la sua presenza finché non aveva parlato. Catherine si voltò a guardarlo. Era alto e imponente. Alcune donne avrebbero potuto essere intimidite da ciò, ma non Catherine. Aveva capelli biondi dorati con riflessi su tutta la loro lunghezza che suggerivano trascorresse del tempo all'aperto in pieno sole. Un ciuffo pendeva dalla fronte in un ricciolo seducente. I suoi occhi erano come smeraldi scintillanti che la ipnotizzarono per qualche breve istante fino a quando non riacquistò la sua compostezza.

"Possono essere piuttosto noiose" confermò. "Ma sembrano essere una necessità per l'ambasciatore." Sir Benjamin Villiers, il suo tutore, lavorava come segretario dell'ambasciatore. Catherine viveva in Francia con lui dalla morte di suo padre oltre un anno prima. Alcune donne sarebbero state entusiaste di vivere a Parigi e avere accesso alle ultime mode, ma non lei – lei mai. I capelli scuri di Catherine provenivano da suo padre, l'ex Duca di Thornly, ma gli occhi color blu zaffiro erano di sua madre. Il titolo del padre era passato a un cugino che conosceva a malapena. Sua madre era morta di parto, dopo una delle tante volte in cui aveva cercato di dare al duca un erede di cui aveva disperatamente bisogno – o più precisamente – desiderava. Sfortunatamente, né sua madre né il bambino erano sopravvissuti. Era completamente sola al mondo, e qualche volta era più di quanto potesse sopportare.

Voleva molto di più che bei vestiti e ninnoli splendenti. Certo, erano carini e apprezzava di non doversi preoccupare dei soldi. Alcune cose erano molto più importanti però. Stava segretamente studiando per diventare infermiera. Sir Benjamin sarebbe stato inorridito se lo avesse scoperto. Pregava affinché continuasse a rimanere all'oscuro del suo passatempo. Con l'attuale clima nel mondo politico, temeva che tali abilità avrebbero potuto rivelarsi necessarie, anche se pregava che il suo istinto si rivelasse sbagliato.

Ai membri della sua famiglia erano stati conferiti certi doni che risalivano a secoli prima. Alcuni dei suoi antenati erano stati perseguitati come streghe. Sua madre era una diretta discendente di quella schiatta, e ora lo era lei. Il nome di Catherine proveniva da una variante di quello di una di quelle streghe di tanto tempo prima: Caitrìona. Anche Catherine aveva lo stesso dono della donna che era stata condannata come malvagia e serva del diavolo. Quelli che non comprendevano le loro abilità sceglievano di credere che le persone che le possedevano fossero immorali, ma la sua famiglia considerava le loro capacità una benedizione da parte di qualche entità benevola.

La particolarità dei doni era questa: a volte comparivano in triplette. Era stata in qualche modo benedetta con tutte le abilità, ma una era più forte di tutte le altre. Le sue premonizioni non arrivavano in lampi, ma più come sensazioni enfatizzate dalle emozioni delle persone intorno a lei. La sua abilità più forte e più affidabile era incentrata su questa amplificazione, e a volte aveva difficoltà a decifrare cosa significasse tutto ciò. Quell'uomo emanava con estrema forza una cosa – segreti. Stava nascondendo qualcosa, e qualunque cosa fosse poteva potenzialmente avere un impatto sul mondo.

"Alcune persone hanno bisogno di eventi sociali per funzionare" disse lui in tono piatto. "Io non sono mai stato tipo da farci affidamento. A voi piacciono?"

"Non particolarmente" rispose lei. "Come avete affermato, sono più noiosi che divertenti. Se non vi piacciono, cosa vi porta a questo in particolare? Gli ospiti dell'ambasciatore sono generalmente del tipo prestigioso."

Aveva incontrato numerose persone che si vantavano della loro importanza. Catherine non aveva trovato nessuno di loro particolarmente degno di nota. Non si era mai affidata ai suoi doni per avere una qualche epifania al loro riguardo. Nella sua esperienza, se qualcuno parlava molto di sé, di solito significava che era di scarsa importanza. Erano quelli silenziosi che doveva osservare e capire. Come quell'uomo, che aveva iniziato la conversazione, ma non aveva detto molto su sé stesso.

"Non è mia abitudine vantarmi delle mie connessioni." Allungò una mano e afferrò un bicchiere di champagne da un cameriere mentre passava. L'uomo se lo portò alle labbra e sorseggiò il liquido frizzante. Ancora una volta, Catherine si ritrovò ipnotizzata da lui, dalle sue azioni e dalla sua indolenza. Tutto di lui rimaneva un enigma. A che gioco stava giocando? Abbassò il bicchiere e incontrò lo sguardo di lei. "Non pensate che sia molto meglio mimetizzarsi e non permettere a nessuno di notarti?"

Non capiva come sarebbe mai stato in grado di rendersi invisibile. Era di gran lunga l'uomo più bello della stanza, ed emanava fascino e arroganza, ma forse le stava mostrando solo quella parte di sé. Sembrava un uomo composto da diverse sfaccettature. Aveva il suo fascino, la natura disinvolta che mostrava al mondo, ma i suoi occhi avevano un'oscurità in loro che suggeriva avesse qualcosa da nascondere. Ma non aveva bisogno di affidarsi completamente alle supposizioni. Era nata con la capacità di vedere oltre le facciate che le persone usavano per nascondere chi erano veramente. Quell'uomo aveva un'aura che urlava segretezza. "Non sono mai stata granché il tipo da fare da tappezzeria" rispose lei. "Mi piace l'interazione sociale, la maggior parte delle volte." In effetti, ne aveva quasi bisogno.

Lui inclinò la testa. "No, infatti. Una donna come voi si distingue in mezzo alla folla. Dovete avere numerosi pretendenti."

"Non particolarmente" rispose lei. "Almeno non qui in Francia. A casa ne avevo qualcuno." Nessuno di loro le faceva battere il cuore più forte o rendeva il suo respiro affannoso. Quell'uomo sì però. Qualcosa in lui le faceva desiderare di avvicinarsi, di toccarlo, e forse persino di premere le labbra contro le sue. In poche parole, era pericoloso per il suo benessere, e ancora non conosceva nemmeno il suo nome.

"È un vero peccato." Sorseggiò di nuovo il suo spumante. "Ritengo che voi siate come questo champagne. Dolce, stuzzicante e traboccante di piacere dopo un assaggio."

Doveva essere un furfante della peggior specie. Un gentiluomo non avrebbe detto cose così oltraggiose a una signora. La credeva un'accompagnatrice assunta per il divertimento degli uomini alla festa? Non c'erano molte donne presenti. Tale era la natura degli incontri politici: le donne restavano a casa il più delle volte. Le altre signore erano mogli di diplomatici e dei loro impiegati. Catherine era l'unica donna non impegnata presente. Forse però stava leggendo troppo nella sua affermazione.

"Signore, siete troppo audace." Strinse gli occhi fissandolo. "Insisto affinché vi scusiate."

Sollevò un sopracciglio. "Non siete nessuna delle cose che ho menzionato?" Le sue labbra si inclinarono verso l'alto in un sorriso peccaminoso. Accidenti a lui e al suo splendido viso. "Non lo credo."

 

"Non sono una donna che potete insultare senza conseguenze." Era la figlia di un duca, dannazione. Catherine sollevò il mento e lo trapassò con il suo sguardo più altezzoso. "Non sapete chi sono?"

Lui ridacchiò leggermente. "Penso che tutta la Francia sia consapevole del vostro lignaggio – certamente tutti in Inghilterra lo sono."

Catherine fece un respiro profondo e si preparò per l'imminente litigio. Quell'uomo la prendeva per il verso sbagliato – e giusto allo stesso tempo. Desiderò con fervore che non lo trovasse così attraente. Il suo corpo quasi ronzava di gioia in sua presenza. Aveva sempre seguito il suo istinto in passato; comunque, pensava che con lui avrebbe fatto meglio a essere prudente. Era in grado di nascondere parte di se stesso ai suoi doni, e non poteva fidarsi di lui per questo motivo. Cosa lo rendeva speciale?

"Allora perché continuate a essere così scortese?" Per quanto si sforzasse, non riusciva assolutamente a discernere la sua motivazione per essere così arrogante e condiscendente. Lei era cortese con tutti, ma le stava facendo venir voglia di dare un pugno a qualcuno per la prima volta in tutta la sua vita. "Che cosa ho fatto perché voi vi comportiate così con me?"

"Nulla." Scrollò le spalle. "Mi incuriosite, e ho pensato di saggiare il vostro coraggio."

"Ohh…" Se fosse stata una signora incline a lasciarsi andare a scenate, avrebbe già battuto i piedi e urlato a squarciagola. "Siete insopportabile."

"Grazie." Le sue labbra si contrassero, e il divertimento gli balenò dagli occhi in modo evidente. "Mi vanto di essere in grado di stuzzicare le persone nei modi più inaspettati."

Lei alzò gli occhi al cielo. "In tal caso, considerate il vostro obiettivo raggiunto."

A Catherine non piaceva. Era il peggior tipo di uomo esistente e non riusciva a capire cosa avesse trovato così irresistibile in lui prima. Poteva andare all'inferno per quanto la riguardava. Sarebbe stato un giorno felice se non fosse mai più entrata in contatto con lui. Alcuni bei diavoli non avrebbero dovuto essere incoraggiati, e lui era in cima alla lista.

"Non si dovrebbe ballare a questi eventi?" Si guardò intorno nella stanza. "Sembra che la maggior parte della gente si accontenti di parlare di argomenti sciocchi al punto da farmi addormentare."

"Fatemi indovinare" cominciò. "Voi considerate voi stesso e tutto ciò che vi riguarda l'epitome di tutto ciò che è entusiasmante nel mondo." Che Dio la salvasse dagli uomini che pensavano che il mondo ruotasse attorno a loro. Non aveva bisogno che persone simili le prestassero attenzione.

"Niente affatto" rispose tranquillamente. "Ma non sono così noioso da rischiare di ridurre individui in stato catatonico." Fece un cenno a un gruppo vicino. "Guardateli bene – le loro stesse facce alludono alla placidità – praticamente dormono in piedi."

Catherine sospirò. "Se per voi è un inferno perché siete ancora qui?" Del resto, perché stava continuando a conversare con lui? Era ben oltre il livello dell'irritazione ed era entrata nel totale fastidio. "Potreste andare a casa, e tutto andrebbe per il meglio nel vostro mondo, Signor –"

"Lord" la interruppe. "Non sono mai stato un semplice signore."

Certo che era un lord. Arroganza come la sua veniva naturalmente ad alcuni, ma quelli della sua stirpe venivano allattati con essa. Non c'era da stupirsi che la stesse emanando con la stessa facilità con cui respirava e non si scusasse per questo. "Sia come sia…" Pregò silenziosamente di avere pazienza. "Per rispondere alla vostra domanda precedente, questa non è mai stata pensata per essere il tipo di riunione da ballo. È una cena in cui si conversa. Se volete di più, dovreste partecipare al ballo che ci sarà più avanti questa settimana. Sono sicura che un lord come voi non avrà problemi a trovare una partner di ballo disponibile."

"Ballerete con me?" Le sue labbra si inclinarono verso l'alto in un sorriso peccaminoso. La sua arroganza e sicurezza di sé le fluivano attraverso a ondate. "È per questo che mi avete suggerito di partecipare al prossimo ballo, vero?" Sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.

La cosa gentile sarebbe stata dire di sì. Era quello che si aspettava da lei, dopotutto… "Assolutamente no." Non riuscì a impedirsi di dirlo. "Non credo che arriveremmo a un brano completo prima che io desideri strangolarvi. È meglio evitarci entrambi questa conclusione disastrosa."

Invece di essere offeso, fece un largo sorriso come se si fosse complimentata con lui. Era un tale bastardo bastian contrario. "Penso mi piacciate."

"Per favore, non fatelo" supplicò lei. "Non ho bisogno che siate affascinante. Piacervi è l'ultima cosa che desidero fare."

All'inizio della loro conversazione non avrebbe voluto altro. Ora che aveva passato un po' di tempo in sua compagnia, aveva cambiato idea. Poteva essere bello, e qualcosa in lui poteva attirarla, ma era completamente sbagliato per lei. Nella sua esperienza, era meglio tagliare tutti i legami in situazioni come quelle. Catherine non aveva bisogno di un cuore spezzato nella sua vita.

"Ah" si fece un po' più vicino. Il calore scorreva da lui a lei a ondate. "Ma mi trovate affascinante. Se vi può essere di aiuto, sono ugualmente incantato da voi."

"Vi assicuro che non era mia intenzione." Le sue guance arrossirono mentre si scaldava dall'interno. Sorseggiò il suo champagne distrattamente per mancanza di altre risposte alle sue attenzioni. "Non prendetela a cuore."

"Temo di averlo già fatto." Sollevò il bicchiere di champagne in segno di saluto. "Ma so quando fermarmi. A voi, mia cara, Lady Catherine." Bevve un sorso dopo il brindisi e poi fece l'occhiolino. "Fino a quando non ci incontreremo di nuovo, perché sono sicuro che lo faremo."

Con quelle parole, uscì dalla stanza. Nessuno se ne accorse e lei si chiese per un attimo se l'avesse immaginato. No, le sue premonizioni non funzionavano in quel modo. Era reale e presente. Non poté fare a meno di credere che le sue parole di addio fossero un presagio: lei avrebbe voluto almeno che si fosse presentato. Sarebbe stato bello sapere il nome… Catherine immaginava si sarebbero incrociati altre volte. In qualche modo, in qualche maniera, le loro vite erano intrecciate. Non aveva mai sbagliato prima; tuttavia, questa era la prima volta che la cosa la terrorizzava e la rinvigoriva allo stesso tempo.

CAPITOLO DUE

L'appartamento che Asher Rossington, il Conte di Carrick, si era assicurato per il suo periodo a Parigi, aveva poco da offrire. La sua casa in Inghilterra aveva uno stile più lussuoso, ma non ci si poteva aspettare nient'altro da Seabrook. Suo padre – l'attuale Marchese di Seabrook – aveva pensato gli servisse esplorare un po' il mondo. Con fondi limitati a sua disposizione, Asher non vedeva il motivo di affittare qualcosa di più elaborato. Tutto ciò di cui aveva bisogno era un posto dove dormire in relativa pace e conforto.

Ciò che suo padre non sapeva era che Asher era impegnato attivamente in una missione segreta con il Conte di Derby, che lavorava a stretto contatto con il Sottosegretario di Stato per la Guerra. Per qualche ragione, la vecchia capra non si fidava di suo cugino, Sir Benjamin Villiers, che attualmente lavorava per l'Ambasciatore del Regno Unito in Francia. La posizione dava a Sir Benjamin l'accesso a una certo numero di funzionari stranieri. Asher non sapeva cosa avesse fatto per far sì che suo cugino diffidasse di lui a quel modo, ma non vedeva alcuna ragione per non poter fare un piccolo lavoro di spionaggio mentre era in viaggio alla ricerca di sé stesso. Era una cosa di famiglia, dopotutto. Il suo bis-bisnonno – Dominic Rossington, il decimo Marchese di Seabrook – era stato una spia durante le guerre napoleoniche. Gli piaceva l'idea di seguire le sue orme.

Un bussare echeggiò attraverso la stanza. Asher fissò la porta come se fosse stata una sostanza estranea. Chi diavolo poteva mai esserci dall'altra parte? Certo, aprire gli avrebbe dato la risposta a quella domanda, ma non aveva voglia di fare lo sforzo. Se avesse ignorato la cosa abbastanza a lungo, sarebbero andati via e lui sarebbe riuscito a farsi lasciare in pace. La persona bussò di nuovo. Asher sospirò, poi si alzò e si avvicinò. Quando raggiunse la porta, la spalancò.

"Telegramma, monsieur" disse un ragazzo e gli porse una busta, poi se ne andò.

La parte anteriore della busta era indirizzata al Marchese di Seabrook. "Aspetta, non è per me." Non poteva essere per lui. Suo padre era il marchese. Non avrebbe avuto quel titolo fino a quando…

Asher deglutì a fatica. L'unico modo in cui l'avrebbe ereditato era se suo padre fosse morto.

"Io le consegno solo" il ragazzo si fermò per un attimo e disse da sopra la spalla "Sta a voi quello che ci farete."

Proseguì, senza guardarsi indietro nemmeno una volta. Non capiva cosa significava quella sua consegna? La sua intera vita era stata capovolta da una busta, e non aveva nemmeno rotto il sigillo. Suo padre non era in Francia. Avrebbe dovuto essere a casa a Seabrook – sano e salvo. Asher deglutì a fatica e lentamente aprì la busta. Tirò fuori la missiva, e poi cadde in ginocchio. Suo padre… Dio, non poteva nemmeno pensarci. Perché aveva insistito perché Asher facesse un maledetto tour mondiale? Le parole si fecero sfocate davanti a lui e capì perché. Le lacrime scorrevano… Le asciugò furiosamente, ma non fu d'aiuto.

Ora era il Marchese di Seabrook.

Il telegramma diceva che suo padre era morto mesi fa, ma non sapevano dove trovare Asher. Quindi non era nemmeno stato in grado di assistere al funerale di suo padre. Era stato a Parigi per tre settimane; prima di allora, era stato su una barca che navigava in giro per la Grecia, e poi aveva preso un treno attraverso buona parte dell'Europa finché non aveva deciso di lavorare con il Conte di Derby. Lo aveva incontrato per caso mentre si trovava nel sud della Francia. Ora era a Parigi, a fare i conti con il fatto che suo padre era morto mentre lui bighellonava per vari Paesi.

Doveva andare a casa, anche se il funerale era già stato celebrato. Sua madre avrebbe avuto bisogno del suo sostegno, e le sue sorelle… Anche loro dovevano essere devastate. Asher non poteva credere che suo padre se ne fosse andato… In qualche modo, riuscì a rimettersi in piedi strisciando e ad appoggiare il telegramma su un tavolo vicino. A un certo punto, avrebbe voluto rileggerlo. Doveva uscire dal suo appartamento e camminare per Parigi. Forse sarebbe stato in grado di raccogliere i suoi pensieri e prendere una decisione. C'era ancora del lavoro che doveva fare in città riguardo Sir Benjamin. Non aveva potuto dare un ultimo addio a suo padre, e tornare in Inghilterra adesso sembrava quasi – inutile. Tuttavia, non avrebbe ancora preso quella decisione.

Asher si diresse verso il lavandino per lavare via le lacrime. Dentro di sé era strappato a brandelli e le sue emozioni erano in subbuglio. Ci sarebbe voluto un po' prima che avesse potuto prendere decisioni razionali, e ancora di più prima che il suo dolore diminuisse. Afferrò un panno dallo scaffale e lo inzuppò in acqua tiepida, poi si strofinò la faccia, probabilmente più a lungo del necessario, ma questo lo calmò. Lo allontanò e lo appoggiò sul retro del lavandino, poi fissò il suo riflesso nello specchio. I suoi occhi erano arrossati, e i suoi capelli biondi erano rimasti un po' umidi per via del panno. Con un po' di fortuna, nessuno avrebbe notato quanto fosse distrutto. Diavolo, non gli importava davvero se l'avrebbero fatto, a patto che non si preoccupassero di chiedere cosa c'era che non andava in lui. A quella domanda non voleva rispondere. In parte perché non aveva idea di come fare.

"Bene" disse a se stesso. "Almeno non sono un duca – quello sarebbe peggio. Tutti quei "vostra grazia" mi farebbero impazzire." Poteva essere di grado più alto, ma era ancora un Lord. Alcune persone avrebbero potuto prestargli maggiore attenzione però. Un marchese aveva più influenza nel governo e nella società. Suo padre era stato una grande influenza nella Camera dei Lord. Anche quella era una cosa che Asher avrebbe dovuto prendere in considerazione. Quanto voleva partecipare alla politica?

Si avvicinò e afferrò la giacca. L'aria fresca gli avrebbe fatto bene, e non era ancora troppo caldo per giugno. Forse avrebbe fatto un giro turistico. Non aveva avuto tempo da quando era arrivato. Sinceramente, stava cercando qualcosa a cui pensare che non fossero le notizie che avevano mandato in frantumi il suo mondo. Pregò che una distrazione di qualche tipo trovasse la sua strada fino a lui.

 

Lady Catherine passeggiava lungo il lato del Pont d'Iéna, dirigendosi verso la Torre Eiffel. Era uscita di soppiatto dall'ambasciata per esplorare la zona da sola. Sir Benjamin avrebbe insistito affinché portasse qualcuno con sé. Credeva che Parigi fosse un posto pericoloso per una giovane donna. Catherine voleva un po' di pace e tranquillità. Passeggiare lungo la Senna sembrava una buona idea. Qualcosa nell'acqua calmava la sua anima. Si fermò e fissò il fiume sottostante.

"Non ditemi che state considerando qualcosa di drastico" disse un uomo.

Si riscosse dalle sue fantasticherie e guardò nei suoi occhi verdi. Erano passati due giorni da quando l'aveva incontrato all'ambasciata. Era rimasto nei suoi pensieri da allora. Qualcosa che avrebbe voluto non ammettere, anche se solo a se stessa. Catherine ancora non conosceva il suo nome, e la irritava che non si fosse presentato. Chiedere al suo tutore avrebbe risolto il problema; tuttavia, ne avrebbe causato uno nuovo.

A Sir Benjamin sarebbe piaciuto che si fosse interessata a un uomo. Lui voleva che lei si sposasse e si sistemasse, e qualcosa le diceva che lo avrebbe voluto ancora di più quando avesse scoperto a chi era interessata. Poteva non sapere il suo nome, ma era sicura avesse un bel titolo che lo accompagnava. Catherine lo fulminò con lo sguardo. "Dipende da ciò che considerate drastico."

"Saltare verso la morte nel fiume sottostante."

Lei fissò l'acqua in basso e scrollò le spalle. "Non sembra così male laggiù. Il salto non è così alto – sopravviverei."

Sollevò un sopracciglio. "Lo stavate davvero prendendo in considerazione."

Una nuotata nella Senna non era in cima alla sua lista di cose da fare. C'erano cose molto migliori in cui poteva impiegare il suo tempo. Ma non glielo avrebbe detto. Erano a malapena conoscenti e lei non gli doveva nulla. "Se lo facessi, saltereste dopo di me?"

"Come gentiluomo, mi sarebbe richiesto" disse quasi con rammarico. "Per favore, non costringetemi. Ho già avuto una brutta giornata, e sarei grato se non peggioraste la situazione."

"Potrei considerare di avere pietà di voi" lo stuzzicò. "Per il giusto prezzo." Iniziò a sorridere, ma quando lo guardò, la tristezza la colpì. Il lato empatico del suo dono di solito non si manifestava in modo così duro. Lui soffriva, e molto… Non aveva mentito quando aveva detto che aveva avuto una brutta giornata. Cosa gli aveva causato così tanto dolore?

"Ditelo" rispose. "Potrei essere disposto a pagarlo." Curvò le labbra verso l'alto, ma non vi era felicità. I suoi occhi mostravano anche un po' di rosso intorno come se avesse pianto. Quest'uomo aveva davvero versato lacrime – Catherine non riuscì a trattenere la sorpresa. La sua bocca si aprì, ma non uscì nessuna parola. "Il gatto vi ha morso la lingua?" Il successivo sorrisetto le fece desiderare di toglierglielo dalla faccia. Si era dispiaciuta per lui…

"No" rispose. "Riflettevo su ciò che voglio."

"Una donna come voi necessariamente è costosa." Strizzò l'occhio. "Prometto che sono un uomo di parola."

Lo faceva sembrare così allusivo. Le guance di Catherine bruciavano, ma lei non riusciva a distogliere lo sguardo. Quando aveva lasciato l'ambasciata non si aspettava che la sua giornata coinvolgesse lui. L'uomo misterioso di cui voleva sapere di più – l'enigma che non riusciva a risolvere. "Forse c'è qualcosa che potete fare per me."

"Oh?" Incrociò le braccia sul petto. "Pensavo che fosse il punto di questa conversazione. Devo pagare qualunque prezzo voi riteniate accettabile, così non vi tufferete verso la morte nel fiume sottostante." Lanciò un'occhiata oltre la ringhiera. "Per favore ditemi che ci avete ripensato. Non voglio bagnarmi oggi."

Lei alzò gli occhi al cielo. "Non dovete preoccuparvi. Non ho alcun desiderio di morire in questo momento." Catherine gli tese il braccio. "Camminereste con me?"

Cercava di nasconderlo, ma il dolore non era sparito. Ogni secondo che passava in sua compagnia, quella tristezza la colpiva. Doveva aiutarlo, o essa sarebbe cresciuta. "Se insistete" fu d'accordo. "Non ho particolarmente voglia di tornare nel mio appartamento."

Catherine avvolse il braccio intorno al suo. "Ho sentito che la Torre Eiffel è bella."

"Non saprei" disse lui. "Mai stato lì."

"È difficile non vederla." Catherine rise leggermente e la indicò. "È piuttosto grande."

Era silenzioso e non diede segno di notare ciò a cui lei faceva cenno. Catherine non era sicura di quanto avrebbe potuto sopportare oltre. Doveva trovare un modo per farlo aprire. Sarebbero stati vicino alla torre presto, e poi? "Avete intenzione di presentarvi prima o poi?"

Questo gli fece aggrottare la fronte ancora di più. Che cosa aveva detto? Perché il suo nome lo rendeva più triste di prima? Raggiunsero la fine del ponte e lui si staccò da lei. Si voltò verso il fiume e lo fissò. "Forse ero io a voler saltare e voi quella che mi ha salvato."

"Non può essere così male." Allungò la mano e gli toccò il braccio. "Che c'è?"

"La vita è buffa" iniziò. "Pensi di avere così tanto tempo, ma in realtà è piuttosto limitato. Ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, eppure continuiamo ad andare avanti."

Aveva perso qualcuno. Ecco perché diffondeva tristezza. "Questo è anche ciò che rende bella la vita. Quando trovi la gioia, dovrebbe essere abbracciata, e anche i momenti difficili ci insegnano qualcosa. Ci danno una ragione per apprezzare la felicità quando ce l'abbiamo."

La loro vicinanza le rendeva più facile raggiungerlo. Questo lato del suo dono non sempre funzionava quando lei lo voleva. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto essere in grado di alleviare alcune delle sue sofferenze e rendere più facile sopportare il dolore. Un tocco di felicità e una spolverata di speranza – e poi il suo atteggiamento sarebbe migliorato. Lui sbatté le palpebre diverse volte e scosse la testa. "L'avete sentito?"

"Cosa?" chiese Catherine con tono innocente. Normalmente la gente non se ne accorgeva quando li aiutava con la sua abilità empatica. Forse aveva un legame più profondo con quell'uomo più di quanto non si rendesse conto. Non era sicura di cosa significasse, ma avrebbe riflettuto su tutte le possibilità dopo – quando fosse stata sola.

"Quella scossa…" Corrugò le sopracciglia. "Davvero non l'avete sentita?"

Catherine non avrebbe mai potuto ammettere di aver usato qualcosa di fuori dell'ordinario per guarirlo. Nessuno capiva i suoi doni. La sua famiglia era stata maledetta a causa loro a sufficienza nel corso degli anni, e lei non voleva che lui la vedesse in modo diverso. Per qualche ragione, le piaceva. "Temo di non sapere di cosa stiate parlando."

Lui scosse di nuovo la testa. "Suppongo che non sia niente." Le sue labbra si inclinarono verso l'alto in un sorriso peccaminoso. Il genere di sorriso che le aveva concesso per la prima volta all'ambasciata. Sembrava già essere più sé stesso. "Mi avete chiesto se mi sarei mai presentato. Sarebbe troppo per voi chiamarmi Ash? Non mi piacciono le formalità."

"Se insistete – Ash" rispose lei. Perché non voleva che lei sapesse chi era? Cosa poteva mai nascondere? Aveva già ammesso di essere un Lord. Dal momento che era consapevole delle sue relazioni familiari, sicuramente doveva rendersi conto che non le importava del suo status tra la massa. "Allora dovete chiamarmi Cat. Tutti i miei amici lo fanno." Non che ne avesse molti, ma lui non aveva bisogno di saperlo.

"Sono piuttosto contento di avervi incontrato." Ash le scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Penso che avessi bisogno di trovare la mia gattina-Cat per farmi sentire meglio. Grazie per qualsiasi cosa sia che avete fatto."

"Non ho fatto nulla…" L'ultima cosa che si aspettava suggerendo di usare il suo soprannome era che lui ne inventasse uno suo. Catherine non era sicura di come sentirsi a riguardo. Nessuno si era mai preso la briga di prendersi tante confidenze con lei prima. A una parte di lei piaceva, l'altra parte di lei era terrorizzata da ciò che poteva significare.

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