Tracce di Omicidio

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Из серии: Un Thriller di Keri Locke #2
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Tracce di Omicidio
Tracce di Omicidio
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Читает Alessia De Lucia
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CAPITOLO TRE

Con la sirena sul tettuccio della malconcia Prius, Keri zigzagava nel traffico, con le dita aggrappate al volante e l’adrenalina in crescita. Il deposito di Palms era sulla strada per Beverly Hills, più o meno. Così Keri aveva giustificato l’aver dato la priorità alla ricerca di sua figlia, la scorsa settimana scomparsa da cinque anni, a discapito della ricerca di una donna che era sparita da meno di un giorno.

Ma doveva arrivare presto. Brody era partito in anticipo per i Burlingame, perciò poteva arrivare dopo di lui. Ma se si fosse fatta vedere troppo tardi, Brody avrebbe sicuramente fatto la spia a Hillman.

Avrebbe usato qualsiasi scusa per evitare di lavorare con lei. E raccontare al capo che lei aveva rallentato un’indagine presentandosi in ritardo all’interrogatorio di un testimone era roba sua. E questo le lasciava solo pochi minuti per controllare il deposito.

Parcheggiò sulla strada e puntò al cancello principale. Il deposito si trovava tra un magazzino e un punto vendita della U-Haul. Il brusio della centrale elettrica dall’altra parte della strada era fastidiosamente alto. Keri si chiese se non stesse rischiando di prendersi il cancro anche solo stando lì.

Il deposito era circondato da staccionate a basso costo pensate per tenere fuori i girovaghi e i tossici, ma non fu difficile per Keri scivolare nella fessura che stava tra i cancelli chiusi malamente. Avvicinandosi alla porta principale del complesso, notò il cartello del luogo a terra, coperto dalla polvere. Diceva Conservazione di oggetti senza prezzo.

Non c’era niente che fosse senza prezzo dentro al deposito vuoto e cavernoso. In effetti non c’era proprio niente, eccetto poche sedie pieghevoli di metallo rovesciate e qualche mucchio di cartongesso sbriciolato. L’intero posto era stato ripulito. Keri esplorò tutto il complesso, in cerca di qualche indizio che potesse riguardare Evie, ma non fu in grado di trovare nulla.

Si abbassò sulle ginocchia, sperando che una prospettiva diversa potesse offrirle un punto di vista nuovo. Non notò nulla, anche se c’era qualcosa di leggermente strano sul fondo del deposito. Una sedia pieghevole di metallo era in piedi con sopra una pila di detriti in cartongesso, finemente ammucchiati fino a raggiungere un’altezza di trenta centimetri. Sembrava improbabile che fossero finiti così senza nessun aiuto.

Keri si avvicinò per vedere meglio. Aveva la sensazione di essere in cerca di collegamenti dove non ce n’erano. Eppure spostò in parte la sedia, ignorando il breve barcollio che fece il cartongesso prima di ruzzolare sul pavimento.

Rimase sorpresa dal suono che fece quando colpì il cemento. Invece del tonfo che si aspettava, ci fu un un’eco vuota. Sentendo che il cuore cominciava improvvisamente a battere veloce, Keri calciò via i detriti e calpestò il punto in cui erano caduti – un’altra eco vuota. Fece scorrere la mano sul pavimento e scoprì che il punto che prima si trovava sotto alla sedia non era di cemento vero, ma di legno dipinto di grigio per mimetizzarsi con il resto della pavimentazione.

Cercando di controllare il respiro, esaminò la parte in legno con le dita finché non ne sentì una parte rialzata. Premette, e udì il rumore di una serratura a scatto che si apriva, e sentì sollevarsi un’estremità. Si abbassò e tirò via dalla sua fessura scanalata il pezzo quadrato di legno, che era grande circa come il coperchio di un tombino.

Sotto c’era uno spazio pronfondo all’incirca venticinque centimetri. Non c’era nulla dentro. Nessun documento, nessun attrezzo. Era troppo piccolo per contenere una persona. Al massimo avrebbe potuto contenere una piccola cassaforte.

Keri ne tastò i margini in cerca di un altro pulsante nascosto, ma non trovò altro. Non era sicura di cosa poteva esserci stato in passato, ma ora non c’era più. Sedette sul cemento duro accanto alla fessura, non sapendo che altro fare.

Guardò l’orologio. Era l’una e quindici. Doveva essere a Beverly Hills entro quindici minuti. Anche partendo in quel momento, sarebbe arrivata appena in tempo. Frustrata e infastidita, rimise velocemente a posto il coperchio in legno, fece scivolare la sedia dove si trovava prima e lasciò l’edificio, dando un’ultima occhiata al cartello per terra.

Conservazione di oggetti senza prezzo. Il nome dell’attività è una specie di indizio o sono solo stata giocata da uno stronzo crudele? Qualcuno mi sta dicendo che cosa devo fare per conservare Evie, il mio bene più prezioso?

L’ultimo pensiero le mandò un’ondata di ansia lungo il corpo. Sentì le ginocchia cedere e cadde a terra goffa, cercando di evitare di farsi ancora male al braccio sinistro, che era inutilmente allacciato all’imbracatura che le attraversava il petto. Usò la mano destra per evitare di crollare del tutto.

Piegata in due, con una nuvola di polvere che le si sollevava intorno, Keri chiuse forte gli occhi e cercò di scacciare i pensieri oscuri che la stavano accerchiando. Una fugace visione della sua piccola Evie le si fece strada violentemente nel cervello.

Nella visione aveva ancora otto anni, i codini biondi le rimbalzavano sul capo, il viso era bianco di terrore. Un uomo biondo con un tatuaggio sul lato destro del collo la stava buttando dentro a un furgone bianco. Keri sentì il tonfo quando il suo corpicino andò a sbattere contro alla parete del furgone. Vide il biondo accoltellare un ragazzino che aveva cercato di fermarlo. Vide il furgone partire e andarsene in fretta, lasciandola lei lontanissima, a inseguirlo con i piedi nudi e sanguinanti.

Era ancora tutto così vivido. Keri represse le lacrime mentre scacciava il ricordo, cercando di costringersi a tornare al presente. Dopo alcuni momenti riprese il controllo. Fece dei lunghi respiri lenti. La vista le si schiarì e si sentì abbastanza in forze da rialzarsi.

Era il primo flashback che aveva da settimane, da prima dello scontro con Pachanga. Una parte di lei aveva sperato che i flashback se ne fossero andati per sempre – non era stata fortunata.

Sentì un dolore alla clavicola dovuto allo scatto che aveva fatto per attutire la caduta. Irritata, si tolse l’imbracatura. Era più un intralcio che un aiuto, a quel punto. Inoltre non voleva sembrare debole quando avrebbe incontrato il dottor Burlingame.

L’interrogatorio con Burlingame — devo andare!

Riuscì a incespicare fino alla macchina e a immettersi nel traffico, stavolta senza la sirena. Aveva bisogno di silenzio per la telefonata che stava per fare.

CAPITOLO QUATTRO

Keri percepiva il nervosismo nello stomaco mentre digitava brusca il numero della stanza d’ospedale di Ray e aspettava che rispondesse. Ufficialmente, non c’era ragione per cui si sarebbe dovuta sentire nervosa. Dopotutto Ray Sands era suo amico e suo partner nell’Unità persone scomparse della Divisione Pacific del LAPD.

Mentre il telefono continuava a suonare, la sua mente tornò a prima che fossero partner, quando lei era una docente di criminologia alla Loyola Marymount University e lavorava come consulente per il dipartimento, aiutandolo in alcuni casi. Erano andati d’accordo subito, e lui le aveva ritornato l’aiuto professionale parlando occasionalmente alle sue classi.

Dopo il rapimento di Evelyn, Keri era precipitata in un nero abisso di disperazione. Il suo matrimonio era andato in pezzi, e lei aveva preso a bere pesantemente e a passare la notte con molti studenti dell’università. Alla fine era stata licenziata.

Era stato poco dopo, quando era quasi al verde, ubriaca, e viveva in una vecchia e decrepita casa galleggiante al porto, che era tornato. L’aveva convinta a iscriversi all’accademia di polizia, come aveva fatto lui quando la sua, di vita, era andata in pezzi. Ray le aveva offerto una cima di salvataggio, un modo per riconnettersi con il mondo e scoprire il senso della sua vita. Lei aveva preso la cima.

Dopo il diploma e il servizio come agente in divisa, era stata promossa detective, e aveva chiesto di essere assegnata alla Divisione Pacific, che copriva quasi tutta la West Los Angeles. Era il luogo in cui viveva e che conosceva meglio. Era anche la divisione di Ray. Lui l’aveva richiesta come partner e lavoravano insieme da un anno quando il caso Pachanga li aveva mandati entrambi all’ospedale.

Ma non era per lo stato di guarigione di Ray che Keri si sentiva nervosa. Era per lo stato della loro relazione. Qualcosa di più dell’amicizia era nato nell’ultimo anno, mentre lavoravano fianco a fianco, insieme. Lo sapevano entrambi, ma nessuno dei due era disposto a riconoscerlo ad alta voce. Keri provava fitte di gelosia quando lo chiamava a casa e rispondeva una donna. Era un noto e impenitente dongiovanni perciò la cosa non avrebbe dovuto sorprenderla, ma l’invidia era ancora lì, nonostante tutti i suoi sforzi.

E sapeva che lui provava la stessa cosa. Gliel’aveva visto negli occhi quando lavorando a un caso un testimone ci provava con lei. Riusciva quasi a percepire che si irrigidiva accanto a lei.

Pur essendo stato così vicino alla morte dopo la sparatoria, nessuno dei due era stato disposto ad affrontare la questione. Una parte di Keri pensava che fosse inappropriato concentrarsi su trivialità del genere quando stava guarendo da ferite pericolose. Ma un’altra parte di lei era semplicemente terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto se le cose fossero state messe in chiaro.

Quindi entrambi ignoravano la cosa. E dato che nessuno dei due era abituato a tenere le cose nascoste all’altro, era imbarazzante. Mentre Keri ascoltava il trillo del telefono della stanza di Ray, un po’ sperava che rispondesse e un po’ no. Aveva bisogno di dirgli della chiamata anonima e di cosa aveva scoperto al deposito. Ma non sapeva come cominciare la conversazione.

 

Alla fine, non ebbe importanza. Dopo dieci squilli, riappese. Non c’era segreteria sul telefono dell’ospedale, e ciò significava che Ray probabilmente non era a letto. Decise di non provare a chiamarlo sul cellulare. Probabilmente era in bagno o in fisioterapia. Sapeva che non vedeva l’ora di tornare a muoversi e che finalmente aveva avuto il via libera per cominciare la fisioterapia due giorni prima. Ray era un ex pugile professionista e Keri era sicura che avrebbe trascorso ogni minuto libero a lavorare per tornare alla forma fisica perfetta per un combattimento, o almeno per il lavoro.

Incapace di non tornare con la mente al suo partner, Keri cercò di scacciarsi dalla testa il giro al deposito e di concentrarsi sul caso che aveva per le mani – la persona scomparsa Kendra Burlingame.

Con un occhio alla strada e l’altro al GPS del telefono, macinò rapida le strade tortuose di Beverly Hills fino all’isolata comunità sopra alla città. Più risaliva le colline, più le strade si facevano ventose e più lontane si facevano le case dalla strada. Lungo il percorso ripassò ciò che sapeva del caso finora. Non granché.

A Jeremy Burlingame, nonostante il suo lavoro e il luogo in cui viveva, piaceva tenere un basso profilo. I colleghi alla stazione di polizia avevano dovuto scavare un po’ per scoprire che il quarantunenne era un rinomato chirurgo plastico conosciuto sia per le operazioni cosmetiche che faceva alle celebrità sia per quelle pro-bono fatte a bambini affetti da deformità facciali.

Kendra Burlingame, trentotto anni, un tempo era stata un’addetta alle relazioni stampa di Hollywood. Ma dopo il matrimonio con Jeremy, aveva creato e aveva messo tutte le sue energie in un’associazione no-profit che si chiamava Solo Sorrisi, che raccoglieva fondi per le operazioni sui bambini e coordinava tutti i loro pre- e post-operatori.

Erano sposati da sette anni. Nessuno dei due aveva precedenti. Non c’era storia conosciuta di disarmonia matrimoniale, né di abuso di droghe o alcol. Almeno sulla carta erano la coppia perfetta. Keri si fece immediatamente sospettosa.

Dopo alcune curve sbagliate, finalmente parcheggiò alla casa alla fine di Tower Road all’una e quarantuno, con undici minuti di ritardo.

Chiamarla casa era un eufemismo. Era più una combinazione di edifici che si trovavano tutti su una proprietà che sembrava coprire molti ettari. Dal suo punto di osservazione riusciva a vedere tutta la città di Los Angeles che si distendeva sotto di lei.

Keri si prese un momento per fare una cosa rara per lei – ritoccarsi il trucco. Togliere l’imbracatura aveva dato una mano al suo aspetto, ma il livido giallastro vicino all’occhio si notava ancora. Quindi lo tamponò con del correttore finché non fu quasi invisibile.

Soddisfatta, premette il campanello accanto al cancello di sicurezza. Mentre aspettava la risposta, notò la Cadillac rosso granata e bianca del detective Frank Brody.

Una voca femminile si fece sentire al citofono.

“Detective Locke?”

“Sì.”

“Sono Lupe Veracruz, la domestica dei Burlingame. Entri, prego, e parcheggi accanto al suo partner. La riceverò io e la accompagnerò dal detective Brody e dal dottor Burlingame.”

Il cancello si aprì e Keri entrò lentamente, parcheggiando accanto al veicolo immacolato di Frank. La Caddy era la sua bambina. Era orgoglioso dello schema cromatico datato, del chilometraggio scarso, e delle dimensioni elefantiache. La definiva un classico. Per Keri, la macchina, così come il suo proprietario, era un dinosauro.

Mentre apriva la portiera, una minuta ispanica dall’aria affabile vicina ai cinquanta uscì per venirle incontro. Keri uscì dall’auto veloce, non volendo che la donna la vedesse faticare per manovrare la spalla destra ferita. Da quel punto in avanti, Keri si considerava in territorio nemico e su una potenziale scena del crimine. Non voleva tradire alcun senso di debolezza a Burlingame né ad altri nella sua orbita.

“Da questa parte, detective,” disse Lupe facendosi subito professionale, e girò sui tacchi per condurre Keri lungo un viale di ciottoli delimitato da fiori curati con premura. Keri cercò di stare al passo muovendosi però con cautela. Con le ferite all’occhio, alla spalla e alle costole, si sentiva ancora incerta sul terreno accidentato.

Superarono un’enorme piscina con due trampolini e a una corsia. Accanto c’era una grande buca con molta terra vicino. Un escavatore se ne stava pigro lì accanto. Lupe colse la sua curiosità.

“I Burlingame ci metteranno una vasca calda. Ma le piastrelle marocchine che hanno ordinato sono in attesa, quindi il progetto è slittato.”

“Ho anch’io lo stesso problema,” disse Keri. Lupe non rise.

Dopo molti minuti raggiunsero un’entrata laterale alla casa principale, che conduceva a una cucina grande e ariosa. Keri riusciva a sentire delle voci maschili vicino. Lupe le fece svoltare l’angolo fino a quella che sembrava essere una stanza per la colazione. Il detective Brody era in piedi, rivolto nella sua direzione, e parlava con un uomo che le dava la schiena.

L’uomo sembrò aver percepito il suo arrivo e si voltò prima che Lupe avesse la possibilità di annunciarla. Keri, in piena modalità investigativa, si concentrò sui suoi occhi mentre lui la studiava. Erano castani e caldi, con appena una punta di rosso sul margine delle iridi. O aveva delle brutte allergie o di recente aveva pianto. Lui sforzò un sorriso imbarazzato sul viso, parendo intrappolato tra la responsabilità, che da lui ci si aspettava, del bravo padrone di casa e l’ansia data dalla situazione.

Era un uomo di bell’aspetto, non proprio attraente ma con un viso aperto e amichevole che gli conferiva un’aria avida da ragazzino. Nonostante la giacca sportiva, Keri vedeva che era in buona forma. Non era tanto muscoloso ma aveva la corporatura asciutta e slanciata degli atleti di resistenza, magari era un maratoneta o un triatleta. Era di altezza media, forse sul metro e settantacinque per settantasette chili. I capelli castani tagliati corti avevano le prime sottili striature di grigio.

“Detective Locke, la ringrazio per essere venuta,” disse avvicinandosi e porgendo la mano. “Stavo parlando con il suo collega.”

“Keri,” disse Frank Brody bruscamente. “Non siamo ancora entrati nei dettagli. Volevo aspettare che arrivassi tu.”

Era un colpo sottile al suo ritardo mascherato da quella che poteva sembrare cortesia professionale. Keri, fingendo di non farci caso, si mantenne concentrata sul medico.

“Piacere di conoscerla, dottor Burlingame. Mi dispiace che le circostanze siano così difficili. Perché non cominciamo subito? In un caso di persona scomparsa ogni secondo è prezioso.”

Con la coda dell’occhio Keri vide il cipiglio di Brody, che era chiaramente infastidito dal fatto che avesse preso lei il comando della situazione. A lei, in realtà, non fregava un cazzo.

“Certo,” disse Burlingame. “Da dove cominciamo?”

“Al telefono ci ha delineato approssimativamente la cronologia degli eventi. Ma vorrei che entrasse più nel dettaglio, se può. Perché non parte dall’ultima volta che ha visto sua moglie?”

“Okay, è stato ieri mattina ed eravamo in camera…”

Keri prese la parola.

“Scusi se la interrompo, ma può portarci lì? Vorrei essere nella stanza mentre ci descrive gli eventi che sono accaduti lì.”

“Sì, certo. Può venire anche Lupe?”

“Con lei parleremo separatamente,” disse Keri. Jeremy Burlingame annuì e li condusse in cima alle scale. Keri continuava a osservarlo bene. La sua interruzione di un momento prima era giustificata solo in parte dalla ragione che gli aveva fornito.

Voleva anche valutare come un medico stimato e di potere avrebbe reagito ai ripetuti ordini di una donna. Fino a quel momento, almeno, non ne sembrava turbato. Sembrava desideroso di fare o dire ciò che gli veniva chiesto, se fosse stato utile.

Mentre procedevano, lei lo bombardava di domande.

“In circostanze normali, dove si troverebbe sua moglie adesso?”

“Qui a casa, immagino, a prepararsi per la raccolta fondi di stasera.”

“Di che raccolta fondi si tratta?” chiese Keri, simulando la sua ignoranza.

“Abbiamo una fondazione che sovvenziona chirurgia ricostruttiva, soprattutto per bambini con irregolarità facciali, a volte per adulti che stanno guarendo da ustioni o incidenti. Kendra gestisce la fondazione e tiene due galà principali l’anno. Uno era programmato per stasera al Peninsula Hotel.”

“La sua automobile si trova qui a casa?” chiese Brody mentre imboccavano una lunga rampa di scale.

“Onestamente non lo so. Non riesco a credere che non mi sia venuto in mente di controllare. Lasciatemi chiedere a Lupe.”

Prese il cellulare e usò quella che sembrava una funzione walkie-talkie.

“Lupe, sai se la macchina di Kendra è nel garage?” La risposta fu quasi immediata.

“No, dottor Burlingame. Ho controllato quando ha chiamato prima. Non c’è. E sistemando i vestiti ho anche notato che una delle sue piccole valigie da viaggio manca dal suo armadio.”

Burlingame sembrava perplesso.

“Strano,” disse.

“Che cosa?” chiese Keri.

“Non capisco che ragione avrebbe potuto avere per portare la valigia da qualche parte. Ha una sacca da viaggio che usa quando va in palestra e usa un borsa porta-abiti se intende mettersi l’abito da ballo sul luogo del galà. Usa le valigie come bagagli a mano solo quando viaggiamo davvero.”

Dopo la rampa di scale e un lungo corridoio, raggiunsero la camera padronale. Brody, senza fiato per la lunga camminata, si portò le mani ai fianchi, bloccò il petto e respirò affannosamente.

Keri analizzò appieno la stanza. Era enorme, più grande dell’intera casa galleggiante. L’enorme letto a baldacchino era fatto. Una grande volta flessuosa lo circondava, facendolo sembrare una nuvola quadrata. Lo spazioso balcone, con la porta spalancata, si affacciava a ovest, offrendo una vista sull’oceano pacifico.

Un grande televisore a schermo piatto, che sicuramente raggiungeva i settantacinque pollici, era appeso a una parete. Gli altri muri erano decorati con gusto con dipinti e fotografie della coppia felice. Keri si avvicinò per osservarne una.

Dovevano essere in vacanza, in un luogo caldo con l’oceano sullo sfondo. Jeremy indossava una camicia rosa button-down ben stirata lasciata ricadere fuori dai pantaloni, e un paio di shorts scozzesi attillati. Indossava gli occhiali da sole e il sorriso era leggermente strano e forzato, era il sorriso di un uomo che non si sentiva a suo agio a farsi fotografare.

Kendra Burlingame indossava un prendisole turchese con sandali a gabbia col tacco basso e largo che le si avvolgevano sulle caviglie. La pelle abbronzata risaltava sul vestito. I capelli neri erano legati in una coda di cavallo allentata e teneva gli occhiali da sole sulla testa. Aveva un sorriso aperto, come se avesse appena smesso di ridere e riuscisse a malapena a trattenersi. Era alta come il marito, con gambe lunghe e occhi acquamarina che si abbinavano all’acqua che aveva alle spalle. Era inclinata verso di lui e il marito la avvolgeva con naturalezza col braccio alla vita sottile. Era incredibilmente bella.

“Quindi l’ultima volta che ha visto sua moglie quand’è stata?” chiese Keri. Rivolgeva la schiena a Burlingame, ma poteva vederne il riflesso nel vetro della cornice.

“Qui,” disse, e il viso preoccupato non nascondeva nulla, per quanto ne capisse Keri. “È stato ieri mattina. Dovevo partire presto per andare a San Diego a supervisionare una procedura complicata. Era ancora a letto quando le ho dato un bacio per salutarla. Probabilmente erano circa le sei e quarantacinque.”

“Era sveglia quando se n’è andato?” chiese Brody.

“Sì. C’era la tv accesa. Stava guardando il telegiornale locale per sentire le previsioni meteo per il galà di stasera.”

“E ieri mattina è stata l’ultima volta che l’ha vista?” chiese di nuovo Keri.

“Sì, detective,” disse, per la prima volta con un tono leggermente infastidito. “Ormai a questa domanda ho risposto molte volte. Posso farle io una domanda?”

“Certo.”

“Lo so che dobbiamo seguire un procedimento metodico. Ma nel frattempo può per favore far controllare ai suoi i GPS del telefono e della macchina di Kendra? Magari ci possono aiutare a localizzarla.”

 

Keri si aspettava che le facesse quella domanda. Hillman aveva ovviamente chiesto ai tecnici di dedicarsi a quel lavoro nel momento in cui il caso era stato aperto. Ma aveva tenuto per sé quel dettaglio proprio per questo momento. Voleva valutare come avrebbe reagito alla sua risposta.

“È una buona idea, dottor Burlingame,” disse, “ed è per questo che l’abbiamo già fatto.”

“E che cosa avete scoperto?” chiese Burlingame pieno di speranza.

“Niente.”

“Niente? Come può essere, niente?”

“Entrambi i GPS, quello del telefono e quello della macchina, sono stati spenti.”

Keri, in piena allerta, osservò con attenzione la reazione di Burlingame.

Lui la fissava, sconvolto.

“Spenti? Com’è possibile?”

“È possibile solo se viene fatto intenzionalmente, da qualcuno che non voleva che né il telefono né la macchina venissero trovati.”

“Vuol dire che è stato un rapitore che non vuole che mia moglie venga ritrovata?”

“È possibile,” rispose Brody. “Oppure è lei che non vuole essere trovata.”

L’espressione di Burlingame passò dallo stupore all’incredulità.

“Sta dicendo che mia moglie se n’è andata per conto suo cercando di nascondere la sua meta?”

“Non sarebbe la prima volta,” disse Brody.

“No. Non ha senso. Kendra non è il tipo di persona che farebbe una cosa del genere. E poi non aveva ragioni per farlo. Il nostro matrimonio va bene. Ci amiamo. Adora lavorare per la fondazione. Adora quei bambini. Non se ne andrebbe così abbandonando tutto quanto. Lo saprei se ci fosse qualcosa che non va. Lo saprei di certo.”

All’orecchio di Keri sembrava quasi implorare, come un uomo che cerca di autoconvincersi. Sembrava del tutto perduto.

“Ne è sicuro?” gli chiese. “A volte abbiamo dei segreti, cose che nascondiamo persino alle persone che amiamo. C’è qualcun altro con cui potrebbe essersi confidata, oltre che con lei?”

Burlingame sembrava non sentirla. Si sedette sul bordo del letto, scuotendo la testa lentamente, come se quel gesto potesse scacciargli il dubbio di mente.

“Dottor Burlingame?” gli chiese ancora Keri con delicatezza.

“Uhm, sì,” disse, ridestandosi. “La sua migliore amica è Becky Sampson. Si conoscono dai tempi del college. Sono state a una riunione della scuola insieme un paio di settimane fa e Kendra sembrava un po’ agitata quando è tornata, ma non ha detto il perché. Vive dalle parti della Robertson. Magari Kendra le ha detto qualcosa.”

“Benissimo, ci metteremo in contatto con lei,” lo rassicurò Keri. “Nel frattempo faremo venire qui un’unità scena del crimine perché faccia un controllo approfondito della casa. Noi seguiremo l’ultima localizzazione nota della macchina e del telefono di sua moglie prima che i GPS fossero disabilitati. Mi sente, dottor Burlingame?”

L’uomo sembrava essere caduto in uno stupore intorpidito, fissava dritto davanti a sé. Al sentire il suo nome, batté le palpebre e sembrò tornare alla realtà.

“Sì, unità scena del crimine, controllo GPS. Ho capito.”

“Dobbiamo anche verificare tutti i suoi spostamenti di ieri, inclusa la trasferta a San Diego,” disse Keri. “Dobbiamo contattare tutte le persone che ha visto laggiù.”

“Dobbiamo solo fare il nostro lavoro,” aggiunse Brody, in un goffo tentativo di essere diplomatico.

“Lo capisco. Sono sicuro che il marito di solito è il principale sospettato quando scompare una donna. Ha senso. Farò una lista di tutti quelli con cui ho interagito e vi darò i loro numeri. Ne avete bisogno adesso?”

“Il prima possibile,” disse Keri. “Non voglio essere brutale ma lei ha ragione – il marito di solito è il primo sospettato. E prima possiamo escludere questa possibilità, più velocemente possiamo passare ad altre teorie. Manderemo qui alcuni agenti a mettere in sicurezza tutta l’area. Nel frattempo apprezzerei molto che lei e Lupe veniste con noi in giardino dove io e il detective Brody abbiamo parcheggiato. Aspetteremo lì finché non saranno arrivati i nostri colleghi e finché la CSU non potrà cominciare a occuparsi della scena.”

Burlingame annuì e uscì dalla camera trascinando i piedi. Poi, improvvisamente, infilò la testa nella stanza e fece una domanda.

“Quanto tempo ha, detective Locke, presumendo che sia stata rapita? So che è tutta questione di tempo in questi casi. Quando tempo, realisticamente, crede che abbia?”

Keri lo guardò severa. Non c’era astuzia nei suoi occhi. Sembrava aggrapparsi sinceramente a qualcosa di razionale e concreto. Era una buona domanda, a cui Keri aveva bisogno di rispondere anche per se stessa.

Fece rapida a mente qualche calcolo. I numeri a cui giunse non erano buoni. Ma non poteva essere così diretta con il marito di una potenziale vittima. Quindi gli alleggerì un po’ la cosa senza mentire.

“Senta, dottore. Non le mentirò. Ogni secondo conta. Ma abbiamo ancora un paio di giorni prima che le piste comincino a raffreddarsi. E riverseremo le nostre maggiori risorse nella ricerca di sua moglie. C’è ancora speranza.”

Ma dentro di sé, il calcolo era molto meno incoraggiante. Di solito, le settantadue ore erano il limite finale. Quindi, presumendo che fosse stata rapita il giorno prima in mattinata, avevano poco meno di quarantotto ore per trovarla. A voler essere ottimisti.

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