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Prima Che Uccida

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Из серии: Un Mistero di Mackenzie White #1
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Prima Che Uccida
Prima Che Uccida
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Читает Alessandra Bedino
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CAPITOLO SEDICI

Mackenzie si sentiva un po’ fuori dal suo elemento in compagnia di Ellington e, stranamente, la sensazione si accentuò mentre sedevano fianco a fianco in un bar due ore più tardi. Sapeva che entrambi dovevano avere un aspetto esausto, e questo li faceva confondere con il resto dei clienti. Non erano gli unici vestiti abbastanza eleganti; anche i clienti appena smontati dal lavoro erano vestiti in modo leggermente meno casual, seduti al bancone in camicia, cravatta e gli stessi pantaloni che avevano indossato in ufficio. La debole luce del pomeriggio si riversava da due finestre dalla parte opposta del locale, ma erano i neon e i riflessi sulle bottiglie di alcolici che creavano l’atmosfera.

“Hai qualche idea su come abbia fatto Pope a scoprire la scena del crimine così in fretta?” le chiese Ellington.

“No, nessuna. Dev’esserci una talpa tra noi.”

“È quel che penso anch’io” concordò Ellington. “Proprio per questo credo che Nelson non sia stato così duro con te. Non avresti mai potuto immaginare che la persona nel bosco fosse un giornalista. Specialmente dopo che Pope si è dato alla fuga in quel modo.”

“Già, speriamo” commentò lei.

Mackenzie sapeva di essersela cavata con poco. Il suo superiore l’aveva vista atterrare un giornalista indifeso e cicciottello con una presa piuttosto dura. E anche se Pope si era fatto solo un taglietto sulla tempia per aver sbattuto contro una radice, avrebbe potuto incorrere in provvedimenti, anche se l’uomo aveva violato una proprietà privata. Invece aveva ricevuto l’equivalente di un buffetto sulle mani. Aveva visto Nelson perdere il controllo per molto meno. Questo la fece riflettere su quanta fiducia dovesse riporre in lei. Il fatto di averla lasciata allegramente impunita mentre Ellis Pope stava probabilmente contattando un avvocato la diceva lunga su quanto si fidasse di lei.

Ovviamente, le aveva anche intimato di sparire dalla sua vista e andarsene a ritrovare la bussola prima di aggredire il prossimo povero bastardo che le capitava a tiro. Ed era esattamente quello che aveva fatto, approfittando della possibilità di fuga prima che potesse rimangiarsi la decisione di farla partecipare attivamente al caso.

Mentre sorseggiava nel modo più responsabile possibile una birra artigianale, provò a ricordare l’ultima volta che era andata in un locale per sfuggire al mondo. Di solito usava il lavoro per quello, e ora che Zack era fuori di scena, era molto più facile ammetterlo. Così, adesso che doveva allontanarsi dal lavoro per un po’, le pareva surreale essere seduta in un locale.

La cosa ancora più strana, tuttavia, era essere seduta vicino ad un agente dell’FBI che aveva conosciuto soltanto il giorno prima. Nel breve lasso di tempo che aveva trascorso con l’agente Ellington, aveva capito un paio di cose su di lui. Innanzi tutto, era un galantuomo all’antica: le teneva le porte aperte, la interpellava sempre prima di prendere una decisione, parlava formalmente con chi era più anziano di lui e inoltre sembrava protettivo nei suoi confronti. Quando erano entrati nel locale, due uomini non avevano fatto nessuno sforzo per nascondere il fatto che la stessero spogliando con gli occhi. Notandolo, Ellington le si era messo di fianco, nascondendola ai loro sguardi.

“Lo sai perché gli uomini del tuo distretto sono così rancorosi verso di te, vero?” disse Ellington.

“Io immaginavo che fossero semplicemente stati cresciuti così” disse Mackenzie. “Se non indosso un grembiule per servirgli un panino o una birra, a che servo?”

Lui scrollò le spalle. “Potrebbe essere così, in parte, ma direi che sia qualcos’altro. Io credo che sia perché li intimidisci. Anzi, credo proprio che abbiano quasi paura di te. Hanno paura che tu li faccia sembrare stupidi e inetti.”

“Cosa te lo fa pensare?”

Per un attimo, si limitò a sorriderle. Anche se il sorriso non aveva niente di apertamente romantico, era bello essere guardata in quel modo. Non ricordava l’ultima volta che Zack l’aveva guardata a quel modo – come qualcuno da apprezzare, piuttosto che usare o sopportare.

“Allora, prima le cose ovvie: sei giovane e sei una donna, Praticamente sei il computer nuovo che arriva in ufficio e svolge tutti i lavori. Inoltre, a quel che sento, sei un’enciclopedia ambulante per quanto riguarda la medicina legale e le indagini. Aggiungi il modo in cui hai inseguito quel povero giornalista oggi, ed ecco il quadro completo. Tu sei la razza nuova, loro dei vecchi cani. Una cosa del genere.”

“Quindi è paura del progresso?”

“Certo. Dubito che la vedrebbero in questi termini, ma essenzialmente tutto si riduce a quello.”

“Devo supporre che sia un complimento?” domandò lei.

“Certo che lo è. Questa è la terza volta che mi mettono in coppia con un detective così motivato e finora tu sei quella più abile e determinata. Sono contento di lavorare con te.

Lei si limitò ad annuire, non sapendo ancora come gestire i suoi complimenti e le sue valutazioni. Sul lavoro era stato molto professionale, da manuale – non solo nel suo approccio al lavoro, ma anche nel suo approccio verso di lei. Ma adesso che faceva un po’ meno il riservato, Mackenzie aveva difficoltà a capire dove finisse l’Ellington in servizio e dove iniziasse l’Ellington non in servizio.

“Hai mai pensato di entrare nell’FBI?” le chiese Ellington.

La domanda la prese così alla sprovvista da lasciarla senza parole per un po’. Naturalmente ci aveva pensato. Da bambina era il suo sogno. Però, anche se ora era una determinata ventiduenne che puntava a fare carriera nelle forze dell’ordine, l’FBI le pareva un sogno irraggiungibile.

“La risposta è sì, quindi?” le chiese.

“È così evidente?”

“Un po’. Mi sembri in imbarazzo e questo mi fa pensare che tu ci abbia effettivamente pensato, senza mai provarci però.”

“Per un po’ era una specie di sogno che avevo” spiegò lei.

Era imbarazzante ammetterlo, ma c’era qualcosa nel modo in cui riusciva a leggere dentro di lei che non le dispiaceva affatto.

“Le capacità le hai” disse Ellington.

“Grazie, però credo che le mie radici qui siano troppo profonde. Sento che è troppo tardi.”

“Non è mai troppo tardi, sai.”

La guardò con sguardo intenso e professionale.

“Vuoi che metta una buona parola per te, per vedere se ne esce qualcosa?”

La sua offerta la sbalordì. Da un lato lo desiderava più di ogni altra cosa; dall’altro, faceva affiorare tutte le sue vecchie insicurezze. Chi era lei per avere il diritto di lavorare nell’FBI?

Lentamente, fece di no con la testa.

“No, ma ti ringrazio” rispose.

“Perché no?” si stupì lui. “Non voglio parlare troppo male degli uomini con cui lavori, ma ti stanno sfruttando.”

“Cosa farei all’FBI?” chiese lei.

“Saresti un agente operativo fantastico” disse. “Accidenti, forse persino una profiler.”

Mackenzie fissò pensosamente la birra, un po’ spiazzata. Era rimasta di nuovo senza parole per la sorpresa e sentiva di dover riflettere su molte cose. Cosa sarebbe successo se fosse riuscita a diventare un agente? Quanto drasticamente sarebbe cambiata la sua vita? Quanto sarebbe stato gratificante fare un lavoro che amava senza essere ostacolata da uomini come Nelson e Porter?

“Va tutto bene?” le chiese Ellington.

Con lo sguardo ancora fisso sulla sua birra scura, sospirò. Pensò a Zack per un istante, ma non riuscì a ricordare l’ultima che avessero parlato di qualcosa di significativo. Quando era stata l’ultima volta che l’aveva elogiata come stava facendo Ellington in quel momento? Anzi, quando era stata l’ultima volta che un uomo qualsiasi le aveva fatto dei complimenti?

“Sì, sto bene” rispose infine. “Apprezzo davvero tutto quello che hai detto. Mi hai dato molto su cui riflettere.”

“Bene” disse piano Ellington, senza perdere un colpo. “Però lascia che ti chieda una cosa: ti capita spesso di reprimerti?”

“Non credo di essere così” disse. “Penso sia per... non so, forse via per il mio passato?”

“Ti riferisci alla morte di tuo padre?”

Lei annuì.

“In parte è per quello” ammise.

Poi c’è la mia sfilza di relazioni finite male, pensò, ma trovò fosse inappropriato da dire. E mentre ci rimuginava, all’improvviso si domandò se le due cose fossero collegate – la morte di suo padre e le sue relazioni. Forse la fonte di tutto era la morte, dopotutto.

Si sarebbe mai ripresa? Non vedeva come avrebbe potuto. Per quanti uomini malvagi sbattesse in cella, niente sembrava aiutarla.

Lui annuì, come se capisse perfettamente.

“Capisco” disse.

Poi, rivolgendogli un sorriso smagliante per fargli capire di stare scherzando, gli domandò: “Mi stai psicoanalizzando, Agente Ellington?”

“No, sto parlando con te. Ti sto ascoltando. Solo questo.”

Mackenzie terminò la sua birra e fece scivolare il bicchiere sul bancone. Il barista lo riempì prontamente, rimettendoglielo davanti.

“Lo so che è per quello che il caso mi ha scossa così tanto” aggiunse. “Un uomo sta usando delle donne. Magari non per sesso, ma comunque infligge loro dolore e vergogna per dimostrare una sua folle convinzione.”

“E questo è il tuo primo caso del genere?”

“Sì. Voglio dire, sono stata chiamata per litigi domestici dove il marito picchiava la moglie e ho interrogato due donne che erano state stuprate. Ma niente del genere.”

Bevve la birra, realizzando che andava giù troppo facilmente. Non era mai stata una gran bevitrice e la birra – la terza di quella sera – la stava spingendo verso un confine che aveva cercato di non superare fin dai tempi dell’università.

 

“Non so se ti fidi del mio intuito” disse Ellington, “ma sento che acciufferemo questo tizio in pochi giorni. Ne sono abbastanza sicuro. Sta diventando troppo arrogante e tutti gli indizi che stiamo accumulando alla fine ci ripagheranno. E poi, il fatto che ci sia tu al comando è un grosso vantaggio.”

“Come fai ad esserne così sicuro?” gli chiese. “Intendo, del fatto che io ci riuscirò. E perché sei così gentile?”

La stava riempiendo di fiducia in sé e, allo stesso tempo, stava rafforzando un lato del suo carattere che lei considerava pessimo. Sapeva che tendeva a stare sulla difensiva con gli uomini che le facevano complimenti, principalmente perché era sempre una la cosa che volevano. Guardando Ellington che le sorrideva, pensò che non sarebbe stato male se anche lui volesse quella cosa. In effetti stava iniziando a pensare che le sarebbe piaciuto un sacco. Ma, ovviamente, se ne sarebbe andato via il giorno seguente e con tutta probabilità lei non lo avrebbe rivisto mai più.

Forse è esattamente quello che mi serve, pensò. Una notte. Niente sentimenti, niente aspettative, solo il buio e questo agente dell’FBI troppo bello per essere vero che sembra sapere sempre le cose giuste da dire e...

Troncò quel pensiero perché, francamente, era fin troppo allettante. Poi si accorse che Ellington non aveva ancora risposto alla sua domanda: Perché sei così gentile?

Lui trattenne un sorriso e infine rispose.

“Perché ti meriti un po’ di aiuto. Io ho ottenuto la mia posizione perché conosco un tale che conosce un tale che conosce il vice comandante. E ti posso assicurare che metà dei cavernicoli del tuo commissariato può dire la stessa cosa, o qualcosa di simile.”

Lei si mise a ridere, realizzando così di essere ad un passo dal superare il confine. Mentre cercava di ricordarsi l’ultima volta che si era ubriacata, mandò giù il resto della birra e spinse il bicchiere in avanti. Quando il barista si avvicinò per riempirlo, lei scosse la testa per impedirglielo.

“Puoi guidare tu?” chiese poi a Ellington. “Scusa, ma non reggo molto l’alcol.”

“Certo, va bene.”

Quando il barista portò il conto a tutti e due, Ellington glielo prese prima che lei riuscisse a toccarlo. Guardandolo, decise che aveva intenzione di scoprire come sarebbe stata una notte priva di sentimenti con un uomo che sembrava uscito dai sogni. Dopotutto, ora aveva la casa e il letto tutti per sé. Che male c’era?

Andarono alla macchina e notò che Ellington le camminava vicinissimo. Le aprì la portiera, aumentando il proprio fascino ai suoi occhi. Quando la chiuse fece il giro per entrare dalla parte del guidatore, Mackenzie buttò la testa sul poggiatesta e fece un profondo sospiro. Prima una casa abbandonata con una donna morta appesa a un palo, adesso era a un passo dal proporsi ad un uomo che aveva conosciuto soltanto il giorno prima... Davvero era tutto successo in meno di dodici ore?

“La tua macchina è alla centrale, giusto?” chiese Ellington.

“Sì” rispose lei. Poi, col cuore che batteva forte, aggiunse esitante. “Ma casa mia è di strada... se vuoi, possiamo fermarci lì e basta.”

Lui la guardò perplesso, e gli angoli della sua bocca sembrarono lottare tra un sorriso e una smorfia. Aveva chiaramente colto quello che lei gli stava suggerendo; non dubitava che avesse già ricevuto offerte simili in passato.

“Oh, Gesù” disse massaggiandosi la tempia. “Per dimostrarti ulteriormente la mia forte volontà e il mio carattere, questa è la parte in cui ti dico che sono sposato.”

Mackenzie gli guardò la mano sinistra, la stessa che aveva continuato a sbirciare nel locale per essere sicura. Non indossava la fede.

“Lo so” disse lui. “Non la porto mai sul lavoro. Mi dà fastidio quando devo impugnare la pistola.”

“Oh mio Dio” disse Mackenzie. “Mi...”

“No, non c’è problema” disse. “E credimi, sono davvero lusingato. Le mie parole erano sincere. E, anche se sono sicuro che il maschio primitivo che è in me mi prenderà a calci nel sedere per il resto della vita, amo troppo mia moglie e mia figlia. Penso che...”

“Puoi accompagnarmi alla mia macchina e basta?” tagliò corto Mackenzie in imbarazzo. Guardò fuori dal finestrino ed ebbe voglia di urlare.

“Mi dispiace” disse Ellington.

“Non dispiacerti. È colpa mia. Avrei dovuto saperlo.”

Lui avviò la macchina e uscì dal parcheggio. “Che cosa?” chiese mentre tornavano alla centrale.

“Niente” disse lei, rifiutandosi ancora di guardarlo.

Ma nel silenzio che incombeva pesante sulla via del ritorno, pensò: Avrei dovuto saperlo che non dovevo credere in qualcosa di troppo bello per essere vero.

Mentre guidavano in silenzio, desiderò farsi minuscola e morire, odiandosi, domandandosi se avesse appena gettato all’aria la migliore opportunità che le fosse capitata da molto, molto tempo.

CAPITOLO DICIASSETTE

La mattina seguente Mackenzie fu svegliata alle 6:45 dalla suoneria di un messaggio in arrivo. Era già sveglia, in biancheria intima. Controllò il messaggio e il cuore le sprofondò nel vedere che era da parte di Ellington.

Vado a casa. Ti chiamo più tardi per un aggiornamento.

Pensò di chiamarlo in quello stesso istante. Sapeva benissimo di essersi comportata come un’adolescente che era stata scaricata, il giorno prima. Accidenti, non era nemmeno stata respinta davvero, in realtà. Ellington era solo rimasto fedele al proprio personaggio, aggiungendo marito fedele alla lunga lista di caratteristiche ammirevoli.

Alla fine lascò perdere. Provava ancora vergogna ma, più che altro, si sentiva sconfitta. E non le capitava spesso di sentirsi così. Il killer era ancora a piede libero e loro non erano più vicini alla sua cattura di quanto non lo fossero tre giorni prima. Aveva perso il ragazzo con cui conviveva da tre anni e si era infatuata di un agente dell’FBI meno di ventiquattro ore dopo. A peggiorare le cose, aveva visto come avrebbe potuto essere il suo futuro quando era con Ellington; aveva visto come avrebbe potuto essere il suo lavoro con qualcuno che la rispettava e, in un certo senso, fosse impressionato da lei. E adesso, tutto era sparito.

Le rimanevano solo Porter e Nelson, pronti a riempirla di dubbi nel bel mezzo di un caso che le si stava insinuando sotto pelle.

Infilandosi una camicia, sedette sul bordo del letto e guardò il cellulare. All’improvviso, non era più Ellington che voleva chiamare. Stava pensando a qualcun altro – qualcuno che condivideva gli stessi traumi e lo senso di fallimento che lei conosceva così bene.

Con un’improvvisa stretta allo stomaco, Mackenzie sollevò il cellulare dal comodino e scorse tra i suoi contatti. Quando arrivò al nome Steph, premette il tasto di chiamata, poi fu sul punto di chiudere subito la comunicazione.

Quando il telefono iniziò a squillare, si era già pentita di aver chiamato. Dopo due squilli, qualcuno rispose. La voce di sua sorella all’altro capo del telefono le era familiare, ma non la sentiva certo spesso.

“Mackenzie” rispose Stephanie. “È presto.”

“Tu non dormi mai dopo le cinque” le fece notare Mackenzie.

“Questo è vero, ma ti stavo solo facendo notare che è comunque presto.”

“Scusa” disse. Era una parola che usava spesso quando parlava con Steph. Non davvero le dispiacesse, era solo che Steph aveva un modo di farti sentire in colpa, senza sforzo, per le cose più insignificanti.

“Che ha fatto Zack stavolta?” le chiese Steph.

“Zack non c’entra” rispose Mackenzie “se n’è andato.”

“Bene” disse Steph in tono pratico. “Era uno spreco di spazio.”

Per un momento ci fu silenzio dall’altro capo del telefono. Era chiaro che Steph avrebbe potuto trascorrere il resto della sua vita senza parlare mai più con sua sorella. Era un fatto che le aveva dato a intendere più volte. Non si odiavano, nemmeno lontanamente, ma interagire tra loro riportava a galla il passato. E il passato era qualcosa che Steph aveva trascorso la maggior parte dei suoi trentatré anni a seppellire.

Come sempre, Steph sembrava mezza addormentata quando parlava al telefono.

“Non ha senso scendere nei dettagli. Bollette pagate a malapena. Ho un ragazzo alcolizzato che mi molla terribili ganci destri. Emicranie costanti. Di quale vuoi parlare?"

Mackenzie fece un respiro profondo.

“Be’, che ne dici di partire dal ragazzo che ti picchia?” disse Mackenzie. “Perché non lo denunci per abuso?”

Steph si limitò a ridere. “Troppi casini. No, grazie.”

Mackenzie trattenne il fiume di risposte che aveva per gli altri problemi della sorella, tra cui: Perché non torni all’università per finire di prendere la laurea e abbandoni quel lavoro che non porta da nessuna parte? Ma quello non era il momento per dare consigli. Così, per telefono, si sarebbe parlato dei problemi solo in modo superficiale. Avevano imparato da molto tempo che era meglio così.

“Sputa il rospo” disse Steph. “Ti degni di chiamarmi solo quando le cose ti vanno male. Si tratta solo di Zack? Perché se è così, lascia che ti dica che è la cosa migliore che potesse capitarti.”

“In parte è quello” disse Mackenzie. “Ma c’è anche questo caso che mi sta turbando in un modo che non ho mai sperimentato. Mi fa sentire, non so, inadeguata. Aggiungici che ho invitato un uomo sposato a venire a letto con me ieri e...”

“Hai avuto fortuna?” la interruppe Steph.

“Dio, Steph. Ti fermi solo a quello?”

“Era l’unica parte interessante che ho sentito. Chi era?”

“Un agente dell’FBI inviato per aiutarci nel caso.”

“Oh” fu l’unico commento di Steph, che a quanto pare non aveva più nulla da dire. Ci fu silenzio per circa cinque secondi, prima che le ripeté la domanda: “Quindi, ha accettato?”

“No.”

“Ahia” disse Steph.

“Non ti va di parlare con me?” chiese Mackenzie.

“Raramente. Cioè, siamo praticamente delle estranee, Mackenzie. Cosa vuoi da me?”

Mackenzie sospirò, sopraffatta dalla tristezza.

“Voglio mia sorella” disse Mackenzie, sorprendendo anche se stessa. “Voglio una sorella che posso chiamare e che mi chiami ogni tanto per raccontarmi del pervertito che le fa la mano morta sul lavoro.”

Steph sospirò. Il suono sembrò viaggiare per i milletrecento chilometri che le separavano, uscire dal telefono e schiaffeggiarla.

“Non sono io” disse Steph. “Lo sai che ogni volta che parliamo salta fuori papà. E poi da lì si trascende. Ancora peggio, iniziamo a parlare della mamma.”

La parola mamma la schiaffeggiò di nuovo dal telefono. “Come sta?” chiese Mackenzie.

“Come al solito. Ho parlato con lei il mese scorso. Mi ha chiesto dei soldi.”

“Glieli hai prestati?”

“Mackenzie, non ho soldi da prestare.”

Il telefono fu di nuovo muto. Mackenzie si era offerta di prestare dei soldi a Steph in più occasioni, ma ogni tentativo era stato accolto con disprezzo, rabbia e risentimento. Così, dopo un po’ Mackenzie aveva semplicemente smesso di provarci.

“Tutto qui?” chiese Steph.

“Un’altra cosa, se non ti spiace” disse Mackenzie.

“Che c’è?”

“Quando hai parlato con la mamma, lei mi ha nominata almeno una volta?”

Steph rimase in silenzio per un po’. Quando infine rispose, aveva di nuovo la voce assonnata. “Vuoi davvero farti questo?”

“Ha chiesto di me?” insistette Mackenzie, con voce più alta e severa.

“Sì, mi ha chiesto se secondo me tu le avresti prestato dei soldi. Le ho detto di chiedertelo lei stessa. Tutto qui.”

Mackenzie si sentì sopraffatta dalla tristezza. Quello era tutto ciò che sua madre voleva da lei.

Continuò a tenere il telefono all’orecchio, senza sapere cosa dire, una lacrima che si affacciava sul suo volto.

“Ascolta” disse Steph. “Davvero, ti devo lasciare.”

E il telefono fu muto.

Mackenzie lanciò il telefono sul letto e lo guardò per un momento. La conversazione era durata meno di cinque minuti, ma a lei era parsa una vita. Eppure, stranamente, era andata molto meglio delle loro ultime telefonate, finite in litigi riguardanti le dinamiche della famiglia e di chi fosse la colpa per la decaduta della loro madre dopo la morte del padre. Però in un certo senso, questa telefonata era peggiore.

Pensò agli anni che erano trascorsi tra la notte in cui aveva trovato il corpo del padre alla notte in cui sua madre era stata portata nel reparto psichiatrico dell’ospedale per la prima volta. Mackenzie aveva diciassette anni quando era successo; Steph era all’università, per conseguire una laurea in giornalismo. In seguito, le cose erano andate male a tutte e tre, ma Mackenzie era l’unica che fosse riuscita a tenere duro, e ne era uscita piuttosto bene, date le terribili circostanze.

 

Pensò alla madre mentre finiva di vestirsi, chiedendosi perché la povera donna avesse scelto di odiarla per tutto il tempo. Era una domanda che teneva riposta negli angoli più reconditi della mente, per tirarla fuori solo quando sentiva di aver toccato il fondo.

Sforzandosi di evitare di pensarci, recuperò cellulare, distintivo e pistola e si recò al lavoro, determinata. Ma cosa avrebbe fatto adesso? Quale sarebbe stato il suo prossimo passo?

Per la prima volta da quando era stata promossa a detective, sentiva di essere in un vicolo cieco.

Vicolo cieco, pensò, le parole che iniziavano a formare un’idea nella sua mente.

Pensò alla strada sterrata lungo la quale era stato trovato il secondo cadavere. Non era anche quello un vicolo cieco che finiva nel campo?

E la casa abbandonata? Il sentiero di ghiaia che conduceva alla casa e alla terza vittima finiva in un vicolo cieco in un piccolo quadrato di polvere davanti alla casa.

“Vicolo cieco” disse ad alta voce mentre usciva di casa.

E all’improvviso, capì cosa doveva fare.

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