Prima Che Fugga

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Из серии: Un Mistero di Mackenzie White #11
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Prima Che Fugga
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Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone di quindici libri (in corso). Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta da dodici libri (in corso); della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della serie dei misteri di KERI LOCKE, composta da cinque libri; della serie di gialli GLI INIZI DI RILEY PAIGE, composta da tre libri (in corso); della serie dei misteri di KATE WISE, composta da tre libri (in corso); della serie dei thriller-psicologici di CHLOE FINE, composta da tre libri (in corso).

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.

Copyright © 2019 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Lario Tus, concessa su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE
UN’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI JESSIE HUNT
LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)
IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)
LA CASA PERFETTA (Libro #3)
L’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI CHLOE FINE
LA PORTA ACCANTO (Libro #1)
LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)
VICOLO CIECO (Libro #3)
SUN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)
I GIALLI DI KATE WISE
SE LEI SAPESSE (Libro #1)
SE LEI VEDESSE (Libro #2)
SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)
LA SERIE DEGLI INIZI DI RILEY PAIGE
LA PRIMA CACCIA (Libro #1)
IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)
ADESCAMENTO (Libro #3)
CATTURA (Libro #4)
LA SERIE DI GIALLI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITÀ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)
UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)
IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)
LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)
MORTE SUI BINARI (Libro #12)
MARITI NEL MIRINO (Libro #13)
IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)
IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)
LA SERIE DI GIALLI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)
PRIMA CHE SENTA (Libro #6)
PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)
PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)
PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)
LA SERIE DI GIALLI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
SERIE DI GIALLI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

PROLOGO

Christine aveva visto la neve soltanto un’altra volta in vita sua. Ecco perché, mentre andava a casa dopo essere stata dal suo ragazzo, sorrise appena iniziarono a scendere i primi fiocchi tutto intorno a lei. Se non avesse bevuto così tanto quella sera, forse se la sarebbe goduta di più. Aveva ventun anni, ma non riuscì a resistere e tirò fuori la lingua per catturare alcuni fiocchi, ridendo quando li sentì sciogliersi in bocca.

Ne aveva fatta di strada dalla sua casa a San Francisco… Si era trasferita a Queen Nash, nel Maryland, per concentrarsi sugli studi di Scienze Politiche. Le vacanze invernali stavano per giungere al termine, e Christine non vedeva l’ora di primeggiare nei corsi di primavera. Quella sera lei e Clark, il suo ragazzo, si erano trovati proprio per un ultimo festeggiamento prima dell’inizio del nuovo semestre. C’era stata una festicciola e Clark, come suo solito, aveva alzato un po’ troppo il gomito. Christine aveva deciso di tornare al suo appartamento, che distava solo tre isolati, a piedi, piuttosto che restare alla festa a respingere le avances degli amici di Clark sotto le occhiatacce delle loro fidanzate. Di solito era così che si concludevano le feste a casa di Clark, oppure Christine finiva per andare in camera con lui.

Tra l’altro… si sentiva trascurata. Sotto quell’aspetto, Clark era davvero pessimo, dando sempre la precedenza al lavoro, alla scuola o persino a ubriacarsi. Ad ogni modo, c’era un altro uomo che Christine avrebbe potuto chiamare una volta arrivata a casa. Certo, si era fatto tardi, ma lui le aveva fatto chiaramente capire che per lei sarebbe stato disponibile a qualunque ora. L’aveva già dimostrato, quindi perché avrebbe dovuto dire di no quella sera?

Mentre attraversava un incrocio tra due isolati, Christine notò che la neve si stava già posando sui marciapiedi. La perturbazione era stata prevista, perciò le strade erano già state cosparse di sale, ma la bianca coltre di neve si stava accumulando sui marciapiedi e sulle sottili strisce di erba tra un edificio e l’altro.

Una volta giunta alla sua palazzina, Christine fu tentata di tornare a casa di Clark. C’era freddo e la neve aveva suscitato in lei uno stupore quasi infantile. Mentre cercava le chiavi di casa, fece quasi per voltarsi e tornare indietro.

L’unica cosa che le fece cambiare idea fu che sapeva che non sarebbe riuscita a dormire bene, se fosse tornata da Clark. Invece nel suo appartamento la aspettavano il suo letto, calde coperte e otto ore di sonno.

Entrò nell’edificio e andò all’ascensore. Spinse il pulsante e aspettò che arrivasse. Non era ubriaca, soltanto un po’ alticcia, così accarezzò l’idea di bersi un altro bicchiere di vino e poi fare una telefonata… all’uomo che vedeva di nascosto da qualche mese.

Era a questo che pensava quando arrivò l’ascensore. Entrò e salì al piano del suo appartamento, godendosi la sensazione di leggerezza che le provocò il movimento.

Il corridoio era deserto, ma del resto era l’una passata di mercoledì, perciò era normale. Raggiunse la sua porta e cercò la chiave giusta, le dita ancora irrigidite per il freddo. In quel momento, una voce la fece saltare.

“Christine?”

Si voltò e sorrise vedendolo lì. Non avrebbe avuto bisogno di telefonargli, alla fine. Era come se avesse percepito che aveva bisogno di lui. Del resto era passata quasi una settimana.

“Ciao” gli disse.

Lui si avvicinò con passo deciso. La fissava con il suo solito sguardo infuocato, che esprimeva chiaramente cosa voleva da lei. Bastava quello sguardo a eccitarla. Quello, e chi era: un uomo off-limits. Era… ecco, era quasi pericoloso.

Erano ancora davanti alla porta, e praticamente si scontrarono. Il bacio era così impetuoso da essere quasi impacciato. Le mani di Christine iniziarono subito a esplorarlo. Afferrandolo per la cintola dei pantaloni, lo tirò a sé. Lui le percorse il corpo con una mano, per poi infilargliela tra le cosce mentre si aggrappavano l’uno all’altra lì nel corridoio.

“Dentro” riuscì ad ansimare Christine tra un bacio e l’altro. “Subito.”

Sbloccò la serratura mentre lui le mordicchiava il collo. Christine gemette, anticipando già quello che stavano per fare. Non sapeva nemmeno se sarebbero riusciti a raggiungere la camera da letto. Forse non sarebbero arrivati neanche al divano. Christine aprì la porta, e lui subito le ripiombò addosso, chiudendo l’uscio con un calcio. Christine si allontanò, appoggiandosi al bancone della cucina, e si sfilò la maglia. Gli piaceva quando si spogliava per lui. Era una specie di strana mania di controllo, che gli faceva sembrare che si sottomettesse a lui prima ancora di fare sesso.

 

Christine stava già per slacciare il gancetto del reggiseno quando lo guardò negli occhi… e si immobilizzò. Lui era fermo in piedi davanti a lei, e ogni residuo di passione era svanito dal suo sguardo, rimpiazzato da qualcos’altro. Qualcosa di nuovo… che la terrorizzava.

Lui inclinò la testa, come se la stesse studiando per la prima volta, poi le fu addosso. Era già stato brusco con lei, ma stavolta era diverso. Non c’era niente di sensuale. Premette tutto il proprio peso su di lei e le avvolse le mani intorno al collo. Non stava scherzando, la sua presa era feroce, e Christine si sentì subito schiacciare la trachea.

Ci vollero meno di dieci secondi perché i suoi polmoni andassero nel panico. Provò a colpirlo alla cieca, ma le gambe stavano per cederle.

Avvertiva una fortissima pressione al petto, come se una forza invisibile le stesse risucchiando tutta l’aria. Mentre cadeva a terra, sbatté con la testa sul bancone. Le mani di lui non si staccavano dal suo collo, anzi, la presa sembrava farsi sempre più forte, man mano che Christine si indeboliva.

Tentò di picchiarlo un’ultima volta, ma non capì neanche se lo avesse centrato. Appena toccò il pavimento, lui le fu addosso. Continuava a strozzarla, premendole contro il suo membro eccitato. Christine agitò le mani in cerca di un appiglio qualunque, ma trovò solo la maglia che si era appena tolta per lui.

Ebbe a malapena il tempo di chiedersi perché le stesse facendo questo, prima che l’oscurità calasse su di lei, alleviando quel terribile dolore al petto.

CAPITOLO UNO

Mackenzie era in piedi nel bagno, appoggiata al lavandino, intenta a fissare il gabinetto. Ultimamente l’aveva fissato parecchio, superando il primo trimestre di gravidanza in un modo che era quasi troppo da manuale. Le nausee mattutine si erano rivelate peggiori tra l’ottava e l’undicesima settimana, ma ancora adesso, a metà della quindicesima, erano brutte. Non ne soffriva più spesso come prima, ma quando arrivavano era terribile.

Quella mattina aveva già vomitato due volte, e il suo stomaco sembrava pronto per la terza. Tuttavia, dopo aver sorseggiato dell’acqua e aver fatto del proprio meglio per controllare il respiro mentre si reggeva al lavabo, sentì la terza ondata di nausea allontanarsi.

Mackenzie abbassò lo sguardo sul proprio ventre e posò una mano con fare amorevole sulla piccola protuberanza che si era manifestata nell’ultima settimana. “Piccolo, quello è il mio intestino, non un poggiapiedi.”

Andò alla porta del bagno e restò lì un momento in attesa, per essere certa di aver finito. Quando le sembrò di avere recuperato il controllo, andò all’armadio e iniziò a vestirsi. Sentiva Ellington armeggiare in cucina e, a giudicare dai rumori, immaginò che stesse preparando il caffè. Mackenzie avrebbe amato una tazza di caffè, ma il caso voleva che il caffè rientrasse tra gli alimenti sgraditi al bambino durante gli episodi di nausea.

Infilandosi i pantaloni, si accorse che le stavano leggermente più stretti. Immaginò che nel giro di un mese avrebbe dovuto procurarsi degli abiti prémaman. E allora avrebbe anche dovuto rivelare al direttore McGrath di essere incinta. Finora non glielo aveva ancora detto perché temeva la sua reazione. Non si sentiva ancora pronta per essere relegata dietro una scrivania, oppure a fare ricerche per qualche altro agente.

Ellington arrivò alla porta con la fronte aggrottata. In mano aveva effettivamente una tazza di caffè. “Ti senti un po’ meglio?” le chiese.

“Porta quel caffè lontano da me” disse. Aveva cercato di sembrare spiritosa, ma le era uscito più risentito di quel che intendesse.

“Allora, mia madre continua a chiamare chiedendomi perché ancora non abbiamo deciso dove celebrare il matrimonio.”

“Lo capisce, vero, che non è il suo matrimonio?” replicò Mackenzie.

“No, mi sa di no.”

Ellington uscì qualche secondo dalla stanza per mettere via il caffè, poi tornò da Mackenzie. Si mise in ginocchio e le baciò la pancia mentre lei sceglieva una camicia.

“Non vuoi ancora sapere se è maschio o femmina?”

“Non lo so. Per ora no, ma probabilmente cambierò idea.”

Ellington sollevò la testa per guardarla. In quella posizione sembrava un bambino che cercava l’approvazione del genitore. “Quando hai intenzione di dirlo a McGrath?”

“Non lo so” ripeté Mackenzie. Si sentiva sciocca a restarsene lì in piedi mezza svestita con Ellington che poggiava la guancia al suo ventre. Allo stesso tempo, però, le fece capire che era lì per lei. Le aveva chiesto di sposarlo prima del bambino e, di fronte ad una gravidanza inaspettata, le era rimasto accanto. Pensare che era l’uomo con cui avrebbe passato il resto della sua vita la faceva sentire tranquilla e contenta.

“Temi che ti metterà in panchina?” le chiese.

“Già. Ma tra una o due settimane non credo che riuscirò a nascondere la pancia.”

Ellington rise e le baciò ancora una volta il ventre. “È una pancia davvero sexy.”

Riprese a baciarla, con fare languido. Mackenzie ridacchiò e si allontanò scherzosamente. “Non abbiamo tempo per quello, abbiamo del lavoro da fare. E, se tua madre non chiude la bocca, anche un matrimonio da organizzare.”

Avevano visto alcune location e avevano anche iniziato a informarsi sui servizi di catering per il piccolo ricevimento che avevano intenzione di dare. Ma nessuno dei due riusciva a entrare appieno nei preparativi. Stavano scoprendo di avere molto in comune: un’avversione per lo sfarzo, paura di avere a che fare con l’organizzazione e la tendenza a mettere il lavoro prima di ogni altra cosa.

Mentre finiva di vestirsi, Mackenzie si domandò se stesse in qualche modo privando Ellington dell’esperienza. La sua mancanza di entusiasmo nell’organizzare il matrimonio gli dava forse l’idea che non le importasse? Sperava di no, perché non era affatto così.

“Ehi, Mac.”

Mackenzie si voltò mentre iniziava ad abbottonarsi la camicia. La nausea era quasi completamente passata, portandola a credere di riuscire ad affrontare la giornata senza altri incidenti. “Che c’è?”

“Non organizziamolo. Nessuno di noi due vuole. E tanto, nessuno di noi due vuole un matrimonio in grande. L’unica a rimanerci male sarebbe mia madre e, a dire il vero, credo che mi piacerebbe.”

Un sorriso le si allargò sul volto, ma cercò di trattenerlo. Anche a lei sarebbe piaciuto.

“Credo di aver capito cosa vuoi dire, ma per essere sicura voglio che tu lo dica esplicitamente.”

Ellington le prese le mani nelle sue. “Sto dicendo che non voglio organizzare le nozze e non voglio più aspettare per sposarci. Sposiamoci di nascosto.”

Si capiva che non scherzava perché la voce gli si era incrinata a metà frase. Eppure… sembrava troppo bello per essere vero.

“Dici sul serio? Non lo stai dicendo solo perché…”

Mackenzie non riuscì a finire di formulare la domanda, così si guardò il ventre.

“Ti giuro che non è solo per quello” disse Ellington. “Anche se sono emozionato di crescere e potenzialmente rovinare un bambino con te, è quello che voglio adesso.”

“Già, mi sa che lo travieremo per bene questo bambino, eh?”

“Non di proposito.” La tirò a sé abbracciandola, poi le sussurrò in un orecchio e sentire la sua voce così vicina la fece sentire ancora una volta contenta e a suo agio. “Dico sul serio. Fuggiamo e sposiamoci di nascosto.”

Mackenzie annuì e si staccò da lui. Quando furono di nuovo faccia a faccia, entrambi avevano gli occhi lucidi.

“D’accordo…” disse Mackenzie.

“Bene, d’accordo” disse lui eccitato. Si chinò verso di lei, la baciò e disse: “Allora, adesso che facciamo? Accidenti, mi sa che anche così ci sarà comunque qualcosa da organizzare.”

“Immagino che dovremo chiamare il tribunale per fissare un appuntamento” disse Mackenzie. “E uno di noi due dovrà chiedere a McGrath un permesso per la cerimonia. Non io!”

“Maledetta” scherzò Ellington. “Va bene, lo chiamo io.”

Prese il cellulare, come per chiamarlo in quello stesso istante, poi però se lo rimise in tasca. “Forse questa è una conversazione che dovrei avere faccia a faccia con lui.”

Mackenzie annuì e finì di allacciarsi la camicia con mani tremanti. Lo faremo, pensò. Stiamo davvero per farlo…

Si sentiva emozionata, nervosa ed euforica, ed ogni emozione si agitava contemporaneamente dentro di lei. Reagì nell’unico modo che poté, ovvero andando da Ellington e abbracciandolo. Mentre si baciavano, le ci vollero appena tre secondi per decidere che forse ce l’avevano un po’ di tempo per fare quello che lui aveva iniziato poco prima.

***

La cerimonia si tenne due giorni dopo, il mercoledì pomeriggio. Durò meno di dieci minuti, e si concluse con lo scambio degli anelli che Mackenzie ed Ellington avevano scelto insieme il giorno prima. Il tutto fu così semplice e privo di preoccupazioni che Mackenzie si domandò perché mai le donne si sottoponessero a quell’inferno che erano i preparativi nunziali.

Poiché era necessario almeno un testimone, Mackenzie aveva invitato l’agente Yardley. Non erano mai state amiche, ma era una brava agente e, di conseguenza, una persona di cui Mackenzie si fidava. Fu proprio nel chiedere a Yardley di farle da testimone che Mackenzie ancora una volta rammentò di non avere amici. Ellington era la persona che più si avvicinava a quella definizione e, per quel che la riguardava, era più che sufficiente.

Quando Mackenzie ed Ellington furono nell’atrio del tribunale, Yardley fece loro un breve discorso porgendo i propri auguri, quindi si affrettò ad uscire.

Mackenzie la osservò allontanarsi, chiedendosi perché avesse tanta fretta. “Non dico che sia stata maleducata, ma sembrava che non vedesse l’ora di andarsene” commentò.

“È perché ho parlato con lei prima della cerimonia” rispose Ellington. “Le ho detto di levarsi dai piedi appena finito.”

“Che maleducato. Ma perché?”

“Perché ho convinto McGrath a concederci fino al prossimo lunedì. Ho impiegato tutto il tempo e lo stress che avrei dedicato ai preparativi per le nozze per programmare la luna di miele.”

“Che? Mi prendi in giro?”

Lui scosse la testa in segno negativo. Mackenzie lo avvolse in un abbraccio, non ricordando un altro momento in cui si era sentita tanto felice. Le sembrava di essere una bambina che aveva ricevuto tutto quello che desiderava a Natale.

“Ma quando ci sei riuscito?”

“Per lo più in orario di lavoro” disse con un sorrisino. “Adesso sbrighiamoci. Dobbiamo fare sesso e le valigie. Il nostro aereo per l’Islanda parte tra quattro ore.”

Quella destinazione in un primo momento le parve strana, poi però ricordò la conversazione sulla lista delle cose da fare che avevano avuto quando lei aveva scoperto di essere incinta. Cose che avrebbero voluto fare prima di mettere al mondo un figlio. Una delle proposte di Mackenzie era fare campeggio sotto l’aurora boreale.

“Ok, allora andiamo. Anche perché, per come mi sento in questo momento e visto quello che ho intenzione di fare con te appena siamo a casa, non so se ce la faremo ad arrivare in aeroporto in tempo.”

“Agli ordini, signora” disse lui affrettandosi verso l’uscita. “Ma ho una domanda.”

“E sarebbe?”

Fece un sorrisetto e le chiese: “Adesso posso chiamarti signora Ellington?”

Il cuore di Mackenzie le sobbalzò in petto. “Immagino di sì” disse. Poi lei ed Ellington uscirono dalla porta, entrando nel mondo per la prima volta come coppia sposata.

CAPITOLO DUE

Uccidere non era stato affatto come si era aspettato. Credeva che ci sarebbe stata una fase di che cosa ho fatto? Magari un momento di enorme senso di colpa per aver in qualche modo stravolto la vita di un’intera famiglia. Invece non c’era stato nulla di tutto ciò. L’unica cosa che aveva provato dopo gli omicidi – dopo aver ucciso entrambe le sue vittime – era un opprimente senso di paranoia.

E anche, ad essere onesti, di gioia.

Forse era stato uno stupido ad affrontare tutto in modo così casuale. Si era sorpreso di quanto gli fosse sembrato normale. L’idea l’aveva terrorizzato, almeno fino a quando non aveva stretto il loro collo nelle sue mani – stringendo con forza e rubando la vita da quei bellissimi corpi. La parte migliore era stata vedere la luce nei loro occhi spegnersi. Era stato inaspettatamente erotico, la cosa più vulnerabile a cui avesse mai assistito.

 

La paranoia, invece, era peggio di quanto avesse immaginato. Non era riuscito a dormire per tre giorni, dopo aver ucciso la prima. Con la seconda, invece, si era preparato. Un paio di bicchieri di vino rosso e un sonnifero subito dopo l’omicidio e aveva dormito a meraviglia.

L’altra cosa che lo infastidiva era quanto fosse stato difficile abbandonare la scena del crimine la seconda volta. Il modo in cui era caduta, il modo in cui la vita era scivolata via dai suoi occhi in un istante… gli aveva fatto desiderare di restare lì a fissare i suoi occhi appena morti per vedere quali segreti celassero. Non aveva mai provato impulsi del genere prima, anche se, a dire il vero, fino a un anno prima non si sarebbe nemmeno mai sognato di uccidere qualcuno. A quanto pareva, oltre ai gusti, poteva capitare di cambiare anche valori morali.

Rifletteva su questo seduto davanti al camino. La casa era avvolta nel silenzio più totale, al punto che poteva sentire il rumore delle proprie dita che si muovevano sul calice di vino. Bevve un sorso di vino rosso osservando il fuoco scoppiettare.

È questa la tua vita, adesso, si disse. Hai ucciso non una, ma due persone. Certo, era necessario. Hai dovuto farlo, altrimenti per te sarebbe finita. Anche se tecnicamente quelle ragazze non meritavano di morire, è stato necessario.

Se lo ripeté più e più volte. Solo così era riuscito a non farsi schiacciare dal senso di colpa. Forse era questo che aveva dato modo alla paranoia di prendere il sopravvento.

Si aspettava che da un momento all’altro la polizia bussasse alla sua porta. O magari una squadra speciale, con tanto di ariete da sfondamento. E la cosa peggiore era che sapeva di meritarselo. Non si illudeva di farla franca. Immaginava che un giorno la verità sarebbe venuta fuori. Era così che andava il mondo, ormai. Non esisteva più la privacy, non potevi vivere la vita che ti eri scelto.

Perciò, quando fosse giunto il momento, era sicuro che avrebbe saputo affrontare il suo destino come un uomo. L’unica questione che rimaneva era: quante ancora ne avrebbe dovute uccidere? Una piccola parte di lui lo implorava di smettere, tentando di convincerlo che il suo lavoro fosse concluso, che non dovesse più morire nessun altro.

Ma lui era convinto che non fosse così.

E il peggio era che la prospettiva di uscire e uccidere di nuovo suscitava in lui un’eccitazione che divampava ardente come il fuoco che aveva davanti.

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