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Prima Che Uccida

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Из серии: Un Mistero di Mackenzie White #1
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Читает Alessandra Bedino
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PRIMA CHE UCCIDA

(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE—LIBRO 1)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI VALENTINA SALA

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo I misteri di RILEY PAGE, che include i seguenti gialli thriller: IL KILLER DELLA ROSA (libro #1), IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (libro #2), OSCURITA’ PERVERSA (libro #3) e IL KILLER DELL’OROLOGIO (libro #4). Blake Pierce è anche autore della serie I misteri di MACKENZIE WHITE e della serie I misteri di AVERY BLACK.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.

Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo ebook è concessa solo ad uso personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina lassedesignen, concessa su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

I MISTRI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRE’

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRE’

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

PROLOGO

In qualsiasi altro momento, le prime luci dell’alba che sfioravano il granoturco le sarebbero parse bellissime. Osservò la prima luce del giorno che danzava tra gli steli creando una tenue sfumatura dorata, e si sforzò con tutta se stessa di apprezzarne la bellezza.

Doveva cercare di distrarsi, altrimenti il dolore sarebbe stato insopportabile.

Era legata a un grosso palo di legno che si ergeva contro la sua schiena terminando mezzo metro sopra la sua testa. Aveva le mani strette dietro di sé, legate al palo. Addosso aveva soltanto delle mutandine nere di pizzo e un reggiseno che rendeva i suoi abbondanti seni più alti e ravvicinati. Era il reggiseno che le faceva guadagnare più mance allo strip club, lo stesso che faceva sembrare il suo seno quello di una ventunenne, non quello di una trentaquattrenne madre di due figli.

Il palo le grattava la schiena nuda, scorticandola. Tuttavia, non era lontanamente paragonabile al dolore che le infliggeva l’uomo dalla voce cupa e inquietante.

Si tese quando lo sentì avvicinarsi dietro di lei, i passi attutiti sulla radura del campo. C’era anche un altro rumore, più tenue. Stava trascinando qualcosa. La frusta, realizzò, quella che usava per colpirla. Aveva delle specie di punte, e l’estremità si apriva a ventaglio. Era riuscita a vederla una volta soltanto – e le era bastato.

La schiena le doleva per le decine di frustate e il solo sentire l’arnese trascinato sul terreno le provocò un’ondata di panico. Lanciò un grido – quello che le parve il centesimo della notte – che sembrò disperdersi e morire nel campo. All’inizio le sue grida erano state grida d’aiuto, nella speranza che qualcuno le sentisse. Col tempo, però, erano diventate inarticolati gemiti di dolore, grida emesse da qualcuno che sapeva che non sarebbe giunto nessuno in suo soccorso.

“Potrei lasciarti andare” disse l’uomo.

Aveva la voce di una persona che fumava o urlava molto. Inoltre, parlava con una strana pronuncia blesa.

“Ma prima devi confessare i tuoi crimini.”

Era la quarta volta che lo diceva. Lei si arrovellò di nuovo il cervello, la mente alla ricerca di una risposta. Non aveva crimini da confessare. Era stata una brava persona con tutti quelli che conosceva. Era stata una brava madre; non brava quanto avrebbe voluto – ma ci aveva provato.

Che cosa voleva da lei?

Gridò di nuovo e tentò di piegare la schiena contro il palo. Quando lo fece, sentì la morsa ai polsi cedere leggermente e il sangue appiccicoso colare sulla corda.

“Confessa i tuoi crimini” ripeté.

“Non so di cosa parli!” gemette la donna.

“Ti verrà in mente” disse.

Anche questo l’aveva già detto. L’aveva detto appena prima di...

Si udì come un sussurro mentre la frusta si inarcava nell’aria.

Quando l’arnese la colpì, lei urlò e si contorse contro il palo.

Altro sangue le uscì dalla nuova ferita, ma se ne accorse a malapena. Invece, si concentrò sui propri polsi. Il sangue che si era raccolto lì nell’ultima ora si era mescolato al sudore. Tra la corda e i polsi riusciva a sentire uno spazio vuoto e pensò che forse sarebbe riuscita a fuggire. Sentì la mente cercare di allontanarsi, di distaccarsi dalla situazione.

Crac!

Il colpo la prese in pieno sulla spalla, facendola strillare.

“Ti prego” disse. “Farò tutto quello che vuoi! Lasciami andare!”

“Confessa i tuoi...”

Lei strattonò la corda più forte che poté, portando le braccia in avanti. Un dolore lancinante alle spalle la fece strillare, ma fu subito libera. Avvertì un leggero bruciore quando la corda le sfregò sul dorso della mano, ma non era niente paragonato al dolore impresso sulla sua schiena.

Tirò in avanti così forte che per poco non cadde in ginocchio, rovinando così la sua fuga. Ma il bisogno primitivo di sopravvivere prese il controllo dei suoi muscoli e, senza nemmeno rendersene conto, aveva iniziato a correre.

 

Scattò in avanti, stupita di essere davvero libera, stupita che le gambe le funzionassero ancora dopo essere rimaste legate così a lungo. Non si sarebbe fermata a porsi domande.

Si lanciò attraverso il granoturco, i fusti che la sferzavano. Le foglie e i rametti sembravano volerla ghermire, sfiorando la sua schiena lacerata come vecchie dita avvizzite. Faticava a respirare ed era concentrata a mettere un piede davanti all’altro. Sapeva che l’autostrada era nelle vicinanze. Tutto ciò che doveva fare era continuare a correre e ignorare il dolore.

Dietro di lei, l’uomo iniziò a ridere. La sua voce la faceva sembrare la risata di un mostro che era rimasto nascosto nel campo per secoli.

La donna gemette poi proseguì la corsa, i piedi nudi che sbattevano contro la terra e il corpo praticamente nudo che abbatteva le pannocchie. Il seno ballava in su e giù in modo ridicolo, e quello destro uscì dal reggiseno. Promise a se stessa in quel momento che, se ne fosse uscita viva, non avrebbe più fatto spogliarelli. Si sarebbe trovata un lavoro migliore, un modo migliore per mantenere i suoi figli.

Questo accese in lei una nuova fiamma e corse più forte, sfrecciando tra il grano. Corse più forte che poté. Doveva solo continuare a correre e si sarebbe liberata di lui. L’autostrada doveva essere vicinissima. Giusto?

Forse. Ma, anche se fosse stato così, non c’erano garanzie che ci fosse qualcuno. Non erano nemmeno le sei del mattino, e le autostrade del Nebraska erano spesso molto solitarie a quell’ora.

Poco avanti, i filari di granoturco si interrompevano. La torbida luce dell’alba si riversava su di lei e il suo cuore fece un balzo alla vista dell’autostrada.

Si aprì un varco tra le pannocchie e, incredula, udì il suono di un motore che si avvicinava. La speranza si accese in lei.

Vide il bagliore delle luci in avvicinamento e corse ancora più veloce, così vicina da sentire l’odore dell’asfalto caldo.

Raggiunse il margine del campo proprio mentre passava un furgone rosso. Si mise a urlare e agitare le braccia freneticamente.

“PER FAVORE!” gridò.

Ma con suo grande orrore, il furgone proseguì ruggendo.

Agitò le braccia piangendo. Se il guidatore avesse guardato nello specchietto retrovisore...

Crac!

Un dolore lancinante le esplose dietro il ginocchio sinistro, facendola cadere a terra.

Gridò e tentò di rimettersi in piedi, ma sentì una mano forte afferrarla per i capelli e subito dopo lui la stava riportando nel capo trascinandola.

Provò a muoversi, a liberarsi, ma stavolta non ci riuscì.

Ci fu un ultimo colpo di frusta e infine, per fortuna, perse conoscenza.

Presto, lo sapeva, sarebbe finito tutto: il suono, la frusta, il dolore – e la sua breve vita piena di sofferenza.

CAPITOLO UNO

La detective Mackenzie White si preparò al il peggio mentre attraversava il campo di granoturco quel pomeriggio. Il rumore emesso dalle pannocchie al suo passaggio la inquietava; era un suono morto, che le strisciava contro la giacca mentre passava fila dopo fila. La radura che cercava sembrava distare chilometri.

Quando infine la raggiunse, si fermò di colpo, desiderando di trovarsi ovunque tranne lì. C’era il cadavere seminudo di una donna sui trent’anni legato ad un palo, il volto congelato in un’espressione di sofferenza. Era un’espressione che Mackenzie desiderò non aver mai visto – e che sapeva non avrebbe più dimenticato.

Cinque poliziotti gironzolavano lì intorno, senza fare niente in particolare. Cercavano di sembrare indaffarati, ma lei sapeva che stavano semplicemente tentando di dare un senso alla scena. Era sicura che nessuno di loro avesse visto qualcosa del genere prima di allora. A Mackenzie era bastato guardare la donna bionda legata al palo di legno per appena cinque secondi per capire che c’era sotto qualcosa di grosso. Qualcosa di diverso da tutto quello in cui si era imbattuta finora. Queste non erano cose che accadevano nei campi di granoturco del Nebraska.

Mackenzie si avvicinò al cadavere e descrisse lentamente un cerchio. Mentre si muoveva, percepiva lo sguardo degli altri agenti su di sé. Sapeva che alcuni di loro pensavano che prendesse il suo lavoro fin troppo sul serio. Si avvicinava troppo alle cose, cercava fili e collegamenti che erano quasi astratti. Era la giovane donna che aveva raggiunto la posizione di detective fin troppo rapidamente agli occhi di molti degli uomini del distretto, e lei lo sapeva. Era la ragazza ambiziosa che tutti supponevano puntasse a ben altro che lavorare come detective nelle forze dell’ordine del Nebraska.

Mackenzie li ignorò. Si concentrò unicamente sul cadavere, scacciando le mosche che guizzavano ovunque. Turbinavano disordinatamente intorno al corpo della donna, creando una nuvoletta nera, e il caldo non giocava certo a favore del cadavere. Aveva fatto caldo per tutta l’estate e sembrava che tutto quel calore si fosse concentrato in quel punto del campo.

Mackenzie si avvicinò e lo studiò, cercando di reprimere la sensazione di nausea e un’ondata di tristezza. La schiena della donna era ricoperta di ferite. Sembravano di natura uniforme, probabilmente erano state inflitte con lo stesso strumento. La schiena era ricoperta di sangue, perlopiù secco e appiccicoso. Anche la parte posteriore del tanga ne era incrostata.

Quando Mackenzie terminò il giro intorno al corpo, un poliziotto basso e corpulento si avvicinò a lei. Lo conosceva bene, anche se non le piaceva.

“Buongiorno, Detective White” disse il Comandante Nelson.

“Comandante” rispose lei.

“Dov’è Porter?”

Non c’era presunzione nella sua voce, ma lei la percepì ugualmente. Quel temprato comandante della polizia cinquantenne non voleva che fosse una donna di venticinque anni a fare luce sul caso. Walter Porter, il suo collega cinquantacinquenne, sarebbe stato più adatto per quel lavoro.

“È sull’autostrada” disse Mackenzie. “Sta parlando con il contadino che ha scoperto il corpo. Ci raggiungerà a breve”.

“Va bene” disse Nelson, chiaramente più tranquillo. “Tu che ne pensi?”

Mackenzie non era sicura di come rispondere. Sapeva che la stava mettendo alla prova. Lo faceva di tanto in tanto, anche al distretto, su cose insignificanti, tuttavia mai con altri agenti e detective. Era piuttosto certa che lo facesse solo con lei perché era giovane e perché era una donna.

Il suo istinto le diceva che si trattava di qualcosa di più di un omicidio plateale. Era per le innumerevoli frustate sulla schiena? Oppure perché la donna aveva un corpo da pin-up? Il seno era chiaramente finto e se Mackenzie avesse dovuto tirare a indovinare, anche il didietro aveva subito qualche ritocco. Il trucco era piuttosto pesante, in parte colato e sbavato a causa delle lacrime.

“Credo” disse Mackenzie infine, rispondendo alla domanda di Nelson, “che si tratti di un crimine puramente violento e che la scientifica non troverà segni di violenza sessuale. Raramente gli uomini che rapiscono una donna per sesso abusano in questo modo della vittima, anche se progettano di ucciderla in seguito. Inoltre, il tipo di biancheria che indossava suggerisce che la donna avesse una natura provocante. Onestamente, a giudicare dal trucco pesante e dal seno prosperoso, inizierei a fare qualche chiamata agli strip club di Omaha per vedere se qualche ballerina è scomparsa l’altra notte.”

“Già fatto” rispose Nelson in modo compiaciuto. “La deceduta è Hailey Lizbrook, trentaquattro anni, madre di due ragazzi e ballerina di livello intermedio al Runaway di Omaha.”

Snocciolò i fatti come se leggesse da un manuale di istruzioni. Mackenzie ipotizzò che avesse ricoperto così a lungo il suo ruolo che le vittime di omicidio non erano più persone, ma un rompicapo da risolvere.

Mackenzie però, nella carriera da soli due anni, non era così indurita e senza cuore. Studiava la donna con un occhio rivolto a scoprire cosa fosse successo, ma la vedeva anche come una donna che lasciava due ragazzi, che avrebbero vissuto il resto della propria vita senza una madre. Se una madre di due bambini faceva la spogliarellista, Mackenzie immaginò che avesse problemi di soldi e che fosse disposta a fare praticamente tutto per mantenere i suoi figli. Invece ora eccola lì, legata ad un palo e straziata da un uomo senza volto che-

Il fruscio delle pannocchie dietro di lei interruppe i suoi pensieri. Si voltò e vide Walter Porter avanzare tra il granoturco. Entrò nella radura con aria seccata, pulendosi il cappotto da terra e polvere di mais.

Si guardò attorno per un momento prima che i suoi occhi si posassero sul cadavere di Hailey Lizbrook al palo. Una smorfia di stupore gli attraversò il volto, i baffi grigi inclinati verso destra in un angolo duro. Quindi guardò Mackenzie e Nelson, avvicinandosi senza perdere tempo.

“Porter” disse il Comandante Nelson. “La White qui sta già risolvendo il caso. È piuttosto sveglia.”

“A volte lo è” disse Porter sprezzante.

Andava sempre così. Nelson non le stava facendo un vero complimento. Piuttosto, stava prendendo in giro Porter per essersi ritrovato con la ragazza carina che era spuntata dal nulla e si era accaparrata il posto di detective – la ragazza carina che pochi degli uomini del distretto con più di trent’anni prendevano sul serio. E dio, se a Porter dava fastidio.

Anche se le piaceva vedere Porter punzecchiato, non valeva la pena sentirsi inadeguata e sottovalutata. Più e più volte aveva risolto casi che gli altri uomini non erano riusciti a risolvere e questo, lo sapeva, li faceva sentire minacciati. Aveva solo venticinque anni, era troppo giovane per iniziare a sentire l’entusiasmo per una carriera che un tempo amava esaurirsi. Eppure adesso, bloccata con Porter e con quella squadra, stava iniziando ad odiarla.

Porter si frappose fra Nelson e Mackenzie, per farle capire che adesso era lui l’uomo di scena. Mackenzie iniziava a ribollire di rabbia, ma soffocò il sentimento. Erano tre mesi che lo soffocava, fin da quando era stata assegnata in coppia con lui. Fin dal primo giorno, Porter non aveva tenuto nascosto il proprio disprezzo per lei. Dopotutto, aveva sostituito il collega che Porter aveva avuto per ventotto anni, e che era stato fatto andare via dall’unità, secondo Porter, solo per lasciare spazio ad una giovane donna.

Mackenzie ignorò la sua sfacciata mancanza di rispetto; si rifiutava di lasciare che influisse sulla sua etica professionale. Senza una parola, tornò al cadavere e lo studiò attentamente. Esaminarlo era doloroso eppure, per quanto la riguardava, nessun cadavere avrebbe mai avuto su di lei lo stesso effetto del primo che aveva visto. Era quasi giunta al punto in cui non vedeva più il corpo di suo padre quando metteva piede su una scena del crimine. Quasi. Aveva sette anni quando era entrata in camera da letto e l’aveva visto semidisteso sul letto, in un lago di sangue. E da allora non aveva più smesso di vederlo.

Mackenzie cercò indizi che dimostrassero che l’omicida non aveva un movente sessuale. Non vide lividi o graffi né sui seni né sui glutei, e a vista non c’era sangue intorno alla vagina. Poi controllò le mani e i piedi della donna, domandandosi se potesse esserci una motivazione religiosa; segni di fori su palmi, caviglie e piedi potevano essere un richiamo alla crocifissione. Tuttavia, non c’erano nemmeno segni del genere.

Dal breve rapporto che lei e Porter avevano ricevuto, sapeva che gli abiti della vittima non erano stati ritrovati. Mackenzie rifletté che probabilmente significava che li aveva l’assassino, oppure che se ne era disfatto. Questo faceva pensare che fosse cauto, oppure al limite dell’ossessione. Se si aggiungeva che il movente non era di natura sessuale, si poteva dedurre che avessero a che fare con un killer determinato e potenzialmente inafferrabile.

Mackenzie arretrò fino al limitare della radura per osservare la scena nella sua interezza. Porter la guardò di sfuggita per poi ignorarla del tutto e continuare a parlare con Nelson. Lei si accorse che gli altri poliziotti la stavano osservando. Alcuni di loro almeno la stavano osservando all’opera. Aveva iniziato la carriera di detective con la reputazione di essere eccezionalmente brava e tenuta in grande considerazione da molti istruttori della Scuola di Polizia e a volte gli agenti più giovani, sia uomini che donne, le facevano domande pertinenti o chiedevano il suo parere.

 

Dall’altro canto, però, sapeva che era possibile che alcuni degli uomini lì con lei in quel campo la stessero guardando in modo lascivo. Non sapeva cosa fosse peggio: gli uomini che le guardavano il culo quando passava o quelli che ridevano alle sue spalle e la consideravano soltanto una ragazzina che giocava a fare la detective tosta.

Mentre studiava la scena, fu ancora una volta assalita dalla sensazione che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato. Era come leggere la prima pagina di un libro che sapeva si sarebbe fatto difficile più avanti.

Questo è solo l’inizio, pensò.

Ispezionò la terra intorno al palo e vide degli indistinti segni di stivali, ma nulla che potesse fornire vere impronte. Sulla terra c’erano anche segni che sembravano a forma di serpenti. Si accovacciò per guardarli più da vicino e notò che ce n’erano tanti affiancati che giravano intorno al palo in modo sconnesso, come se qualunque cosa li avesse lasciati avesse girato intorno al palo più volte. Guardando la schiena della donna, si accorse che le ferite avevano la stessa forma dei segni a terra.

“Porter” chiamò.

“Che c’è?” rispose lui, chiaramente seccato di essere stato interrotto.

“Mi sa che ho trovato le impronte dell’arma.”

Porter esitò per un istante, quindi raggiunse Mackenzie nel punto in cui ara accucciata a terra. Nel chinarsi si lamentò e lei sentì la cintura che scricchiolava. Aveva almeno venti chili di troppo, che diventavano sempre più evidenti mano a mano che si avvicinava ai cinquantacinque anni.

“È una specie di frusta?” domandò.

“Così pare.”

La detective esaminò il terreno, seguendo con lo sguardo i segni nella sabbia fino al palo, poi notò qualcos’altro. Si trattava di qualcosa di minuscolo, così piccolo che le era quasi sfuggito.

Camminò fino al palo, facendo attenzione a non toccare il corpo prima che la Scientifica avesse fatto il suo lavoro. Si accovacciò di nuovo si sentì schiacciare dal peso del calore pomeridiano. Senza scoraggiarsi, avvicinò la testa al palo, così tanto che quasi lo toccava con la fronte.

“Che diavolo stai facendo?” chiese Nelson.

“C’è inciso qualcosa qui” gli rispose. “Sembrano dei numeri.”

Porter si avvicinò per verificare, ma stavolta fece di tutto per non doversi chinare. “White, quel pezzo di legno avrà vent’anni” replicò. “E l’incisione sembra altrettanto vecchia.”

“Può essere” rispose Mackenzie. Ma non lo credeva affatto.

Avendo già perso interesse nella scoperta, Porter tornò a parlare con Nelson, confrontando le informazioni che aveva ottenuto dal contadino che aveva scoperto il cadavere.

Mackenzie prese il cellulare e scattò una foto ai numeri, poi ingrandì l’immagine facendoli diventare più leggibili. Osservandoli così da vicino ebbe di nuovo la sensazione che quello fosse l’inizio di qualcosa di molto più grande.

N511/G202

Quei numeri non le dicevano niente. Forse aveva ragione Porter. Forse non significavano assolutamente niente. Forse erano stati incisi dal boscaiolo che aveva tagliato il palo. Forse era stato un ragazzino annoiato a scolpirli anni fa.

Eppure, c’era qualcosa che non andava.

Anzi, tutto sembrava non andare.

E lei sapeva, nel suo cuore, che era soltanto l’inizio.

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