Destino Di Draghi

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Из серии: L’Anello Dello Stregone #3
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Читает Edoardo Camponeschi
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Destino Di Draghi
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DESTINO DI DRAGHI
(libro #3 in L ‘anello dello stregone)
Morgan Rice
Edizione italiana a cura di
Annalisa lovat
Chi è Morgan Rice

Morgan è anche l’autrice della serie fantasy epica campione d’incassi L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento dieci libri.

Morgan Rice è anche autrice best-seller di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento dieci libri e che è stata tradotta in sei lingue.

Morgan è anche autrice dei best-seller ARENA ONE e ARENA TWO, i primi due libri di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller d’azione post-apocalittico ambientato nel futuro.

Morgan ama ricevere i vostri commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il sito www.morganricebooks.com per rimanere in contatto con lei.

Cosa hanno detto di Morgan Rice

“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”

–-Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)

“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante  … TRAMUTATA è rinvigorente e unico, possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. TRAMUTATA è di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Lo raccomando a chiunque ami leggere piacevoli romanzi paranormali. Classificato PG.”

–-The Romance Reviews (parlando di Tramutata)

“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”

–-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }

“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare ad innamorarvi”

–-vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)

“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”

–-The Dallas Examiner {parlando di Amata}

“È  un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”

–-Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}

“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”

–-The Romance Reviews {parlando di Amata}

Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
THE SURVIVAL TRILOGY
ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA TWO (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
Ascoltate la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!

Ora disponibile su:

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Copyright © 2013 by Morgan Rice


All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.


This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.


This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

“Non venire ad interporti fra il drago e la sua furia.”

—William Shakespeare
Re Lear


CAPITOLO UNO

Re McCloud si era buttato all’attacco, scendendo il versante dell’Altopiano, per entrare nella parte di Anello appartenente ai MacGil. Con centinaia di uomini al seguito scendeva al galoppo dalla montagna tenendosi ben saldo al suo destriero. Sollevò un braccio, portò alta dietro di sé la frusta e colpì con forza la groppa del proprio cavallo: certo la bestia non aveva bisogno di essere spronata, ma a McCloud piaceva frustarlo. Amava fare del male agli animali.

Gli si seccarono le fauci quando vide la vista che si dispiegava davanti ai suoi occhi, uno degli idilliaci villaggi del regno di MacGil: gli uomini nei campi, disarmati, le donne a casa ad appendere il bucato, poco vestite per la calura estiva. Le porte delle case erano aperte, i polli scorrazzavano liberamente nei cortili, i pentoloni già ribollivano per la cena. Pensò al danno che avrebbe arrecato, al bottino che avrebbe raccolto, alle donne che avrebbe rovinato, e il suo sorriso si allargò. Riusciva quasi a sentire il sapore del sangue che stava per spargere.

Continuarono a galoppare, il passo dei cavalli che rimbombava come un tuono e pervadeva la campagna fino a che qualcuno si accorse di loro: il guardiano del villaggio, una patetica scusa per essere considerato soldato, un ragazzino con in mano una lancia che si voltò sentendoli avvicinare. McCloud vide bene il bianco dei suoi occhi, riconobbe il panico e la paura sul suo volto: da quell’avamposto sonnecchiante non aveva forse mai visto una battaglia in vita sua. Era miseramente impreparato.

McCloud non perse tempo: voleva che la prima uccisione fosse sua, come sempre succedeva in battaglia. I suoi uomini lo conoscevano abbastanza bene da lasciargliela.

Frustò di nuovo il cavallo fino a farlo gemere e acquistò velocità avanzando dritto davanti agli altri. Levò la lancia dei suoi avi, una pesante arma di ferro, si inarcò e la scagliò.

Aveva mirato bene, come sempre: il ragazzo non si era ancora voltato del tutto quando la lancia lo colpì alla schiena, trafiggendolo e conficcandolo poi a un albero con un tonfo. Il sangue traboccò dalla schiena del giovane guardiano e questo fu sufficiente per guadagnare a McCloud la sua giornata.

Il re emise un breve grido di gioia e tutti continuarono a gettarsi all’attacco attraverso quella meravigliosa terra dei MacGil, attraverso le gialle piante di granoturco che ondeggiavano al vento, una cornice troppo bella per la devastazione che stavano per mettere in atto.

Attraversarono il cancello non protetto del villaggio, un luogo troppo banale per essere collocato ai confini dell’Anello, così vicino all’Altopiano. Avrebbero dovuto saperlo bene, pensò McCloud con disprezzo mentre faceva roteare la sua ascia e tagliava l’insegna di legno che indicava il nome di quel luogo. Gli avrebbe presto dato una nuova denominazione.

I suoi uomini entrarono nel villaggio e ovunque si udirono grida di donne, di bambini, di anziani, di chiunque si trovasse a casa in quel luogo dimenticato da Dio. C’erano forse un centinaio di povere anime sfortunate, e McCloud era determinato a farla pagare a ciascuno di loro. Sollevò l’ascia ben alta sopra la sua testa concentrandosi su una donna in particolare. Stava correndo dandogli la schiena, cercando di salvarsi la vita correndo al riparo verso la propria casa. Non sarebbe andata così.

 

L’ascia di McCloud la colpì al polpaccio, proprio dove lui aveva mirato, e lei cadde con un grido. Non voleva ucciderla, ma azzopparla. Del resto gli serviva viva per il piacere che ne avrebbe tratto poi. L’aveva scelta bene: una donna con i capelli biondi e selvaggi, i fianchi stretti, probabilmente neanche diciottenne. Sarebbe stata sua. E una volta finito con lei, forse l’avrebbe uccisa. O forse no. Forse l’avrebbe tenuta come sua schiava.

Gridò di soddisfazione quando le fu vicino e saltò giù dal cavallo in corsa, atterrando su di lei e bloccandola a terra. Rotolò con lei nella terra, sentendo l’impatto della strada, e sorrise assaporando cosa significasse sentirsi vivi.

Finalmente la vita aveva riacquistato un senso.

CAPITOLO DUE

Kendrick si trovava nell’occhio del ciclone, nella Sala delle Armi, affiancato da decine di compagni, tutti valorosi membri dell’Argento: guardava con calma Darloc, il comandante della guardia reale inviato in una sventurata missione. Cosa si era aspettato? Pensava veramente di poter entrare nella Sala delle Armi e tentare di arrestare Kendrick, il più amato della famiglia reale, di fronte a tutti i suoi fratelli d’armi? Pensava davvero che gli altri sarebbero rimasti a guardare e gliel’avrebbero permesso?

Aveva completamente sottovalutato la lealtà dell’Argento nei confronti di Kendrick. Anche se Darloc si era presentato con legittime accuse per poterlo arrestare – sebbene queste non lo fossero di certo –  Kendrick dubitava fortemente che i suoi compagni gli avrebbero permesso di portarlo via. Gli erano fedeli sulla vita, e sulla morte. Era la fede dell’Argento. Lui stesso avrebbe reagito allo stesso modo se qualcuno dei suoi fratelli d’armi fosse stato minacciato. Del resto si allenavano tutti insieme e combattevano insieme da una vita.

Kendrick poteva percepire la tensione sospesa in quel denso silenzio, mentre l’Argento teneva sguainate le proprie armi contro quelle dieci guardie reali, che rimanevano ferme sul posto, spostando il peso da un piede all’altro, a disagio per la situazione creatasi. Sicuramente sapevano che sarebbe stato un massacro anche solo tentare di afferrare una spada, e saggiamente non fecero nulla. Rimanevano lì in attesa di ordini dal loro comandante, Darloc.

Darloc deglutì, era particolarmente nervoso. Si era reso conto che la sua causa non aveva speranza di vittoria.

“Sembra che tu non abbia portato uomini a sufficienza,” disse Kendrick con tranquillità, sorridendo. “Una decina di guardie del Re contro un centinaio di uomini dell’Argento. La tua è una causa persa.”

Darloc avvampò, poi si schiarì la voce.

“Mio signore, serviamo tutti lo stesso regno. Non è mia volontà combattere contro di te. Hai ragione: questa è una battaglia che non potremmo mai vincere. Se ce lo comanderai, ce ne andremo a torneremo dal Re. Ma sai che Gareth non farà che mandare più uomini a prenderti. Uomini diversi. E sai a dove porterà tutto questo. Potresti anche ucciderli tutti, ma vuoi veramente macchiare le tue mani con il sangue dei tuoi fratelli? Vuoi veramente dare inizio a una guerra civile? I tuoi uomini sono pronti a rischiare le loro vita per te, sono pronti a uccidere chiunque. Ma è giusto?”

Kendrick lo fissò, pensando a tutto ciò che gli aveva detto. Darloc aveva ragione. Kendrick non voleva che nessuno dei suoi uomini si facesse del male semplicemente per colpa sua. Sentiva l’immenso desiderio di proteggerli da qualsiasi spargimento di sangue, non aveva importanza cosa comportasse per lui. E per quanto terribile fosse suo fratello Gareth, e per quanto fosse un governatore abominevole, Kendrick non voleva una guerra civile, per lo meno non causata proprio da lui. C’erano altri modi: aveva imparato che lo scontro diretto non sempre era la soluzione più efficace.

Kendrick allungò una mano e lentamente abbassò la spada dell’amico Atme. Si voltò a guardare i membri dell’Argento. Era pieno di gratitudine nei loro confronti per essere stati pronti a difenderlo.

“Mie cari compagni dell’Argento,” disse. “Vi sono grato per la vostra difesa, e vi assicuro che non è vana. Come tutti sicuramente ben sapete, conoscendomi, non ho nulla a che fare con la morte di mio padre, il nostro precedente Re. E quando troverò il suo reale assassino, che sospetto di aver già scovato data la natura di questi ordini, sarò il primo a fare vendetta. Sono accusato ingiustamente. Detto questo, non voglio essere il motivo scatenante di una guerra civile. Quindi vi prego di abbassare le vostre armi. Permetterò loro di prendermi pacificamente, perché un membro dell’Anello non dovrebbe mai mettersi a combattere con un altro. Se la giustizia esiste, allora la verità verrà a galla, e io tornerò presto fra voi.”

I membri dell’Argento lentamente e con riluttanza abbassarono le armi e Kendrick si voltò nuovamente verso Darloc. Entrambi si incamminarono verso la porta, circondati dalle guardie del Re. Kendrick avanzava orgogliosamente, al centro, a testa alta. Darloc non tentò neanche di ammanettarlo, forse per rispetto, forse per paura, o forse semplicemente perché sapeva della sua innocenza. Kendrick si fece strada da solo verso la sua nuova prigione. Ma non si sarebbe arreso così facilmente. In un modo o nell’altro avrebbe fatto riconoscere la propria innocenza, si sarebbe fatto liberare dalla prigione e avrebbe ucciso l’assassino di suo padre. Anche se si fosse trattato del suo stesso fratello.

CAPITOLO TRE

Gwendolyn si trovava nelle viscere del castello, suo fratello Godfrey era accanto a lei ed entrambi guardavano Steffen che stava loro di fronte, insicuro, torturandosi le mani. Era un tipo strano, non solo per la sua deformità – la schiena contorta e curva – ma anche perché sembrava essere carico di una certa energia nervosa. I suoi occhi non stavano mai fermi e si contorceva le mani come se fosse distrutto dal senso di colpa. Dondolava sul posto e si spostava da un piede all’altro, mormorando tra sé e sé con voce gutturale. Tutti quegli anni laggiù, immaginò Gwen, tutti quegli anni di isolamento lo avevano chiaramente trasformato in un personaggio particolare.

Gwen attendeva con trepidazione che si aprisse, che rivelasse ciò che era successo a suo padre. Ma i secondi diventavano minuti, il sudore si formava sempre più copioso sulla fronte di Steffen, lui dondolava sempre più nervosamente, e non accadeva nulla. Continuò a persistere solo un denso e pesante silenzio, interrotto semplicemente dai suoi borbottamenti.

Anche Gwen stava iniziando a sudare là sotto, troppo vicina ai fuochi scoppiettanti dei focolari per un giorno estivo come quello. Voleva farla finita con tutto ciò, andarsene da quel posto e non tornarvi mai più. Guardò Steffen con attenzione, cercando di decifrare la sua espressione, di immaginare cosa gli passasse per la mente. Aveva promesso di dire loro qualcosa, ma ora taceva e basta. Mentre lei lo esaminava sembrò che lui ci stesse ripensando. Era evidentemente impaurito: aveva qualcosa da nascondere.

Alla fine Steffen si schiarì la gola.

“Quella notte qualcosa è caduto dallo scolo, devo ammetterlo,” iniziò a raccontare senza guardarli negli occhi e fissando un punto nel pavimento, “ma non sono sicuro di cosa fosse. Era qualcosa di metallo. Abbiamo portato fuori la vasca del pozzo nero quella notte e ho sentito qualcosa che atterrava nel fiume. Qualcosa di diverso. Quindi,” disse schiarendosi la voce diverse volte e continuando a contorcersi le mani, “potete capire che, qualsiasi cosa fosse, è stata portata via dalle correnti.”

“Ne sei certo?” chiese Godfrey.

Steffen annuì vigorosamente.

Gwen e Godfrey si guardarono.

“L’hai visto almeno?” insistette Godfrey.

Steffen scosse la testa.

“Ma prima hai parlato di un pugnale. Come fai a sapere che si trattava di un pugnale se non l’hai visto?” chiese Gwen. Era certa che stesse mentendo, solo non sapeva perché.

Steffen si schiarì la voce.

“Ho detto così perché ho immaginato che si trattasse di un pugnale,” rispose. “Era piccolo e di metallo. Cos’altro poteva essere?”

“Ma hai controllato il fondo della vasca?” chiese Godfrey. “Dopo averla svuotata? Magari è ancora nella vasca, sul fondo.”

Steffen scosse la testa.

“Ho controllato il fondo,” rispose. “Lo faccio sempre. Non c’era niente. Vuoto. Qualsiasi cosa fosse, è stato portato via. L’ho visto galleggiare via.”

“Se era di metallo come faceva a galleggiare?” chiese Gwen.

Steffen si schiarì la voce e poi scrollò le spalle.

“Il fiume è misterioso,” rispose. “Le correnti sono forti.”

Gwen e Godfrey si scambiarono uno sguardo scettico, e lei capì dalla sua espressione che neanche lui credeva a Steffen.

Gwen era sempre più impaziente. Ora si sentiva anche confusa. Solo pochi istanti prima Steffen era sul punto di raccontare loro ogni cosa, gliel’aveva promesso. Ma sembrava che avesse improvvisamente cambiato idea.

Gwen gli si avvicinò di un passo e si accigliò, convinta che quell’uomo avesse qualcosa da nascondere.

Fece la faccia più dura di cui fosse capace e percepì la forza di suo padre scorrerle nelle vene. Era determinata a scoprire tutto ciò che Steffen poteva sapere, soprattutto se questo l’avesse aiutata a trovare l’assassino di suo padre.

“Stai mentendo,” disse, la voce fredda come l’acciaio, una forza tale da sorprendere lei stessa. “Sai qual è la punizione per aver mentito a un membro della famiglia reale?”

Steffen si strofinò con forza le mani e quasi fece un salto, guardandola un solo istante e poi distogliendo subito lo sguardo.

“Mi spiace,” disse. “Mi spiace. Per favore, non ho nient’altro.”

“Poco fa ci hai chiesto se ti avremmo risparmiato la prigione se ci avessi raccontato ciò che sapevi,” disse. “Ma non ci hai detto nulla. Perché fare una domanda del genere se non c’era niente da raccontare?”

Steffen si leccò le labbra, guardando fisso il pavimento.

“Io… io… ehm,” iniziò, ma poi si fermò. Si schiarì la voce. “Ero preoccupato… temevo che sarei finito nei casini per non aver detto prima che un oggetto era caduto dallo scolo. Tutto qui. Mi spiace. Non so cosa fosse. È sparito.”

Gwen socchiuse gli occhi, fissandolo e cercando di capirlo pienamente.

“Cos’è successo esattamente al tuo padrone?” gli chiese, non volendolo liberare da quella pressione. “Ci hanno detto che è sparito. E che tu c’entri qualcosa.”

Steffen scosse la testa ripetutamente.

“Se n’è andato,” rispose. “È tutto ciò che so. Mi spiace. Non so niente che vi possa essere d’aiuto.”

Improvvisamente si udì un forte rumore di liquidi che si riversavano, e tutti si voltarono a guardare i liquami che scendevano dallo scolo e atterravano rumorosamente nel grande pozzo nero. Anche Steffen si voltò ed attraversò di corsa la stanza dirigendosi verso la vasca. Si mise accanto ad essa e la osservò mentre si riempiva dei rifiuti provenienti dalle stanze dei piani superiori.

Gwen e Godfrey si scambiarono uno sguardo. Erano entrambi confusi.

“Qualsiasi cosa stia nascondendo,” disse Gwen, “non si arrenderà.”

“Potremmo faro imprigionare,” disse Godfrey. “Forse questo lo convincerebbe a parlare.”

Gwen scosse la testa.

“Non credo. Non un tipo così. È evidente che ha una paura folle. Penso centri con il suo padrone. È chiaramente combattuto su qualcosa, e non penso che abbia a che fare con la morte di nostro padre. Penso sappia qualcosa che potrebbe aiutarci, ma ho la sensazione che metterlo alle strette lo farebbe solo tacere ancora di più.”

“E allora cosa dovremmo fare?” chiese Godfrey.

Gwen rifletté. Ricordava un amico, quando era piccola, che era stato una volta scoperto a mentire. Ricordava che i suoi genitori avevano fatto pressione su di lei in ogni modo per farle dire la verità, ma lei non si era piegata. Solo settimane dopo, quando tutti avevano deciso di lasciarla finalmente in pace, lei si era fatta avanti di propria volontà e aveva rivelato tutto. Gwen percepiva lo stesso genere di energia provenire da Steffen, e pensava quindi che metterlo alle strette gli avrebbe solo chiuso la bocca. Aveva bisogno di spazio per farsi avanti da solo.

“Diamogli tempo,” disse. “Cerchiamo da qualche altra parte. Vediamo cosa riusciamo a trovare e torniamo da lui quando abbiamo più dettagli. Credo che si aprirà. Solo non è pronto ora.”

Gwen si voltò a guardarlo mentre dall’altra parte della stanza controllava i liquami che riempivano la vasca. Si sentiva sicura che li avrebbe condotti dall’assassino di suo padre. Solo non sapeva come. Si chiese quali segreti si celassero nei meandri della mente di quell’uomo.

 

Era un tipo strano, pensò Gwen. Proprio strano.

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