Una Corona Per Gli Assassini

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Из серии: Un Trono per due Sorelle #7
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CAPITOLO DUE

Il Maestro dei Corvi guardava soddisfatto la sua flotta mentre navigava per approdare sulla costa settentrionale che una volta era appartenuta al regno della vedova. La flotta pronta a invadere era come una macchia di sangue nell’acqua, i corvi che volavano sopra di essa in grossi stormi che sembravano nuvole di tempesta.

Davanti a loro si trovava un piccolo porto di pescatori, a inizio a malapena adeguato per la sua campagna di conquista, ma dopo tutto il tempo passato in mare, sarebbe stato un buon assaggio di ciò che avrebbero trovato dopo. Le navi si fermarono aspettando il suo segnale, e il Maestro dei Corvi fece un attimo di pausa per apprezzare la bellezza del tutto, la pace della costa illuminata dal sole.

Fece un gesto indolente della mano, e sussurrò, sapendo che un centinaio di corvidi avrebbero gracchiato le parole ai suoi capitani. “Iniziamo.”

Le navi cominciarono ad avanzare come i componenti singoli di una qualche meravigliosa macchina di morte, ciascuna al suo posto mentre si muovevano verso la costa. Il Maestro dei Corvi immaginò che i capitani stessero facendo a gara per vedere chi sarebbe riuscito a portare a termine i propri doveri nel modo più preciso, cercando di compiacerlo con l’obbedienza delle loro ciurme. Non sembravano mai capire che per lui contava ben poco: solo la morte che sarebbe venuta poi gli interessava.

“Ci sarà morte,” mormorò mentre una delle sue bestiole gli si posava su una spalla. “Ci sarà tanta morte da schiacciare il mondo.”

Il corvo gracchiò d’accordo con lui, come andava bene che facesse. Le sue creature erano state ben nutrite nelle ultime settimane, le morti della battaglia di Ashton che ancora riempivano i suoi forzieri di potere, anche mentre delle nuove morti arrivavano dai paraggi dell’impero del Nuovo Esercito ogni giorno.

“Oggi ce ne sarà di più,” disse con un cupo sorriso mentre sia i soldati veri che quelli improvvisati si mettevano in riga per difendere la loro patria sulla costa.

Risuonarono i cannoni e i primi spari riecheggiarono attraverso l’acqua, riverberando negli schianti dei loro impatti. Presto l’aria sarebbe stata pregna di fumo, tanto che lui sarebbe stato l’unico in grado di vedere ciò che stava accadendo, grazie ai suoi uccelli. Presto i suoi uomini avrebbero dovuto fidarsi in assoluto dei suoi ordini.

“Dite alla terza compagnia di allargarsi di più,” disse a uno dei suoi aiutanti. “Eviterà che qualcuno possa fuggire lungo la costa.”

“Sì, mio signore,” rispose il giovane.

“Fai preparare una scialuppa d’approdo anche per me.”

“Sì, mio signore.”

“E ricorda agli uomini i miei ordini: quelli che oppongono resistenza vanno uccisi senza pietà.”

“Sì, mio signore,” disse per la terza volta l’aiutante.

Come se i capitani del Maestro dei Corvi avessero bisogno di quel promemoria. Conoscevano le sue regole ormai, i suoi desideri. Si sedette sul ponte della sua ammiraglia guardando le palle di cannone che colpivano e gli uomini che cadevano sotto le raffiche dei moschetti. Finalmente decise che il momento era quello giusto e si diresse verso la scialuppa che stava per calare in acqua, controllando le sue armi.

“Remate,” ordinò agli uomini, e loro si impegnarono sui remi, sforzandosi di portarlo a riva insieme ai suoi soldati.

Sollevò una mano mentre i suoi corvi lo mettevano in guardia, e gli uomini smisero di remare giusto in tempo perché la palla lanciata da un vecchio cannone finisse in mare, mancandoli di poco.

“Continuate.”

La scialuppa scivolò tra le onde, e nonostante la forza travolgente dei numeri del Nuovo Esercito, alcuni degli uomini in attesa balzò all’attacco. Il Maestro dei Corvi saltò sulla banchina per affrontarli, le sue lame sguainate.

Conficcò una spada nel petto di un uomo, poi fece un passo di lato mentre un altro tentava di colpirlo. Parò un colpo e uccise un altro uomo con la casuale efficienza data dalla lunga pratica. Era così sciocco da parte di uomini come questi pensare di poterlo battere, o anche solo ferirlo. Solo due persone ci erano riuscite in così tanto tempo, e sia Kate Danse che il suo detestabile fratello sarebbero morti a tempo debito per quell’affronto.

Per ora questa non era tanto una battaglia quanto un massacro, e il Maestro dei Corvi ne godeva. Colpiva e infilzava, uccidendo nemici a ogni spostamento. Quando vide una giovane donna che cercava di scappare, si fermò un momento per prendere la sua pistola e le sparò alla schiena, poi continuò con il lavoro più pressante.

“Per favore,” implorò un uomo abbassando la spada in segno di resa. Il Maestro dei Corvi lo colpì al ventre, poi si spostò dal successivo.

Il massacro fu inevitabile quanto assoluto. Una marmaglia di militi mal armati non potevano neanche minimamente sperare di difendersi contro tutti quegli avversari. Tutto fu finito così presto che era difficile immaginare cosa avessero voluto tentare di ottenere opponendosi a quel modo. Probabilmente era qualcosa che aveva a che vedere con l’onore o con qualche altra sciocchezza del genere.

“Ah,” disse il Maestro dei Corvi tra sé e sé mentre guardava attraverso gli occhi di una delle sue creature e vedeva un gruppetto di persone che scappavano sulle colline vicine, dirigendosi verso sud. Tornò in sé e cercò il capitano più vicino. “Un gruppo di paesani stanno fuggendo lungo un sentiero poco distante da qui. Prendi degli uomini e andate a ucciderli tutti, per favore.”

“Sì, mio signore,” disse l’uomo. Se il lavoro di uccidere degli innocenti gli dava fastidio, non lo diede a vedere. E poi, se fosse stato un uomo capace di tentennare davanti a cose del genere, il Maestro dei Corvi lo avrebbe ucciso da tempo per questo.

Il Maestro dei Corvi stava ad ammirare il risultato della battaglia, ascoltando il lieto silenzio che veniva dato solo dalla morte. Ascoltò i corvi mentre atterravano per iniziare il loro lavoro, e sentì il potere che iniziava a scorrergli dentro mentre consumavano la loro parte. Era un imbarazzante bocconcino confronto ad alcune delle battaglie precedenti, ma ci sarebbe stato di più a seguire.

Riportò la propria attenzione nelle sue creature, lasciando che parlassero con la sua voce.

“Questa città è mia,” disse. “Sottomettetevi o morirete. Consegnate tutti coloro che hanno la magia, o morirete. Fate come vi viene ordinato, o morirete. Ora non siete nulla, schiavi e meno che schiavi. Obbedite, e sarete risparmiati dal diventare cibo per i corvi per un po’. Disobbedite, e morirete.”

Mandò le sue creature in alto in aria a visionare la terra che avevano conquistato in quella prima parte dell’avanzata. Poteva vedere l’orizzonte allungarsi lontano da sé, con tutta la promessa di altra terra da conquistare, di altre morti per nutrire le sue bestiole.

Il Maestro dei Corvi normalmente non aveva visioni. Al meglio i suoi corvi gli davano sufficienti dettagli per ipotizzare quello che sarebbe successo. Lui non era la strega della fontana, capace di cogliere tratti del futuro, e neanche lei era stata capace di prevedere la propria morte. Ora però la visione gli arrivò improvvisa, trasportata dalle ali delle sue creature.

Vide un bambino accoccolato tra le braccia della madre, e riconobbe all’istante la nuova regina del regno. Vide del pericolo in quel bambino, e più che semplice pericolo. La morte che aveva tenuto da parte così a lungo con le vite degli altri, lo minacciava ora nell’ombra di quel neonato. Il piccolo allungò le mani per afferrarlo, con l’innocenza di un bambino, e il Maestro dei Corvi arretrò, rifuggendo rapidamente in se stesso.

Rimase fermo al centro della cittadina che aveva conquistato, scuotendo la testa.

“Va tutto bene, mio signore?” chiese il suo aiutante.

“Sì,” disse il Maestro dei Corvi, perché se ammetteva la sua debolezza, avrebbe dovuto uccidere quell’uomo. Se fosse trapelato anche solo un accenno della paura che gli era nata dentro, allora tutto ciò che vedeva avrebbe dovuto morire. Sì, era un pensiero…

“Ho cambiato idea,” disse. “Risparmieremo la conquista della prossima cittadina. Radete al suolo questa. Uccidete ogni abitante, uomo, donna… o bambino che tenga tra le braccia. Non lasciate intera una singola pietra.”

L’aiutante non mise nulla in discussione, proprio come aveva fatto il capitano che si era messo all’inseguimento dei fuggitivi.

“Faremo come ordinate, mio signore,” promise.

Il Maestro dei Corvi non aveva dubbio che l’avrebbero fatto. Lui ordinava e la gente moriva in risposta. Se c’era un bambino che era una minaccia per lui… beh, quel bambino poteva morire. Insieme a sua madre.

CAPITOLO TRE

Emeline era al centro di Casapietra e cercava di contenere parte della sua frustrazione mentre guardava tutti gli abitanti riuniti attorno al cerchio di pietre. Cora e Aidan erano vicino a lei, cosa che le dava un certo sostegno, ma dato che tutti gli altri le stavano schierati contro, non le pareva poter servire a molto.

“Sofia ci ha mandati a convincervi di tornare ad Ashton,” disse Emeline, concentrata sul punto in cui sedevano Asha e Vincente. Quante volte avevano fatto questa discussione ormai? Ci era voluto tutto questo tempo, solo per arrivare al punto di discuterlo tutti insieme nel cerchio. “Non c’era bisogno che tornaste a Casapietra dopo la battaglia. Sofia sta costruendo un regno dove quelli come noi sono liberi, e non abbiamo nulla da temere.”

“C’è sempre qualcosa da temere fintanto che esistono coloro che ci odiano,” ribatté Asha. “Avrebbe potuto ordinare alle chiese della Dea Mascherata di stare zitte. Avrebbe potuto far impiccare i loro macellai per i crimini commessi.”

 

“E questo avrebbe ridato vita alle guerre civili,” disse Cora accanto ad Emeline.

“Meglio una guerra che vivere accanto a coloro che ci odiano,” disse Asha. “Chi ci ha fatto queste cose non potrà mai essere perdonato.”

Vincente la mise in termini più misurati, ma non fu di maggiore aiuto. “Questo è un posto dove abbiamo costruito una comunità, Emeline. È un posto dove possiamo stare certi di essere al sicuro. Non ho dubbi che Sofia abbia buone intenzioni, ma non è la stessa cosa che essere in grado di cambiare le cose.”

Emeline dovette sforzarsi di respingere l’urgenza di urlare loro addosso per la stupidità che dimostravano. Cora doveva essersene accorta, perché le posò una mano sul braccio.

“Andrà tutto bene,” le sussurrò. “Alla fine vedranno il senso.”

“Quello che tu chiami senso,” rispose di colpo Asha dall’altra parte del cerchio di pietra, “io lo chiamo un tradimento della nostra gente. Siamo al sicuro qui, non fuori nel mondo.”

Emeline le lanciò un’occhiata arrabbiata. Asha non poteva aver sentito il sussurro di Cora da lì, il che significava che aveva letto nella sua mente. Era una cosa più che maleducata; era pericoloso, soprattutto dato che era stata proprio Asha ad insegnare ad Emeline come togliere i ricordi alla gente.

“La gente è libera di andare e venire se desidera,” disse Vincente. “Se Sofia creerà davvero un mondo dove quelli come noi saranno liberi, la gente verrà di propria volontà, senza bisogno di emissari.”

“E quanto tempo ci vorrà?” rispose Emeline. “Come sembrerà quando tutti coloro che hanno i poteri se ne staranno nascosti, come imbarazzati? Sembrerà come se non fossimo una minaccia, o lascerà piuttosto spazio alla possibilità che le persone possano affermare che stiamo complottando segretamente? Un incentivo alla rinascita di antiche dicerie?”

La cosa più difficile nella folla che li circondava era che per Emeline era impossibile valutare che effetto stessero avendo le sue parole. Con un’altra folla avrebbe potuto usare la sua mente per percepire la sensazione dei loro pensieri, o al massimo sentirli parlare tra loro. Qui le conversazioni erano cose silenziose fatte di pensieri che lampeggiavano avanti e indietro, ben indirizzati e impossibili da carpire.

“Forse hai ragione,” disse Vincente.

“Loro no,” rispose Asha. “Sono loro che ci hanno tolto la sicurezza, facendo in modo che la gente sappia dove ci troviamo.”

“Non l’abbiamo detto a nessuno,” disse Cora.

Asha sbuffò. “Come se non potessero averlo preso dalla tua testa. Se non fossi stata mandata dalla regina, prenderei ogni pensiero che hai al riguardo.”

“No,” disse Aidan, mettendo una mano protettiva sulla spalla di Cora. “Non lo faresti.”

Vincente si alzò in piedi, la sua altezza sufficientemente impressionante da calmare la situazione. “Basta bisticciare. Asha, le nuove difese saranno sufficienti a proteggerci, anche se la gente dovesse trovarci. Per quanto riguarda il resto… suggerisco di fare una veduta.”

“Una veduta?” chiese Emeline.

Vincente fece un gesto che includeva tutte le persone riunite attorno a loro. “Uniremo le nostre menti insieme, e vedremo cosa risulterà da ogni azione. Non è un metodo perfetto, ma ci aiuterà a decidere ciò che dobbiamo fare.”

L’idea di unire la sua mente a così tante altre era preoccupante, ma se le avesse fornito una possibilità di persuaderli, Emeline non aveva intenzione di tirarsi indietro.

“Va bene,” disse. “Come facciamo?”

Semplicemente unisci la tua mente a quella degli altri,” le disse Vincente con il pensiero. Stanno aspettando.

Emeline spinse avanti il suo dono e subito poté sentire le menti di coloro che stavano attorno al cerchio ad aspettare. Ora erano aperte in modo diverso da prima. Emeline fece un respiro e si tuffò tra loro.

Era se stessa e non era se stessa, sia un singolo modo di pensiero e una più grande nube che fluttuava combinando tutto insieme. Con così tanti di loro in un posto solo, c’era lì più pensiero di quanto si sarebbe potuto contenere in una persona. Quel potere divenne più nitido ed Emeline sentì la mano di Vincente che lo guidava con quella che immaginò essere un’abilità generata dalla lunga pratica.

Concentratevi sul futuro, inviò. Cercate di vedere cosa succederà se…

Non andò oltre perché in quel momento una visione li colse tutti con la forza di una foresta incendiata.

C’era fuoco nella visione. Lampeggiava sopra i tetti di Ashton, consumando e distruggendo. Soldati con uniformi ocra marciavano attraverso le strade, uccidendo man mano che avanzavano. Emeline udì donne gridare da dentro le case, vide uomini uccisi mentre scappavano nelle strade. La visione parve fluttuare attraverso le strade, dando loro a malapena il tempo sufficiente di comprendere quel massacro mentre si dirigevano al palazzo.

Attorno a loro la distruzione di Ashton feriva Emeline. Il massacro era orribile, ma stranamente la perdita dei luoghi in cui era cresciuta era quasi altrettanto negativa. Vedere i barconi che bruciavano sul fiume le fece venire in mente quello con cui aveva tentato di scappare dalla città. Vedere la piazza del mercato piena di cadaveri invece di bancarelle le spezzò il cuore.

Raggiunsero il palazzo, e il Maestro dei Corvi li stava aspettando. Non ci si poteva sbagliare su chi fosse, con il suo vecchio cappotto lungo e con gli uccelli che gli volavano attorno. Anche in quell’immagine, vederlo fece rabbrividire Emeline, che non riuscì però a distogliere lo sguardo. Lo vide marciare attraverso il palazzo, uccidendo con tale facilità da sembrargli quasi privo di conseguenze.

L’immagine mutò, e lo vide in piedi su un balcone, un bambino in braccio. Istintivamente Emeline capì che si trattava della figlia di Sofia. C’era qualcosa di splendente in lei che le fece venire in mente i pensieri di Sofia, ed Emeline avrebbe voluto allungarsi a proteggere la piccola.

Ma non c’era nulla che lei potesse fare, eccetto guardare mentre il Maestro dei Corvi sollevava la bambina e la teneva alta sopra la propria testa. E i corvi scendevano per nutrirsi…

Emeline annaspò rientrando di scatto nel proprio corpo, il cuore che batteva a mille. Attorno al cerchio, vide l’altra gente che guardava verso l’alto, impressionata o scossa. Sapeva che avevano visto tutti le stesse cose che aveva visto lei. Ecco qual era stato il senso.

“Dobbiamo aiutarli,” disse Emeline non appena ebbe abbastanza fiato da farlo.

“Cosa?” chiese Cora. “Cosa sta succedendo?”

“Il Maestro dei Corvi ha intenzione di bruciare Ashton,” disse Emeline. “Intende uccidere la bambina di Sofia. Lo abbiamo visto in una visione.”

All’istante l’espressione di Cora mutò. “Allora dobbiamo fermarli.” Emeline la vide guardarsi attorno nel cerchio. “Dobbiamo fermarlo.”

“Volete che altra della nostra gente muoia per voi?” chiese Asha dalla parte opposta del cerchio. “Non ne sono morti abbastanza solo per dare il trono alla tua amica?”

“Ho sentito parlare di quest’uomo,” disse Vincente. “Andargli contro sarebbe pericoloso. È troppo da chiedere.”

“Troppo chiedere di aiutare a salvare un bambino?” chiese Emeline, sentendo la sua voce crescere.

“Non un nostro bambino,” disse Asha.

Attorno a loro il cerchio mormorava di pensieri. La cosa non fece che scocciare ulteriormente Emeline, perché le ricordava quanto potere ci fosse a Casapietra.

“Non è vostro?” ribatté. “Sarà l’erede al trono. Se volete che questo sia il vostro regno piuttosto che un posto da cui nascondervi, quella bimba è una vostra responsabilità come chiunque altro.”

Vincente scosse la testa. “Cosa vorresti che facessimo? Non possiamo combattere tutto il Nuovo Esercito ad Ashton.”

“Allora portiamo la bambina qui,” rispose Emeline. “Portiamo tutti qui. Ashton potrà anche cadere, ma questo è un posto sicuro. È stato progettato per essere sicuro. Hai detto tu stesso che ci sono delle nuove difese.”

“Difese per noi,” rispose Asha. “Mura di potere che richiedono grande sforzo per essere mantenute. Dovremmo proteggere una città piena di persone che non la valgono? Che ci hanno sempre odiati?”

A quel punto fu Cora a parlare. “Quando sono venuta qui, mi avevano detto che Casapietra era un posto di salvezza per chiunque ne avesse bisogno, non solo per coloro che hanno la magia. Era una bugia?”

Le sue parole trovarono risposta nel silenzio, ed Emeline capì la risposta ancora prima che Vincente parlasse.

“Ci avete costretti a una battaglia,” disse. “Non ne sceglieremo appositamente un’altra. Lasceremo passare questa cosa, e risorgeremo dalle ceneri. Non possiamo aiutarvi.”

“Non volete farlo,” lo corresse Emeline. “E se non lo farete voi, allora lo farò io stessa.”

“Lo faremo insieme,” disse Cora.

Emeline annuì. “Se non ci aiuterete, allora andremo ad Ashton. Faremo in modo di mettere al sicuro la figlia di Sofia.”

“Morirete,” disse Asha. “Pensate di poter andare contro un esercito?”

Emeline scrollò le spalle. “Pensi che mi interessi?”

“È una follia,” disse Asha. “Dovremmo impedirvi di andare per la vostra stessa sicurezza.”

Emeline socchiuse gli occhi. “Pensi di poterlo fare?”

Senza aspettare una risposta, si alzò e lasciò il cerchio. Non aveva senso continuare a discutere, e ogni secondo che aspettavano era un altro momento in cui la bambina di Sofia si trovava in pericolo.

Dovevano andare ad Ashton.

CAPITOLO QUATTRO

Sofia non era riuscita a convincere nessuno a non fare una sontuosa festa di matrimonio, anche se sembrava il genere di cose che i nobili davanti a lei avrebbero potuto scansare. Guardandosi attorno sul prato del palazzo, però, era riconoscente di non essere stata in grado di annullarlo. Vedere così tanta gente presente e sentire la loro gioia la faceva vibrare di felicità.

“Ci sono un sacco di persone che vogliono congratularsi con noi,” disse Sebastian stringendola a sé.

“Sanno che sarò in grado di capire se lo intendono sul serio, giusto?” rispose Sofia. Si massaggiò la parte bassa della schiena. Sentiva un dolore in profondità che le faceva venire voglia di sedersi, ma voleva anche poter ballare con Sebastian, almeno un po’.

“Lo intendono sul serio,” disse Sebastian. Indicò il punto in cui si trovavano certi nobili della corte, alcuni di loro impegnati a ballare alla musica di corde e fiati. “Addirittura loro sono felici per te. Penso gli piaccia l’idea di vivere in una corte dove non devono fingere tutto il tempo.”

“Sono felici per noi,” lo corresse Sofia. Gli prese la mano, conducendolo fuori su uno spiazzo di prato che serviva da pista da ballo. Permise a Sebastian di prenderla tra le sue braccia e i musicisti vicino a loro colsero l’occasione per rallentare un poco il ritmo della danza.

Attorno a loro c’era gente che roteava insieme in modo molto più energico di quanto Sofia potesse fare in quel momento. Il dolore alla schiena si era portato alla pancia ora, e capì che era il momento di ritirarsi dalla pista da ballo. Due sedie, due troni, erano stati disposti a fianco del prato per lei e Sebastian. Sofia si sedette volentieri sul suo, e Sienne corse ad accoccolarsi ai suoi piedi.

“Mi ricorda un po’ il ballo a cui ci siamo conosciuti,” disse.

“Ci sono delle differenze,” disse Sebastian. “Meno maschere, per dirne una.”

“Preferisco così,” disse Sofia. “La gente non dovrebbe sentire di doversi nascondere per potersi divertire.”

C’erano anche altre differenze. C’erano persone comuni lì presenti insieme ai nobili, un gruppo di mercanti che parlavano a lato, la figlia di un tessitore che ballava con un soldato. C’erano persone che un tempo erano state vincolate, ora libere di unirsi alle feste piuttosto che dover fare da servitori. Numerose ragazze che Sofia riconobbe dalla Casa degli Indesiderati erano raccolte a un lato, con l’espressione decisamente più felice di un tempo.

“Vostra maestà,” disse un uomo avvicinandosi e facendo un piccolo inchino. I suoi abiti rossi e dorati sembravano risaltare contro il colore scuro della sua pelle, mentre i suoi occhi erano così chiari da sembrare quasi del colore della lavanda. “Sono il gran mercante N’ka del Regno di Morgassa. Il nostro maestoso re manda i suoi saluti in occasione del vostro matrimonio e mi ha chiesto di venire qui a discutere la possibilità di commerciare con il vostro regno.”

 

“Saremo felici di parlarne,” disse Sofia. Il mercante fece per dire qualcosa, e un’occhiata ai suoi pensieri suggerì che stava programmando di negoziare un intero contratto in quel preciso istante. “Dopo il giorno del mio matrimonio, però, ok?”

“Ovviamente, vostra maestà. Sarò ad Ashton per qualche giorno.”

“Per ora, godetevi i festeggiamenti,” suggerì Sofia.

Il mercante fece un inchino profondo e scivolò nuovamente nella folla. Come se il suo avvicinamento avesse dato il permesso a chiunque altro, una decina di altre persone si fecero avanti, da nobili alla ricerca dell’arrampicata sociale, a mercanti con beni da vendere, a gente del popolo comune con le loro problematiche. Ogni volta Sofia ripeté la stessa cosa che aveva detto al primo mercante, sperando che potesse bastare, e che si sarebbero goduti il resto della serata.

Una persona che non sembrava divertirsi molto durante la festa era Lucas. Se ne stava in un angolo con un calice di vino, circondato da un assortimento di belle giovani nobildonne, eppure non c’era traccia di sorriso sul suo volto.

Va tutto bene? gli inviò Sofia con il pensiero

Lucas sorrise voltandosi verso di lei, poi allargò le braccia. Sono felice per te e Kate, ma sembra che ogni donna qui abbia preso come regola il fatto che io sia il prossimo a doversi sposare… e con una di loro.

Beh, non si sa ma, gli rispose Sofia con il pensiero, magari una di loro si rivelerà essere perfetta per te.

Forse, disse Lucas, anche e non sembrava neanche lontanamente convinto.

Non ti preoccupare, andremo molto presto in cammino alla ricerca dei nostri genitori su terreno pericolosi, gli promise Sofia, e non dovrai più dover gestire gli spaventosi affari delle feste di corte.

In risposta a questo Lucas disse qualcosa a una delle donne accanto a lui, allungando una mano e portandola sulla pista da ballo. Ovviamente lo fece con assoluta perfezione, ballando con il genere di eleganza e grazia che probabilmente veniva da anni di lezioni. L’ufficiale Ko, l’uomo che l’aveva cresciuto, sicuramente lo aveva addestrato a quello come a tutto il resto.

Anche Kate e Will erano lì, anche se sembravano talmente avvinghiati l’uno all’altra da ignorare quasi la musica. Probabilmente non era di aiuto il fatto che sua sorella fosse più brava con una spada che nel ballo, mentre Sofia dubitava che Will ne sapesse molto di formali balli di corte. I due sembravano più che felici anche solo a restare uno nelle braccia dell’altro, sussurrandosi nelle orecchie e baciandosi di tanto in tanto. Sofia non fu del tutto sorpresa quando li vide scivolare via in direzione del palazzo mentre nessun altro stava guardando, facendolo così in sordina che Sofia dubitò che qualcuno se ne fosse accorto.

In parte avrebbe voluto che lei e Sebastian potessero fare lo stesso: quella era la loro notte di nozze, dopotutto. Sfortunatamente, mentre il nuovo capo dell’esercito poteva evitare l’attenzione della gente per un po’, Sofia sospettava che avrebbero potuto notare se la loro regina e il re se ne fossero andati presto dalla festa. La cosa migliore era godersi il momento mentre erano lì, accettando il fatto che tutta quella gente fosse presente con l’intento di augurare il meglio a lei e a Sebastian.

Sofia si alzò di nuovo, dirigendosi verso uno dei tavoli, dove il cibo era disposto su grandi piatti da portata che avrebbero potuto nutrire centinaia di altre persone. Iniziò a prendere qualche boccone scegliendo tra la pernice e il cinghiale arrosto, i datteri zuccherati e altre delizie che non avrebbe mai potuto immaginare quando era stata bambina nella Casa degli Indesiderati.

“Sai che potresti far portare il cibo da un servitore?” disse Sebastian, pur facendolo con un sorriso che diceva a Sofia come già conoscesse la risposta che lei gli avrebbe dato.

“Mi pare ancora strano ordinare alla gente di fare cose per me, quando posso benissimo farle da sola,” disse.

“In quanto regina, direi che dovresti abituartici,” disse Sebastian, “a parte il fatto che penso sia probabilmente un bene che tu sia così. Forse l’intero regno sarebbe migliore se la gente ricordasse com’è non essere quello che deve dare ordini.”

“Forse,” confermò Sofia. Poteva vedere gente che li guardava ora, e una rapida occhiata ai pensieri di quelli che li circondavano le disse che si aspettavano che lei prendesse la parola. Non aveva programmato di farlo, ma sapeva di non poterli deludere.

“Amici miei,” disse prendendo un bicchiere di succo di mela freddo. “Grazie a tutti per essere venuti a questa festa. È bello vedere così tanta gente che io e Sebastian conosciamo e a cui vogliamo bene, e così tanti altri che spero di avere la possibilità di conoscere nei giorni a venire. Questo giorno non sarebbe potuto succedere senza tutti voi. Senza amici, senza aiuto, io e Sebastian saremmo probabilmente stati uccisi settimane fa. Non saremmo qui insieme, né avremmo questo regno. Non avremmo la possibilità di migliorare le cose. Grazie a tutti.”

Sollevò il bicchiere in un brindisi che gli altri accolsero rapidamente. Di impulso si girò e baciò Sebastian. Quel gesto fece levare grida di esultanza che risuonarono nei giardini, e Sofia decise che non avrebbero dovuto sgattaiolare via come Kate e Will: se avessero annunciato il desiderio di farlo, la gente li avrebbe probabilmente accompagnati alle loro stanze. Magari avrebbero dovuto provarci. Forse…

Sentì le prime fitte in profondità, i muscoli che si contraevano con tale forza da farla quasi piegare a metà. Emise un profondo rantolo di dolore che la lasciò quasi senza fiato.

“Sofia?” disse Sebastian. “Cosa c’è? Stai bene?”

Sofia non riusciva a rispondere. Faceva quasi fatica a stare in piedi mentre un’altra contrazione la colpiva così violentemente da farla gridare. Attorno a lei la folla mormorava, alcuni ovviamente preoccupati mentre la musica si fermava.

“È veleno?”

“Sta male?”

“Non essere stupido, è ovvio…”

Sofia sentì qualcosa di bagnato scorrerle lungo le gambe mentre si rompevano le acque. Dopo tanto tempo di attesa, ora sembrava che tutto avesse deciso di svolgersi molto rapidamente.

“Penso… penso che il bambino stia per nascere,” disse.

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