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Un Trono per due Sorelle

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Из серии: Un Trono per due Sorelle #1
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CAPITOLO QUINDICI

A giudicare dalla luce, era più tardi di quanto Sofia avrebbe voluto quando si alzò, e le ci volle un po’ per ricordare che non si trovava nelle strade, né sul duro letto della Casa degli Indesiderati.

La vista di Sebastian accanto a lei le ricordò esattamente dove si trovava, e per un momento si irrigidì per il livello di inganno che aveva intrapreso la notte precedente. Se le era rimasta qualche rotella in testa, dove sgattaiolare via e non farsi vedere mai più.

Il problema era che non voleva. In quel momento Sofia si sentiva meglio di quanto fosse stata in qualsiasi frangente della sua vita. La notte scorsa era stato tutto ciò che mai avrebbe potuto sperare, e ancora di più. Era stata dolce, appassionata. Era stata piena di amore, e quella parte almeno aveva generato in lei più che mera sorpresa.

Per istinto allungò una mano ad accarezzare con le dita una guancia di Sebastian, godendo la sensazione di poterlo toccare. A Sofia pareva di aver imparato a conoscere ogni centimetro della sua pelle la notte prima, ma lo stesso voleva toccarlo ancora e ancora. Voleva essere certa che fosse reale. Questo bastò a fargli aprire gli occhi. Sebastian le sorrise.

“Quindi non è stato tutto un bel sogno,” le mormorò.

Sofia lo baciò per quelle parole. Beh, e anche perché voleva farlo. Voleva fare molto di più, ma Sebastian si ritrasse.

“Ho forse…” Giusto in tempo si ricordò dell’accento che doveva usare adesso. “Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?” gli chiese Sofia.

“No, decisamente no,” la rassicurò Sebastian, e in quel momento Sofia poté sentire i suoi pensieri mentre la guardava. Si aspettava desiderio, e invece c’era molto di più. Poteva percepire l’amore. “Devo solo controllare l’ora.”

Sofia lo vide guardare verso un orologio in un angolo della stanza, le lancette che rendevano chiaro quanto a lungo avessero dormito.

“Per le divinità,” disse Sebastian, “è già così tardi?”

I servitori non mi hanno svegliato. Ovviamente hanno immaginato cosa stesse accadendo.

Sofia colse quel pensiero divagante e allungò una mano posandogliela sul braccio. “Spero di non averti messo in difficoltà. Spero che non… ti penta della scorsa notte?”

Sebastian scosse la testa. “Decisamente no. Non pensarci neanche. È solo che oggi dovrei essere fuori nelle Vie Equestri ad ispezionare alcune delle milizie locali. Vorrei non doverlo fare, ma…”

“Ma hai dei compiti da eseguire,” disse Sofia. Sapeva dalla notte precedente quanto il dovere fosse parte della vita di Sebastian. “Va bene, Sebastian. Capisco che devi andare.”

“Odio fare queste cose,” disse Sebastian. “Se non si tratta di prepararsi per la guerra, sono le caccie. Continuo a sperare che Rupert faccia tutto, ma nostra madre insiste.”

La baciò ancora prima di alzarsi per vestirsi, e Sofia si rilassò a guardarlo. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe trovata in quella condizione, semplicemente a godersi ogni piccolo movimento fatto da qualcuno, ogni cosa che lo riguardasse. Si vestì in maniera semplice, con una veste scura e un paio di pantaloni decorati da ricami dorati, sopra a una camicia di cotone chiaro. Le fibbie argentate sulla cintura e sulle scarpe brillavano per i decori d’argento. E allo stesso modo luccicavano i suoi occhi.

Era ben diverso da quello che aveva indossato al ballo, però lo stesso…

“Oh,” disse Sofia mordendosi un labbro. “Mi sono appena resa conto che tutto quello che ho da mettermi è il mio vestito del ballo.”

Sebastian sorrise. “Ci ho pensato. Non è molto, ma…”

Sollevò un vestito da un mucchio di abiti. Non aveva il luccichio e la brillantezza dell’abito del ballo che Sofia aveva rubato, ma era pur sempre più bello di qualsiasi cosa lei avesse mai posseduto. Era di un verde profondo e morbido che sembrava il tappeto di muschio di una foresta, e una parte di Sofia avrebbe voluto saltare fuori dal letto per provarlo, incurante del fatto che Sebastian fosse ancora lì.

Si fermò appena in tempo ricordandosi del simbolo che aveva sul polpaccio e che proclamava la sua posizione nel mondo. Forse il trucco della notte prima aveva tenuto, ma Sofia non poteva correre quel rischio.

“Va tutto bene,” disse Sebastian. “È normale sentirsi più imbarazzati alla luce del giorno. Puoi provarlo quando me ne sarò andato.”

“È delizioso, Sebastian,” rispose Sofia. “Molto più delizioso di quanto io meriti.”

Non è neanche un decimo della sua bellezza. Per le divinità, significa proprio questo sentirsi innamorati?

“Tu meriti molto di più,” le disse Sebastian. Le si avvicinò per rubarle un ultimo bacio. “Sentiti libera di andare dove vuoi nel palazzo. I servitori non ti daranno fastidio. Solo… promettimi che sarai ancora qui quando tornerò?”

“Hai paura che mi trasformi in nebbia e mi dissolva?” chiese Sofia.

“Dicono che in tempi antichi ci fossero donne che si rivelavano essere spiriti o illusioni,” disse Sebastian. “Sei così bella che potrei quasi crederci.”

Sofia lo guardò andarsene, anche se avrebbe voluto che non avesse dovuto farlo. Si alzò, si lavò usando una brocca d’acqua e si mise addosso l’abito che Sebastian le aveva portato. C’erano delle morbide pantofole marroni che vi si abbinavano, e un velo leggero da mettersi sopra ai capelli per farli brillare al sole.

Sofia si mise tutto e poi iniziò a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare. Nelle strade sarebbe andata fuori e avrebbe iniziato a cercare qualcosa da mangiare. Nell’orfanotrofio avrebbero avuto delle commissioni da farle fare a quel punto.

Si portò prima di tutto nelle stanze esterne della suite di Sebastian, vedendo i punti dove erano caduti i suoi vestiti la notte prima. Li ripose ordinatamente, non volendo rischiare di perdere le poche cose di valore che possedeva. Trovò che un servitore aveva lasciato della salsiccia essiccata, formaggio e pane nelle camere esterne, quindi si prese qualche minuto per fare colazione.

Dopodiché si guardò attorno nel resto della suite di stanze, osservando colpita una collezione di conchiglie che probabilmente provenivano dall’altra parte dell’oceano, e una mappa dipinta del regno che sembrava essere stata prodotta prima delle guerre civili, perché mostrava ancora alcune delle città libere come spazi indipendenti.

Ce n’era abbastanza da farla restare lì, ma la verità era che Sofia non aveva intenzione di starsene lì seduta da sola aspettando che Sebastian tornasse. Voleva vedere quello che poteva del palazzo, e provare veramente la vita in cui si era in qualche modo fatta strada.

Mise piede fuori dall’appartamento di Sebastian all’interno del palazzo, aspettandosi in parte che qualcuno le saltasse subito addosso per dirle di andarsene o di tornare nelle stanze di Sebastian. Non successe niente di tutto questo, e Sofia si trovò capace di girovagare facilmente per il palazzo.

Usò il suo talento per tenersi alla larga dalla gente, però, non volendo rischiare di essere beccata a fare la cosa sbagliata, o che le dicessero che non apparteneva a quel posto. Evitò le zone dove trovava più pensieri, attenendosi alle stanze vuote e ai corridoi che sembravano dispiegarsi per miglia nel genere di groviglio che poteva risultare solo da centinaia di anni di costruzione e ricostruzione.

Sofia doveva ammettere che quel posto era bellissimo. Sembrava non esserci una sola parete senza un dipinto o un affresco, una nicchia senza una statua o un vaso decorato pieno di fiori. Le finestre avevano tutte pannelli colorati, di solito decorati da vetri variopinti che creavano diversi colori con la luce che vi filtrava attraverso, riversandosi sul marmo dei pavimenti come se vi fossero state applicate le tinte di un artista.

All’esterno Sofia poté vedere giardini dalla bellezza mozzafiato, piante selvatiche domate e trasformate in file ordinate di erbe e fiori, alberi bassi e cespugli. Vide un formale labirinto, le siepi più alte di lei stessa. Iniziò allora a camminare con maggiore decisione e intento, decidendo che sarebbe stato piacevole uscire a godersi un po’ quei giardini.

L’unica cosa che la fermò fu la vista di doppie porte con un segno al di sopra che dichiarava la presenza di una biblioteca.

Sofia non era mai stata in una biblioteca. Le suore della Dea Mascherata affermavano di averne una, all’orfanotrofio, ma gli unici libri con cui Sofia le avesse viste erano il Libro delle Maschere, i libri di preghiere, trattati stampati dal loro ordine e alcune brevi opere sull’argomento che sostenevano di insegnare. In qualche modo Sofia sospettava che questa biblioteca dovesse essere del tutto diversa.

Spinse le porte più in speranza che in attesa, sospettando che si sarebbe rivelato un posto così prezioso che gliel’avrebbero vietato, senza mai permetterle neanche di avvicinarsi.

Invece le porte di legno massiccio si aprirono con grazia data da ingranaggi ben oliati, permettendole l’accesso a una stanza che era tutto ciò che aveva immaginato, e anche di più. Era su due livelli, con uno strato di scaffali sopra i quali si trovava un livello mezzanino che ne conteneva ancora di più.

Ogni mensola conteneva libri e libri, uno dopo l’altro, rilegati in pelle di tutte le forme e misure, ammassati insieme tanto che Sofia stentava a credere che potessero essercene così tanti in un posto solo. Al centro della stanza si trovava un grosso tavolo, mentre in degli angoli c’erano delle sedie che avevano un aspetto tanto comodo che Sofia si sarebbe volentieri accoccolata su una di esse per dormire se in quel momento non fosse stata tanto eccitata.

Invece di fare questo, partì attorno alla stanza, tirando fuori libri a caso e controllando il loro contenuto. Trovò libri su ogni cosa, dalla botanica all’architettura, dalla storia alla geografia di terre lontane. C’erano anche libri che contenevano storie che sembravano essere state interamente inventate solo per divertimento, come commedie, ma scritte. Sofia aveva la vaga sensazione che le suore mascherate non avrebbero approvato.

 

Era probabilmente il motivo principale per cui prese proprio uno di quelli, sistemandosi in una delle sedie e leggendo un racconto di due cavalieri che si trovavano a combattere uno contro l’altro fino a che un’amante morta da tempo non tornava dalla tomba per dire loro chi amava di più. Sofia si trovò immersa nelle parole, intenta a dare un senso a tutti i posti di cui parlava, e colpita dall’idea che qualcuno potesse inventare un altro mondo senza niente più che carta e inchiostro.

Forse si trovò fin troppo invischiata in esso, perché non colse i pensieri del gruppo di ragazze che si avvicinavano, se non quando ormai era troppo tardi. Quando quei pensieri le dissero esattamente chi si stava avvicinando, Sofia si rannicchiò nella sua sedia, sperando che il libro che aveva in mano le potesse servire come schermo per non essere notata.

“Te lo sto dicendo,” disse Milady d’Angelica a una delle sue amichette, “qualcuno mi ha drogato la scorsa notte.”

“Ma è terribile,” disse un’altra, mentre per tutto il tempo i suoi pensieri dicevano a Sofia che stava godendo della dichiarazione della ragazza.

“Chi può essere stato?” chiese una terza, anche se i suoi pensieri dicevano che sapeva esattamente cosa la sua amica intendesse fare con il principe, dando per scontato che si fosse trattato di un semplice errore.

“Non lo so,” disse Angelica, “ma so che… tu. Cosa ci fai qui?”

Sofia si rese conto che la ragazza stava parlando con lei, quindi si alzò in piedi e mise con cura da parte il suo libro.

“C’era qualcosa che volevate dirmi?” chiese Sofia, prendendosi un momento per guardare le altre ragazze. Anche oggi Angelica sembrava bellissima, con un abbigliamento da equitazione che diceva quanto potesse essere determinata a raggiungere Sebastian, se ancora non avesse provato un certo malessere per i postumi del veleno. Delle sue due compagne, una era bassa e grassottella, con i capelli castani lunghi fino alle spalle, mentre l’altra aveva i capelli neri che le arrivavano quasi alla vita, ed era più alta di Sofia.

“Perché dovrei avere qualcosa da dire a te?” ribatté la ragazza, ma continuò comunque ad andare avanti. “La scorsa notte ti sei presa una cosa che avrebbe dovuto essere mia. Sai chi sono?”

“Lady d’Angelica” rispose prontamente Sofia. “Mi spiace, ma non conosco il tuo primo nome. Ma ho sentito che le tue amiche ti chiamano comunque Angelica, quindi posso farlo anche io?”

Probabilmente era un tono sciocco da tenere con lei, ma Sofia aveva visto com’era questa ragazza con tutti quelli che la consideravano meno importante. Sofia non poteva permettersi di tirarsi indietro, perché questo l’avrebbe fatta sembrare tanto debole da poterla attaccare. L’orfanotrofio le aveva insegnato quella lezione, almeno.

“Pensi che siamo amiche?” rispose prontamente Angelica.

“Sono sicura che potremmo essere buone amiche,” rispose Sofia, porgendole la mano. “Sofia di Meinhalt.”

Angelica ignorò la sua mano tesa.

“Una sconosciuta misteriosa che per caso appare giusto in tempo per il grande ballo,” disse Angelica. “Sostenendo di venire dagli Stati dei Mercanti. Pensi che non avrei saputo se qualcuno del genere fosse capitato in città? Mio padre ha degli interessi lì, e io non ho mai sentito il tuo nome.”

Sofia si sforzò di sorridere. “Magari non hai prestato attenzione.”

“Forse no,” disse Angelica socchiudendo gli occhi. “Ma ora lo farò. Pensi che mi ci vorrà molto per venire a sapere tutto su di te?”

Scriverò a… non so a chi scriverò, ma lo scoprirò.

I suoi pensieri non sembravano così sicuri come cercava di dare a vedere, ma lo stesso Sofia rimase impietrita davanti a quella minaccia. Si sforzò di pensare.

“E dato che non troverai dei registri in una città distrutta, mi denuncerai?” chiese. “Perché, Angelica, se avessi saputo che saresti stata così gelosa, mi sarei presentata prima.”

“Non sono gelosa,” rispose seccamente Angelica, ma Sofia poté sentire salire i suoi pensieri come fumo. “Voglio solo proteggere il principe Sebastian dalle avventuriere che vanno a caccia di tesori.”

Lui è mio!

La forza di quel pensiero fece fare un passo indietro a Sofia. “Beh, è molto gentile da parte tua,” disse. “Mi accerterò di dirglielo quando torna. Sono certa che abbia bisogno di protezione dal genere di persone che potrebbero, per esempio, cercare di avvelenarlo per incastrarlo a letto.”

Angelica arrossì, e certo non poté ribattere.

“Scoprirò chi sei,” promise. “Ti distruggerò. Ti lascerò costretta a venderti agli angoli delle strade.”

Sofia si sforzò di uscire dalla libreria a grandi passi, anche se era un posto dove aveva programmato di trascorrere l’intera giornata.

Tutto quello che poté fare, fu cercare di non tremare mentre usciva.

Sentiva che c’erano dei problemi in arrivo, e le pareti di quel palazzo non le sembravano più tanto sicure.

CAPITOLO SEDICI

Kate non riusciva neanche a ricordare come ci si sentisse a far parte di una famiglia. No, non era vero, perché aveva sua sorella, e quel collegamento era come una costante certezza nei recessi della sua mente. Aveva anche delle vaghe immagini e lampi di cose prima dell’orfanotrofio. Un volto sorridente che la guardava. Una stanza dove tutto era sembrato molto più grande della piccola sagoma di un bambino.

Però non aveva mai avuto questo: sedersi attorno a un tavolo con una famiglia a mangiare stufato e pane, sentendosi come un tassello del gruppo lì presente. Thomas e Will stavano ridendo. Addirittura Winifred sembrava più felice di quando Kate era arrivata, ma ce lo si poteva solo aspettare. Era arrivata come una ladra, ed era rimasta come qualcuno che dava una mano nella forgia.

Probabilmente era d’aiuto anche il fatto che Will fosse lì. La sua presenza sembrava rendere tutto migliore, rilassando sua madre e rendendo suo padre felice che fosse sano e salvo. A Kate semplicemente piaceva guardarlo, e quel pensiero le fece distogliere lo sguardo per l’imbarazzo.

“Starai a casa a lungo?” chiese sua madre.

Kate vide Will scuotere la testa.

“Sai che non funziona così, mamma,” disse. “Le compagnie libere non se ne stanno ferme in un posto a lungo. Le guerre dall’altra parte del Tagliacqua stanno peggiorando. Gli Havver hanno ceduto uno dopo l’altro agli Abolitori e ai contingenti del Vero Impero. La compagnia di Lord Marl è stata pagata per reprimere una rivolta nella Valle di Serralt, e hanno scoperto che avevano formato una compagnia di banditi per derubare tutti quelli che potevano.”

“Sembra pericoloso,” disse Winifred, e Kate poté sentire la preoccupazione nella sua voce. Kate non poteva biasimarla. Voleva proteggere suo figlio.

Kate avrebbe voluto sentire di più dell’eccitazione che apparteneva alla condizione di soldato.

“Com’è? Fare parte delle compagnie?” chiese. “È diverso da essere un soldato regolare?”

Will scrollò le spalle.

“Non è così diverso. Ci sono solo tanti modi in cui un esercito può funzionare,” disse Will. Sembrava un po’ come se stesse tentando di convincere se stesso. “Anche se l’attuale esercito del regno non è comunque così grande. Si è solo affidato alla lealtà dei comandanti di compagnia, e all’abilità di comprare i loro servizi.”

A Kate non sembrava una sistemazione così ottimale.

“Cosa succede se qualcuno offre di più?” chiese.

Fu Thomas a rispondere: “Hai metà del tuo esercito che cambia fazione nel mezzo di un conflitto, ma gli antenati della vedova sono sempre riusciti a pagare più dei loro nemici, ed è sempre meglio di ciò che è successo nelle guerre civili.”

“Con un grosso esercito centrale che se ne andava ad ammazzare la gente,” disse Will. “Non credo che l’Assemblea dei Nobili lo permetterebbe ancora, anche se il Principe Rupert ha rinforzato un po’ l’esercito.”

Kate vide Winifred scuotere la testa.

“Basta parlare di guerre, violenza e uccisioni,” disse. “Non mi fa sentire al sicuro sapere che presto dovrai tornare a tutta quella crudeltà, Will.”

“È abbastanza sicuro, mamma,” le disse, allungandosi a prenderle una mano. “Il più della guerra è stare ad aspettare. Le compagnie si evitano dove possono, e Lord Cranston è sempre cauto riguardo a dove impegna i suoi uomini.”

Kate non ne era del tutto felice. “Speravo di sentire racconti di avventure.”

“Non sono sicuro di averne molti,” rispose Will. Ovviamente vide il suo viso farsi deluso. “Ma ne ho qualcuno. Te ne racconterò un paio prima o poi, senza la mamma attorno a preoccuparsi.”

“Mi preoccupo ogni volta che te ne vai a combattere,” disse Winifred.

Continuarono a mangiare, e tutto quello che Kate voleva era trovare delle scuse per chiedere a Will altri dettagli della sua vita. Stranamente sembrava che anche lui fosse altrettanto interessato a lei.

“Quindi è solo un giorno che aiuti mio padre alla forgia?” le chiese.

Kate annuì. “Io… sono arrivata la scorsa notte.”

“È una ladra,” la corresse Winifred. “Voleva rubarci tutto quello che avevamo.”

Kate rimase immobile mentre la donna diceva questo. Poteva capire che la madre di Will ancora non la apprezzasse del tutto, e immaginò che questo avesse molto a che vedere con il modo in cui si era presentata alla forgia. Ma non poteva neanche evitare di pensare che riguardasse altre cose: il talento che aveva e il marchio di vincolo sul polpaccio.

“Non tutto,” disse Thomas, ovviamente percependo il disagio di Kate. “E da allora sta lavorando sodo, Winifred.”

“Sì, immagino di sì.”

Kate poteva vedere bene dai pensieri della donna che non era tanto disprezzo, quanto sfiducia. Non era certa di quale sarebbe stata la prossima mossa di Kate, e certo non era di aiuto che Winifred non si fidasse quanto suo marito di coloro che avevano il suo dono. Kate si tirò indietro, non volendo immischiarsi dove non era desiderata.

“Pare una storia fin troppo interessante per ignorarla,” disse Will. “Kate, dovrai raccontarmi dell’altro. Magari… più tardi potremmo andare in città insieme?”

Anche senza sforzarsi di entrare nei pensieri di Winifred, Kate poté cogliere il suo shock.

“Will, non penso che sia…”

“Sono sicuro che andrà benissimo,” disse Thomas. “Voi due dovreste uscire insieme.”

In quel momento non c’era niente di più che Kate desiderasse.

***

Ovviamente non era così semplice andarsene dalla forgia. Kate doveva ancora mostrare a Thomas il suo lavoro con la spada, facendo piccole correzioni, dato che lui suggeriva che alla base ci fosse più metallo e che dove si restringeva verso la punta fosse meno squadrata.

Poi c’erano le commissioni che tutt’a un tratto Winifred le aveva trovato, dal pulire il cortile al pelare verdure in casa. A Kate appariva ovvio quello che stava cercando di fare: impegnarla così tanto tempo da impedirle di andare in città con suo figlio.

Kate aggirò l’ostacolo scivolando fuori quando lei non stava guardando, anche se Thomas la vide. Annuì in quello che le parve un permesso. Era una buona cosa, perché Kate non voleva rischiare di farlo arrabbiare.

Will la stava aspettando nel cortile, e Kate vide l’eccitazione scritta in ogni linea del suo volto.

“Pronta ad andare?” le chiese. “Volevi prima darti una lavata, o…”

“Perché?” ribatté Kate. “Non sono abbastanza in ordine per venire via con te?”

“Sei meravigliosa,” disse Will, e l’affermazione apparve strana di per sé, perché Kate non era abituata ai complimenti. Sofia era quella a cui venivano fatti i complimenti, non lei.

“Bene,” gli disse. “E poi penso che tua madre tenterà di tenermi qui per sempre se non vado adesso.”

“E allora faremo meglio ad andare,” disse Will con una risata e un’occhiata alla casa. Prese la mano di Kate e lei, sebbene sorpresa, glielo permise.

Camminarono verso la città, ed era chiaro che Will conosceva bene la strada, molto meglio di Kate. La condusse lungo larghe strade mentre il sole iniziava a calare, e Kate si trovò a guardare tutta la gente che passava. La maggior parte erano semplicemente persone che tornavano verso le loro case, ma c’erano anche intrattenitori di strada: un uomo che camminava su trampoli più alti della testa di Kate, un paio di lottatori che combattevano per spingere l’avversario in una fossa piena di sabbia.

 

“Dove stiamo andando?” chiese Kate.

“Ho pensato che potremmo andare a uno dei teatri,” disse Will. “Gli Attori del Vecchio Re mettono in scena una versione de La Storia di Cressa.”

Kate non voleva ammettere di non aver mai sentito parlare né della commedia né degli attori, perché dava per scontato che si trattasse di qualcosa che tutti coloro che non erano cresciuti nella Casa degli Indesiderati sicuramente conoscevano. Invece seguì Will mentre la portava a un grande edificio rotondo a forma di fienile, dipinto all’esterno con allegre scene. C’erano già persone che vi si stavano riunendo, aspettando di avere il permesso degli attori per entrare, mentre nel frattempo stavano alla porta a pagare il loro centesimo per l’ingresso.

Will pagò per entrambi, e Kate si trovò in mezzo a una folla così pressata che le era quasi difficile respirare.

“Va tutto bene?” le chiese Will.

Kate annuì. “Solo non sono mai stata in un teatro prima d’ora. È molto affollato.”

Non ci volle molto perché la commedia iniziasse, e Kate si ritrovò a perdersi nella storia di una ragazza che veniva da un’estremità della penisola del Boccolo e che doveva viaggiare alla ricerca di un ragazzo di cui aveva perso l’amore. Kate non poteva immaginare la possibilità di fare tutta quella strada per un ragazzo, ma si trovò coinvolta da tutto lo spettacolo. Gli Attori del Vecchio Re avevano per certo calcolato che il loro pubblico volesse azione e musica, lampi di fuochi d’artificio e improvvise apparizioni. Ci si mettevano d’impegno, anche se a volte facevano una pausa qua e là per dialoghi messi in rima che sembravano andare avanti a lungo, come se aggiunti sotto forma di tentativo di rendere ancora migliore il risultato generale. Kate si trovò a ridere forte per alcuni dei momenti comici, e ad assistere con trepidazione ai combattimenti sul palcoscenico.

Si trovò anche a tenersi stretta a William per tutto il tempo, non volendo lasciarlo andare nel rischio di perdere il contatto. Non sapeva se sarebbe andata fino al Boccolo per lui, ma si sarebbe sicuramente fatta strada in mezzo a un teatro affollato se l’avesse perso.

Quando tornarono in mezzo alla strada insieme al resto della folla, Kate si sentiva senza fiato per lo spettacolo. Si sentiva viva, e sveglia.

“Dovremmo probabilmente dirigerci verso casa,” disse Will, anche se i suoi pensieri non dicevano la stessa cosa.

Non voglio andare ancora.

“Tra un po’,” disse Kate, rispecchiando i suoi pensieri. “Per ora… possiamo solo camminare un po’?”

Will parve sorpreso, come se si fosse aspettato che lei volesse andare a casa il più velocemente possibile, ma annuì entusiasta. Fece strada.

“Decisamente. Possiamo seguire le file del giardino.”

Kate non sapeva di cosa si trattasse, e si trovò piacevolmente sorpresa quando Will la portò lungo un paio di strade fino a una scala che conduceva verso i tetti della città. Per un momento Kate si trovò a pensare al nascondiglio che lei e sua sorella avevano trovato, incastrato dietro al gruppo di comignoli dove nessuno poteva trovarle né fare loro del male.

“Vuoi salire là sopra?” chiese Kate.

“Fidati dime,” disse Will.

Con sua sorpresa, Kate si fidò, anche se ordinariamente non si sarebbe mai fidata di nessuno così facilmente. Iniziò a salire, e fu solo quando arrivarono in cima che vide cosa c’era. Una fila di alberi si trovava al livello del tetto, in un giardino che pareva allungarsi lungo diverse case.

“È bellissimo,” disse Kate. “È come un pezzo di campagna in mezzo alla città.”

Era più di questo, era qualcosa che dava allo stesso tempo un senso di speranza e sfida, imponendosi in mezzo all’opprimente pressione della città in un singolo atto di crescita e verdeggiante splendore.

Will annuì. “Dicono che un qualche nobile abbia piantato questo giardino come luogo per pensare, ma che dopo la sua morte la gente l’abbia semplicemente mantenuto.” Iniziarono a camminare in mezzo al piccolo numero di alberi, dove delle lanterne appese attiravano le falene. “Probabilmente non sei riuscita a vedere così tanto la città, essendo cresciuta in un orfanotrofio.”

Kate rimase per un momento immobile, dato che sapeva di non averlo detto a Will. Probabilmente sua madre gliel’aveva raccontato, sperando di persuaderlo a non farlo. Sapeva che Winifred non la odiava. Era solo preoccupata dell’impatto che la presenza di Kate poteva avere.

“No. La porta era aperta, ma era come una presa in giro. Potevi sempre andartene, ma sapevi anche che non c’era nessun posto dove poter andare. E se te ne andavi per poi tornare…”

Kate non voleva pensare ad alcune delle punizioni che aveva visto per quello. La Casa degli Indesiderati era stata un posto malvagio il più delle volte, ma quelle erano state cose che avevano lasciato le ragazze spezzate e intontite.

“Sembra orribile,” disse Will. Kate non voleva comprensione, perché non voleva essere nella posizione di averne bisogno. Eppure le sembrava diverso, ora che veniva da Will e non da qualcun altro.

“Sì,” gli confermò. “Sapevano che ci avrebbero vincolate, quindi hanno speso le nostre vite a cercare di renderci piccole cose obbedienti con le giuste abilità per portare il vino a un nobile o lavorare come apprendiste.” Kate fece una pausa, appoggiando una mano su un albero. “Non importa, però. Ora non sono più lì.”

“No,” disse Will. “E sono felice che tu sia qui.”

Kate sorrise. “E tu?” gli chiese. “Immagino che la guerra non sia noiosa e sicura come fingi di affermare davanti a tua madre.”

In effetti sospettava che fosse tutt’altro che sicura. Voleva sentire la verità, le battaglie e i piccoli scontri, i posti in cui Will era stato. Voleva sentire ogni cosa lui avesse da raccontarle.

“Non proprio,” disse Will sospirando. “Lord Cranston per lo più ci tiene fuori dagli scontri, ma quando devi combattere, è terribile. Semplicemente c’è violenza dappertutto. E anche quando non combatti, il cibo è tremendo, c’è il rischio di malattie…”

“Lo fai sembrare molto eroico,” disse Kate ridendo.

Will scosse la testa. “Non lo è. Se le guerre trapelano oltre il Tagliacqua e arrivano qui, la gente lo scoprirà.”

Kate sperava che non accadesse, ma allo stesso tempo una parte di lei lo desiderava, perché sarebbe stata un’occasione per combattere. Voleva combattere. Voleva combattere tutto il mondo se ce n’era bisogno. Non le interessava dell’orrore della cosa. Ci sarebbe stata anche gloria.

“Per la metà del tempo le battaglie sono solo vendetta per altre battaglie di una vita fa,” disse Will. “La vendetta non ha senso.”

Kate non ne era sicura. “Ci sono delle persone su cui io vorrei vendicarmi.”

“Non ti porta niente di buono, Kate,” le disse Will. “Ti vendichi, e poi loro vogliono vendetta a loro volta, fino a che non resta nulla.” Fece una pausa per un momento, poi rise. “Come abbiamo fatto a trasformare l’atmosfera così velocemente in qualcosa di così cupo? Dovevamo divertirci!”

Kate si allungò a toccargli il braccio, desiderando di avere il coraggio di fare ben di più. Will le piaceva.

“Io mi sto divertendo,” gli disse. “E penso che tu sia molto coraggioso, con il tuo regimento. Mi piacerebbe vederlo.”

Will sorrise. “Non penso che sia così affascinante come pensi.”

Kate sospettava che fosse invece tutto ciò che lei sperava, e anche di più.

“Lo stesso,” gli disse.

Quando Will annuì, non sarebbe potuta essere più felice. “Va bene,” le disse. “Ma di mattina. Sembrano più impressionanti alla luce del giorno.”

Kate non vedeva l’ora.

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