La corona dei draghi

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Из серии: L’era degli stregoni #5
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CAPITOLO TERZO

Il sole picchiava forte su Lenore e gli altri mentre procedevano. Intorno a lei, si dispiegavano campi di grano e orzo che, separati da muretti in pietra, oscillavano dolcemente al vento mentre impronte leggere di mandriani indicavano i sentieri per arrivare da un luogo all’altro. Qua e là, uno spaventapasseri vegliava sui campi, o un gruppetto di alberi spezzava la monotonia del paesaggio.

Stavano camminando da giorni ormai, muovendosi con cautela tra i campi sui sentieri più piccoli. Le gambe le dolevano per lo sforzo, ma sapeva di non potersi lamentare. Erano fortunati a non essere già morti e, in confronto, un po’ di fatica non era nulla.

“State bene, principessa?” domandò Odd, che si era preoccupato per il benessere di Lenore da quando avevano lasciato la città per andare in campagna. Il suo aspetto appariva ancora bizzarro con quegli abiti nobili; la testa rasata stonava con il resto, e teneva il mantello intorno a sé, come se fosse un surrogato delle vesti di monaco.

“Sto bene,” replicò Lenore. In verità, era affamata, stanca e spaventata ma, anche se sapeva di essere in pessimo stato, doveva essere forte. Aveva i vestiti sporchi e i lembi le si erano strappati impigliandosi in siepi di rovi che avevano incontrato sulla strada. Portava i capelli bruni legati indietro per evitare di ritrovarseli sul viso, e la luce del sole la abbagliava.

Erin camminava davanti a lei, appoggiata a quel bastone che celava la sua lancia corta. Era più sporca di Lenore, perché si era lanciata sempre per prima nei ruscelli o al di là dei muretti. A ogni passo, si intravedeva un luccichio della sua armatura, e i suoi tratti apparivano duri sotto i suoi capelli tagliati corti, determinati a non mostrare il dolore che senz’altro provava. Si guardava intorno in cerca di minacce; scansionava ogni cespuglio, albero o campo di grano. Era stata silenziosa negli ultimi giorni, e Lenore non sapeva se fosse per la rabbia di non essere rimasta a combattere o per il dolore dovuto alla morte della madre.

Lenore condivideva quella sofferenza, e gran parte della rabbia a essa connessa. Se chiudeva gli occhi, riviveva il momento in cui Ravin aveva alzato la spada davanti a sua madre, legata e impotente sul patibolo. Non poteva sfuggire alla vista di quella lama che sprofondava nella carne della donna che le aveva dato la vita, assistendo più e più volte al momento in cui era morta. Perché avrebbe dovuto essere diverso per Erin?

“Riuscite a vedere qualcosa davanti a voi, Erin?” domandò Odd.

Erin non rispose.

“Erin,” intervenne Lenore. “La strada è libera?”

“Sì,” rispose Erin. Si guardò intorno e lanciò un’occhiata fugace a Odd prima di rispondere. “Credo che ci sia un villaggio più avanti, oltre quegli alberi. Riesco a vedere il fumo di un camino.”

Lenore guardò lontano e vide il fumo menzionato da sua sorella. Sperava che fosse di un camino, perché erano infinite le cose nefaste che potevano verificarsi così poco dopo un’invasione.

“Dobbiamo essere cauti,” disse Odd, come avesse letto i suoi pensieri.

“Cosa c’è che non va?” scattò Erin in risposta. “Avete paura?”

Lenore trattenne un sospiro. L’atmosfera era stata irrequieta da quando avevano lasciato il castello. Prima, Erin e Odd erano sembrati un perfetto complemento l’uno dell’altra, nonostante la stranezza dell’ex monaco. Ora… c’era tensione tra loro. Si allenavano a malapena l’uno con l’altra, ed Erin non partecipava alle meditazioni mattutine di Odd. Entrambi sembravano essere in sintonia con Lenore, ma l’ostilità tra loro era palpabile.

“Riusciremo a vedere meglio man mano che ci avviciniamo,” replicò Lenore. “Se è un incendio, dovremo andare avanti, ma non penso che si tratti di questo. Ravin pensa di aver stabilito il suo dominio, quindi non credo voglia bruciare tutto.”

Il solo pronunciare il suo nome fece chiudere i pugni a Lenore.

“Potrebbero esserci delle guardie,” aggiunse Odd.

“Allora le uccideremo,” scattò Erin.

Lenore continuò a camminare. “Dovremmo rischiare. Ci occorrono ulteriori scorte.”

Quelle si stavano rivelando preziose. Lo avevano messo in conto perché si erano portati denaro e gioielli che potevano vendere all’occorrenza ma, nonostante ciò, Lenore era preoccupata che non ne avessero abbastanza.

“Non possiamo scappare per sempre,” affermò Erin.

“Potrei trovare un posto sicuro per noi,” replicò Odd. “Da qualche parte al di fuori del regno.”

Lenore si fermò sulla strada. Non c’era tempo per trattare la questione, ma voleva essere chiara su una cosa. Fissò gli altri, lasciando che scorgessero la risolutezza in lei.

“Scappare per sempre è fuori discussione,” disse. “Siamo usciti dalla città, ma non passerò tutta la vita a fuggire. Ravin non vincerà, non dopo tutto quello che ha fatto. Discutete su tutto il resto se volete, ma noi ci riprenderemo questo regno.”

La osservarono sorpresi, ma mostrando subito un accenno di rispetto. Lei, però, aveva già ripreso a procedere. Non aveva tempo a sufficienza per mediare una discussione. In quel momento, le sembrava di averne già perso troppo. L’aveva sprecato essendo la principessa che tutti si aspettavano fosse. L’aveva sprecato mostrandosi sempre docile, obbediente e passiva.

Aveva chiuso con tutto questo; le sembrava di avere un fuoco che ardeva da qualche parte dentro di lei, alimentato da tutte le perdite che aveva sofferto negli ultimi mesi, da tutti i modi in cui era stata tradita o ferita, dalla brutalità in cui erano venuti meno tutti coloro che amava. Sua madre era stata la parte più difficile, ma non l’unica. Suo fratello Rodry era morto, e suo padre. Sua sorella Nerra se n’era andata, e Lenore non sapeva neanche se fosse viva o morta. Anche Greave era scomparso, e non era certo tagliato per diventare un ostaggio di guerra.

Neanche Lenore si era mai reputata adatta a tutto ciò, ma pareva che quel fuoco dentro di lei la stesse indurendo, come fosse il calore della fucina di Devin. Il pensiero di lui si portò dietro un’ondata di altre emozioni, facendole desiderare che fosse lì, che potesse trovarli. Lenore sapeva che doveva concentrarsi, però. Non poteva distrarsi, nemmeno per pensare a lui.

Continuarono a camminare e presto un villaggio si dispiegò davanti a loro; giaceva annidato in uno spazio circondato da alberi da un lato e campi aperti dall’altro. Appariva piccolo e assopito, con tetti di paglia e giardini silenziosi tra le case. Vi erano una fucina, una locanda, un granaio e una piccola piazzola aperta con poche persone che parlavano dei loro affari, ma poco altro.

Lenore si avventurò nel villaggio con gli altri alle sue spalle. La gente li fissava, ovviamente cercando di capire chi fossero e se rappresentassero una qualche minaccia. Lenore osservò gli abitanti, cercando di discernere se fra essi vi fosse un Taciturno. Questa era la parte difficile di quello che stava per fare: nel momento in cui avesse iniziato a riscuotere supporto, c’era il rischio che Ravin ne venisse a conoscenza e contrattaccasse.

Nonostante ciò, doveva farlo, quindi raggiunse il centro verde del villaggio; si fermò lì, mentre Erin teneva la mano stretta sulla lancia e Odd si guardava intorno in cerca di possibili minacce.

“Chi comanda in questo villaggio?” domandò Lenore, ma poi si rese conto di aver usato un tono troppo basso perché potessero sentirla. Poteva immaginare sua madre accanto a lei, che le diceva di alzare la voce, in modo che potesse attraversare la sala di qualsiasi signore. “Chi comanda qui?”

Un uomo si fece avanti; aveva forse quarant’anni, con quel suo aspetto segnato dal tempo passato all’aperto.

“Sono Harris, il mugnaio,” si presentò e fece un cenno con la testa a un altro uomo, che doveva avere dieci anni in più di lui ed esibiva una barba spolverata di grigio. “Questo è Lans, il borgomastro. Oltre a ciò, queste sono alcune delle terre di Lord Carrick. Chi siete voi, signora?”

Lenore inspirò profondamente, guardando prima Erin e poi Odd in cerca di sostegno; aveva i nervi a fior di pelle più che prima di un qualsiasi ballo di corte, e ancora di più. Era consapevole dei pericoli che poteva correre in quel momento, degli occhi indesiderati che potevano assistere alla scena e di tutte le minacce che potevano scaturire da ciò che stava per dire. Nonostante tutto, doveva farlo.

“Sono Lenore, figlia della Regina Aethe e di Re Godwin III. Sono venuta da Royalsport per parlare con tutti voi, per cercare di raccogliere sostegno e rimediare al danno causato da Re Ravin.”

L’uomo più anziano, Lans, guardò Lenore per un momento o due prima di scuotere la testa.

“Che razza di scherzo è questo?” chiese. “Siete qui per derubarci o per mettere alla prova la nostra lealtà? Perché ci state mentendo, ragazza?”

“No,” disse Lenore. “Non è una bugia. Io sono la Principessa Lenore.”

“La Principessa Lenore è morta,” ribatté Lans. “Lo sanno tutti. I banditori sono venuti ad annunciarlo, insieme alla morte della regina.”

Si allontanò, scuotendo la testa. Il mugnaio fece per andarsene con lui, ma Lenore avanzò, afferrandolo per un braccio. Cominciò a respingerla, piegando il braccio e nascondendolo dietro alla schiena, e Lenore vide Erin incamminarsi verso di lui, afferrare quell’uomo robusto e torcergli l’arto che aveva mosso in un modo che sembrava doloroso. Non era così che dovevano comportarsi in quel momento, dunque alzò una mano per bloccare sua sorella.

“Erin, lascialo andare,” le intimò. Poteva vedere alcuni degli abitanti del villaggio intorno a loro diventare inquieti, mentre Odd spostava una mano sulla sua spada, pronto a estrarla in caso di pericolo.

“Non vuole ascoltare,” rispose Erin.

“Ascolterà,” replicò Lenore. “Ma non se lo costringiamo a farlo con il dolore. Lascialo andare.”

Obbedì, e Lenore tirò un fugace sospiro di sollievo. Vide il mugnaio strofinarsi il polso dove sua sorella lo aveva afferrato, e sapeva di avere a disposizione poco tempo per fargli cambiare idea.

 

“Se hai sentito dire che sono morta,” spiegò Lenore, “forse dovresti pensare al motivo per cui hanno diffuso una tale notizia. Magari perché sanno che rappresentiamo una minaccia per loro. Magari perché siamo l’unica possibilità di combattere tutto ciò che sta accadendo. So che è difficile da credere, ma io sono la Principessa Lenore, e questa è mia sorella, la Principessa Erin. Avete sentito dire che si è allenata con i Cavalieri dello Sperone, vero? Pensate che qualcuno così minuto che non si fosse allenato con loro potrebbe fare a un uomo una cosa del genere?”

Il mugnaio osservò Erin. “Non penso.”

“E questo è Odd,” aggiunse Lenore, facendo un cenno dove l’ex cavaliere, con la mano sull’elsa della spada, era ancora pronto a difendere le principesse. “Lo chiamavano Sir Oderick il Folle.” Notò il modo in cui il mugnaio fissò Odd a quel punto, con evidente paura. “Qualcuno mentirebbe su questo? Qualcuno oserebbe affermarlo, sapendo tutti i problemi che comporta? Solo dicendovi chi sono, ho messo me stessa e mia sorella in pericolo.”

“Io… suppongo di sì,” replicò Harris il mugnaio.

Lenore sapeva di dover insistere adesso, o non l’avrebbe mai convinto. “Non siamo qui per mentirvi o per derubarvi, ma per formare un esercito. Basta che riuniate la gente e che chiediate loro di ascoltarmi. Dopodiché, sarà una vostra scelta cosa fare e se credermi. Vi prego.”

“Va bene,” disse lui. “Stasera alla locanda, ma non posso promettere che ascolteranno.”

“Lo faranno,” rispose Lenore. “Farò in modo che ascoltino.”

CAPITOLO QUARTO

Nerra era in piedi sulla terrazza del tempio dell’Isola della Speranza e guardava gli abitanti del luogo che, uno a uno, camminavano verso la fontana. Lei era in piedi accanto a essa e cercava di rassicurarli mentre procedevano verso il loro destino. I draghi si erano appollaiati più in alto, sui pendii; erano raggruppati intorno alla pozza e la loro presenza collettiva cancellava fino all’ultima goccia di magia della maledizione. Shadr si trovava al cuore del gruppo, più grande di tutti gli altri e di un nero così profondo da ricordare il cielo notturno.

Altri Perfezionati presero mestoli e tazze, calici e qualsiasi altro recipiente fossero riusciti a trovare, e cominciarono a passare l’acqua a coloro con la malattia del drago. Da parte sua, Nerra prese una tazza, la immerse nella fontana e la passò a una giovane donna che sembrava arrivata sull’isola da poco, perché gli intrecci di squame non erano ancora evidenti sulla sua pelle. Per gli standard delle cose umane, era esile e carina, mentre si mordeva le labbra e osservava la tazza che Nerra le aveva ceduto.

“Ho paura,” ammise la ragazza.

“Non averne,” la rassicurò Nerra. “Questo ti aiuterà. Ti permetterà di essere ciò che sei sempre stata destinata a essere. Ero spaventata anch’io quando sono arrivata qui.”

“Diventerò come te?” chiese.

Come lei. Ci mise un attimo a ricordare come fosse, guardando in basso le squame blu che le coprivano le braccia, sentendo gli artigli estendersi quando voleva, assaporando l’aria con sensi che non avrebbe mai potuto avere prima.

“Diventerai qualcosa di straordinario. Bevete, tutti voi, bevete.”

Bevvero, tutti insieme, alcuni a piccoli sorsi e altri a grandi sorsate. Per un attimo non successe nulla, ma Nerra sapeva bene che non era solo acqua.

Sentì il primo di loro gridare, ne vide un altro collassare e, per un secondo, conobbe davvero la paura. E se qualcosa fosse andato storto? E se la maledizione non fosse stata annullata davvero?

Fidati di noi, Nerra, le disse Shadr. Fidati di me. Stanno mutando, non morendo.

Mentre le urla si alzavano intorno a lei, Nerra si accorse che il processo stava avendo luogo. I corpi iniziarono ad allungarsi e rimodellarsi, le grida a diventare più gutturali, più bestiali, mentre i beventi cominciavano a trasformarsi. Quanti sarebbero diventati Perfezionati e quanti sarebbero invece rimasti Inferiori?

In qualsiasi delle due forme, saranno sempre superiori alle mere cose umane.

Nerra deglutì, consapevole della veridicità di quelle parole, eppure odiava guardare le ossa allungarsi e rompersi e la pelle strapparsi, consumarsi e riformarsi.

Vieni, Nerra. La voce di Shadr era lenitiva per la sua mente. Vola insieme a me.

La regina dei draghi abbassò il collo, permettendo a Nerra di salire a bordo e fissare le mani artigliate alle squame ruvide presenti sulle spalle del drago. Shadr spiegò le ali, abbastanza larghe da poter essere comparate alle vele di una grande nave, e si alzò nell’aria con un battito d’ali dopo l’altro. In pochi secondi, l’Isola della Speranza era molto più in basso, mentre le rovine del villaggio ardevano ancora.

È difficile per te osservare il loro dolore, suggerì Shadr una volta sopra l’isola. Ma quel dolore è una parte necessaria del cambiamento. Saranno di più, molto di più, quando sarà finito.

“Lo so,” replicò Nerra. Il vento soffiava mentre parlava, ma sapeva che il drago l’avrebbe sentita. “Ma resta doloroso guardarli.”

Sei gentile, le disse Shadr. Ma devi anche essere forte. Nelle battaglie che verranno, dovrai esserlo.

“Lo sarò,” le assicurò Nerra. “Quando voleremo lì?”

Presto. Presto il mondo sarà di nuovo come prima. Come deve essere.

Nerra aveva visto cosa sarebbe stato quel mondo, e cosa era stato. Era stato bello, con i draghi che dominavano e i Perfezionati che fungevano da canali tra loro e gli umani. Sì, una parte di lei continuava a essere assillata da qualche piccolo dubbio, ma lo ignorò, perché non aveva senso. Naturalmente, questo era ciò che doveva accadere.

C’è qualcosa che deve accadere prima, però.

Shadr scese a spirale fino a terra, posandosi su una spiaggia vuota. Nerra scivolò giù dalla sua groppa e poi la fissò dal basso.

“Che cosa? Cosa deve succedere?”

C’è una grande minaccia annidata nei ricordi della nostra specie sulla ribellione delle cose umane, un oggetto che ha pareggiato i conti per loro, capace di mettere quelli della nostra specie l’uno contro l’altro. Non potevano combatterci con le loro stesse forze e così hanno prodotto un trucco, una cosa per corromperci.

Nerra riusciva a malapena a credere che qualcosa potesse fermare i draghi ma, se Shadr aveva ragione e c’era davvero qualcosa del genere là fuori, era un pericolo enorme.

“Mostramelo,” disse.

Shadr inclinò leggermente la sua grande testa, e le immagini inondarono Nerra.

Osservò le cose umane marciare contro schiere di draghi. Ne vide alcune bruciare, altre morire lacerate dagli artigli o dall’oscillare della coda. Vide fulmini, fuoco e altro riversarsi su di loro. Vide orde di Inferiori inondare un campo così vasto che sembrava estendersi fino all’orizzonte. Per un attimo, sembrò che la ribellione stesse per essere fermata e l’ordine naturale delle cose ristabilito.

Poi un uomo si fece avanti, tenendo qualcosa stretto in entrambe le mani, come fosse troppo prezioso per rischiare che cadesse. Brillava di gioielli dei vari colori della famiglia dei draghi e una squama giaceva al centro, riflessa nella luce delle fiamme dei draghi. Nerra sapeva senza che le venisse detto che proveniva da uno dei più potenti del loro genere: era stata sottratta a un’ex regina dei draghi da mani che l’avevano portata via di nascosto quando era caduta in un combattimento.

Nerra vide il momento in cui il primo degli Inferiori si ritrasse di fronte a quell’amuleto. Ma vide anche di peggio, perché i draghi stessi cominciarono a scendere in volo e a riversare il loro respiro mortale sugli Inferiori e sui Perfezionati.

Poi iniziarono a rivoltarsi contro i loro simili.

Adesso, nella mente di Nerra, le immagini lampeggiavano tutte insieme; ritraevano i momenti in cui i draghi volavano l’uno contro l’altro, non solo in battaglia, ma più e più volte dopo essa. Li vide colpirsi l’un l’altro nel cielo blu, precipitarsi come falchi su colombe e strappare ali coriacee con artigli troppo affilati per poter essere contrastati. A volte, i draghi che attaccavano morivano, ma le cose umane non se ne curavano; per loro era solo un altro drago morto.

Quell’orrore continuò. Nerra vide i draghi combattere in terrificanti grovigli nel cielo, vide l’aria riempirsi di fuoco, veleno e ghiaccio. Vide i giovani venire uccisi dai draghi più anziani, vide i draghi condurre i cacciatori umani verso i feriti per finirli. Nerra gridò a quella scena, riluttante a guardare ancora, incapace di sopportare il sangue e la morte di creature così belle, così potenti. Come potevano le cose umane fare qualcosa di così malvagio da ucciderle, pur essendo così deboli e crudeli a confronto con i draghi?

Nerra tornò in sé con un sussulto angosciato. Era sdraiata sulla spiaggia, mentre Shadr era in piedi sopra di lei e la pietà affluiva in lei dal suo corpo di drago.

“Come… come hanno potuto farlo?” chiese. “Devono essere fermati!”

Lo saranno. Le cose verranno ripristinate, ma per farlo l’amuleto deve essere distrutto.

E, per farlo, dovevano trovarlo.

“Non lo tengono alla luce del sole,” disse Nerra. “Non è qualcosa di cui mi hanno parlato.”

Lo so, disse Shadr. Certo che lo sapeva, dato che erano così legate. Ma tu conosci il regno delle cose umane. Dove metterebbero un oggetto così potente?

Nerra si fermò a pensare, ma il numero di possibilità era così vasto da risultare schiacciante. Una cosa del genere poteva giacere nascosta ovunque dopo tanto tempo. Un nobile poteva tenerlo come gingillo, oppure poteva essere stato rubato cento volte nel corso delle generazioni. Le vite umane apparivano così brevi che poteva essere stato messo in una scatola e dimenticato, sepolto e perduto.

Se è andato perduto, allora non è una minaccia, sottolineò Shadr. Ma non è così.

“Molta della conoscenza dei draghi è stata perduta,” replicò Nerra. “La gente sa che esistono, o sono esistiti, ma li tratta come qualcosa di remoto, quasi come un mito.”

C’è chi conosce molte cose, insistette Shadr. Il guardiano di quest’isola è stato messo qui per un motivo, e c’è chi ha fatto in modo che la conoscenza non andasse perduta. Questa è una magia troppo potente per essere dimenticata.

“Potrebbero esserci dei collezionisti di cose magiche,” affermò Nerra. “C’è sempre chi si diletta con le arti occulte, spingendosi anche molto oltre di quanto azzardi lo stregone reale. Chiunque di questi potrebbe avere l’amuleto.”

Forse.

Non sembrava la risposta giusta, però; e, senza che Shadr glielo suggerisse, Nerra sapeva che così non avrebbe funzionato. Tentò di ragionare come gli umani di tanto tempo prima. Cosa avrebbero pensato? Come avrebbero agito?

“Quelli che vinsero la guerra saranno diventati i nuovi governanti,” disse Nerra.

Non riesco a ricordare quello che nessuno di noi era lì a vedere, rispose Shadr.

“No, è così. Comunque chi governava doveva conoscere l’importanza di un’arma del genere. L’avrà dunque tenuta con sé… ma una cosa magica come quella in genere viene assegnata a chi è in grado di usarla.”

Improvvisamente, le possibilità si fecero molto più ristrette. Chi avrebbe mantenuto la conoscenza dei draghi? Chi avrebbe mantenuto la conoscenza delle cose magiche, ma sarebbe stato comunque pronto quando il re lo avesse convocato? Nerra poteva pensare solo a due possibilità.

“O ce l’ha lo stregone del re o lo tengono alla Casa degli Accademici,” concluse. “Se è il mago, lo terrà nella sua torre a Royalsport. Se sono gli studiosi… anche loro hanno una Casa a Royalsport, ma un oggetto del genere… credo che lo nasconderebbero nella loro biblioteca di Astare. Greave ne parlava sempre. Voleva andarci prima o poi.” Era strano pensare a suo fratello in quel modo, ora che era così diversa da qualsiasi cosa umana.

Dobbiamo scegliere dove cercare, disse Shadr. Non mi piace l’idea di andare prima nella città del mago, o nel luogo dei re. Correremmo un rischio troppo grande.

“Allora andiamo ad Astare?” chiese Nerra.

Il drago soffiò un sussurro di ombra nel cielo. Andiamo ad Astare e prendiamo l’unica cosa che potrebbe fermarci.

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