Il Dono Del Reietto

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Gli straziatori erano grossi corvi, grandi come rapaci. Erano chiamati così, perché tornavano utili quando bisognava torturare i condannati. Quest’ultimi venivano inchiodati a un palo e, prima che potessero morire di stenti, venivano divorati vivi da quei grossi uccellacci che prediligevano le parti molli come gli occhi, le interiora e i genitali.

“Maledetto! Inventerebbe qualsiasi cosa pur di non ammettere la sconfitta!” pensò Djeek e stava per rivendicare con fierezza: “Sono stato io a ferirlo all'occhio”. Tuttavia, si fermò giusto in tempo, perché in primo luogo, non gli avrebbe creduto e poi, come avrebbe risposto alle altre domande? Doveva tenere segreta l'esistenza del bastone. Kitzo era l'unico ad averlo visto ed era già di troppo. Esordì, quindi, con la prima scusa che gli venne in mente. «Una tartaruga carnivora» disse. «Ehm... mi ha preso di sorpresa.»

Griz rise di gusto. «Solo un babbeo può farsi cogliere di sorpresa da una tartaruga. Scommetto che era troppo veloce per te!» lo schernì, mentre annodava lo spago per evitare che i punti si scucissero.

“Idiota! Tra tutte le terribili bestie della palude, proprio la più ridicola, dovevi scegliere per onorare la tua ferita di battaglia!” si rimproverò affranto.

«Ho finito, mi prendo l'altro ratto» disse la giovane slegandolo. «Morirai comunque: appena rimetterai piede nella melma, la piaga s'infetterà e non ti darà scampo. L'unica cosa che potrebbe salvarti è il Dono di Corrupto, ma sai bene che a noi cuccioli non è permesso usufruirne.»

Emessa la sentenza, se ne andò lasciandolo senza parole e nello sconcerto.

Si accarezzò la lacerazione rozzamente ricucita, aveva perso dell'altro sangue e continuava a perderne ancora. Si strappò un lembo di cuoio marcio dal vestito e, con dei lacci lasciati distrattamente dall'aiuto-guaritrice, se lo legò intorno al polpaccio con la vana speranza di proteggerla. I suoi dardi erano intinti nel Dono, ma se li avesse ripuliti tutti, non ne avrebbe ricavato che una goccia, mentre a lui gliene serviva molto di più. Mangiò silenziosamente il suo ratto e, sfinito, piombò nel sonno poco prima dell'alba.

All'approssimarsi del tramonto, come suo solito si svegliò, si alzò imprecando per il dolore e si avviò verso la palude. Passando il più possibile sui lembi di terraferma, giunse al nascondiglio; nonostante i suoi sforzi, però, la ferita si era comunque sporcata di fango. Infilò la mano nella fessura, ma del bastone non v'era più traccia: se pensava di aver già raggiunto l'apice della disperazione, in quel momento ne conobbe nuovi drammatici limiti.

«Kitzo!» urlò stringendosi la testa tra le mani. Era stato di nuovo un idiota: il suo rivale lo aveva spiato e quindi l'aveva visto anche estrarre il bastone. Quando aveva fatto crollare lo sperone, infatti, era lì, acquattato a osservarlo.

«Come ho potuto nasconderlo nello stesso posto dopo aver scoperto di essere stato seguito?» si rimproverò.

Quel maledetto era già micidiale senza godere di grande forza o poteri, ma con quel bastone non avrebbe conosciuto limiti: presto li avrebbe dominati tutti, ma ancora prima, avrebbe ucciso lui.

Comunque, doveva completare la caccia, e nel farlo, ricordò quanto fosse difficoltosa senza il suo Grande Verme. Ovviamente, fu necessario ignorare tutto quanto si era prefissato riguardo al non infettare la ferita. Tornò all'accampamento con la piaga che gli pulsava e si sentiva già un po' febbricitante.

Hork che si era abituato agli ottimi risultati degli ultimi tempi, non apprezzò il misero bottino rimediato e gli rifilò un gran ceffone lasciandolo a digiuno.

Djeek si era seduto in un angolo dell'accampamento e, rassegnato, si guardava il polpaccio: aveva smesso di sanguinare, ma in compenso ne fuoriusciva un poco rassicurante pus marrone dall'odore fetido. Aveva la febbre e sentiva brividi raggelanti scorrergli sulla schiena. In quel momento, si sentì chiamare da Kitzo: la sua sola voce gli fece ribollire il sangue quasi quanto la visione degli elfi. Scattò in piedi ignorando il dolore e si voltò a fronteggiarlo. «Ridammi il bastone!» intimò.

L'altro lo sorprese anche in quel frangente: imprevedibilmente, con l'unico occhio non bendato, gli rivolse uno sguardo complice e gli disse con fare ammiccante: «Caro amico, come va la gamba? Spero meglio. Ieri mi hai davvero impressionato: diventiamo soci, insieme saremo invincibili!» Mai nessuno gli si era rivolto con un tale rispetto e se ne sentì profondamente lusingato. Al punto, quasi, da dimenticare tutto ciò che aveva subito.

«Ho io il bastone, è vero, ma sono pronto a restituirtelo, se mi prometti che ogni tanto me lo presterai. Sai, l'ho usato e ho visto come funziona: basta che lo punti su un oggetto lo scuoti un po' e quello si frantuma. Sarà bello condividere con te quello che ho appreso, ovviamente, tu dovrai fare lo stesso con me» continuò Kit.

«Strano, per me usarlo non è così facile: io ho bisogno di concentrarmi e di entrare in sintonia con il mondo circostante; inoltre fatico a localizzare bene il punto da colpire» constatò Djeek ingenuamente.

Kitzo, in realtà, aveva provato a usare il bastone in tutti i modi, senza ottenere assolutamente niente e sperava di carpire qualche segreto. Continuò la messa in scena rispondendo con ostentata sicurezza: «Ah sì, all'inizio era così, ehm... come hai detto, ma poi ho affinato la mia tecnica e ora mi basta puntarlo per attivarlo. Se poi mi fai vedere come lo usi, osserverò i tuoi errori e ti aiuterò a migliorare. Te l'ho detto: siamo una squadra!» Poi, guardandogli il polpaccio, aggiunse: «Ora, però, dobbiamo preoccuparci di curare al meglio le nostre ferite, altrimenti marciranno. Poco fa, approfittando del mio lavoro di assistente di Hork, gli ho sottratto le chiavi del recinto. Tienile e prendi anche quest'otre. A mezzogiorno, approfittando del fatto che quasi tutti dormono, dovrai sgattaiolare fuori e arrivare al Santuario di Corrupto per attingere il Dono dalla Fonte. Ieri, molti degli incursori sono partiti per compiere una razzia e non torneranno prima del tramonto, quindi per te sarà più facile. Ho già parlato con Griz per medicarci: dovrà preparare un impasto.»

Djeek, un po' interdetto, obiettò: «Perché devo andarci io e non tu?»

«Accidenti!» esclamò l'altro mostrandosi deluso. «Ti facevo più coraggioso. E poi, devo stare qui per coprirti la fuga: sai? ho una certa influenza su Hork. Comunque, se preferisci così, rendimi chiave e otre, farò tutto da solo. A quanto pare, non vuoi essere mio complice.»

«No, no!» si affrettò a ritrattare Djeek. «Ci penso io, ma ti darò il Dono, solo se mi renderai il bastone.»

«D'accordo. Lo avrei fatto comunque: non ti fidi del tuo socio? Dovremo effettuare lo scambio nell'orario di uscita. Facciamo nella palude, nel luogo in cui lo tenevi nascosto. Quando torni al vivaio ricordati, però, di lasciare la chiave nell'incavo di quell'albero, io provvederò a rimetterla al suo posto.»

Djeek attese diligentemente che il sole fosse alto e sgattaiolò fuori dal recinto. Le strade del villaggio di Bocca del Verme erano semi-deserte, e arrivare nei pressi della Fonte inosservato non fu particolarmente difficile. Si accucciò dietro una pila di sacchi contenenti paglia di alghe essiccate, per osservare la situazione: il Santuario non era recintato, ma c'erano cinque goblin a tenere la guardia e sarebbe bastato un loro allarme per farne accorrere molti altri dalla prospiciente caserma. Era la prima volta che poteva vederlo così da vicino. Si trattava di un'area circolare di oltre cinquanta passi di diametro: ai suoi lati, si ergevano quattro enormi spuntoni ricurvi, mentre al centro era stato costruito un pozzo sovrastato da un totem con curiose incisioni. Secondo la leggenda, il Santuario non era altro che la bocca del Verme Primordiale. Essa, da quando il gigantesco essere si assopì, si era riempita nel corso dei millenni di terra e polvere. La Fonte era, in realtà, un pozzo posto al centro del piazzale da cui era possibile attingere gli enzimi dalle profondità remote del ventre dell'Emissario di Corrupto. Djeek stimò che se la sua bocca era così larga, stando alla sua forma allungata, doveva avere un corpo che scendeva in profondità per ben oltre mille passi: forse aveva esagerato a chiamare il suo piccolo bastone con il nome di Grande Verme. Mentre era immerso in quei pensieri, si appoggiò distrattamente a un sacco che cadde a terra. Una guardia se ne accorse e ordinò a un sottoposto: «Vai a controllare, fannullone!»

La fortuna volle che quest'ultimo avesse scelto proprio quel pretesto per provare a sovvertire la gerarchia. «Fattelo tu!» gli ribatté con tono di sfida.

Il capitano rispose con un fendente dall'alto verso il basso che gli tagliò via buona parte dell'orecchio appuntito. L'altro, che aveva parzialmente schivato il colpo, non demorse ed estrasse la sua rudimentale lama. Scoppiò una rissa che attirò l'attenzione divertita delle altre guardie.

Djeek raccolse il coraggio e ne approfittò per arrivare alla Fonte. Riempì l'otre del denso liquido di colore verde acceso e corse via zoppicando fino al recinto del vivaio. Depose la chiave nell'incavo e cercò riparo dal sole sotto un cespuglio di rovi. Poco dopo, vide Kitzo prelevare la chiave e recarsi verso la capanna di Hork: “Missione compiuta, tutto è andato per il meglio!” pensò soddisfatto di sé. Si versò qualche goccia del Dono sulla ferita, gli procurò un forte dolore, ma subito dopo la senti pulsare meno: non trattato in un impasto, non era del tutto efficace, ma qualche beneficio lo dava comunque. Si addormentò per svegliarsi qualche ora più tardi, prima del calare del sole. Era ancora febbricitante, ma sarebbe sicuramente sopravvissuto fino a mezzanotte per farsi medicare.

Raggiunse il posto dell'appuntamento dove trovò Kitzo che, non avendolo visto arrivare, stava battendo con foga feroce il bastone contro una roccia. «Stupida asta! Perché non funzioni!» imprecava. Solo a quel punto Djeek capì, ma decise di stare al gioco: doveva prima riavere il suo Grande Verme, far finta di insegnargliene l'uso fino a mezzanotte e dopo essere stato curato da Griz, voltargli le spalle. Quindi, attese che il socio si ricomponesse, prima di venire allo scoperto.

 

L'altro lo accolse con calore e chiese: «Allora, amico?»

«Tutto secondo i piani. Ecco l'otre, dammi il bastone che ti faccio vedere come lo uso io, tu però dovrai aiutarmi a migliorare».

Stavano per effettuare lo scambio, quando Kitzo notò che in lontananza, da dietro al compagno, stava arrivando Hork: doveva essersi insospettito e lo aveva seguito. Agì in un attimo, colpì l'incredulo Djeek con il bastone e gridò: «Maledetto! Cosa pensavi di fare, come hai potuto rubare il Dono dal Santuario, aspetta che lo racconti a Hork!» Quest'ultimo arrivò un istante dopo e, prima che Djeek si riavesse dalla bastonata, lo aveva già preso per il collo e sollevato da terra.

«Signore!» intervenne Kitzo. «Questo ladruncolo...»

«...ha rubato il Dono: ho sentito tutto!» lo interruppe l'addestratore. «E tu? Dove hai preso quel bastone?»

«Ah, questo! Ho visto Djeek che lo estraeva da quella fessura, ho avuto una colluttazione con lui e glielo ho sottratto.» Poi, un po' riluttante, glielo porse dicendo: «Stavo giusto per consegnartelo, Signore!»

«Ora, devo portare questa nullità al cospetto dello Sciamano. Spero che lo condanni a marcire per sempre nel ventre del Grande Verme. Poi, dovremo finire il nostro discorso» aggiunse rivolgendosi minaccioso a Kitzo. Nel frattempo Djeek, ormai cianotico, si dimenava nel tentativo di respirare.

rg.191.FFF.F1E.8:11-31/04/11522 (Dharta Misathon)

Senilità.

«Ora, grazie a te, mi ingrazierò lo sciamano!» Hork si trascinava dietro il povero Djeek che, lungo il tragitto, aveva subito percosse di ogni genere.

«Spero che questo bastone abbia qualche valore» continuò mentre per diletto glielo piantava su un piede. Djeek fece per urlare, ma ricevette un altro colpo sul torace che gli troncò il respiro.

Passarono nei pressi del vivaio, dove alcuni compagni seguivano la scena con interesse e ilarità; raggiunsero, infine, il Santuario di Corrupto nei cui pressi era stato inchiodato a un palo un goblin con un orecchio mozzato. Questi usava le ultime forze rimastegli per bestemmiare e inveire contro gli straziatori che, già, avevano iniziato ad assaporare le sue carni.

Le guardie, nel frattempo, avevano trovato un altro passatempo: giocavano passandosi a suon di calci e lanci un cucciolo di lupo dal pelo nero. Ogni tanto, al poveretto veniva concesso un attimo di pausa, giusto per prolungargli l'agonia: questo si rialzava malfermo e provava a mostrare i denti, ma il suo tentativo di ringhio veniva subito trasformato in un nuovo guaito, poiché il pestaggio riprendeva tra risate e urla selvagge. Per i goblin, non esisteva nulla di più appagante che torturare creature indifese. Preferivano i neonati umani, ma, di qualsiasi specie esso fosse, un piccolo da seviziare era comunque una tentazione irresistibile. I lupi erano troppo importanti per poter essere uccisi, quindi non era concesso maltrattarne troppo i cuccioli, a meno che questi non facessero parte dello scarto della nidiata. Evidentemente, quel malcapitato lo era: esso sembrava avere ancora gli occhi semichiusi come i nati prematuri; dalla fisionomia doveva essere addirittura un groppalupo, ma le dimensioni erano più simili a quelle di un cucciolo di lupo. Era nato perdente ed era destinato a morire per il diletto dei più forti. Djeek sentì una morsa gelida nel cuore nel vedersi prossimo a subire un destino analogo e, quasi rassegnato, si lasciò sbattere con la faccia a terra.

Hork, tenendolo inchiodato al suolo con il bastone, richiamò l'attenzione delle guardie: «Miei padroni, perdonatemi l'interruzione, ma ho un fatto importantissimo da riferire allo sciamano.»

Il loro capo, Ioro, si fermò di colpo, gli altri lo imitarono in silenzio. Poi, si avvicinò lentamente all'addestratore squadrandolo: continuava a portarsi dietro il cucciolo tenendolo appeso per una zampa posteriore. I goblin non sudano, ma Hork sembrava quasi farlo, tanto era pietrificato dal terrore.

Quando la guardia del Tempio gli arrivò vicino, lo percosse ripetutamente in faccia servendosi del lupacchiotto, quindi avvicinò le loro teste dicendo: «Dai, adesso, fate pace: datevi un bel bacetto!»

La bestiolina, ritrovandosi con il muso schiacciato sul viso del goblin, tentò di morderlo e l'altro fece lo stesso. Poi, Ioro lanciò il cucciolo a un compagno e cominciò a ridere: gli altri lo imitarono.

«Allora, misero lavoratore! Cosa hai da riferire di così importante da interrompere le nostre attività e da invocare, addirittura, l'intervento dello sciamano? Spero che sia come dici tu, altrimenti dovrò prenderti a calci!» Come esempio di ciò che gli avrebbe fatto, tirò una pedata sul fianco di Djeek. Il malcapitato sentì come se tutte le interiora volessero scappargli fuori dalla bocca. Le percosse di Hork, al confronto, erano carezze amorevoli.

«Mio Signore. Ho riportato indietro questo otre che il vermiciattolo qui a terra ha riempito trafugando il Dono.» L'addestratore pesò attentamente le parole nel timore di irritarlo ulteriormente. Stava per fare riferimento al bastone, ma l'altro lo interruppe urlando: «Insolente! Vorresti asserire che noi ci saremmo fatti fregare sotto il naso da un lattante!»

«Fammi vedere!» aggiunse adirato strappandogli di mano l'otre con irruenza.

«Non volevo offendere, ma controlla: lì c'è il Veleno» balbettò.

«È vero!» constatò. Ioro fece per andarsene, ma proprio mentre Hork stava per tirare un sospiro di sollievo, la guardia roteò improvvisamente su se stessa, tagliandogli di netto il collo con la sua lama. «Questo è perché non hai sorvegliato a dovere i tuoi marmocchi!»

La testa rotolò a terra e Djeek che, ancora stentava a respirare per il colpo subito, si ritrovò faccia a faccia con il capo mozzato di Hork.

«Non ti sembra di aver esagerato Ioro! Ora dove lo troviamo un altro addestratore? In fondo, aveva ragione: non hai vigilato bene!» intervenne una raschiante voce familiare, la voce che soleva intonare il Rituale della Nascita.

Lo Sciamano Anziano Guro o, meglio, il Sommo Sacerdote di Corrupto era uscito dalla sua capanna piena di bizzarre decorazioni e trofei composti di ossa di varia origine. Indossava una pesante veste realizzata con pellicce di diversi colori, che quasi sommergeva la sua minuta corporatura. Come copricapo, usava la testa imbalsamata di un grosso groppalupo e, sulla spalla, poltriva un velenosissimo varano di palude. I radi e lunghi peli bianchi, oltre che la pelle secca e rugosa, ne dimostravano l'età avanzata: era, forse, l'unico vecchio del villaggio. Camminava poggiandosi a un bastone di legno marcio e aggrovigliato sulla cui testa era appollaiato uno straziatore: il corvide era completamente spennato e la pelle nuda era stata decorata con arcani tatuaggi.

La guardia si voltò e prese a giustificarsi con lo sciamano accaldandosi. Djeek approfittò dell'attimo per strisciare fino al bastone e afferrarlo. Entrò subito in trance, avvertì le profondità della terra, provò quanto il suolo soffrisse della presenza del Verme Primordiale: si sentì come se qualcuno gli avesse infilzato una clava giù per la gola fino alle viscere. Aveva bisogno di vomitare, di espellere quel grosso corpo estraneo che lo straziava.

Nel contempo, lo sciamano chiudeva la discussione sentenziando: «Vista la tua inettitudine, Ioro, sarai tu il nuovo addestratore, ma prima, uccidi quel ladruncolo e portami il bastone che ha in mano: voglio esaminarlo.»

L'ormai ex capo delle guardie rivolse allo sciamano uno sguardo furibondo e si diresse verso Djeek per sfogare su di lui tutta la frustrazione: lo avrebbe ucciso nella maniera più dolorosa possibile. Quello, però, era il suo giorno sfortunato: vide il piccolo goblin contrarsi a terra come in preda a uno spasmo e, contemporaneamente, ci fu un tremito del terreno dovuto al formarsi di un piccolo crepaccio che si spalancò e si propagò passando tra le sue gambe fino a danneggiare il pozzo. Perse l'equilibrio e, cadendo male, si infortunò a un ginocchio. Lo sciamano, vedendo il totem appendersi da un lato pericolosamente, emise un grido stridulo: «Sacrilegio! salvate il Monumento!»

Quando le guardie, barcollando per l'improvviso sisma, si lanciarono a sorreggerlo, Djeek raccolse tutte le forze e si diede alla fuga.

Mentre si allontanava, correndo al massimo che la gamba ferita gli consentisse, sentì la voce dello Sciamano recitare una strana nenia rivolta a Corrupto. Di essa, colse solo le parole: carni, disgrazia e corrompi.

Si lanciò verso la palude, dove le acque marce lo avrebbero aiutato a nascondere le impronte e le tracce odorose. Però, sentì, immediatamente dietro di sé, un rumore di passi e un ansimare: evidentemente, le guardie si erano lanciate all'inseguimento prima di quanto l'incidente al totem gli aveva fatto sperare. Senza arrestarsi, si voltò e, con la coda dell'occhio, constatò che, in realtà, gli inseguitori erano ancora lontani: ciò che aveva sentito era il correre un po' goffo del lupacchiotto ammaccato. Raggiunse la palude e si diresse verso le acque un po' più profonde, finché non sentì un guaire dietro di lui: il cucciolo, non toccando più il fondo con le zampette, era costretto a nuotare, ma così non riusciva a tenere il passo di Djeek. Il goblin, non seppe mai perché lo fece: per empatia, perché lo sentiva affine a sé, forse. Prese in braccio il piccolo lupo e proseguì la fuga con lui.

Man mano che procedeva, si sentiva sempre peggio, come se la forza vitale lo abbandonasse, ma non gli diede troppo peso: quel malore, però, lo rallentava progressivamente e sentiva le voci delle pattuglie via via più vicine. Si fermò per un attimo, poiché, in maniera sin troppo prematura per un goblin, aveva bisogno assoluto di riprendere fiato. Quell'attimo fu sufficiente per scorgere nella sua figura riflessa sul velo d'acqua, qualcosa che non andava: aveva molti peli bianchi. Si guardò le mani e, con orrore, vide che la pelle era secca e rugosa: stava invecchiando!

Si avvide di essere vicino alla Grantana e decise di raggiungerla: questa, ormai, era crollata in più punti a causa delle ripetute scosse che gli aveva procurato con il bastone durante la caccia. Djeek ricordava di aver portato allo scoperto l'accesso a un alveo abbastanza grande da ospitarlo. Sfinito e ansimante, arrivò al nascondiglio e vi si infilò insieme al compagno di fuga: era ben nascosto sottoterra, ma l'accesso era scoperto e, annusando, lo avrebbero scovato immediatamente. Grazie al bastone, però, riuscì a increspare il terreno circostante in modo da camuffare le impronte e, quindi, a far crollare l'accesso al cunicolo. Si era tombato vivo e la sua età biologica aumentava in maniera ben percepibile, eppure era determinato a sopravvivere in qualche modo.

Poco dopo, avvertì le vibrazioni dei passi degli inseguitori seguite a breve dalle loro voci.

«Qui si sente di nuovo il suo odore: deve essere uscito dall'acqua in questo punto.»

«Guarda! Ci sono dei cunicoli: forse è acquattato in uno di quelli.»

«Bel topastro vieni fuori, vieni da paparino.»

Dopo alcuni minuti di calpestio frenetico tutt'intorno, si sentì imprecare: «Per Corrupto! Ma dove si è cacciato quel verme, non riesco a seguire una pista!»

«Boh? Sarà andato sottoterra a fare compagnia ai suoi simili.»

Djeek sentì raggelarsi il sangue, ma tirò subito un sospiro di sollievo, quando li sentì ridere a quella che, in realtà, era solo una battuta.

«Nei cunicoli, non c'è: forse voleva celarvisi, ma vedendo che non erano un buon nascondiglio è tornato a fuggire in acqua.»

«Probabilmente, ora è acquattato in qualche canneto come un ratto bagnato.»

«Comunque, non andrà lontano. Ho già sentito una volta lo sciamano proferire quelle parole: il vigoroso Doko lo Sgozzaelfi che aveva osato chiamarlo “cornacchia decrepita” è morto di vecchiaia poco tempo dopo.»

Se ne andarono ridendo di gusto per la malasorte di colui che un tempo avevano acclamato come loro campione. Doko, infatti, era stato l'unico goblin di quei tempi che aveva avuto l'onore di uccidere un elfo silvano. Gli altri venti goblin che erano con lui perirono tutti nell'impresa.

 

Djeek aspettò per diversi minuti e, quando stabilì che, ormai, fossero distanti, impugnò il bastone e si concentrò per aprire una via d'uscita. Le cose non andarono esattamente come voleva: infatti, si fece crollare addosso il soffitto. Solo quando stava per soffocare, in un ultimo disperato tentativo, fu espulso violentemente dal terreno per piombare, insieme al lupacchiotto, direttamente nella palude.

Per il goblin, lo schianto fu parecchio più doloroso del previsto e fu anche molto difficile rimettersi in marcia: la posizione rannicchiata, unita all'età che avanzava, lo avevano rattrappito.

Sapeva che sarebbe morto di vecchiaia entro poche ore, ma non si arrese, voleva e doveva al più presto raggiungere i confini di Grande Palude per fuggire dal pericolo più imminente degli inseguitori e poi... al poi era meglio non pensarci.

Doveva scegliere la direzione verso la quale fuggire. Sapeva che a Nord vi erano le montagne dei troll, un tempo, ma solo un tempo, dimora dei goblin: comunque, quella direzione non era percorribile senza passare troppo vicino al villaggio. Verso Sud, avrebbe trovato montagne, montagne e poi ancora montagne, fino al regno dei nani. Verso Ovest, invece, sarebbe arrivato al Pontificato, ma stando ai racconti, era meglio che vi stesse alla larga: non ci teneva a finire bruciato sul rogo. Era a Est che doveva fuggire, verso le terre di confine dell'Impero di Arsantis: lì, c'era il Regno di Faunna i cui villaggi erano la meta prediletta dei razziatori della sua tribù. Camminò seguito dal cucciolo, ma, man mano che procedeva, sentiva le forze mancargli e anche la sua andatura ne risentiva: infatti, mentre prima il lupo faceva fatica a tenergli il passo, dopo un'ora lo stesso doveva fermarsi ad aspettarlo. Aveva dolori dappertutto, sentiva l'umidità dell'acqua penetrargli nelle giunture con fitte acute. Stabilì che il destino della maggior parte dei goblin, cioè quello di avere una morte violenta, ma il più delle volte rapida e in età giovanile, fosse una vera benedizione.

Continuò a spingersi avanti, non sapeva bene neanche lui verso cosa. Sentiva l'alito fetido della morte attanagliarlo o, forse, era il suo stesso respiro che puzzava di putrefazione. Aveva il fiato corto e i passi si facevano sempre più lenti e brevi. Dall'alto, il gracchiare degli straziatori sembrava deriderlo o festeggiare in attesa del banchetto che li attendeva. Esausto, si fermò e, con la vista annebbiata, focalizzò a fatica la sua immagine riflessa sull'acqua: vide un essere più simile a una statua di creta grezza che a un goblin. Aveva lunghi peli bianchi e radi che gli spuntavano a chiazze sparse casualmente un po' dappertutto e le dita sembravano ramoscelli secchi e putrescenti: quando aveva visto lo sciamano, gli era sembrato molto anziano, ma solo in quel frangente potette contemplare cosa significasse essere veramente vecchi. Fece per riprendere a muoversi, ma le ginocchia non lo assecondarono e, con un tonfo, cadde nella sua stessa immagine riflessa, mentre perdeva i sensi.

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