Scherzi Del Futuro

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“Non sono impazzito, signorina. Mi dia solo qualche secondo e vedrà”.

Digitai la sequenza prescritta e, come per magia, in un attimo la situazione cambiò. La sua stanza ora entrava nella mia non più attraverso la parete di fronte a me, la più lunga, ma da quella più stretta laterale. Naturalmente avevo tolto in precedenza qualsiasi ostacolo che potesse guastare il risultato, e ora ci trovavamo veramente più vicini, con un approccio davvero molto più confidenziale.

Per lo stupore e l'incredulità lei rimase senza parole. Io ne approfittai per creare un altro effetto speciale, anche questo studiato in precedenza: un'ampia finestra virtuale sulla parete opposta, spalancata su un profumato giardino fiorito.

“Ma lei è proprio un mago, dottore! Così è davvero più bello. Certo, se devo dirle la verità, dalla finestra avrei preferito vedere il mare: sa com'è, noi greci ce l'abbiamo nel sangue.”

“Lei vuole il mare? E avrà il mare. Mi dia solo un minuto e ci trasferiamo tutti e due vicino a qualche bellissima spiaggia.” Cominciai con l'ingrandire la finta finestra e cambiare il paesaggio, scegliendo, tra i tanti disponibili, quello con la spiaggia che mi sembrava più adatta alle nuotate della signorina Kanakis. In sottofondo si udiva il mormorio delle onde. Fu allora che mi ricordai che si poteva adeguare anche la temperatura al paesaggio. Lo feci, e notai subito che la stanza iniziava a riscaldarsi come sotto un sole estivo.

Ragionando sulle potenzialità offerta dalla cabina, mi ricordai anche che era possibile fare in modo che le pareti sparissero, proiettando un panorama su ciascuna di esse e dando l'effetto di trovarsi proprio all'aria aperta. Ma su questo non mi ero documentato: perciò preferii non avventurarmi in un campo sconosciuto, col rischio di fare una figuraccia. “La prossima volta farò di meglio: ci trasferiremo proprio sul bagnasciuga”, le promisi.

“Ne sarò felicissima. Se ci riesce lo prenderò come un regalo per il mio compleanno, e le prometto che mi porterò il costume”, disse lei ridacchiando. “Però adesso lasci stare gli effetti speciali. In fondo è già bellissimo così, e io sono qui per illustrarle quella relazione.”

Aveva parlato di compleanno? Quando era il suo compleanno? Avrei voluto chiederglielo. Ma forse sarebbe stato più bello scoprirlo da solo. Doveva esserci scritto in qualche banca dati aziendale. Avevo già perso dei punti nel non averci pensato, per il fatto che fosse stato lei a suggerirmelo. Adesso potevo forse recuperare con un bel regalino, recapitandoglielo a casa nel giorno esatto. E cosa sarebbe stato più adatto: un costume da bagno? Ridicolo. Un anello? Troppo impegnativo. Un bel braccialetto, decisi.

Lei aveva già iniziato da un po' la sua relazione. “Dottore, non mi segue? Mi sembra un po' assente.” In effetti stavo smanettando alla tastiera del computer.

“No, no, continui pure”. Avevo appena trovato i suoi dati aziendali e stavo trascrivendo il suo indirizzo, per poterle recapitare almeno un mazzo di fiori. Il compleanno era l'indomani. Calcolando la sua età ragionai tra me che la sua bellezza era ancor più straordinaria per essere una trentacinquenne.

“Dottore, qui la temperatura si sta alzando. Sembra proprio di essere sulla spiaggia d'estate. Non è che anche questo è opera sua?” Mentre così diceva si tolse il giacchino, rivelandomi che il suo completo color vinaccia includeva anche un elegante corpetto, che consentiva di ammirare la bellezza nuda delle sue braccia, delle spalle e della scollatura.

“Continuo a pensare che lei sia sprecata in questa azienda: doveva fare la modella.”

Lei ignorò il mio commento e proseguì nella relazione, invitandomi più di una volta a non distrarmi e a seguire maggiormente le sue parole. Immagino che fosse davvero evidente ciò su cui ero concentrato: la sua bellezza monopolizzava il mio sguardo e ogni mia attenzione. Era più forte di me. Non mi accorsi neanche che stavo grondando di sudore. La temperatura era ormai salita ben oltre i trenta gradi, quando lei “esplose” dicendo:

“Dottore, faccia qualcosa per questo caldo, perché qui a momenti mi sento male. Non posso continuare in queste condizioni.”

Era vero: si schiattava dal caldo. Era chiaro che proseguendo per quella strada non si sarebbe arrivato al termine dello strip-tease, ma al pronto soccorso: la signorina Kanakis si stava dimostrando molto seria non solo sul lavoro.

Mi diedi subito da fare per porre rimedio a quella imbarazzante situazione. Dopo alcuni tentativi ottenni qualche effetto, anche se non era esattamente quello che desideravo: la finestra si aprì e cominciò a sbattere (o almeno così sembrava), e in sincronia con questi movimenti arrivavano folate d'aria, calda anch'essa. Buona parte dei fogli di appunti della signorina Kanakis erano già finiti sparsi sul pavimento della sua stanza prima che io riuscissi a far sparire la finestra virtuale e l'effetto spiaggia.

“Che disastro! Sono mortificato.” Istintivamente mi alzai per aiutarla a raccogliere i fogli sparsi, ma dovetti fermarmi di fronte alla parete che ci divideva, consapevole di non poter fare niente.

“Lasci stare, non si preoccupi. Almeno adesso si riesce a respirare.” Non potevo fare altro che limitarmi a guardarla mentre si chinava a raccogliere i suoi fogli, sparsi dappertutto fin quasi ai miei piedi. Ma era un bel guardare, quel corpo snello ed elastico che si alzava ed abbassava in continuazione per nulla infastidito dalla gonna aderente e non troppo lunga. E la vedevo - miracoli della scienza e della tecnica - con la stessa chiarezza e nitidezza che se fosse lì presente in persona, come se bastasse allungare una mano per poter toccare quel corpo caldo (sicuramente) e morbido (pensavo) che calamitava il mio sguardo.

La guardavo così, quasi in trance, mentre raccoglieva gli ultimi fogli proprio vicino alla mia scrivania, e non mi resi neanche conto del movimento della mia mano, comandata non da uno stimolo del cervello ma da una parte incontrollabile del mio subconscio. E non me ne sarei accorto per un bel pezzo se non fosse stato per gli appositi sensori con allarme sonoro che segnalano qualunque contatto con le pareti di proiezione, contatto che in breve tempo può risultare dannoso per le stesse pareti e per tutto il box. Così rimasi sorpreso quasi quanto lei di udire quei beep a intermittenza, e con la stessa sorpresa mi resi conto che erano provocati dalla mia mano che, inconsciamente convinta di essersi adagiata su una delle sue bele chiappe tonde e sode, aveva già impresso una sua impronta grigiastra sulla parete.

“Ma cosa succede? Cos'altro ha combinato stavolta?”, mi chiese lei che forse, per mia fortuna, non aveva afferrato in pieno la situazione.

“Niente, niente. Per un attimo ho dimenticato che non siamo nella stessa stanza. Volevo solo darle una mano a raccogliere i fogli.” Per fortuna non eravamo nella stessa stanza, pensai, altrimenti avrebbe percepito chiaramente la mano che volevo darle, e in che modo!

“Senta, dottore: mi sembra che oggi lei sia decisamente fuori fase. Che ne direbbe di risentirci un'altra volta, magari domani alla stessa ora, sperando di avere più fortuna e di trovarla in una condizione più adatta per ascoltare la mia relazione?”

“Sì, sì, ha ragione”, mi vidi costretto ad ammettere. “Rimandiamo tutto a domani, che oggi proprio non è giornata.” Non mi aveva neanche lasciato il tempo di finire che, nel modo deciso di chi non ne può più, si era avvicinata alla console e aveva pigiato il tasto di interruzione del collegamento. Mi ritrovai solo e sconsolato nella mia stanza.

Nonostante tutto non mi persi d'animo. Tramite internet ordinai subito un bel mazzo di fiori da recapitarle il giorno dopo. Per il bigliettino di accompagnamento rielaborai, ispirato da una improvvisa vena poetica, uno dei testi che il sito suggeriva per le varie occasioni (A dispetto della figuraccia di quella mattina, sentivo che la signorina Kanakis induceva in me un influsso benefico e creativo straordinario. Pensai che fosse amore). A cui aggiunsi anche qualche parola di scuse per la situazione creatasi quel giorno.

Poi cercai, sempre in internet, il braccialetto da regalarle. Ne trovai più di uno che mi sembrava adatto, in diversi negozi; ma con mio disappunto, nessuno di coloro che lo offrivano era in grado di consegnarlo entro il giorno successivo. Telefonai anche al numero di riferimento di quella che sembrava la società più seria e rapida nelle consegne, e mi fu spiegato che, in caso di recapiti all'estero, non era tecnicamente né umanamente possibile ridurre i tempi da loro impiegati. C'era da acquisire l'ordine, reperire il prodotto nei magazzini, imballarlo. Trattandosi di una grande società multinazionale, in genere potevano reperire il prodotto anche nei magazzini della nazione di destinazione (ma per gli ultimi articoli inseriti a catalogo poteva essere necessario farli arrivare dalla sede centrale, in Olanda). Rimanevano i tempi di consegna locali, ma soprattutto quelli legati all'accertamento dell'avvenuto pagamento. “A meno che, per guadagnare tempo, non voglia optare per il pagamento in contanti alla consegna”, mi aveva proposto lui: ipotesi assolutamente inaccettabile nel mio caso.

“Non è possibile, per accelerare i tempi, che sia io a pagare in contanti qui da voi?”, gli chiesi.

“Non saprei, non è una prassi prevista, anche perché le nostre sedi non prevedono sportelli per il pubblico. Però se vuole fare un tentativo le lascio l'indirizzo della filiale di Roma, e qualche nominativo che forse può provare a contattare.”

Uscii in fretta e, preso dai miei pensieri (controllavo mentalmente che non mi stessi dimenticando qualcosa: chiavi della macchina, telefonino, indirizzo dell'agenzia e della signorina Kanakis, numero di catalogo del braccialetto scelto) rischiai di non accorgermi di mia moglie che mi salutava, con espressione interrogativa e alquanto preoccupata. “Tutto a posto, dovrei tornare per pranzo”, le dissi distrattamente e senza convinzione.

 

E in effetti dopo neanche un'ora ero già sulla strada del ritorno.

Non sapevo se ero riuscito ad ottenere quello che volevo. Forse l'avrei saputo il giorno dopo dalla signorina Kanakis. (Forse, perché, conoscendola, avrebbe potuto anche ricevere il regalo facendo finta di niente, o addirittura rifiutarlo). Quello che sapevo per certo era che, solo per mantenere viva la mia speranza, avevo creduto alla promessa non del direttore della filiale, che in quel momento era irreperibile, ma di uno che, a volergli credere, era il coordinatore del servizio spedizioni. Avevo fatto l'ordine tramite telefonino, pagando a lui in contanti ed elargendogli una somma aggiuntiva assai considerevole (quest'ultima senza ricevuta); fidandomi semplicemente della parola di quell'Arturo, che mi aveva garantito che sarebbe stato fatto tutto il possibile. Doveva essere amore, avevo pensato per la seconda volta nella giornata.

E la cosa buffa era constatare che, con tutta la tecnologia a mia disposizione (ho dimenticato di parlare del navigatore satellitare della mia auto e delle potenzialità del mio telefonino, ma del resto sapete già tutto), nonché contanti e carte di credito, il raggiungimento di quello che per me era diventato un obiettivo primario era legato all'onestà, alla buona volontà e alle lune di quello sconosciuto Arturo, che nella mia immaginazione era partito subito per la Grecia con un vecchio camion quasi vuoto, correndo contro il tempo per portare il mio preziosissimo regalo.

Rientrato alla mia postazione, cercavo di riordinarmi le idee. Nell’attesa del pranzo proverò a creare l’effetto spiaggia, pensai, proseguendo col corso autodidattico sull’uso della postazione.

Ma mentre ancora la cabina stava avviando i suoi dispositivi, sentii come un fruscio, una specie di interferenza, che lentamente prese forma davanti ai miei occhi fino a giganteggiare sulla parete di fronte a me.

“E chi è costui?”, mi chiesi stupefatto. Mentre mi ponevo questa domanda ne avevo già la risposta sulla punta della lingua, reperita chissà dove tra i meandri della mia mente.

“Non mi riconosce?”

“Il cavalier Grandi, l’amministratore delegato”, continuai quasi tra me, ma conscio del fatto che anche lui mi avrebbe sentito.

“Ci è andato vicino. Sono Grandi padre, come molti mi chiamano per distinguermi dai miei figli, i Grandi fratelli. Sono loro ormai che hanno in mano la direzione di tutto il ramo italiano dell’azienda. Ormai io qua dentro conto poco.”

“Ehm, è un onore per me conoscerla di persona. A cosa devo il piacere di questa visita inaspettata?”

“Se lei considera un onore conoscermi di persona, allora accetterà volentieri il mio invito per domattina nel mio studio, qui in sede. Così, dopo avermi firmato la sua lettera di dimissioni, avrà anche il piacere di stringermi la mano di persona.”

“Dimissioni? Ma che cosa dice? Perché mai dovrei dare le dimissioni?”

“Certo, potrebbe anche non darle, se preferisce che sia io a licenziarla. Vede, si dà il caso che stamattina abbia assistito a tutta la “riunione” - se così si può definire - che ha tenuto con la signorina Kanakis. Lei sa come è potente questa diavoleria con cui lavora. Sa bene che, anche se non si dovrebbe, consente di controllare il comportamento dei nostri collaboratori: pratica che a quanto mi risulta lei non disdegna, e che peraltro approvo. Naturalmente si può anche registrare quello che accade, non lo sapeva? Glielo dico perché, se per caso avesse desiderio di rivedere meglio qualche passaggio della sua performance… anzi, glielo raccomando: alcune delle scene sono molto divertenti. Certo, non molto edificanti…”

“Ma cavaliere, sia comprensivo: in fondo non ho fatto niente di particolarmente grave. Nulla su cui non si possa chiudere un occhio.”

“A parte il danno alla sua postazione, quel vergognoso segno a forma di mano sulla parete parla di quello che è accaduto nei suoi termini esatti: molestie sessuali. Il fatto che sia passato inosservato per lei è una grande fortuna, ma per me è del tutto secondario. E comunque si ricordi che, per manager del suo livello, la fiducia è presupposto unico ed essenziale per proseguire il rapporto di collaborazione con la nostra azienda. E io la fiducia in lei l'ho persa completamente.”

“Ma dal punto di vista professionale non credo che abbia a che lamentarsi di me.”

“Posso senz'altro obiettarle che oggi non solo ha buttato una mattinata del suo ben pagato lavoro, ma l'ha fatta perdere anche ad altri nostri validi collaboratori, come l'ottima signorina Kanakis, il che è assai più grave.”

“Cercavo di conoscere meglio il prodotto di cui mi occupo…”, obiettai timidamente.

“Il suo rendimento lavorativo e professionale mi importano relativamente poco. Se vuole stasera posso interessare del suo caso i Grande fratelli: si faranno due risate anche loro con questo filmino.”

Mi rendevo conto che improvvisare un'autodifesa si prospettava difficile e inutile: rischiavo solo di peggiorare la mia situazione. “Spero solo che non sia stata la signorina a lamentarsi di me: me ne dispiacerebbe immensamente. D'altronde trovo così strano che una persona importante come lei, cavaliere, dedichi il suo prezioso tempo a stupidaggini del genere.”

“Dopo aver guidato per anni come un padre questa importante realtà aziendale, che considero come una grande famiglia”, mi rispose, “oggi mi dedico a quello che ritengo sia il suo aspetto più importante: lo spirito e le motivazioni dei suoi dipendenti, soprattutto ai più alti livelli. E ciò non può prescindere dalla loro moralità. Se lei vuole sfasciare la sua famiglia è liberissimo di farlo; ma la mia azienda non è disposta a collaborare con lei.”

Un vecchio moralista bacchettone, ecco cosa sei, pensai, non hai proprio nessun modo migliore di passare il tempo che facendo il guardone nelle stanze degli altri?

“Quanto alla signorina Kanakis”, continuò lui, “le consiglio, la prossima volta che tenterà di abbordare una ragazza, di informarsi meglio prima su chi sia, e non solo sulla data di nascita. È evidente che lei ignora alcuni particolari importanti della vita della Kanakis, soprattutto sulla sua famiglia e le sue conoscenze.”

Questo spiega tutto, pensai. Per meritarsi l'interessamento così particolare del Grande padre deve essere la figlia, o forse la fidanzata o l'amante, di qualche personaggio molto importante. Probabilmente qualche uomo politico, magari un ministro o un leader sindacale: chissà, dei fatti della Grecia proprio non me ne intendo. Anche se a pensarci bene il suo mi sembra un cognome abbastanza diffuso. Mi pare di averlo già sentito prima. Appena posso troverò il modo di scoprirlo.

“Comunque può pensare fin da oggi a cercarsi un nuovo impiego: domattina nel mio ufficio sarà solo una formalità. A domani, dunque.” Il grande volto del Grande padre scomparve, e con esso ogni luce, ogni rumore, qualunque segno di attività elettrica là dentro. La cabina, disabilitata, piombò nell'oscurità come per un black-out. Per fortuna che la porta di uscita, secondo le specifiche di sicurezza, si era aperta.

Nel buio mi rimase impressa negli occhi l'immagine di quel severo moralista, che per me avrebbe fatto meglio a godersi la sua meritata pensione. Occhi vivaci, sguardo stranamente malizioso a dispetto delle sue parole: e se fosse stato lui il padre, l'amante, l'amico della signorina Kanakis?

Uscii. Era ora di pranzo, ma sinceramente l'appetito mi era completamente passato.

LA MISSIONE DELL'ULISSE VOLANTE

Il comandante Ulisse aveva il volo nel sangue, già per tradizione familiare. Ed era un navigatore esperto di vecchio stampo, di quelli che riconoscevano e chiamavano per nome le diverse parti di un motore, e che ancora sapevano compiere tutte le manovre azionando e regolando manualmente i propulsori, il timone e le ali senza l'aiuto di assistenti automatici computerizzati. Sì, proprio come in quei videogiochi di vecchio tipo di cui egli, neanche a dirlo, era appassionato.

Avvicinandosi a Deltoide, il pilota automatico aveva segnalato problemi nell'avviare la fase di atterraggio, ed ora l'Ulisse Volante era parcheggiata, in modalità manuale ed a motori spenti, appena al di fuori dell'orbita stazionaria del piccolo pianeta.

“Base Deltoide, qui è Ulisse Volante. Chiedo l'autorizzazione a entrare nel vostro spazio orbitale.”

Dal grande schermo rispose il volto scuro e brizzolato di un ufficiale non certo alle prime armi.

“Autorizzazione non concessa”.

“Come? Può ripetere per favore?”

“Avete problemi di ricezione? Ho detto autorizzazione non concessa. Ed aggiungo che la sosta in orbita stazionaria è consentita solo per un massimo di un'ora, o in caso di avaria grave al motore. Insomma, siete pregati di andarvene.”

“Ma come … ”, obiettò il capitano, “ci deve essere un errore. Ho volato per mesi per arrivare fino a qui, seguendo un piano di volo regolarmente autorizzato. Protocollo ADS5557294. Se vuole può contattare l'armatore, è una compagnia seria con cui non ho mai avuto problemi di questo genere. Deve esserci stato un malinteso.”

“No no, nessun malinteso. La sua compagnia non c'entra. È che da qualche giorno da noi è in vigore una nuova normativa. Siamo finalmente entrati a pieno titolo nella USPA, l'associazione dei piccoli pianeti. Ora qui è USPA a tutti gli effetti, e valgono tutte le sue disposizioni.”

“Ma … non capisco. Non vedo la logica per cui io … “

Il graduato lo interruppe. “Adesso non ho tempo da perdere. Se vuole dia un'occhiata al notiziario, lì è spiegato tutto.” Ed al suo posto sul video comparve l'inizio di un filmato pronto per essere avviato con un click.

Stizzito, il capitano fece scorrere il filmato, in cui con voce suadente e melliflua venivano spiegati proprio i concetti che immaginava e che a grandi linee già conosceva. La precarietà orbitale e gravitazionale dei piccoli pianeti, che potevano risentire conseguenze dal passaggio nelle vicinanze di velivoli spaziali di grandi dimensioni; i rischi, non solo ambientali, delle politiche di “aumento di massa”, attuate da alcuni pianeti di piccole dimensioni proprio per stabilizzarsi e far fronte a questo problema; i vantaggi ed i requisiti dell'adesione all'USPA, tra cui il blocco orbitale magnetico ed un sistema di difesa antiaereo tali da scongiurare l'impatto non solo con una grande astronave, ma addirittura con corpi celesti di dimensioni pari o anche maggiori a quelle del pianeta stesso.

“Strano”, pensò il capitano. “Deve esserci stato di recente qualche stravolgimento politico o cambio di governo, perché tutte le altre volte che sono venuto su Deltoide non solo non mi hanno mai fatto storie, ma ricordo di aver sempre ricevuto un'accoglienza particolarmente calorosa ed ospitale.” E così, giusto per lo sfizio di verificare la sua ipotesi, cercò e trovo facilmente sempre nel notiziario il resoconto della recente destituzione ed uccisione del tiranno Spasmodus, che aveva retto Deltoide per diversi decenni fino, appunto, ad una settimana prima.

Non fosse stato per la presenza del blocco orbitale e del sistema missilistico, confermati anche dalle sue apparecchiature di bordo, il capitano avrebbe saputo come sfogare la sua rabbia e la sua stizza su quel pianetucolo. Ma così … Non c'era che adeguarsi, e decidere le opportune azioni da intraprendere di conseguenza.

Meglio sentire il parere di una persona esperta, pensò. Ed il pensiero gli andò subito al suo contatto con la società committente, persona non solo cordiale e fidatissima ma disponibile ad essere disturbata a qualsiasi ora.

“Ciao Pedro, come va? Sono appena arrivato a ridosso di Deltoide ed avrei un certo problemino da risolvere.”

Ulisse fece in tempo a vedere solo un istante l'espressione preoccupata di Pedro, che il collegamento sparì. Ritornò pochi istanti dopo, con Pedro che prese sùbito la parola.

“Scusa Ulisse, ho fatto cadere la linea e ti ho richiamato in modalità protetta, perché quelli dell'Autorità ultimamente stanno registrando ed archiviando tutto quanto passa sui collegamenti standard. Da adesso in poi certi tipi di problemi li discuteremo in questo modo, per evitare noie più gravi sia a te che a noi. E credo di aver già capito che problema hai incontrato. Ma tu sei arrivato solo oggi su Deltoide? Da piano di volo avresti dovuto arrivarci quasi tre settimane fa.”

 

“Lo so, Pedro, ma visto che ci passavo vicino ho fatto una sosta prolungata su Trituzio. Mettiamola così, diciamo che ho avuto un guasto serio ai propulsori.”

“Siamo su linea protetta, Ulisse, e puoi dirmi la verità. Lo so che quando passi per Trituzio ti ci fermi sempre più del dovuto. È il tuo pianeta natale, se non sbaglio.”

“Sì, lì c'è mia madre, qualche cugino e anche un'amichetta. Mi sono preso un anticipo delle vacanze, che male c'é?”

“Niente, se non fosse che non hai rispettato il contratto che hai stipulato con noi, e non ce ne hai dato comunicazione ufficiale. Adesso sono problemi tuoi.”

“Ma … voi siete sempre in grado di sapere dove mi trovo!”

“Sicuro. Ma non possiamo certo stare lì a tirarti le orecchie da anni luce di distanza; e per quanto ci riguarda tu hai già portato a termine l'incarico che ti avevamo affidato. Adesso il problema è tutto tuo, e te la devi vedere per conto tuo.”

L'immagine di Pedro sparì, e Ulisse rimase come una statua di sale, interdetto e sorpreso per la risposta ricevuta tanto da non riuscire neanche a dire nulla. Una reazione del genere da Pedro davvero non se l'aspettava.

Un paio di secondi e il volto di Pedro ritornò a video.

“Scusa lo scherzetto, ma volevo proprio vedere la faccia che avresti fatto. Guàrdati.” E così dicendo gliela ripropose a velocità rallentata. Ecco, pensò Ulisse: invece una cosa del genere da lui te la devi sempre aspettare.

“Ma non è che prima ti abbia detto una balla”, proseguì Pedro. “la situazione sta esattamente in quei termini. Però, se mi prometti che non dici a nessuno chi te le ha date e che appena puoi le fai sparire, ti posso mandare le traiettorie spaziali delle navicelle di perlustrazione confederali nel tuo quadrante. In genere non le cambiano per dei mesi, e dovresti stare tranquillo. Relativamente tranquillo, perché con alcuni modelli hanno aumentato il raggio di sorveglianza. Ma è riportato tutto nelle mappe mobili che ti sto mandando. Beh, adesso vèditela tu, la nave è tua.”

“Già, e devo anche fare il pieno di energia. A navi grandi come la mia non lo fanno dappertutto. Speriamo di non trovare altri pianeti che mi chiudano le porte in faccia. Se continua così dovrò cambiare mestiere, o almeno astronave”, commentò Ulisse.

“Io fossi in te farei un pensierino anche alla Via Ferrea”, proseguì l'altro. “È un po' pericolosa, ma proprio per questo … beh, in bocca al lupo. E mi raccomando: naturalmente noi due non ci siamo mai detti niente. Ciao, e fatti sentire quando torni disponibile.”

Già. La Via Ferrea. Quante volte ci aveva pensato, per evitare trafile burocratiche e ingranaggi da ungere per convincere questo o quello. Se non fosse stato per la grande distanza e per i suoi pericoli intrinseci… Ma certo in questo caso poteva essere una soluzione valida.

Prima però bisognava pensare all'energia. Inserì a sistema i dati necessari e attese che l'elaboratore gli restituisse alcune sue ipotesi di percorso, con tempi e distanze. Ulisse le studiò un pochino e poi scelse quella che ritenne migliore.

“Chissà a che punto sono di sotto”, pensò. “A quest'ora il pranzo dovrebbe essere già pronto.”

Attivò il collegamento interno.

“Lucrezia, Gisella. Ciao. È già tutto pronto per mangiare?”

“Sì, dacci solo il tempo di salire. Anche se qui abbiamo poca energia.”

“Tranquilli, la situazione è sotto controllo. Ma quando sarete su abbasserò il livello energetico della nave. Poi vi spiego tutto”.

“Allora ci vediamo tra cinque minuti in sala da pranzo. Anzi, facciamo dieci.”

“A dopo allora. Chiudo.”

Schiacciò l'altro bottone.

“Ciao Augusto, e anche Vittorio. Ho due domande da farvi. Sono terminate le analisi del carico? E, se sì, pensate che potremo azionare i generatori di energia endogeni, e con che risultati?”

La risposta arrivò un po' disturbata, ma comunque chiara.

“Tutto a posto, anche di più. Come energia ne potremmo anche riuscire a vendere, a lavorarci un pochino.”

Era già da qualche tempo che Augusto gli suggeriva di sfruttare meglio dal punto di vista energetico il carico imbarcato, soprattutto quello organico. Sosteneva che con un certo investimento avrebbero potuto trasformare quella che ora era semplicemente una nave da trasporto in una stazione di vendita e di ricarica ambulante, con discreti ulteriori profitti e con l'ulteriore vantaggio di non doversi spostare senza sosta e a velocità folli da un settore all'altro dell'Universo. L'idea era buona, ma bisognava lavorarci su ed investirci. E, soprattutto, forse il capitano non era ancora pronto, dopo una vita passata a fare il corriere, a trasformarsi dall'oggi al domani in produttore di energia e venditore autonomo.

“Benissimo, grazie. Ci vediamo a pranzo fra un po'.”

Ulisse non poté fare a meno di pensare che il suo era davvero un bell'equipaggio. Un quartetto in gamba, ben assortito, che in tanti anni non gli aveva dato proprio nessun problema. Solo Lucrezia e Augusto l'avevano messo in difficoltà una volta, di recente, quando gli avevano chiesto di unirli in matrimonio. Più che altro la richiesta l'aveva colto di sorpresa e impreparato. Aveva acconsentito volentieri, pur consapevole che quello avrebbe potuto essere l'ultimo viaggio insieme a loro e che probabilmente avrebbe dovuto cominciare a pensare a come poterli sostituire. Mah, un problema alla volta, pensò. Comunque, beati loro.

Appena le spie dell'ascensore e dei cercapersone segnalarono che tutto l'equipaggio era radunato sul suo stesso piano, Ulisse abbassò il livello energetico della nave, ed anche la sua cabina cadde in una specie di penombra. In compenso, i finestroni affacciati sul mondo acquistarono risalto, le luci delle stelle e dei pianeti diventarono brillanti puntini luminosi nel buio dando spettacolo, quello spettacolo meraviglioso che in fondo lo aveva convinto a scegliere di intraprendere quel tipo di vita. Ed egli rimase lì fermo qualche minuto a gustarselo, assorto in silenziosa contemplazione.

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Erano trascorse diverse settimane da quel giorno a ridosso di Deltoide: giusto il tempo di fare un rabbocco di energia - così per precauzione visto che, a detta di Augusto, anche solo i generatori endogeni sarebbero stati sufficienti – e di avvicinarsi alla Via Ferrea senza transitare troppo in prossimità di nessuna delle navicelle di perlustrazione confederali.

Il comandante radunò in cabina il suo piccolo equipaggio.

“Stiamo per affrontare una situazione davvero molto difficile per un'astronave della nostra stazza, e mi serve il massimo aiuto da tutti voi. In qualcosa di molto diverso dal solito, voglio dire. La Via Ferrea è una zona relativamente ricca di microcorpi cosmici di diverse forme e composizione. Anche i meno grandi di loro, se trascurati e non affrontati nel modo giusto, potrebbero mandarci ko. Come già vi ho accennato, noi abbiamo essenzialmente due modi per fronteggiarli: il migliore è evitarli. L'altro modo è di sminuzzarli e disintegrarli con le nostre armi. I normali sistemi automatici di navigazione non sono sufficienti: serve anche l'occhio umano, anzi tanti occhi; molta, molta attenzione, e buoni riflessi. È per questo che da qualche settimana vi ho chiesto di impratichirvi con Asteroids, un videogioco in cui le problematiche sono più o meno le stesse.”

“E la cosa durerà non poco”, proseguì Ulisse. “Da quando quella luce diventerà rossa o arancione fino a quando ritornerà verde, potrebbero trascorrere anche tre o quattro giorni. Dormiremo a turni di sei ore. Mentre uno riposa, due degli altri staranno alle finestre laterali, ed uno mi affiancherà sempre ai comandi centrali. Io probabilmente dormirò qui, forse un po' meno degli altri. Cominciamo già da adesso, ognuno alla sua postazione.”

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