Peccati Erotici Delle Italiane 2

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Senza ritorno



Quando sono tornata in cucina; lui guardava la TV. Era concentrato, sembra avermi ignorata. nei giorni passati, dopo la scoperta nel bagno, non ha dato segni. Niente di speciale, del tutto indifferente, ma io non ci casco: sono sua madre e non ci casco. E’ stato lui. L’ha fatto apposta e voleva che io, prima o poi, lo scoprissi. Il suo messaggio era forte, deliberato.



Ebbene, eccolo accontentato. Ho evitato di accendere la luce grande, ma solo i due faretti, incastonati nella cappa sul fornello. Gli ho girato le spalle e mi sono appoggiata al tavolo, come fossi lì, a pensare ai fatti miei.

Ma niente è “normale” questa sera. Io non vesto mai per casa come se dovessi uscire la sera. Non prendo mai una posizione del genere, in casa mia…  E adesso aspetto. È quasi una sfida. Sono più di dieci minuti che sono là, comportandomi come se non ci fosse… Poi, all’improvviso, sento che qualcosa si muove. È lui! Resto ferma, non mi volterò, è deciso; lascerò che accada quel che accada, pur di spezzare quest’incantesimo maligno, in un modo o nell’altro.



Ha abbassato l’audio della Tele, lo sento che si aggira per la stanza, sembra indeciso. Si muove come un gatto attratto da un boccone succulento ma anche pauroso di essere sorpreso sul più bello. È circospetto… di certo non sa cosa pensare: chissà quante volte ha sognato un momento simile ma, probabilmente, lui stesso, ora che il sogno potrebbe avverarsi, è abbastanza scettico, incredulo.

Ha spento la luce. Ora la stanza è illuminata solo dagli sbalzi soffusi, lontani, del televisore a LED.  Lo sento alle spalle, si è avvicinato, percepisco la sua presenza ma non mi volto. Non mi tocca. Di certo mi sta osservando… sento i peli sulla nuca rizzarsi.  Credevo, nella mia follia, di poter sopportare la situazione, invece, in meno di un secondo, sono diventata rossa come un peperone. Lo so perché le mie guance bruciano, mentre il resto del corpo lo sento raggelarsi.  Com’è strano: quando ci accade qualcosa che riteniamo del tutto impossibile. Siamo sempre stati sicuri di non poterlo mai affrontare e invece, misteriosamente, siamo lì a sopportare l’incredibile e, forse, persino a passarci attraverso.



Resto ferma come una statua di sale… è già troppo quello che faccio… quel che “provo” ad offrire. Sì, provo! Perché non sono assolutamente sicura di resistere; non posso sapere fin dove ci spingeremo. Non posso garantire sulla mia reazione fisica. Adesso, anche se siamo così vicini, non provando nessun piacere, i miei sensi non sono ottenebrati, quindi il sentimento più potente che mi sovrasta è la vergogna. Una mortificazione doppia, che aumenta sino all’insopportabile, perché ho vergogna oltre che per il possibile atto, osceno di per sé, anche per la mia età. La differenza mi avrebbe fatto sprofondare, chiunque ci fosse stato, quella sera, alle mie spalle… dal garzone del salumiere al migliore amico di mio figlio. Un ragazzo addosso a un’anziana signora; questo era! L’innegabile, squallida realtà.

Potrei essere una bella signora per un coetaneo; posso piacere ancora a mio marito, ma se giaccio con un trentenne già questa, questa sola, è una depravazione. Però, dietro di me non c’è un ragazzo qualunque: c’è mio figlio! E la cosa è assai più complicata… imperdonabile. Ha un nome, un nome che, da solo, fa venire i brividi… una parola che ho evitato di formulare nella mente per quasi vent’anni: si chiama incesto.



Avrei voluto restare immobile ma non sono riuscita a non sobbalzare; sorpresa, mentre divagavo persa in mille angosce, ho avuto uno scarto spontaneo, quando le sue mani si sono poggiate sulle mie spalle. Ora sono ferma, di nuovo.

Lui ha avvertito il mio scatto. Ha ritirato le mani come si fosse scottato, ma poi le ha poggiate di nuovo; forse più deciso, più sicuro di sé.  Piano, delicatamente, mi si china completamente addosso: le mani sulle spalle, il petto sulla schiena, il pube sulle grosse chiappe. Non ho sentito la sua virilità e ne sono felice. Un pensiero cretino mi attraversa il cervello, quasi sorrido… certo d’imbarazzo. È mio figlio, lo conosco bene, e so perfettamente che se il suo membro fosse duro lo sentirei, lo sentirei molto bene, visto che ha “un’attrezzatura” notevole; qualche volta persino oggetto di scherno, in famiglia. Il suo pene non mi faceva certo impressione: nonostante sia adulto, all’occorrenza, lo avrei guardato o toccato mille volte, senza tema, moscio o rigido che fosse… per lavarlo, per curarlo, per un’esigenza, un aiuto di qualsiasi genere. Ma pensarlo in vagina, no! Quello proprio non ce la facevo, mi sentivo svenire.  Si è appoggiato su di me, tenerissimo, fa di tutto per non pesarmi; sento il suo fiato, veloce e alterato, dietro l’orecchio… Ho lavato anche i capelli. Ho fatto bene!  Passano i minuti. Per fortuna non mi parla, non sarei in grado di rispondere.  Adesso si alza, mi resta pressato solo sul sedere. Con le mani inizia a massaggiarmi la schiena. Mi piace tanto e mi aiuta a distendermi: “Ah, se tutto finisse così…” penso tra me ma non ne sono convinta. Mi stringe le spalle con le dita e le manipola, poi scende, piano ma deciso, lungo i fianchi e i reni. Come sto bene. Continua scendere e salire, poi stringe le mani verso la spina dorsale. Dio solo sa quanto è gradevole, per la mia povera schiena, di madre che lavora sempre.  È tutto solo piacere intenso, potrebbe persino restare innocente. Il suo pene ancora non lo sento. “Buon segno”, mi dico “forse sfuggiamo a questo tremendo destino.”  D’improvviso lo sento più deciso, si intuisce che ha preso coraggio, ora le sue mani s’infilano sotto la blusa. Le mie sensazioni cambiano quando torna a massaggiare il centro della schiena, ci passa il pollice, preme, e io mi

scaldo

. Al secondo passaggio, inesorabile, lungo tutta la schiena, m’inarco come una gatta, indipendentemente dalla mia volontà.  La “botta” di calore mi prende come uno schiaffo potente dietro la nuca! Succede quando, per non essere più intralciato dall’elastico, mi sgancia il reggipetto: la molla scatta, i seni precipitano, molli e osceni. Non è più un gioco. Le tempie mi bruciano. Lui riprende a manipolarmi con i suoi massaggi… ma non è come prima: non sono lievi carezze, per quanto tenere e piacevoli.



Non poteva essere altrimenti… lui va avanti e io immobile, calda, non so più a cosa aggrapparmi per resistere; anche se gli rimango sotto non vorrei provare niente se non amore. Ma lui, si abbassa di nuovo su di me e mi abbraccia, ma l’abbraccio gli permette di prendersi in mano i miei grossi seni e di martoriarli dolcemente, con bramosia. È evidente che sta soddisfacendo un vecchio desiderio, perchè è smanioso, incontenibile: gioca con i capezzoli grossi, che, mio malgrado, gli si inturgidiscono tra le dita, riempiendolo di foia.(*)



Gli piace da morire. Lo sento, mi stringe: è pazzo di me; è reso folle da quello che sta accadendo… adesso è solo un maschio e mi vuole a tutti i costi.

“Chissà se gli piaccio, come donna…?” un pensiero sciocco dettato dai miei sensi, anch’essi alterati.  Più il tempo passa, più ci avviciniamo al peccato, lo so, ne sono certa e senza ipocrisia. Andremo oltre: lui non ritornerà sui suoi passi, io non saprò fermarlo, né fermarmi. Eppure, forse, potrebbe anche terminare adesso!  La sorte: una telefonata provvidenziale; la vicina che bussa per qualche motivo… qualsiasi cosa. Un’interruzione, un segno, persino una sveglia che suona nel momento sbagliato. Probabilmente ci fermerebbe, ci lascerebbe tornare a vivere le nostre esistenze, con un piccolo segreto, l’accenno di un peccato; con l’alibi dell’indecisione e, segretamente, col rimorso di quello che era stato e di quello che avrebbe potuto essere… Ma il fato non interviene, e lui, mi mette la mano dietro le cosce.  Si è accovacciato dietro di me, dietro il sedere, ha poggiato il palmo sul retro delle mie ginocchia. Tengo le gambe unite, strette, come se quest’ultimo baluardo di decenza potesse salvarci. Lui è li dietro per un motivo; la mia gonna nera è stretta ma scivola lentamente sulla seta delle calze, poi sorpassa l’orlo delle autoreggenti, ma lui continua a guidare l’indumento verso l’alto. La gonna diventa una fascia, poi quasi un nastro, un pezzo di stoffa inutile. Sono nuda, difesa solo dalle mutande elastiche nere, con mio figlio talmente vicino al mio sedere e alla mia intimità, da poterne aspirare l’odore segreto: sono perduta! Siamo perduti.  Tutto è cambiato. In lui rimangono tracce della sua dolcezza e del suo amore, ma da come mi tocca e da come mi pressa, adesso sento il maschio. Ha voglia, ne ha tanta. Mi affonda col naso, col viso tra le natiche e preme, come volesse mangiarmi, più che baciarmi. Continua a strusciarsi con forza sulle mutande, gira il volto a destra e a sinistra, forse desidera invischiarsi del profumo segreto di sua madre.  «Basta… basta, ti prego…» riesco a profferire con un fil di voce, ma tremo. Provo a oppormi ma non a lui… a me, perchè, finalmente, mi sto bagnando. Non immaginavo che quel segnale impudico sarebbe arrivato, in questo frangente, e non immaginavo di sentirmi morire al solo pensiero che lui se ne sarebbe accorto, di sicuro. Prego con tutta me stessa che non mi tocchi lì, con le dita. Invece, si rimette in piedi e, con calma, come se si godesse tutta la scena, mi cala le mutande.  Che vergogna, che follia! Al solo pensiero che stia osservando il mio grosso culo, certo non più quello di una ventenne: esposto, chiaro, mi sento venir meno. La mia carne e soda ma non come una volta… mi sento male. Lui lo tocca, mi tocca tutta. Fa piano, piano, quasi temesse di farmi male, però… fa!  Mi scorre col palmo le natiche e le carezza, amorevole, ma il suo pollice insiste nel mio spacco e non si frena davanti all’orifizio dell’ano, nemmeno lo evita. E poi di nuovo: su e giù, allargandomi. E poi… l’inevitabile: le dita dell’altra sua mano, favorite dalla divaricazione che già sta attuando, si poggiano sulle grandi labbra pronunciate, mi scavano tra i peli, controllano l’umore e, infine, mi spaccano e affogano nel mio liquido di femmina matura. La figa è larga, ne mette due insieme, di dita; scava e tira verso l’alto, agganciandomi la cavità più intima. Mi sbrodolo come una scolaretta; credo di non avere più sangue nel corpo, me lo sento tutto in testa, e le tempie pulsano per la pressione.  Non vorrei, non lo vorrei assolutamente, e invece provo piacere.  Comincio a essere stanca e scomoda, non sono a mio agio ma lui, lo so, non ha finito con me, anzi. Lo sento chinarsi di nuovo; ho i brividi, non posso pensare che, inevitabile, potrebbe arrivare in contatto. Il contatto della penetrazione! Orribile, contro natura… un figlio, di lì, deve uscire, ma per non rientrarci mai più.  Quando mai potrò più andare in una chiesa? A chi potrò affidare la mia confessione? No, non accadrà mai, non sarei mai capace di trovare le parole per raccontare tutto questo.

 



Ma lui non mi penetra. Si è spinto in avanti per cercare la mia mano; la prende, la tira delicatamente verso sé. Compie quei gesti come facessero parte di un rituale; non posso saperlo, ma mi convinco che sta riproducendo, sul mio corpo, tutti quei sogni che lo hanno reso pazzo di me, di sua madre, che poi ci hanno portato a questo inenarrabile atto di amore, ma nero, nero come la pece. La mia mano tesa riceve nel palmo il pene e la sacca con le sue palle. Una meravigliosa, morbida massa calda, lievemente umidiccia; distinguo perfettamente il suo

coso,

 una specie di spesso serpente, lo stesso che, da piccolo, gli lavavo tutti i giorni, spesso prendendolo in giro. Adesso non è rigido come avrei creduto ma, pur se morbido, è spesso, e lungo. Lui l’ha sempre avuto bello grande!  A tenere il pene in mano e a sentirmi frugare in figa, mi perdo definitivamente… non sono fatta di legno! La menopausa è passata da un pezzo, sono oltre sette anni che ho ripreso il controllo definitivo della mia femminilità.  Adesso grondo dalle grandi labbra, lui continua a ispezionarmi dentro e sento che l’amore lascia il posto alla lussuria, infatti va avanti e indietro, in fretta, poi piano; poi esce e mi preme il clitoride, per stuzzicarmi: vuol farmi venire. Il cazzo gli diventa enorme e durissimo, lo stringo tra le dita, vibrando per le potenti emozioni.  Arretra… ma ancora non mi prende. Vuol farmi venire, e ci riesce in poco tempo, perché mi sorprende, cogliendomi impreparata: si abbassa, come se sapesse cosa mi rende folle di piacere. Affonda il suo viso nella mia “natura”, si bagna di me. S’imbratta la bocca e lo sento sguazzare felice, dietro il sedere, si muove in fretta con tutto il viso, ma con le labbra e la lingua mi marca come un forsennato. Succhia forte le piccole labbra e il clito, è questione di un attimo, poi perdo ancora il controllo e cado nell’orgasmo. Cedo, divarico le cosce, lascio che la mutandina raggiunga il pavimento e la allontano con il piede. Sono aperta: gli vengo sulla lingua, che non si ferma più. Con uno sforzo inaudito, faccio del mio meglio per non farmi sentir mugolare; mi mordo le labbra a sangue… ma intanto tremo tutta. Lui è grande, lo sa che sto venendo. Pazza di piacere, vorrei morire.  Non ci fermeremo più…  Come faccio a dire che non voglio che accada? L’atmosfera, nella mia cucina, si distende un poco; mi da il tempo di riprendermi. Posso mai fermare tutto adesso? Che differenza fa, ormai? E’ successo quello che non doveva mai succedere. Credevo di sacrificarmi per il suo piacere, invece sono io, soltanto io, colpevole, adesso.  Forse a quarant’anni, forse con il marito lontano; una donna nel pieno del vigore, forse si poteva tentare di giustificare… non una “vecchia” come me. Non ho giustificazioni, Adesso che sono appagata, comprendo la situazione con estrema lucidità… ma lui mi impedisce di pensare ancora.  Non posso trattenere un piccolo grido. Senza preavviso mio figlio approfitta di quanto sono lubrificata dagli umori, per infilarmi col cazzo, di botto. Mi ferma l’aria nei polmoni! Sono tutta piena di lui, e com’è grosso… mi ha divaricata di brutto. Altro che pensare con lucidità… io mi sento svenire dalla lussuria.  Dopo lo smarrimento di entrambi, nel sentirci uniti da quel tubo di carne, lui inizia a scopare e io mi pongo a favore delle sue penetrazioni continue. Mi tasto con la mano di sotto, apro le dita sulla vagina e identifico il palo bagnato che mi affonda dentro l’anima. Perdo di nuovo il controllo, incapace di frenarmi, mi masturbo il clitoride: è un gesto spontaneo… a che servirebbe ormai tenersi o lasciarsi andare? È tutto finito, è tutto accaduto. Mio figlio sta scopando sua madre, probabilmente dopo averlo sognato per anni.



Scopa a lungo senza fermarsi; non mi interessa più niente, e vengo ancora, aiutandomi con le dita. Stavolta non copro i miei gemiti, e lui si ferma dentro per consentirmi un piacere maggiore.

Dopo, mi rendo conto che quella posizione mi sta veramente uccidendo… non so cosa fare per fargli capire che non voglio dargli fretta, ma che sono stanca. Un suo gesto inatteso, mi fa allertare tutti i nervi. Mi decido ad agire, proprio a causa di quello. Infatti, visto che il suo pene non da segni di cedere, lui mi è uscito dalla vagina e, dopo una serie di carezze fin troppo umide, mi allarga con le dita e col glande mi punta l’ano, e preme.



«No, questo no!» dico decisa e lo fermo, bloccandolo con la mano sulla pancia. Mi alzo dal tavolo e quasi incespico per la stanchezza, dovuta alla posizione. Sono nuda, indosso solo le scarpe e le calze. Giovane o vecchia, sono una femmina e so di essere eccitante davvero, nella penombra. Non fa niente, ormai, abbiamo valicato ogni limite della reciproca confidenza.

Lo prendo per mano e lo porto con me, lui mi segue docile nella camera da letto. Gli tolgo i pantaloni e lo faccio stendere al posto di suo padre. Il cazzo è sempre in tiro, il glande scoperto e liscio come seta. Mi pongo sul letto al suo fianco; decisi a dargli una gioia speciale, gli scendo sulla pancia e m’inghiotto il cazzo. Lo tengo ben fermo con la sinistra, e gli faccio provare cosa sono capace di fare, come donna. Lui mugola per il piacere, finalmente anch’egli perde il controllo: adesso tocca a me prendermi cura del mio ragazzo. So cosa fare e glielo faccio bene! Farlo con la bocca è una delle cose più eccitanti e mio marito non si può lamentare, non so quante volte l’ho spompinato nella nostra vita.  Glielo succhio per alcuni minuti e quando capisco che si avvicina al godimento, mi fermo e mi volto su un fianco, lasciandomi il mio ragazzo alle spalle. Con tranquillità e senza affannarsi, in quella posizione comoda, lui si accoccola dietro di me, e aiutandosi con le mani, mi cerca l’anfratto. Per aiutarlo, con l’avambraccio mi tengo su la coscia, così sono tutta aperta.  Chiedo perdono al mondo… ma è meraviglioso!  Mi si abbarbica addosso, mi tiene i seni, si stringe a me e fotte, piano e profondamente. Ancora pochi colpi e viene dentro, eiaculando a fiotti; pazzo di piacere, vibrando e pronunciando parole sconnesse.  Scaricare il suo seme non basta ad abbassargli l’erezione: il cazzo sguazza in tutto quel liquido, il rumore acquoso e lubrico mi attanaglia.



Sono colpevole, lo so, ma mentre lui ancora non si decide a fermarsi, gli vengo per l’ennesima volta sul cazzo.



(*) - Foia = Bramosia sessuale.





Intrighi

Per chi crede che milf e cuckold siano concetti nati ieri...





“L’uomo è più fedele all'altrui segreto che al proprio:







la donna invece custodisce meglio il proprio segreto che quello degli altri.”





Jean de La Bruyère





I primi calori



Anni Settanta, il giovane Mario nei sobborghi di Pisa, città neanche troppo grande.



La nostra palazzina era un po’ isolata, un grande cortile (forse una vecchia fabbrica) la separava dalle ultime case di periferia. Un posto tranquillo, magari un po’ monotono per un adolescente ma per me andava bene. Ero un tipo introverso, mi piaceva leggere fumetti e mi trovavo meglio con gli adulti che con i ragazzi della mia età, sempre a scalciare dietro un pallone.



Abitavamo al piano terra, poi c’era l’appartamento di una donna anziana che stava sempre dalle figlie e, sopra, la signora Elena, sposata, senza figli. Elena era ancora giovane ma, naturalmente, a me sembrava già “anziana”, per non parlare del marito, poi, che aveva una decina d’anni più di lei e quindi era addirittura più vecchio che mio padre.



Quando lei veniva a passare il pomeriggio da mia madre, che faceva la sarta, non potevo comunque fare a meno di cercare la posizione più idonea per spiare gli stralci del suo corpo burroso che traboccavano dai suoi camici attillati. Era abbondante e prorompente, di altezza media con le cosce piene, dalla bella carne rosea. I seni, molto grossi, erano sempre pressati da un reggipetto nero, le cui bretelle sbucavano dagli abiti in ogni sua mise.



Con un libro o un giornaletto in mano, mi mettevo comodo, spesso per terra su un cuscino, e la spiavo per ore. Mi piaceva molto guardarla d’inverno, perché sotto la veste portava le calze. A volte nere, altre, colore del bronzo. Se ero fortunato, negli attimi in cui spalancava le gambe, vedevo il bordo della calza, le cosce chiarissime e la virgola arrapante delle mutande nere. Sempre, appena lei andava via, correvo nel bagno per farmelo in mano con una certa urgenza.



Poi, un’estate, la signora Elena si fratturò il malleolo e, tra ingessatura e convalescenza, rimase a casa per quasi tre mesi. Qualche volta salii a trovarla con mia madre. Ma erano visite brevi perché il lavoro che mia madre faceva non le permetteva di assentarsi a lungo. La signora, cui ero simpatico, disse che, se non mi seccava, potevo andare a trovarla il pomeriggio e magari aiutarla, se le fosse capitato di aver bisogno di qualcosa. Accettai di buon grado e non me ne pentii: oltre a trovare un diversivo piacevole alla monotona estate, a casa di Elena ero trattato come un principe. Mi faceva trovare sempre qualcosa di buono per merenda, potevo leggere ciò che volevo o guardare la tv, a mio piacimento. Ma la cosa che preferivo era aiutarla e stare con lei.



* * *



Faceva caldo ed Elena indossava sempre cosette molto leggere. Spesso apriva del tutto quei camici fiorati e poi si scherniva dicendo che potevo essere suo nipote e che con me non provava soggezione. Invece io provavo un miscuglio di emozioni e la spiavo sperando di non essere notato: infatti, non mi ha mai sgridato.



Una volta la aiutai a raggiungere il bagno ma, quando entrò, Elena non chiuse la porta: “Abbi pazienza, Mario, ma mi gira tanto la testa. Lascio la porta accostata... dovessi sentirmi male”.



Invece la lasciò spalancata ed io rimasi talmente sconvolto dalla facilità con cui fece scendere le mutande nere, mostrandomi il sedere bianco da matrona, che non riuscii a fingere di non guardare. Lei mi vide e, mentre orinava con suono scrosciante, deliziosamente mi sorrise.



La mia libertà di movimento aumentava sempre più a casa di Elena. Quando il mio pisello si gonfiava troppo nei pantaloni leggeri, chiedevo di andare in bagno con una scusa e, con le immagini di lei, scoperta, stampate negli occhi, mi masturbavo incessantemente, anche due volte nello stesso pomeriggio.



Un giorno mi chiese se potevo passarle sulle gambe una crema medicinale. Aveva una camicetta già sbottonata sul reggiseno nero e una gonna leggera che sollevò davanti a me. Anche i suoi slip erano neri, come il solito, ed io sentivo la terra venirmi meno sotto i piedi: potevo toccarla ma ero terrorizzato. Avevo paura capisse che le mie carezze nascondevano il mio infinito desiderio. Ero soltanto un ragazzo! Spalmare quel prodotto scivoloso sulle sue cosce depilate, arrendevoli, era una specie di biglietto per il paradiso.



Mi fermò un attimo la mano e chiese, innocente: “Mario, siamo sicuri che la porta sia chiusa?”.



Mi mandò a controllare e quella complicità così intima mi fece bruciare le tempie, tornando sui miei passi mi girava la testa, come se fossi ubriaco.



Quando rientrai in camera, si stava abbassando anche le mutande e, per la prima volta nella mia vita, mi trovai a pochi centimetri dal suo cespuglio nero. Avevo intravisto già una figa ma mai così da vicino.

 



“Non ti scandalizzare, lo so che sei un bravo ragazzo. Vedi, così puoi muovere meglio le dita: mi farà bene”.



A furia di salire tra le cosce e di scivolare con le dita, le entrai dentro con l’indice un paio di volte. Controllai il suo viso, aveva

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