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La crociera della Tuonante

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10. Sulle scogliere

Non era certamente quello il momento di dormire coll’uragano che s’avanzava minaccioso, sconvolgendo l’oceano, che da tanti giorni non era più tranquillo. I lampi si succedevano ai lampi, quasi senza interruzione, mentre l’acqua scrosciava con grande impeto. Pareva che le cateratte del cielo si fossero aperte tutte come nei terribili giorni del Diluvio Universale.



Mentre Testa di Pietra guidava la baleniera e Piccolo Flocco stava attento alla randa, pronto a ridurla con una o due mani di terzaruoli o di lasciarla cadere di colpo in caso di pericolo, l’assiano, avendo scoperto sotto la prora un mastello di grossa tela, si era messo a vuotar l’acqua che s’accumulava sotto i banchi.



Le onde frattanto correvano sempre all’assalto, muggendo e urlando, come se fossero impazienti di inghiottire anche quella piccola preda. I lampi davano loro delle tinte strane: ora livide ed ora color del fuoco intenso. Sopra di loro il vento di levante sibilava rabbiosamente, facendo un ottimo accompagnamento ai fulmini ed a tutti gli altri spaventevoli fragori. Tuttavia la baleniera, malgrado le sue piccole dimensioni (era lunga appena cinque metri) teneva testa alla bufera, balzando e rimbalzando, fra quel caos di montagne d’acqua, meglio di una palla di gomma su un selciato. Scartava peraltro terribilmente, e subiva tali scossoni, da scombussolare di nuovo lo stomaco del povero Assiano.



Pareva in certi momenti che dovesse scomparire d’un tratto in qualche profonda voragine; ma Testa di Pietra e Piccolo Flocco non si lasciavano sorprendere da quei poderosi colpi di mare, e con leste manovre evitavano l’attacco.



Tutta la notte i tre valorosi battagliarono disperatamente, risoluti di non lasciarsi inghiottire: poi, verso le quattro del mattino, un frastuono orrendo colpì i loro orecchi.



«Che cos’è, Testa di Pietra?» chiese Piccolo Flocco.



«Corriamo verso delle scogliere!» rispose il mastro, alzandosi precipitosamente senza abbandonare la barra.



«Quali?»



«Scogli dinanzi a noi a meno di una gomena forse!»



«Che devo fare?» chiese il giovane gabbiere con ansia.



«Cala la vela. Ci fracasseremo tutti, o ci salveremo tutti. Appena avvenuto l’urto, fuggite e non lasciatevi prendere dalle onde che corrono all’assalto dell’ostacolo.»



La vela fu subito calata, ma il vento soffiava così forte, che la scialuppa filava egualmente, come se avesse della tela ancora spiegata.



Il mastro teneva la barra con mano di ferro, e cercava di dirigersi verso un punto che fosse meno battuto dalle tremende ondate dell’Atlantico.



Cominciava ad albeggiare, ed una luce grigiastra, incerta, smorta, si diffondeva lentamente fra i neri nuvoloni ancora gravidi di pioggia e di vento. La scogliera era visibile, ma non si trattava veramente di scogliera, bensì d’un gruppo di terre basse, quasi a fior d’acqua, e di rocce disposte in forma di pettini.



«Badate!» disse Testa di Pietra, la cui voce, forse per la prima volta, tremava.



Le onde si seguivano con ruggiti sempre più spaventevoli. Si scagliavano contro l’ostacolo, cercando di spezzarlo, poi retrocedevano, ma, pressate dal vento, tornavano all’assalto.



La piccola baleniera non ubbidiva più al timone, non avendo più la randa spiegata. Balzava con scatti spaventosi sulle creste, affondava, rimontava, sbattuta da tutte le parti. Era un guscio di noce in balia d’una specie di vortice.



«Testa di Pietra!» gridò il giovane gabbiere, aggrappandosi all’albero.



«Patre!» gridò l’Assiano fra un urto e l’altro del suo povero stomaco martoriato. «Io sfere paura. Questa non essere guerra.»



«Coraggio, ragazzi!» rispose il Bretone dopo d’aver mandato un lungo sospiro. «Ci siamo!… Ecco la gran prova!»



Erano ormai sopra le scogliere. La baleniera fece un ultimo e più spaventoso balzo; poi fra i ruggiti delle onde si udirono prima un crac, come se qualche cosa si fosse spezzata, poi tre grida umane che il vento portò sulle ali, lontano, lontano.



Trascorsero alcuni minuti. Solamente l’oceano faceva udire la sua possente voce, battendo infuriato contro le scogliere e le isolette sabbiose che si opponevano alla corsa sfrenata delle sue mostruose ondate. Dei grandi uccelli marini: albatros,

rompitori d’ossa

 e fregate svolazzavano in compagnia di battaglioni di rincopi che il vento travolgeva sopra il luogo ove i tre fuggiaschi erano naufragati. Perlustravano le scogliere, i primi ed i secondi specialmente, colla speranza di fare un lauto banchetto.



Ad un tratto un grande albatros, quasi interamente bianco, e le cui ali non misuravano meno di tre metri e mezzo da una estremità all’altra, dopo aver descritto sopra le scogliere parecchi giri, grugnendo come un maiale, si lasciò cadere quasi a piombo e scomparve fra due rocce.



«Ah, canaglia! Anche tu!… Ma non sono ancora morto! Piglia, corpo d’un campanile!» si udì gridare.



Il volatile aveva cercato d’innalzarsi sbattendo disperatamente le ampie ali, ma dopo una breve lotta ricadde, mandando un ultimo grugnito.



Il coltello di Testa di Pietra lo aveva decapitato.



Come mai quell’uomo straordinario non era stato sfracellato? Bisogna sapere che tra gli squarci di quelle rocce si trovavano ammonticchiati dei veri letti di alghe, o, meglio, di quei fuchi che i marinai chiamano vesciche e che le onde trasportano in gran numero. Ebbene, Testa di Pietra, dopo un gran volo, era andato a cadere, per una fortuna singolare, su uno di quei letti. Né vi era da stupirsi, perché il bravo Bretone era nato sotto buona stella e poteva quindi contare sulla fortuna.



Ma il capitombolo era stato tutt’altro che dolce, tanto è vero che il vecchio marinaio, il quale vantava membra e costole d’acciaio, senza contare la famosa testa, dura come la pietra, in seguito all’urto, svenne come una femminuccia qualunque. Chi sa quanto sarebbe rimasto tramortito, se l’albatros, che l’aveva creduto morto, non fosse andato a svegliarlo con un poderoso colpo di becco! Quegli uccellacci riescono talvolta a spaccare il cranio ai nuotatori; ma Testa di Pietra non se ne risentì affatto. Anzi, estratto rapidamente il coltello di manovra, che aveva ancora infilato nella cintura (una lama che stava fra il

machete

 messicano e la

navaja

 andalusa) lo aveva ucciso.



«Corpo di tutti i campanili!» esclamò poi stropicciandosi energicamente i fianchi, «che volata!… E gli altri? Che siano stati sfracellati sul colpo? Povero Piccolo Flocco! Povero

pirra pirra!

 Orsù, Testa di Pietra, raduna tutte le forze dei Bretoni di Batz e và a cercarli.»



Si era alzato facendo scoppiare delle vesciche che gli avevano servito di letto, e con non poca meraviglia s’accorse che la sua macchina funzionava ancora.



«Ci vorrebbe un po’ d’olio,» disse. «A ciò penseremo più tardi.»



Smosse il letto, schiacciando centinaia e centinaia di fisalie, appartenenti all’ordine dei molluschi privi di testa, e si guardò intorno. La scogliera, contro la quale doveva essersi spaccata la baleniera, si prolungava per qualche miglio, interrotta di quando in quando da banchi di sabbia che l’oceano sconvolgeva spaventosamente.



«Non vedo che onde e uccelli marini,» disse, movendo attraverso le rocce. «Che siano morti? Piccolo Flocco non è di Batz, ma è sempre un Bretone, e anche il Tedesco deve avere le ossa dure: cerchiamoli.»



Un raggio di sole si era proiettato sulla scogliera, aprendosi per qualche istante il varco fra uno squarcio delle nubi sempre gravide di bufera, sicché le ricerche non potevano riuscire difficili.



Se l’oceano non aveva riportati via i suoi due compagni, in qualche luogo avrebbe dovuto trovare i loro cadaveri.



Cautamente, poiché le onde certe volte giungevano perforo a bagnare i letti delle vesciche di mare, Testa di Pietra si avanzò. La scogliera pareva fosse stata divisa in due verso le cime più alte, dove si aprivano dei passaggi, simili a corridoi, ingombri di fuchi e di guano.



«Si direbbero batterie coperte,» disse Testa di Pietra, che non poteva starsene zitto anche nell’angoscia.



Ad un tratto si arrestò, mandando un grido altissimo.



Venti passi più innanzi aveva scorta la baleniera, cacciata dentro due rocce e coi fianchi fracassati.



«Devono essere là dentro!» esclamò. «A un colpo tale non possono aver resistito!»



Affrettò il passo, e dopo aver corso venti volte il pericolo di farsi portar via dalle onde, che si rovesciavano sulle rocce, poté avvicinarsi alla scialuppa.



L’oceano l’aveva scaraventata di sopra alla prima fila di scogli, poi l’aveva lasciata cadere bruscamente sulla seconda, formata di punte aguzze. E lì era rimasta confitta, colla chiglia fracassata, senza timone. Nemmeno se fosse stata di ferro, avrebbe potuto resistere a quell’urto.



Il Bretone guardò ansiosamente dentro e non vide né Piccolo Flocco né l’Assiano.



I viveri e le armi, per un caso straordinario, ma spiegabilissimo, perché si trovavano queste e quelli sotto i banchi, non erano stati scaraventati fuori dal tremendo contraccolpo.



«Che il mare mi abbia rubato Piccolo Flocco?» urlò, tendendo il pugno verso l’oceano che tumultuava sempre con un frastuono infernale. «Non era un Tedesco, quello, sangue d’un tricheco! era un Bretone al pari di me. Ma no, è impossibile che siano morti. Come mi sono salvato io, il caso o la fortuna può aver risparmiato anche loro. Avanti, avanti, poltrone di Testa di Pietra! Finché hai forza, cerca e ricerca.»



Prese un archibugio e una scure e tornò indietro esplorando attentamente i letti delle vesciche marine. Ve n’erano dappertutto fra roccia e roccia e molto soffici. Aveva già visitati cinque o sei depositi, quando vide un

rompitore d’ossa

 calare fulmineo fra due rocce col largo becco spalancato. I

quebranta huesos,

 come vengono anche chiamati quei formidabili pescatori, veri distruttori di dorate, di pesci-volanti e di polipi, sono delle procellarie giganti, grosse quanto un albatros, quantunque di minor forza. Non pesano più di dieci chilogrammi, perché hanno un gran volume di penne; ma sono sempre da temersi per la loro avidità bestiale e per l’impetuosità dell’attacco. Non temono l’uomo, e al pari degli albatros, quando scorgono dei naufraghi, li attaccano con gran furore.

 



Testa di Pietra conosceva da lunga pezza quei brutti uccellacci dalle penne brune, ed armò risolutamente l’archibugio, quantunque fosse ben poco sicuro del colpo.



«Là vi è un camerata!» gridò. «Dove sono dei morti, quelle canaglie accorrono sempre.»



Puntò e fece fuoco.



La detonazione si confuse coi muggiti del mare. Il

rompitore d’ossa,

 colpito in pieno, si lasciò portar via da una violentissima raffica, precipitando poscia in mezzo alle onde.



Il Bretone si avanzò quasi correndo, non badando alle punte delle rocce, dure come l’acciaio, che gli sfondavano gli stivali; e dopo avere fatti quindici o venti passi, si precipitò su un letto di vesciche di mare, assai spesso, racchiuso in una specie di nicchia, abbastanza larga per contenere parecchie persone.



Un corpo umano giaceva in mezzo ai fuchi.



«Hulbrik!» esclamò il Bretone. «E Piccolo Flocco?… Pensiamo per ora a questo.»



Tornò rapidamente verso la scialuppa, prese una bottiglia, scampata miracolosamente al disastro, la quale conteneva del

gin

 o del ginepro, e tornò subito verso il povero Tedesco, che pareva mezzo fracassato.



«Ohé, mastro

pirra pirra

!» gridò.



Udendo quella voce ben nota, l’Assiano aprì prima un’occhio, poi un altro e disse:



«Ah!… Patre!… Io stare molto male!»



«Rotta la colonna vertebrale?»



«Non mi parere.»



«Allora non muori. Hai veduto Piccolo Flocco?»



Una risata rispose a quella domanda. Il giovane gabbiere, sempre lesto come uno scoiattolo, si era alzato su un letto di fuchi, stropicciandosi vigorosamente i fianchi.



«Nulla di rotto, ragazzo?» gli chiese il mastro.



«Non sai che i Bretoni del Pouliguen sono elastici come i pesci?» rispose Piccolo Flocco.



«I Bretoni non cadono che sotto i colpi di cannone.»



«E la scialuppa?»



«Sventrata.»



«Allora siamo prigionieri?»



«Per ora sì.»



«E come vivremo?»



«Non inquietarti così presto. Come vedi, sono armato, e nella scialuppa si trova un altro archibugio; poi abbiamo nella dispensa un albatros che ho decapitato or ora. Sarà duro come un mulo dei Pirenei; ma quando la fame batte, tutto si manda giù e tutto si trova appetitoso. Potete camminare?»



Hulbrik e Piccolo Flocco si guardarono, poi radunate le loro forze, seguirono il mastro zoppicando più o meno.



In cinque o sei minuti si trovarono là dove la baleniera era naufragata. Fecero rapidamente l’inventario di quello che ancora conteneva, e furono soprattutto lieti nel ritrovare un barilotto contenente cinque o sei litri d’acqua puzzolente, il quale chi sa per quale miracolo aveva resistito all’urto.



«Vi faccio una proposta,» disse Testa di Pietra, «mangiamo.»



11. La nave misteriosa

Era d’altronde l’unica cosa da farsi per rimettersi un pò in gambe dopo quella terribile avventura, che per poco non li aveva mandati tutti e tre in fondo all’Atlantico a nutrire i pesci.



Ricominciava a piovere, ed il mare era sempre cattivissimo intorno alla scogliera. Montagne d’acqua si precipitavano, le une dietro alle altre, altissime, urtando poderosamente l’ostacolo e rimbalzando con mille muggiti paurosi.



Piccolo Flocco, aiutato un po’ dall’Assiano mezzo zoppicante, aveva tesa la randa accomodandola alla meglio sui remi, tanto per mettersi un po’ al coperto, mentre faceva man bassa sulle provviste, credendo di trovare forse dei prosciutti o per lo meno dei salsicciotti. Ma non vi era che un po’ di merluzzo secco e bacato, duro quanto una suola. Wolf non aveva peraltro dimenticato di aggiungervi dei biscotti in non migliori condizioni, e qualche litro di vino, che si poteva chiamare aceto.



«Che miserie!» brontolò il bravo Bretone, il quale si era già accomodato sotto la tenda improvvisata in un soffice letto di fuchi. «Non potevamo andare molto lontano con queste provvigioni. È bensì vero, a quanto ho udito e anche veduto, che sulla fregata si cominciava a soffrire la fame… Tò! E il mio uccellaccio? Avremo una quindicina di chilogrammi di carne.»



Lasciò che i suoi due compagni terminassero di preparare l’accampamento, e passando di roccia in roccia, andò a raccogliere il suo albatros, grande per mole, ma tutto piume.



«Questo mettilo in dispensa, Piccolo Flocco,» disse scaraventandolo ai piedi del giovane gabbiere. «La sua carnaccia frollandosi, diverrà migliore, o almeno un pò meno dura. Camerati a tavola! »



Si cacciarono sotto la tenda, e al rumoreggiare formidabile delle onde, che pareva dovessero schiantare la scogliera dalle fondamenta, si misero, non a mangiare, ma a rosicchiare. Fortunatamente avevano tutti dei denti solidissimi, sicché merluzzo e biscotto, sgretolati bene, passarono nei loro robusti corpi.



«Bel tempo per andare alla pesca dei gronghi o dei calamari!» disse Testa di Pietra, il quale affondato nei fuchi ascoltava quasi con piacere il crepitio della pioggia sulla tenda improvvisata. «Che non voglia finir più questa musica! Sono settimane e settimane che l’Atlantico è rabbioso. Piccolo Flocco, porta da bere: svelto!»



Il bravo ragazzo, quantunque fosse tutto ammaccato e non volesse confessarlo, fu pronto a ubbidire. Testa di Pietra aveva già estratto il coltello di manovra per decapitar la bottiglia, non possedendo un cavatappi, quando un grido gli sfuggì:



«Bouzy!»



«Fino scorpionato?» chiese l’Assiano, che si rammentava non senza disgusto delle bottiglie di mastro Taverna.



Il mastro lo guardò di traverso, prese la bottiglia, chiusa da una capsula di stagno dorato, e dopo averla guardata parecchie volte, e fattala girare e rigirare fra le mani, gridò novamente:



«Bouzy! proprio Bouzy! corpo d’una pipa rotta! So ancora leggere un poco lo stampato, perché il curato di Batz mi piantò qualche cosa nel cervello.»



Piccolo Flocco si mise a urlare a sua volta, come se comandasse una manovra:



«Bouzy! Bouzy! Sotto!»



Testa di Pietra lo guardò quasi con disprezzo, poi disse:



«Tu gridi come un’oca, senza sapere cosa contiene questa bottiglia andata a finire, chi sa come, nella dispensa di quella fregata inglese. Il sole di Londra non ha mai maturato i grappoli dello

champagne.

»



«Champagne

 hai detto? Io credo che tu t’inganni.»



«È proprio

champagne

 nero di Bouzy.»



«Bouzy! Bouzy!» borbottò il giovane gabbiere. «Era un generale o un ammiraglio quel signor Bouzy?



«Tuo padre non ti ha mai fatto assaggiare il nostro più famoso vino? Lo

champagne

 nero di Bouzy è un nettare, caro mio, e costa un occhio.»



«Che prima di darti al mare hai fatto il negoziante di vini?»



«Mio nonno…»



«Oh, ci siamo!»,



«…quando la pesca più non rendeva, andava a lavorare nei vigneti di Reims, e delle bottiglie ne portava parecchie a casa! E come saltavano!…»



«Decapita!»



«E i bicchieri?… È vino che mussa e scappa.»



Il mastro si tolse il berretto per esser pronto a impedire con quello che il vino scappasse via; poi, con un colpo secco di coltello, fece saltare il collo della bottiglia.



Il liquido generoso, maturato sopra gli strati cretosi della Marna, spumeggiò subito tentando di fuggire, ma il mastro fu pronto a impedirlo col berretto.



«L’odi grillare, Piccolo Flocco? Che musica eh? Quante volte mio nonno me la faceva sonare agli orecchi.»



«Scorpioni!» esclamò l’Assiano.



«Sì, succo di scorpioni divini!» rispose il mastro.



Levò il berretto, e a rischio di ferirsi la bocca, si mise a sorbire con tale avidità, che i suoi due compagni per un momento temettero non ne rimanesse per loro nemmeno un sorso.



«È proprio

champagne

?» domandò Piccolo Flocco.



«Come quello che mi portava mio nonno: vero Bouzy.»



«Lasciane una goccia anche per noi! Abbiamo il merluzzo nello stomaco, che non si decide né a salire, né a scendere.»



«È giusto!» rispose il mastro. «Sono un vero egoista. A voi, camerati, succhiate tutto quello che rimane.»



«Io non fidarmi,» disse Hulbrik, con un gesto di repulsione; ché il pover’uomo si rammentava sempre delle famose bottiglie scorpionate di mastro Taverna.



«Grazie, camerata: tu sei un bravo figliuolo,» disse quella birba di Piccolo Flocco; e vuotò in fretta la bottiglia, per paura che Testa di Pietra volesse intervenire.



«Che ne dici di questo vino?» chiese il mastro.



«Non ne ho mai bevuto del migliore,» rispose Piccolo Flocco.



«Sfido io! queste bottiglie si pagano sul posto due bei scudi. Il bianco poi due volte e anche tre di più. Mio nonno…»



«Quello famoso della pipa?» lo interruppe il gabbiere.



Un grido sfuggì dalle labbra di Testa di Pietra. Si era scordato della storica pipa e aveva cacciato le mani nelle tasche, paventando un disastro.



E il disastro era infatti avvenuto. Il cannuccio della pipa, nell’urto si era spezzato. Il mastro si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e mormorò con voce commossa:



«Vi ho fumato trent’anni! Mio nonno e mio padre l’hanno pure usata, consumando montagne di tabacco. L’ho salvata da sette naufragi, ed ora eccola rovinata per sempre.»



«T’inganni, Testa di Pietra,» disse il giovane gabbiere. «Puoi fumare egualmente.»



«Sì, ma non colla storica piva del borgo di Batz.»



«Ma sì, ma sì; carica e tira, se il tabacco è asciutto.»



«Forse hai ragione, ragazzo: può servire ancora. L’acciarino e la pietra focaia son chiusi ermeticamente in una scatola impermeabile.»



Per sua fortuna, il tabacco regalatogli da Wolf non si era bagnato; così egli caricò rabbiosamente la pipa mutilata, si cacciò sotto la tenda, affondandosi nel letto di fuchi, e si avvolse fra nubi di fumo denso.



Intanto la bufera continuava sull’Atlantico. Il cielo si era novamente ottenebrato, e grandi masse di vapore, spinte da un vento furioso, galoppavano fra lampi e tuoni. Pioveva a dirotto e le onde, rompendosi contro la scogliera, portavano fino sul piccolo accampamento delle vere cortine di acqua polverizzata; ma nessuno dei tre naufraghi n’era preoccupato, ché la scogliera era troppo solida e il letto di fuchi molto soffice. Che cosa avrebbero potuto desiderare di più, almeno per il momento? L’Atlantico poteva muggire e sfogarsi finché voleva, ma non li avrebbe spazzati via. Non si trovavano più a bordo della baleniera, bensì accampati su rocce solide, che da secoli e secoli resistevano alle furie delle tempeste.



Testa di Pietra, terminata la sua pipata, si era placidamente addormentato e russava come un contrabbasso; l’Assiano aveva creduto bene d’imitarlo, e russava come una trottola d’Alemagna. Piccolo Flocco, tanto per fare qualche cosa, strappava le piume all’albatros decapitato dal mastro, sagrando perché non volevano venir via. «Bell’arrosto!» borbottava scotendo il capo. «Tra il merluzzo secco e questo, non so quale scegliere. E poi non avremo più dello

champagne

 per digerire questo bestione, che pare enorme, ma pesa poco. E queste sono le belle cacce dei Bretoni di Batz!»



L’aveva già spiumato più di mezzo, quando i suoi sguardi si fissarono su un grosso punto nero sormontato da qualche cosa di bianco, o, meglio, di grigiastro.



«Una nave!» esclamò lasciando cadere l’uccellaccio e balzando in piedi fra una nuvolaglia di piume. «Che sia la maledetta fregata? Dio ce la mandi buona!»



In due salti piombò addosso a Testa di Pietra, il quale continuava a russare, stringendo ancora fra i denti la storica pipa mozzata.



«Su dormiglione!» gli disse. «Vuoi farti impiccare?»



«Chi parla di corda?» rispose il mastro, sbadigliando.



«Io Piccolo Flocco. La fregata sta per giungere.»



«Corpo di centomila campanili! Quel dannato lord vuole proprio la nostra pelle?… Ma sentiamo un po’ che cos’hai veduto.»



«Una nave che va alla deriva verso questa scogliera, portata dalle onde e spinta dai venti.»



«Proprio la fregata?»



«Questo non lo so; ci vorrebbe un cannocchiale.»



«Ad un buon marinaio i cannocchiali non servono quasi a niente. I miei occhi, vedi, valgono meglio di tutte le lenti che si arrotano,» lo interruppe Testa di Pietra ridendo. «E dov’è questa famosa nave che deve portare le funi per impiccarci?»



Il giovane gabbiere tese il braccio destro, indicando il punto nero. Testa di Pietra si mise prima in tasca la pipa, poi spalancò gli occhi, riparandoli con le mani bene aperte.

 



«Che sia una nave, non lo nego,» disse dopo una lunga osservazione. «Che sia una fregata lo escludo assolutamente.»



«E se tu t’ingannassi?»



«Io?… Un pescatore di Batz?…»



«Qualche volta, specialmente quando si è bevuto dello

champagne,

 si può veder male.»



«Tu morirai asino, figliuolo mio!… Che peccato!… Eppure sei un gabbiere insuperabile!»



«Grazie, camerata.»



«Eh, eh!… Tu dimentichi sempre che io sono un tuo superiore.»



«Mio nonno…»



«Ah, hai avuto anche tu un nonno?»



«Mio padre non è nato da un

urang-utang.

»



«Benissimo: i viaggi t’istruiscono a gran passi. E che cosa faceva tuo nonno dunque?»



«Vendeva i polpi cotti nelle taverne di Pouliguen. Egli mi lasciò una fiocina che io spezzai un brutto giorno per dare la caccia ad un grosso calamaro dentro una caverna sottomarina e…»



Testa di Pietra non lo ascoltava più. Fissava intensamente la nave che le onde e i venti portavano verso la scogliera.



«Ma che fregata?» esclamò ad un tratto. «È un brick-goletta, e disalberato per di più.»



«Vedi persone a bordo?»



«Nessuna, Piccolo Flocco.»



«Che il mare abbia portato via tutto l’equipaggio?»



«Chi sa?»



«Credi che venga a sfasciarsi contro questa scogliera?»



«Forse no, ma passerà vicina; ed io penso che noi dovremmo tenerci pronti ad abbordarla.»



«Bella nave che ci offri!»



«Prenditi allora la baleniera fracassata.»



«Hai ragione, Testa di Pietra: morirò un asino.»



«Sfido io! non sei di Batz. Sveglia subito Hulbrik. La nave si avanza; e gli abbordaggi si debbono prendere al volo, diceva un celebre ammiraglio olandese.»



«Che mostro di sapienza!»



«Ehi, monello!… Obbedisci!»



«Pronto, comandante.»



Saltò addosso all’Assiano e lo scrollò ben bene, stringendogli anche molto il naso. Hulbrik aspirò fragorosamente la fresca aria marina che il vento portava, e si mise a sedere.



«Sai nuotare?» gli chiese Testa di Pietra.



«Io essere nato sulle rive di un grande fiume,» rispose l’Assiano. «Io molto camminare sull’acqua.»



«Allora tutto va bene. Una nuotata d’un paio di miglia ti spaventerebbe?»



L’Assiano fece un gesto negativo.



«Come sono duri questi Tedeschi!» disse il Bretone. «Ora capisco perché gl’Inglesi li vanno a scovare in tutti i principati alemanni. Bella gioventù, sana, robusta; un pò ottusa, ma che non si è mai fatta pregare per farsi uccidere. Senza questi uomini gli Americani avrebbero ormai cacciato via i bevitori di tè.»



«Chi sono?» chiese Piccolo Flocco.



«Non sai che cosa bevono gl’Inglesi?»



«Io li ho veduti bere anche del

gin

 e del

brandy.»



«Quelli erano marinai,» rispose gravemente il mastro.



E fissò novamente la nave, la quale, come abbiamo detto, si avanzava verso le scogliere e i banchi di sabbia, come se un timoniere perverso la volesse guidare a perdita sicura.



Che ci fossero dei marinai a bordo vi era da dubitare, poiché quella carcassa non aveva nessuna direzione, ed i suoi velacci, rimasti spiegati sotto le coffe, giravano per loro conto secondo le raffiche.



«E dunque?» chiese Piccolo Flocco. «Nave da guerra?»



«No, no: un legno mercantile qualunque, in rotta forse per le Antille, e che la bufera ha disalberato.



«E tu conti di raggiungerlo?»



«Corpo d’un campanile! Non voglio mica morire su questa scogliera arso dal sole e dalla sete. Quella nave sarà una carcassa; tuttavia varrà sempre più d’una baleniera affondata, impotente a tenere il mare. Mi preoccupa solamente una cosa: riusciremo a salvare i nostri due archibugi e le munizioni? Ad ogni modo prepariamoci.»



«E l’albatros?» chiese Piccolo Flocco.



«Lascialo marcire qui. Su quella nave troveremo, spero, qualche cosa di meglio. I naufraghi non avranno divorato tutto… Via gli stivali, le casacche ed i calzoni. Le munizioni sulla testa coi fucili. Sbrigatevi, camerati: il vento la spinge rapidamente.»



La nave misteriosa infatti si avanzava facendo dei balzi enormi sulle creste delle onde. Ma pareva bensì che il vento non avesse giurata la sua perdita, poiché aveva cambiato all’improvviso direzione, e soffiando con forza dentro le due vele basse, la spingeva un po’ al largo.



«Siamo pronti!» rispose il giovane gabbiere.



La nave in quel momento non si trovava che ad un miglio e mezzo di distanza e continuava la sua rotta verso il sud, scartan

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