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La crociera della Tuonante

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«Era un campanile quella torre?»

«Che ne so io?» rispose il mastro. «Mi ricordo che un giorno il vecchio parroco ci narrò la storia di una grandiosa torre che avrebbe dovuto toccare il cielo. Dove si trovi poi, và a cercarla tu, perché io non lo so davvero. Ma ora bastano le chiacchiere, Piccolo Flocco!… A me, artiglieri!»

Sei uomini si precipitarono sul suo pezzo favorito, armati di scoponi e muniti di mastelli d’acqua. La squadra inglese, travolta dall’uragano, sfilava in pieno disordine a meno di due miglia sottovento. L’oscurità era diventata così profonda in quel momento, che non si potevano scorgere altro che i fanali, i quali subivano di quando in quando dei balzi spaventevoli. Se le grosse ondate dell’Atlantico tribolavano la disgraziata squadra fantasma, facevano passare dei brutti momenti anche alla corvetta ed alle quattro navi americane, le quali, essendo meno maneggevoli, od avendo equipaggi non completi, faticavano assai a tenersi un pò unite. L’oceano rumoreggiava sinistramente. Mille ruggiti e mille fischi uscivano dagli avvallamenti delle pareti, ripercotendosi con intensità strana, impressionante.

La corvetta e le quattro navi americane lasciarono sfilare le navi inglesi; poi si misero in caccia, cercando di mantenersi in gruppo; caccia terribile ed estremamente pericolosa, poiché la squadra di lord Dunmore non contava meno di venti navi fra grosse e leggiere, ed un incontro era da temersi.

Verso le tre del mattino, alla notte profonda successe un’altra notte di fuoco. Lampi lividi spaccavano in due il cielo, scatenando mille fragori. Sugli alberi, sulle sartie, sui pennoni delle navi correvano novamente i fuochi di sant’Elmo, sbizzarrendosi come folletti. Di quando in quando palle grosse come aranci, tutte scintillanti, che giravano su se stesse con spaventosa rapidità, calavano dalle tempestose nubi, e dopo aver descritto delle strane evoluzioni, scoppiavano come vere bombe, spandendo un acuto odor di zolfo.

Sir William ed il signor Howard, approfittando di tutto quel lampeggiare, erano saliti sulla coffa della maestra, muniti di fortissimi canocchiali. Essi cercavano di scoprire la fregata, non essendo ancora ben sicuri che si trovasse fra le navi di lord Dunmore.

«Il Capitano vuol farsi fulminare da qualcuno di quegli aranci che Domeneddio si diverte a mandarci…» disse il Bretone.

«Sono bombe?» chiese Piccolo Flocco.

«Quasi; ma sono più pericolose, perché se una ti coglie, ti asfissia sul colpo.»

«Ci mancano le bombe degli Inglesi per completare la festa.»

«Hanno troppo da fare contro la bufera per occuparsi ora di noi. Nessun puntatore, con questo rollio, sarebbe capace di mandare a destinazione una palla.»

«Hai dimenticato il puntatore della fregata del Marchese che ci ha così bene disalberato?»

La fronte di Testa di Pietra a quel ricordo s’increspò.

«Dove l’Halifax ha scovato quell’artigliere? Se ce lo troveremo ancora dinanzi, altri malanni recherà alla corvetta.»

«Ma noi non resteremo colle mani ai fianchi,» disse il giovane gabbiere. «Pezzi grossi ne abbiamo anche noi, con palle incatenate, ed un buon puntatore non ci manca.»

«Chi è?»

«Tu.»

Il Bretone scrollò la testa e disse con un sospiro:

«Invecchio, Piccolo Flocco!»

«Ma che? quelli di Batz sono giovani anche a cent’anni! Scommetto che quel tuo famoso nonno sparava…»

«Ah, furfante!…» lo interruppe il Bretone, «lascia stare quel brav’uomo: valeva Jean Bart… Saldi in gambe! Assicurate i pezzi! L’Atlantico si scatena.»

Difatti l’oceano, dopo una breve calma, tornava rabbioso all’assalto delle navi scagliando delle ondate di dieci e perfino di dodici metri, ondate che di solito non s’incontrano che al Capo Horn. Giungevano le liquide montagne rumoreggiando, muggendo, tonando, colle creste irte di schiuma fosforescente, e si abbattevano senza misericordia sulle due squadre, mettendo a duro cimento l’abilità dei piloti e dei marinai.

Malgrado le spaventose scorribande, il Baronetto e il signor Howard non avevano lasciata la coffa di maestra. Volevano scoprire la fregata; cosa non difficile, poiché, come abbiamo detto, alla notte buia era succeduta una notte di fuoco. Immensi lampi si proiettavano sulla fuggente squadra, tutta avvolgendola in una tinta cadaverica. I fulmini si succedevano ai fulmini, le palle elettriche cadevano, la gran voce del tuono vinceva i ruggiti del mare, ciò nondimeno la caccia continuava accanita.

La corvetta, senza badare se era seguita dalle quattro navi americane, stringeva il vento per piombare sul fare del giorno, se lo stato del mare lo avesse permesso, in mezzo alla squadra di lord Dunmore e pescarvi la fregata, magnifica e salda veliera, che sormontava le onde come se fosse un guscio di noce, tenendo fieramente testa ai furori dell’Atlantico.

Già la notte stava per alzarsi, quando la voce del Corsaro, quella voce metallica, incisiva, scese dalla coffa dominando per un istante i ruggiti del vento e i fragori delle onde:

«La fregata!»

Testa di Pietra fece un salto, girò due volte su se stesso come una trottola, e gridò:

«Corpo della torre di Babele! La fregata! Ah, questa volta quel dannato puntatore avrà da fare i conti con me!»

«Preferirei un abbordaggio,» disse Piccolo Flocco. Con questo mare?»

«Si picchia dentro.»

«E si va tutti in bocca ai pescicani. Tu non diventerai mai un ammiraglio.»

«Mio padre non era che un pescatore.»

«Anche i pescatori possono diventare comandanti di squadra, quando hanno sangue freddo e pugno saldo al timone… Ma basta con le chiacchiere. Ai pezzi, artiglieri! Le onde si spianano ed il vento cede. Bruceremo della buona polvere. Corpo di tutti i campanili e di tutte le torri della Bretagna! Voglio rendere alla fregata il colpo che ci ha regalato…»

«Vuoi un paio d’occhiali?»

«Và all’inferno! Sei un vero monello!»

7. L’abbordaggio

Una raffica impetuosa aveva aperto un grande squarcio fra le nubi addensate verso oriente, ed un gran fascio di luce biancastra si era proiettata sull’oceano, mostrando d’un colpo solo tutta la squadra inglese che l’uragano spingeva verso sud. Le onde cominciavano a spianarsi, pur mantenendosi sempre abbastanza alte, da non permettere né tiri di bordata, né arrembaggi. Le navi inglesi fuggivano disperatamente dinanzi all’uragano, cercando un porto qualunque ove rifugiarsi, ma era difficile trovarlo, poiché gli Americani le inseguivano dappertutto: nella Carolina, nella Georgia, nella Florida. Avevano giurato l’esterminio di quella flotta fantasma, che colle sue improvvise comparse, ora su una costa, ora su un’altra, metteva sottosopra stanziali e coloni.

Il Corsaro aveva dato subito l’allarme, ordinando: «Tutti gli uomini ai pezzi! Fate quello che potete.» Quindi soggiunse volgendosi al signor Howard: «Cerchiamo di separare la fregata. Delle altre navi non m’interesso. A loro penseranno gli Americani.»

«Mi occuperò io di questo affare, sir William,» rispose il secondo. «Prima la fregata sarà tagliata fuori.»

«Non impegnatevi a fondo in mezzo alla squadra. Temo il puntatore della fregata, che ci ha disalberati così abilmente. Vorrei sapere dove l’ha scovato mio fratello!»

«Volete che ve lo dica francamente, sir William?» disse il luogotenente. «Ho paura anch’io di quel puntatore.»

«Ma, anche Testa di Pietra imbrocca bene i suoi tiri. Bà! monteremo all’abbordaggio e, perdio! il Marchese mi cederà la mia Mary… Al timone, signor Howard. Sorvegliate attentamente gli uomini del cassero.»

«Ne rispondo io.»

La corvetta si era messa vigorosamente in caccia, piombando addosso alla retroguardia inglese, formata tutta di navi leggiere ed antiquate. Di là da quella barriera, fiancheggiata da una mezza dozzina di navi d’alto bordo assai sgangherate, navigava la fregata del Marchese.

L’allarme era stato subito dato, ed i cannoni già facevano udire la loro possente voce, con poco successo bensì, poiché il mare era ancora troppo mosso e impediva ai puntatori di prendere la mira.

Le navi americane, avvertite con segnalazioni di bandiere dell’audace progetto del Corsaro, si erano messe animosamente dietro alla Tuonante, per essere pronte ad aiutarla nel gran momento, ed avevano impegnato un vivace combattimento contro cinque o sei piccoli avvisi veleggianti sui fianchi della flottiglia. Ma, come abbiamo detto, era polvere sprecata.

Il pezzo da caccia di Testa di Pietra tonava con intervalli di appena mezzo minuto, celerità massima per quei tempi; eppure il Bretone arrabbiato, se la prendeva con tutti i campanili della terra. Sempre le medesime parole uscivano dalle sue labbra contratte:

«Una vela forata! Una sartia troncata! Uno striscio di murata! Bell’affare! Ci vuol altro, mio caro testone!… Sei troppo vecchio ormai.»

«Ah, te ne accorgi?» disse Piccolo Flocco, che lo aiutava nel caricamento del pezzo insieme con sei artiglieri.

«Che il diavolo ti porti diritto all’inferno, monellaccio!»

«A suo tempo.»

In quel momento sir William salì sul castello di prora per animare colla sua presenza gli artiglieri. «E dunque, vecchio mio?» disse rivolgendosi al Bretone. «Non si disalbera?»

«Mare cattivo, mio comandante.»

«Non sparare che sulla fregata.»

«È quello che sto facendo.»

«Le navi americane s’incaricheranno delle altre. Su, Testa di Pietra, un colpo da fare stupire il puntatore della fregata.»

«Se sapessi dove si trova, lo truciderei.»

«Sul cassero.»

«Lo suppongo anch’io. Piccolo Flocco, siamo pronti?»

«Sì, mastro,» rispose il giovane gabbiere.

Il Bretone si chinò sul pezzo tenendo in mano la miccia, rettificò due o tre volte la mira, poi scatenò l’uragano, approfittando del momento in cui la Tuonante si librava sulla cresta d’una mostruosa ondata, in modo da dominare tutta la squadra inglese. La fregata veleggiava a mille e cinquecento passi e s’industriava di non mettersi troppo allo scoperto, sapendo già il Marchese che ben poco aveva da sperare dal bastardo.

 

Quasi avessero indovinato il progetto del Corsaro, i marinai si mantenevano ostinatamente in mezzo alla squadra, temendo un abbordaggio. Delle palle di quando in quando cadevano sulla nave maledetta, ma non erano colpi decisivi. Invano Testa di Pietra aveva fatto tonare a volta a volta i due grossi pezzi da caccia del castello di prora. Sempre vele forate, qualche manovra recisa, qualche palla di rimbalzo che strepitava sulla tolda avversaria, impressionando l’equipaggio, il quale si vedeva fatto segno a quella grandine di colpi.

Il signor Howard, abilissimo marinaio, con una lunga bordata sfondò la retroguardia della squadra inglese, facendo tonare tutti i pezzi delle batterie.

Nessuna nave ebbe il coraggio di opporsi a quell’audace attacco, anche perché gli Americani giungevano bene stretti in aiuto della Tuonante, cannoneggiando senza economia di polveri e di proiettili.

Intanto il Corsaro si era avvicinato a Testa di Pietra:

«Su, vecchio mio, fracassa un’ala a quel maledetto gabbiano, e poi monteremo all’abbordaggio.»

Il Bretone si terse col dorso della mano destra, villosa come quella d’una scimmia, il sudore che gli inondava la fronte, poi fece un gesto di disperazione.

«Io sono invecchiato troppo presto, mio comandante!» rispose. «Passatemi alla riserva.»

«Le tue palle cadono sulla fregata. Che cosa vuoi di più, con questo mare così mosso?»

«Vorrei rasare quella nave come un pontone.»

«Quando la distanza sarà diminuita, e tu avrai l’aiuto anche delle batterie, vedremo come se la caverà mio fratello. Non tirare nel quadro. Potresti uccidere la fanciulla per la quale ora io giuoco la vita.»

Un lampo balenò in quel momento sul cassero della fregata, e una palla di buon calibro passò, fischiando sinistramente, fra la maestra e la mezzana, forando le due vele basse.

Testa di Pietra era diventato pallido come un morto.

«Ah!» esclamò. «Ecco il terribile puntatore che entra in scena. Per tutti i campanili dell’universo! credo che la finirà male, anche questa volta, per noi.»

«Che borbotti, vecchio?» gli chiese il Corsaro. «Lascia in pace i campanili e cerca di fracassare qualche cosa.»

Testa di Pietra diede fuoco al suo pezzo e mandò un grido di soddisfazione. Il pennone di gabbia di maestra della fregata era stato spaccato di netto e i rottami, precipitando sulla tolda, avevano ucciso o storpiato non pochi fucilieri che si tenevano dietro alle murate.

«Corpo d’un campanile!» esclamò il Bretone. «Mi avvicino all’alberatura… Ah, potessi imbroccare quel puntatore!… È diventato il mio incubo.»

La fregata, che era in piena corsa, mancandole improvvisamente l’aiuto di quella vela, fece un grande scarto, di cui il signor Howard approfittò per lanciare la corvetta all’attacco. Le navi americane l’appoggiarono vigorosamente, disorganizzando la retroguardia inglese che presero d’infilata.

La voce squillante di sir William echeggiò come sempre:

«Pronti per l’abbordaggio!»

Cinquanta uomini, armati d’asce e di sciaboloni d’arrembaggio e di pistoloni a doppia canna, montarono sulla coperta, preparando rapidamente i grappini. Ormai la fregata del Marchese non poteva più sfuggire ad un furioso attacco. Ma confidando forse nella sua velocità e nel suo famoso puntatore, si era allargata, abbandonando la squadra di lord Dunmore al suo destino.

Il Bretone sparava senza posa, passando da un cannone all’altro, alternando palle incatenate e mitraglia.

Alle 11 la Tuonante non si trovava che a trecento passi dalla nave avversaria. Il momento terribile si avvicinava. Difatti il signor Howard con una bordata netta tagliò fuori l’avversaria, e si precipitò all’attacco.

Le navi inglesi, cannoneggiate dalle americane, avevano continuata la loro corsa, non osando impegnarsi a fondo con quei corsari che godevano fama di essere più che valorosi.

«Sotto, signor Howard!» gridò il Baronetto.

La corvetta attraversò due onde, rullando spaventosamente. Il suo bompresso andò a cacciarsi fra le griselle di babordo del trinchetto, sfondandole e strappando sartie e paterazzi, mentre un alto grido echeggiava a bordo:

«Sotto! All’abbordaggio!»

Tutti gli uomini delle batterie salirono in coperta.

«A morte gl’Inglesi!» strepitavano.

I grappini d’arrembaggio furono lanciati; ma le ondate erano così forti, da far dubitare che i cavi potessero resistere.

«Su, Piccolo Flocco!» gridò il Bretone, dopo aver lanciato sul ponte della fregata un uragano di mitraglia. «All’arma bianca, corpo d’un campanile!»

E lesto ancora come uno scoiattolo, malgrado le molte primavere che gli pesavano sul groppone, saltò le due murate, seguito dal giovane gabbiere e dall’Assiano, il quale, come abbiamo detto, aveva un fratello a bordo della fregata.

Proprio in quel momento un’ondata gigantesca si rovesciò addosso alle due navi, staccandole e respingendole violentemente. Le funi dei grappini saltarono via, come se fossero stati semplici fili di canapa. Quasi nel medesimo istante si udì una fragorosa detonazione, ed una grande nuvola di fumo avvolse il cassero della fregata.

Il terribile puntatore del marchese d’Halifax aveva sparato il suo colpo, e, come la prima volta, aveva mandato, con mirabile precisione, due palle incatenate sotto la coffa della maestra abbattendo il grande albero.

L’abbordaggio per il momento era sospeso, ma nemmeno la fregata osava assalire, poichè le quattro navi americane accorrevano cannoneggiando fortemente.

Testa di Pietra, Piccolo Flocco e l’Assiano, saltati sul castello di prora della nave avversaria, erano rimasti come pietrificati da quell’inaspettato colpo di scena. E gl’Inglesi, stupiti da tanta audacia, non avevano pensato subito ad assalirli.

«Bella figura che facciamo qui!» disse il Bretone, lanciando uno sguardo malinconico sulla Tuonante, la quale andava attraverso le onde coll’albero non ancora interamente reciso.

«Pare che siamo presi; è vero, mastro?» chiese il giovane gabbiere. «Non tentiamo la lotta?»

«Tre contro duecento e forse più!… Sei pazzo?»

In quella, una guardia marina, seguita da dieci fucilieri armati, si avventò contro loro, gridando:

«Arrendetevi, o siete morti!»

«Non occorre urlare così forte, signore!» disse Testa di Pietra. «Le nostre orecchie funzionano benissimo.»

Arrendetevi!» replicò il giovane ufficiale, minacciandoli con le pistole.

«A voi le nostre armi.»

Da dove venite?»

«Dal cielo non siamo certamente caduti,» rispose Testa di Pietra. «Non siamo albatros.»

«Siete soldati della corvetta?»

«Sì, signore.»

«Credo che non la rivedrete.»

«Vicende della guerra, signor mio. Mi preme per altro farvi osservare che quest’uomo non è un corsaro, ma un soldato assiano, che si trovava prigioniero sul nostro legno.»

«È vero?» domandò l’ufficiale a Hulbrik.

«Sì, signore; io essere tedesco ed aver combattuto a Boston con lord Howe. Io afere qui un fratello.»

«Su questa nave?»

«Sì, mio ufficiale.»

«Come si chiama?»

«Wolf Honfurg.»

«Lo conosco.» E voltosi a un fuciliere, gli disse: «Andate a chiamare l’assiano Wolf. Lo troverete nel quadro: è il cane di guardia di miss Wentwort.»

Mezzo minuto dopo un giovanottone grasso, rubicondo, biondo cogli occhi azzurri, il quale indossava la divisa dei fucilieri da sbarco, montava sul castello di prora della fregata. Appena vide i tre prigionieri non seppe frenare un gesto di stupore, perché aveva pure riconosciuto i due Bretoni. a «È vero, Wolf, che quest’uomo è tuo fratello?» gli chiese il giovane ufficiale.

«Mio buon fratello,» rispose l’Assiano, aprendo le braccia.

«E gli altri li conosci?»

Un rapido gesto di Hulbrik gli mozzò la parola; quindi scosse la testa, si accarezzò i baffettini biondi, e rispose:

«Io non avere mai veduto quella gente.»

«E questo tuo fratello come si trovava su quella nave?»

«Io non saperlo.»

«Lo dirò al signor Marchese.»

Poi volgendosi verso i due Bretoni, i quali avevano gettate le armi, disse loro con voce dura:

«Voi seguiteci.»

«Dove?» chiese Testa di Pietra. «Io passerei volentieri in cucina, perché oggi non ho avuto tempo di pranzare. I miei pezzi mi volevano tutto per sé.»

«Ah, in cucina? Anzi, vi faremo passare nella cabina del comandante, signor mio… Come vi chiamate?»

«Testa di Pietra, mastro d’equipaggio della Tuonante, nato in Bretagna… non mi ricordo quanti anni fa; ma questo a voi deve poco interessare.»

«Punto, signor Testa dura,» rispose l’ufficiale ridendo.

«No, signor mio: Testa di Pietra, vi ho detto.»

«Corsaro del baronetto Mac-Lellan.»

«Ai servigi della Repubblica Americana.»

«Una repubblica che non esiste ancora sulla carta geografica.»

«Un giorno avrà i suoi colori e i suoi confini.»

«Ne siete persuaso?»

«Gli Americani ve ne daranno ancora delle legnate.»

«Nell’attesa che ce le diano e che voi possiate preparare degli straordinari piani di guerra, mando voi ed il vostro giovane compagno a meditare in una cella della sentina. Dicono che l’oscurità si presta ai grandi raccoglimenti.»

«Non siete troppo gentile!» disse il Bretone piccato. «Siamo prigionieri di guerra.»

«Corsari.»

«Tutti sono corsari oggi, cominciando da voi.»

La guardiamarina fece un segno ai fucilieri, i quali si strinsero subito addosso ai due Bretoni minacciandoli colle punte delle baionette mentre Hulbrik e Wolf, rimasti sul castello di prora, discorrevano animatamente.

«Come ti trovi qui?» aveva chiesto il secondo, il quale pareva non si fosse ancora rimesso dallo stupore. «E come ti trovi con quegli uomini?…»

«Che noi, fratello, salveremo, dovessi sfidare la forca!»

«Sei pazzo, Hulbrik?»

«Devo loro la mia vita… Ma dimmi prima di tutto, fratello, se la giovane miss dai capelli biondi e gli occhi azzurri è sempre a bordo.»

«Sempre, strettamente sorvegliata da me.»

«Allora tutto andrà bene,» esclamò Hulbrik.

«Che cosa vorresti fare, fratello?»

«Fare scappare i prigionieri ed anche la miss

«E la nostra pelle?»

«Gl’Inglesi non ce l’hanno ancora presa, e spero che non ce la prenderanno.»

«Non ha dunque rinunciato a lei il baronetto Mac-Lellan?»

«Tutt’altro! È più innamorato che mai, e deciso a tutto, pur di riaverla.»

«L’affare che mi proponi è molto serio,» disse Wolf.

«Forse meno di quanto credi. Una scialuppa, una notte oscura, una discesa in mare senza fracassi, quattro colpi di remo, ed ecco la libertà per tutti. Che ne dici, caro fratello?»

«Brutto affare!»

«Hai sempre entrata libera nel quadro?»

«A qualunque ora del giorno e della notte, poiché, come ti ho detto, son io incaricato di sorvegliare la miss

«Andrai dunque a dirle che vi sono a bordo il mastro ed il gabbiere del Baronetto. Chi sa che qualche buona idea non spunti anche nella sua testa?»

«Come vuoi, fratello,» rispose Wolf.

La fregata intanto aveva ripresa la fuga, perseguitata da lontano dai pezzi da caccia prodieri delle navi americane ed anche della corvetta la quale era riuscita a sbarazzarsi della sua ala ferita che il terribile puntatore del Marchese le aveva nuovamente mozzata. Le navi di lord Dunmore non erano quasi più visibili. Erano fuggite senza accettare il combattimento, perché avevano gli equipaggi terribilmente ridotti a scarsissime munizioni, non avendo potuto rifornirsi in alcun porto.

Verso il tramonto anche la corvetta ed i quattro legni americani erano scomparsi nella foschia dell’orizzonte. E la fregata correva, correva, allontanando sempre più dal disgraziato Baronetto la giovane dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Oh, ma vi era Testa di Pietra a bordo! Anche se sorvegliato, quell’uomo straordinario era ancora capace di dar del filo da torcere al marchese d’Halifax.

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