La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno

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“Soldati?”

Non mi piacevano. Erano maleducati e brutti. Sapevo che avrebbero deriso me e il povero elefante Obolus. Potevo subire che tutti deridessero me, ma Obolus non poteva più difendersi. Lo stavano probabilmente facendo a pezzettini e stavano cucinando la sua carne sui loro fuochi, ridendo del suo rendersi sciocco. Mi sentivo triste per il povero animale e mi dispiaceva essere stata la causa della sua morte.

“Sì,” mi rispose Yzebel. “Alla sera, gli uomini vengono al campo per cercare… uhm… il piacere, poi alcuni cercano qualcosa da mangiare qui. Preparo sempre del cibo per loro, e se lo gradiscono, mi danno del rame o dei gingilli dalle loro conquiste sul campo di battaglia.”

“E se non gradiscono il suo cibo?”

“Beh, in tal caso lanciano cose e rompono le mie stoviglie.” Mi guardò e deve aver notato la mia espressione assorta. “Sto solo scherzando,” aggiunse. “Sanno di meglio che creare seccature alle Tavole di Yzebel.”

Non ero sicura di che cosa intendesse, ma sicuramente non volevo che si arrabbiasse mai più con me, come lo aveva fatto quando mi vide indossare per la prima volta il mantello di Tendao.

“Ora,” mi parlò, “mostrami tutte le tue dita.”

Misi giù la rapa e alzai le mani, estendendo le dita. Yzebel fece lo stesso, e poi abbassò le dita sulla sua mano destra lasciando alzato solo il pollice. La imitai. Ora avevo tutte le dita di una mano estese, più il pollice dell’altra.

“Questo è il numero di pagnotte di cui ho bisogno.” Mi spiegò.

“Sei.”

Alzò un sopracciglio. “Molto bene. Sono contenta tu sappia i numeri.” Mi indicò una grande brocca di terracotta vicino all’entrata della tenda. “Puoi portare quella caraffa di vino a Bostar e dirgli che è da parte della sua buona amica Yzebel in cambio delle sei pagnotte più fresche che ha?”

“Sì.” Ero ansiosa di aiutare in ogni modo possibile. “Dove trovo Bostar?”

“La tenda del fornaio è a due passi da qui.” Indicò a est. “In quella direzione. Sentirai l’odore del cibo quando ti ci avvicinerai.” Esitò prima di continuare. “Sii attenta con la caraffa. Non voglio che tu faccia cadere neanche una goccia. Quel vino è molto prezioso. Hai capito…?” Apparentemente si era dimenticata non avessi un nome.

“Obolus,” finii.

Yzebel spalancò gli occhi. Forse non capiva la parola. “Hai detto Obolus? È il grande elefante.”

“È il nome che voglio scegliermi.”

Jabnet risse da dietro di me, e realizzai che aveva sentito tutto.

“È in parte elefante,” disse. “Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei. Forse suo padre era un elefante e sua madre–”

Lo sguardo fulminante di Yzebel lo silenziò. Tornò a riempire le torce con olio d’oliva e coprirle di stoppini di cottone.

“Puoi sceglierti il nome che preferisci,” mi rispose. “Ma sei sicura che il nome dell’elefante sia quello giusto per te?”

“Sì.”

Presi la pesante caraffa e andai a cercare Bostar.

Capitolo Tre


La brocca di vino di Yzebel era chiusa per bene con un tappo di sughero messo bene ed era anche sigillata ermeticamente con un panno di cotone. Ho preso tra le braccia la pesante caraffa, tenendola da sotto con entrambe le mani.

Lungo il sentiero verso la tenta di Bostar, una varietà di attività catturò la mia attenzione: un fabbro stava trasformando la lunghezza di un metallo nero in una spada; un conciatore lavorava un disegno da battagli in un pettorale di pelle; e un vasaio si impegnava a trasformare un blocco di argilla in una grande anfora.

Una schiava, probabilmente della mia età oppure forse un po’ più piccola stava in piedi davanti a una tenda nera; usava un dispositivo rotante per creare dei filati di cotone. Su un lato del viso aveva il marchio del proprietario. Sorrise e disse qualcosa ma non capii le sue parole.

“Devo trovare Bostar, il panettiere, ma la prossima volta mi fermerò per parlare.”

Non diede alcun segno di avermi sentita. Aspettai, ma lei tornò al suo lavoro così io proseguii sulla via per trovare il fornaio.

Giunsi a una curva sul sentiero, un cammino andava giù da un lato mentre l’altro svoltava bruscamente nella direzione opposta. La tenda del panettiere era da qualche parte lungo il sentiero a sinistra, ma sull’altro, quello che conduceva tra gli alberi vidi la cosa più spettacolare della mia vita.

“Elefanti!”

Affascinata dalla vista e dal suono di così tanti elefanti, sistemai la caraffa tra le braccia e mi diressi verso di loro. Centinaia di elefanti, grandi e piccoli, fiancheggiavano entrambi i lati del sentiero tortuoso. La maggior parte di loro era grigia, ma alcuni erano più scuri, quasi neri. Alcuni avevano le orecchie piccoli, ma molti le avevano enormi, che agitavano avanti e indietro come se fossero dei ventagli. Gli elefanti più grandi erano legati a pali di metallo conficcati nella terra, mentre quelli più piccoli correvano liberi.

Alcuni animali mangiavano del fieno da dei mucchi lì vicino. Un ammaestratore spinse un melone nella bocca aperta del suo elefante. La bestia lo schiacciò muovendo la testa per catturarne anche il succo, poi inghiottì l’intera cosa, scorza, semi e tutto. Altri rompevano rami verdi e frondosi, più spessi del mio braccio, riducendoli, usando le loro proboscidi e zanne, alle dimensioni di un morso. Alcuni ragazzi correvano in giro con pelli di acqua fiumana, che versavano nelle fosse tra ogni coppia elefanti, facilmente raggiungibili affinché le bestie bevessero. Ridacchiai quando un elefante aspirò l’acqua nella sua proboscide e poi si fece una doccia per rinfrescarsi.

Odori forti e pungenti dalla grande congregazione di animali riempirono l’aria però non mi sembrava affatto sgradevole.

Gli elefanti erano belli, e le loro proboscidi erano sempre in movimento, mangiando, bevendo oppure afferrando oggetti vicini.

È così che Obolus mi ha tirato fuori dall–

Uno degli animali attirò la mia attenzione. Lungo la fila, a destra, c’era un elefante più alto degli altri. Mangiava da un piccolo pagliaio e occasionalmente anche un melone offertogli da un ammaestratore. Riconobbi qualcosa nel modo in cui si muoveva quando afferravaun carico di fieno e lo scuoteva prima di infilarselo in bocca. La forma della sua testa e delle sue orecchie mi sembravano familiari.

Che possa essere?

Affrettai il passo, e più mi avvicinavo all’animale, più me la sentivo che era Obolus. Però c’erano così tanti elefanti e Obolus non era forse morto, colpito da un ramo caduto da un vecchio albero vicino al fiume, sbattendo la testa contro un masso mentre crollava? Quelle zanne che si allungavano dalla sua bocca, erano molto lunghe e si incurvavano all’insù in modo grazioso, facendolo distinguere dagli altri.

È lui!

“Obolus!” Feci cadere la caraffa con il vino e corsi lungo il sentiero. “Obolus! Obolus!”

Gli ammaestratori, i ragazzi dell’acqua e gli aiutanti si fermarono per guardarmi. Il grande elefante girò di scatto la testa verso di me, rizzando le sue enormi orecchie. Il melone che aveva appena schiacciato gli cadde dalla bocca aperta. Uno degli ammaestratori venne avanti, allargando le braccia per fermarmi, ma chinai la testa e gli corsi intorno.

Quando gridai “Obolus!” un’altra volta, spalancò gli occhi e si sollevò sulle zampe posteriori, alzò la testa in aria e barrì attraverso la sua proboscide.

“Obolus, sei vivo.”

Cercò di allontanarsi da me, ma la sua zampa anteriore sinistra era legata a un palo di metallo conficcato a terra. Indietreggiò quanto la catena gli permetteva, scuotendo la testa e barrendo.

“Sono così felice di vederti.”

Calpestò la terra, emettendo un profondo barrito e spaventando gli altri elefanti, facendo sì che tutti tirassero le loro catene e urlassero. Gli ammaestratori urlarono correndo in giro, cercando di calmarli. Su e giù la fila il terrore si diffuse da un animale spaventato all’altro, e presto l’intero posto fu in subbuglio. I piccoli elefanti corsero in giro scatenati con le loro piccole proboscidi all’aria, strillando e scorrazzando come se Baal, il dio delle tempeste, li stesse rincorrendo.

Ero pietrificata. L’enorme bestia calpestava la terra e barriva, mandando ondate di paura attraverso di me, ma il suo comportamento sembrava un’artificiale mostra di forza. Quando tesi la mano facendo un passo in avanti, scosse la testa e cercò di indietreggiare. Il palo sembrò allentarsi quando l’elefante tirò la catena e parve quasi che potesse cedere, ma poi l’animale si tranquillizzò e tese la sua proboscide verso di me. Lo sentii prendere fiato, pensando che forse cercava di sentire il mio odore, cercando di capire.

Sapendo che le sue enormi zampe potevano calpestarmi come un topo sotto un albero che cadeva o che poteva mettermi KO con la sua proboscide, presi un respiro profondo, andai da lui e gli carezzai la zampa.

“Pensavo fossi morto e non ti ho mai ringraziato per avermi tirato fuori dal fiume. Mi hai salvato la vita.”

“Allontanati dal mio elefante!”Gridò qualcuno.

Ignorai l’uomo e guardai in uno dei grandi occhi marroni di Obolus. Era così alto che due uomini stando uno sopra l’altro non riuscirebbero comunque a raggiungergli la cima della testa. Continuava a emettere suoni minacciosi, ma si tranquillizzarono mentre abbassava la testa per guardarmi. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto semplicemente alzare la zampa e calciarmi dall’altro lato del sentiero, però non lo fece. Però, con la zampa incatenata, continuava a colpire la terra e lottare contro la catena di metallo.

Ruvide mani mi afferrarono per le spalle, spingendomi via.

“Lasciami stare!”Urlai.

“Stai terrorizzando tutti gli animali,” mi ringhiò l’uomo. “Un’inutile ragazzina non ha motivo per correre qua in giro, spaventandoli. Guarda cosa hai fatto. Tutto il posto è in tumulto.”

 

Mentre mi trascinava indietro, scalciai e mi divincolai. “Lasciami stare!”Gridai.

“Ti spezzerò quel magrolino collo se non la smetti di gridare.”

Mi afferrò con entrambe le mani, stringendo la presa attorno il mio collo, strozzandomi. Gli graffiai i polsi, cercando di liberarmi dalle sue mani, ma era troppo forte. Il mio cuore batteva all’impazzata e il petto si sollevò mentre faticavo a respirare.

L’uomo mi fece girare, facendomi dare le spalle a Obolus. “Perché una bambina ignorante dovrebbe venir qui, urlando e…”

Le sue parole vennero interrotte e le sue dita si allentarono la presa alla mia gola. La proboscide di Obolus si avvolse intorno alla vita dell’uomo, sollevandolo da terra.

“No, Obolus!” Gracchiai. “Mettilo giù.” Mi massaggiai la gola e sentii le impronte delle mani dell’uomo dove mi aveva stretto il collo.

Obolus tenne l’uomo che urlava a testa in giù, in alto nell’aria. La tunica dell’uomo gli cadde sulla testa e un bastone cadde dalla cintura mentre scalciava e cercava di afferrare la proboscide dell’elefante.

Diedi un’occhiata al bastone. Era lungo quanto il mio avambraccio, rifinito in oro e inciso in modo intricato con viti e foglie. L’oro a un’estremità era modellato in un piccolo uncino smussato mentre l’estremità opposta era piatta. Sembrava una specie di bastone. Notai che alcuni degli altri uomini avevano bastoncini simili, ma i loro erano rifiniti in argento o rame anziché in oro.

Numerosi uomini accorsero con i loro uncini a manico lungo, ma invece di costringere Obolus a lasciar andare l’uomo, iniziarono a ridere. Ciò lo fece infuriare ancora di più.

“Colpitelo.”Gridò. “Uccidetelo! Fatemi scendere da qui.”

Gli uomini risero e indicarono l’uomo penzolante. Perfino i ragazzi dell’acqua erano venuti a vedere il divertimento.

“Obolus!”Urlai e schiaffeggiai la sua gamba. “Per favore, non fargli del male.”

L’elefante inclinò la testa per guardarmi. Mi alzai in sulle punte e gli diedi una pacca sulla parte inferiore dell’orecchio. Sbatté le palpebre, guardò l’uomo per un momento, poi di nuovo me.

Sapevo che ci sarebbe voluta solo una leggera pressione dell’enorme proboscide di Obolus per spremere la vita dall’uomo.

“Mettilo giù.” La mia voce si incrinò, non suonava affatto forte.

Obolus abbassò l’uomo a terra, rilasciando la presa. Il tipo cadde sulla terra, atterrando con forza su un fianco, poi ricadendo sulla schiena. Due lavoratori si inginocchiarono, cercando di aiutarlo.

“Così va meglio,”dissi a Obolus e presi la fine della sua proboscide tra le mani, poi lo guardai.“Grazie per avermi salvato di nuovo la vita, ma quest’uomo era solo arrabbiato perché ho disturbato te e tutti gli altri elefanti.”

L’uomo a terra respirava affannosamente mentre il tumulto lungo il sentiero si calmava. I cuccioli di elefante smisero di correre e abbassarono le proboscidi per guardare me e Obolus, che portò l’estremitàdella proboscidealla mia guancia e mi annusò il viso e i capelli.

“Ora,” dissi, “ti darò un melone da mangiare, e prometto di non correre e urlare di nuovo se non impazzirai per ogni piccola cosa.”

Raccolsi un grosso melone giallo accanto al pagliaio e glielo porsi. Arrotolò la proboscide e aprì la bocca. Lospinsi dentro e risi quando lo schiacciò. Abbassò la testa per me e io gli diedi una pacca sulla faccia.

“Bravo ragazzo.”

“La ucciderò.”

Quando sentii la voce roca alle mie spalle, mi voltai e indietreggiai contro la gamba di Obolus.

L’uomo si rimise in piedi.

“No,” disse un altro uomo che trattenne il primo uomo con una mano sul braccio. “Hai visto come lo ha calmato?”; Era un grande uomo, dalle spalle larghe e muscoloso, ma i suoi occhi erano profondi e pensierosi. Mi guardò con un’espressione gentile. “Sei quella che Obolus ha tirato fuori dal fiume, non è vero?”

Annuii.

“Come immaginavo.” Prese l’altro uomo per il braccio. “Ukaron, sai che questi poveri animali reagiscono a cose che non possiamo sapere. Hai visto come obbediva ai suoi ordini come se si fossero allenati insieme per tutta la vita. L’ho visto solo una volta, quando hanno portato quel ragazzo dalle Indie, quello abbattuto da un giavellotto romano a Messina. Come si chiamava?

“Ponichard.” Ukaron si rispolverò. “E allora?”

Fissavo Ukaron. La pelle del suo viso era troppo tesa, le labbra tirate in un ghigno costante, e gli zigomi e il mento quasi spuntavano attraverso la superficie. Aveva gli occhi socchiusi e bagnati come un uomo malato, ma forse era perché Obolus lo aveva quasi ucciso.

“Era lo stesso, Ukaron,” disse l’altro uomo. “Quel ragazzo, Ponichard, quando incontrò per la prima volta l’elefante Xetos. Ricordi che canaglia che poteva essere quell’animale. Tuttavia, dal primo momento in cui Ponichardlo toccò, Xetos era al comando del ragazzo, al punto che abbiamo dovuto sopprimere la bestia quando il ragazzo è morto in battaglia. E ora Obolus ha stretto un forte legame con questa bambina, e lei con lui. Non oso tentare di spiegare quale scopo gli dei abbiano per tali cose, proprio come non metto in dubbio la loro infinita saggezza. Ti suggerisco di non manomettere questa relazione tra la bestia e la bambina.”

“Ti sbagli, Kandaulo.” Ukaron mi tenne d’occhio mentre parlava con l’uomo. “È una bambina demoniaca. Ha tentato di far scappare questi animali per distruggere il campo. Se sono coinvolti alcuni dei, sono gli dei degli inferi.” Si asciugò un avambraccio peloso passandoselo sulla bocca, prese il bastone da un uomo accanto a lui e andò via.

“Va’ ora, ragazzina,” disse Kandaulo. “E la prossima volta che ti avventuri lungo Via degli Elefanti, ti suggerisco di farlo silenziosamente.”

“Sì, Kandaulo. Lo farò.” Accarezzai l’stremità della proboscide che si posò sulla mia spalla. La pelle grigia dell’elefante appariva ruvida e vecchia con tutte le rughe, ma al tatto era morbida e gentile. “Addio, amico mio. Dormi bene stanotte.”

Obolus si allungò in cerca di altro fieno e io ne presi una manciata per lui, ma poi mi ricordai.

“Oh, no,” sussurrai, “la brocca da vino di Yzebel!”

Lasciai cadere il fieno e corsi di nuovo sullaVia degli Elefanti.

Capitolo Quattro


Tutto quello che trovai fu una grande macchia fangosa di vino sul sentiero. Mi inginocchiai e spinsi le dita nel fango viola e marrone, non volendo credere a ciò che i miei occhi vedevano. Però era tutto vero: il prezioso vino passito di Yzebel non c’era più. Avevo fallito.

Si era affidata a me per portare il vino dal fornaio in cambio di pane, ma non ci sono riuscita neanche per metà. La vista di Obolus vivo aveva completamente confuso il mio senso di responsabilità e i miei sentimenti avevano messo in ombra il mio desiderio di fare qualcosa di buono per Yzebel. A peggiorare ancora le cose, la brocca era svanita. Qualcuno l’aveva presa, lasciando solo un’impronta di sandalo nel fango. Come potrei mai rimediare a tutto ciò?

Mi si strinse il cuore e iniziai a piangere. Yzebel non si sarebbe mai più fidata di me.

“Hai perso qualcosa?”Una voce familiare provenne da dietro di me.

Alzai lo sguardo e incontrai i morbidi occhi castani del giovane uomo del fiume. Quello di cui avevo indossato il mantello – Tendao.

“Il vino di Yzebel.” Mi asciugai le dita fangose sulla guancia. “È sparito.”

Tese la mano per aiutarmi, apparentemente non curandosi del fango. “Avresti dovuto portare il vino a Bostar in cambio delle pane?”

Annuii.

“Sai perché Yzebel voleva il pane?”

Risalimmolungo la Via degli Elefanti verso il bivio del sentiero.

“Per i soldati per quando verranno ai suoi tavoli stasera.”

“Sì, le piace avere del pane per loro all’ora di cena.”

“L’ho delusa, Tendao. E ora devo andare a dirle che cosa terribile che ho combinato.”

“Sì, glielo devi dire,”mi rispose. “Ma prima di farlo, fermiamoci davanti alla tenda di Lotaz.”

Non avevo sentito parlare di questaLotaz, ma non avevo alcuna fretta di tornare da Yzebel a mani vuote e ammettere di aver fallito.

Cercai di sfuggire all’immagine del volto severo di Yzebel pensando ad altre cose. La terra della Via degli Elefanti era morbida e calda sotto i miei piedi nudi. Pensai alle centinaia di elefanti euomini che l’avevano calpestata per molte stagioni, trasformando la terra in una polvere fine. Querce e pini fiancheggiavano il sentiero, fornendo ombra agli animali. Le lunghe ombre ora coprivano gran parte dell’ampio sentiero.

In cima alla collina, andammo a destra, come avrei dovuto fare prima. Dopo un po’ci imbattemmo in una tenda fatta di un materiale fino e sottile. I colori rosso, giallo e blu del tessuto a strisce brillavano nel crepuscolo. Le ombre tremolavano da una lampada che bruciava dentro. Davanti a essa c’era un tendalino frangiato, sostenuto da due lance di metallo conficcate nella terra. Un uomo di colore sedeva a gambe incrociate sotto la tenda.

“Va’da quello schiavo.”

Tendao mi fermò a una certa distanza, poi mi istruì riguardo cosa avrei dovuto dire all’uomo. Gli ripeteitutto, assicurandomi di aver capito.

“Ma sembra così cattivo, Tendao. Verrai con me?”

“No. Devi farlo da sola.”

Lo schiavo mi osservò intensamente mentre mi arrancavo verso di lui, i miei piedi che si trascinavano nella terra, riluttanti nel portarmi dove non volevo andare.

A dieci passi di distanza, mi fermai e dissi, “Lotaz.”

Non rispose,stette a fissarmi finché non abbassai gli occhi a terra. Alla fine parlò.

“Questa è la tenda di Lotaz. Perché sei qui?”

“Sono venuta per conto di Tendao.”

Lo schiavo balzò in piedi e si affrettò a entrare. Un momento dopo, ne uscì una donna magra. Era illuminata da entrambi i lati da una coppia di lampade a olio che pendevano dai supporti a lancia. Lotaz era bellissima con un abito di seta blu chiaro e un paio di pantofole abbinate. Un’ampia cintura scarlatta di corde intrecciate le stringeva la vita magra e una raffinata catena d’oro reggeva il fodero di un pugnale ingioiellato. La piccola arma le oscillava sulle cosce ad ogni suo passo. Le sue labbra erano dipinte di rosso e le sue guance eranodel colore dei boccioli di rosa, creando così un morbido contrasto con la sua carnagione cremosa. Una collana di argento eoro le adornava il collo.

Lo schiavo uscì per mettersi dietro di lei, con le braccia incrociate sul petto nudo. Incombeva come un’enorme ombra scura, in netto contrasto con la pelle bianca della donna.

“Che cosa sai di Tendao?”Mi domandò.

“Devo solo riferirle che farà come ha richiesto.”

Guardò oltre le mie spalle, scrutando il sentiero scuro in entrambe le direzioni. Guardai anche io, ma Tendao non era in vista.

“Perché ha mandato te?”

Scossi la testa, non sapendo come rispondere.

“Quando verrà esaudita la richiesta?” La voce di Lotazaveva un tono acuto ed esigente.

“Domani, prima del tramonto,” risposi ripetendo le parole che Tendao mi aveva detto di dire.

Sembrava riluttante a trattare con me riguardo questa transazione. Non capivo neanche perché fossi venutada Lotaz per conto di Tendao.

Dopo un momento, disse: “Molto bene. Aspettami qui.”

Lotaz entrò e tornò dopo un momento. In una mano, portava una brocca di vino quasi identica a quella che avevo perso. L’altra mano era invece chiusa, le dita serrate. Molti braccialetti decorati le tintinnarono lungo il polso quando fece per consegnarmi la brocca di vino. Poi si interruppe.

“Perché vieni da me così sporca?”

Guardai le mie mani tese; erano sporche di fango secco. Quando provai a pulirle, lo schiavo scomparve dietro la tenda per tornare poi con una bacinella d’argilla con dell’acqua, che mise ai miei piedi. Mi inginocchiai per lavarmi, la faccia che mi bruciava per l’umiliazione. Mi lavai rapidamente, mi alzai e mi asciugai le mani sul mantello.

Lo schiavo mi sorrise brevemente e mi fece l’occhiolino quando si mise tra me e la donna. Prese la bacinella e tornò al suo posto. Non sapevo se si sentisse dispiaciuto per me o se stesse solo cercando di essere amichevole con un’altra schiava. Lotaz certamente mi ha fatto sentire come una schiava.

Mi porse la brocca e io la presi tra le mie braccia: questa non l’avrei fatta cadere.

“Questo vino è il pagamento per il lavoro che Tendao farà per me,”disseLotaz. “Non lo pagherò più di così.”

Allungò l’altra mano e lentamente aprì le dita. Due grandi perle perfettamente abbinatee molto belle, riposavano nel palmo della donna. Tutto quello che potevo fare era fissare il lucente splendore delle gemme preziose che brillavano nella luce gialla delle lampade.

 

“Prendile,” ordinò Lotaz. “E assicurati che le perle vadano immediatamente da Tendao. Saranno usate per fare il lavoro. Mi hai capito?”

Annuii, spostando il vino per liberare la mano destra in modo da poter prendere le perle a Lotaz. Rimasi ferma, fissando la donna, non sapendo cosa fare.

“Vai!” mi disse con un cenno della mano, spingendomi via come se fossi un fastidioso moscerino.

Mi affrettai lungo il sentiero oscuro nella direzione in cui Tendao mi aveva detto di andare. Poco prima di arrivare all’angolo, guardai indietro per vedere Lotaz e lo schiavo che mi osservavano. Provai un grande sollievo quando passai dietro lo steccato dove Tendao mi aspettava.

“Vedo che hai li vino passito.”

“Sì.”

Tesi l’altra mano con le due perle. Le prese e io misi entrambe le mani sotto la caraffa. Ispezionò le perle, poi le lasciò cadere in una borsa di cuoio legata alla cintura.

“Ora,” disse, stringendo i cordoncini, “andiamo a cercare il panettiere Bostar e barattiamo quel vino con del pane.”

Fu una tale sorpresa. Il vino era un pagamento per Tendao in cambio di un servizio che doveva eseguire per Lotaz, ma sembrava disposto a lasciarmelo usare al posto della brocca che avevo perso. Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? E che servizio doveva svolgere per Lotaz? Decisi di chiedergli delle spiegazioni, ma parlò prima che avessi la possibilità di trasformare i miei pensieri in una vera domanda.

“Il tuo modo ardente mi ricorda qualcuno.”

“Chi?”

“Hai mai sentito parlare di Liada, lo spirito della roccia di Byrsa?”

“No, conosco solo la principessa Elissa,” risposi.

“Bene, questa storia ha molto a che fare anche con la principessa Elissa. Moloch, il dio dell’oltretomba, ha sepolto Liada nella roccia di Byrsa,” mi cominciò a raccontare

“Perché?”

“Quella era la sua punizione per aver fatto amicizia con un piccolo vitello che i sacerdoti avevano scelto per il sacrificio a Moloch.”

“Oh, no. Perché dovrebbero sacrificare un piccolo vitello?”

“Una vita giovane è più preziosa di una vecchia. L’idea non piaceva nemmeno alla schiava Liada. Durante l’ora più buia della notte, prima del giorno della cerimonia, si intrufolò nel recinto dove c’era il vitello, rimosse le catene e condusse la piccola creatura, insieme a sua madre, molto lontano per liberarle.

“Quando Moloch venne a sapere di questo atto insidioso, ordinò ai sacerdoti di incatenare la ragazza allo scoglio di Byrsa, lì intrappolò il suo spirito nella pietra e la seppellì. Poi fece sacrificare ai sacerdoti il corpo senza spirito di Liada, insieme ad altri nove bambini, sul suo altare. Questa brutale offerta fu il suo avvertimento per chiunque volesse intromettersi negli affari dei suoi sacerdoti.

“Quando la nostra Elissa venne a sapere della terribile disavventura di Liada, andò alla roccia di Byrsa e sentì lo spirito della roccia gridare in cerca d’aiuto. Mentre ascoltava la storia dell’eterna punizione di Liada, la principessa Elissa mise le mani sulla roccia. Quindi, usando nient’altro che una preghiera per la dea madre Tanit e il potere della sua forte volontà, divise la pietra in due, liberando lo spirito di Liada.”

Tendao rimase in silenzio per un po’e pensai che avesse perso il filo della storia.

“Che cosa è successo allora allo spirito della ragazza,”domandai, “dopo che la principessa Elissa l’ha liberata?”

Tendao mi guardò, poi riportò lo sguardo sul buio sentiero davanti a sé. “Per tutto questo tempo dalla liberazione di Liada, il suo spirito ha vagato per tutto il mondo, alla ricerca di una bambina che la accogliesse.”

Alzai lo sguardo su Tendao, pensando che avesse inventato questa storia solo per farmi stare meglio.

Mi sorrise. “È una delle tante leggende sulla nostra principessa Elissa e sono certo che sia vera.”

“Ma come farà Liada a trovare qualcuno che la accolga?”

“Sta aspettando una ragazza che faccia amicizia con una povera bestia, schiavizzata come lo era lei stessa.”

Mentre camminavo, osservando il suolo e pensando al fatto che Liada fosse una schiava, mi resi conto vagamente che Tendao rimase indietro.

“Intendi dire come Obolus?”Chiesi.

“Che cosa dici, bambina?”Sentii una voce rimbombante provenire dal sentiero davanti a me.

Alzai lo sguardo per ritrovarmi a camminare verso un uomo molto grande. Indossava un lungo grembiule e il suo viso sorridente era sporco di farina di grano. Dall’aspetto dell’uomo e dal meraviglioso profumo di pane fresco, dedussi che doveva essere il fornaio. Tre lampade a olio appese sopra i suoi tavoli da lavoro distorcevano l’oscurità della serata.

Il mio viaggio verso la tenda di Bostar era durato molto piùdel volo di una freccia, ma alla fine, grazie a Tendao, ero arrivata con una brocca di vino da barattare per il pane di Yzebel.

“Veniamo dalla tua buona amica Yzebel,” dissi. “Vuole che scambiamo questa brocca di vino passitocon sei delle tue pagnotte più fresche.”

“Noi?”Chiese Bostar e si mise i pugni sui fianchi, sforzandosi di far assumere un’espressione severa alla sua faccia allegra. “Ti porti una rana tra le pieghe del mantello oppure ci sono degli aiutanti invisibili che si trascinano alle tua calcagna?”

Guardai dietro e scoprii che Tendao era scivolato via di nuovo.

“Mi ha appena detto–” Cominciai ma mi fermai.

Mi resi conto che il mio amico Tendao doveva essere un uomo molto timido che aveva grandi difficoltà a gestire le persone. Per qualche ragione, questo mi rese felice, perché sembrava che volesse che io parlassi per lui quando non poteva farlo da solo.

Guardai il fornaio e vidi che non riusciva mantenere la sua espressione seria a lungo. La sua pelle aveva il colore della sabbia sott’acqua e i suoi occhi scuri brillavano di una buona natura repressa. Già mi piaceva.

“Come fai a esserne a conoscenza del mio amico ranocchio che viaggia con me ed è così timido che sbircia solo con un occhio per vedere cosa sto facendo?”

L’uomo scoppiò a ridere e mi diede una pacca sulla spalla così forte che quasi feci cadere la mia preziosa brocca.

“Se non me lo togli,” dissi, tendendogli il vino,“morirò sicuramente nel tentativo di proteggerlo.”

Bostar ridacchiò e prese la brocca. “Vedo che stai imparando fin dalla tenera età la profonda responsabilità di prendersi cura degli oggetti di valore di un’altra persona.”

“Oh, sì. Sto imparando.”

Bostar portò il vino nella sua tenda. Quando tornò, nelle sue braccia teneva delle pagnotte rotonde e piatte.

“Queste sono le ultime di oggi. Ho finito di cuocerle appena prima del tramonto e le ho tenute, sapendo che la tua Yzebel avrebbe avuto bisogno di loro stasera per i suoi tavoli.” Mise i grandi pani su un panno ruvido steso sul suo banco da lavoro. “Ci sono sei pagnotte qui, più unaextra.” Raccolse gli angoli del panno e li legò in cima. “Puoi dirle che quella in più è tua per avermi fatto fare una bella risata alla fine di una lunga giornata. E assicurati di restituirmi il panno domani.”

“Grazie, Bostar.”Presi il fagotto pesante per appoggiarlo sulla mia spalla. “Vorresti che ti portassi un ranocchio dal fiume quando torno domani? Puoi portarlo nel tuo grembiule e non sentirti mai solo.”

Dopo un momento, il grande uomo sorrise, mostrando i denti bianchi e uniformi sotto i baffi ben rifiniti. “No, bambina mia. Sono grato agli dei che hai sostituito quel Jabnet dalla faccia acida. Se tu e Ranocchioveniste nella mia tenda ogni giorno, non mi dispiacerà mai più sopportare gli altri sciocchi.”

Sarebbe stato così facile rimanere un po’ a parlare con il fornaio:trovavo conforto nella sua presenza.

“Così va meglio,” disse Bostar. “Sapevo che eri capace di sorridere.”

Sì, mi sentivo molto meglio, ma dovevo ancora affrontare Yzebel e spiegarle cosa era successo alla prima brocca di vino.

“Devo andare a dire qualcosa a Yzebel. Arrivederci, Bostar.”

Lo sentii dire buonanotte da dietro di me mentre mi affrettavo con il fagotto con il pane.

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