Prima Che Aneli

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CAPITOLO SEI

Quinn Tuck si rivelò estremamente utile. A quanto pareva, voleva andare fino in fondo a quella faccenda proprio come chiunque altro. Ecco perché, quando Mackenzie ed Ellington arrivarono alla stazione di polizia, aveva già fornito loro un link per accedere a tutti i file digitali del sistema di sicurezza del suo complesso di magazzini.

Decisero di iniziare dalle registrazioni, piuttosto che dal corpo di Claire Locke. Questo avrebbe dato loro modo di sedersi e raccogliere le idee. Si avvicinava il tramonto e la pioggia continuava a scendere. Mentre il vicesceriffo Rising provvedeva a procurare un monitor, Mackenzie ripensò a quella giornata, trovando difficile credere che, meno di nove ore prima, si trovava in un giardino pittoresco a pensare al suo matrimonio.

“Qui ci sono le marche temporali più rilevanti” disse Rising, passando a Mackenzie una pagina del suo taccuino. “Non sono molte.” Picchiettò il dito su una voce in particolare, scritta a caratteri inclinati. “Qui è l'unico momento in cui si vede Claire Locke entrare nel complesso. Abbiamo recuperato dalla motorizzazione il suo numero di targa, quindi sappiamo che è lei. E questo” proseguì indicando un altro orario, “È quando se n’è andata. Sono gli unici momenti in cui si vede nel filmato.”

“Grazie, vicesceriffo” disse Ellington. “Questo è di grande aiuto.”

Rising rivolse loro un breve cenno, prima di uscire dal piccolo ufficio di riserva che aveva trovato per loro. Quell’operazione monotona avrebbe richiesto un po’ di tempo ma, come aveva affermato Rising, la polizia locale aveva già svolto un po’ del lavoro per loro. Nei momenti in cui non c’era attività sullo schermo, fecero avanzare il filmato velocemente. Partirono dalle marche temporali indicate sul foglio. Quando sullo schermo comparve l'auto di Claire Locke, Mackenzie zoomò, ma non riuscì a vedere chi fosse al volante. Rimase ad osservare l'ingresso del complesso per ventidue minuti di registrazione accelerata, fino a quando l'auto di Claire ripartì. In quel lasso di tempo, non era arrivato nessun altro e non erano uscite altre auto.

“Sai” disse Mackenzie “È del tutto possibile che non sia stata aggredita dentro al magazzino.”

“Credi che qualcuno l'abbia uccisa altrove e l'abbia poi portata lì?”

“Magari non l'ha uccisa altrove, ma probabilmente l'ha rapita. Penso che vedere il corpo ci aiuterà a determinarlo. Se mostra segni di disidratazione o inedia, in pratica sapremo con certezza che è stata abbandonata lì.”

“Ma stando al rapporto, la serratura è stata chiusa dall'esterno.”

“Allora forse qualcun altro ha la chiave” suggerì Mackenzie.

“Probabilmente qualcuno che guida una delle altre auto che compaiono in questi giorni e giorni di registrazioni.”

“Molto probabilmente.”

“Vuoi rimanere qui a visionare i filmati mentre io vado a esaminare il corpo?” chiese Ellington. “O viceversa?”

Mackenzie immaginò la povera donna, sola al buio e incapace di chiamare aiuto. Se la immaginò incespicare alla cieca cercando di trovare un modo per aprire quella porta.

“Penso che preferirei controllare il corpo. Tu te la caverai qui?”

“Ma certo. Questo è il massimo dello streaming. Niente pubblicità o altro.”

“Bene. Ci vediamo tra poco.”

Si chinò per baciarlo su una guancia prima di andarsene. Era stato un gesto spontaneo, fatto senza riflettere, anche se non era molto professionale. Era un valido promemoria del perché non avrebbero potuto lavorare insieme a quel modo dopo il matrimonio.

Mackenzie lasciò l’ufficio e si mise alla ricerca dell'obitorio, mentre Ellington osservava il tempo scorrere rapidamente sullo schermo.

***

La domanda se Claire Locke avesse o meno sofferto di fame o disidratazione mentre si trovava nel magazzino trovò risposta appena Mackenzie la vide. Anche se non era un'esperta in materia, le guance della giovane avevano un aspetto emaciato. Se anche l’addome fosse incavato non era chiaro, a causa dell'incisione praticata dal coroner.

Ad attendere Mackenzie all'obitorio c’era una donna paffuta e stranamente piacevole di nome Amanda Dumas. Accolse calorosamente Mackenzie e si mise in piedi contro un tavolo d'acciaio sul quale erano disposti gli strumenti del suo mestiere.

“Sulla base del suo esame” disse Mackenzie “Direbbe che la vittima ha sofferto di fame e di sete prima di morire?”

“Sì, anche se non so fino a che punto, esattamente” disse Amanda. “Ci sono pochissimi acidi grassi nel suo stomaco. Questo, oltre ad alcuni segni di deterioramento muscolare, indica che ha sperimentato almeno i primi morsi della fame. Ci sono anche segni che indicano disidratazione, anche se non posso essere certa che sia questo ad averla uccisa.”

“Pensa che si sia dissanguata prima?”

“Sì. E, francamente, sarebbe stata una grazia per lei.”

“In base a quello che ha visto sul corpo, crede che fosse ancora viva quando è stata portata nel magazzino?”

“Ah, senza dubbio. E mi sento di affermare anche che fosse cosciente.” Amanda indicò le abrasioni sulla mano destra di Claire. “Sembra che abbia lottato in qualche modo e che, ad un certo punto, abbia tentato la fuga.”

Mackenzie osservò i tagli e notò che uno in particolare sembrava piuttosto frastagliato. Era molto probabile che a causarlo fosse stata la guida di scorrimento all'interno della saracinesca del magazzino. Vide anche l'unghia che era stata strappata.

“Sono anche presenti dei lividi sulla nuca” aggiunse Amanda. Con uno strumento simile a un pettine scostò i capelli di Claire, e lo fece con delicatezza, quasi con una sorta di affettuoso rispetto. Mackenzie scorse un livido viola nella parte alta del collo, proprio alla base del cranio.

“Ci sono segni che sia stata drogata?” chiese alla dottoressa.

“No, nessuno. Sto ancora aspettando il responso di un'analisi chimica, ma in base a ciò che ho visto, non mi aspetto che risulti qualcosa.”

Mackenzie suppose che il livido dietro la testa e il bavaglio a palla trovato nella bocca di Claire fossero ragioni più che sufficienti a spiegare come mai non avesse chiamato aiuto mentre veniva portata nel magazzino. Ripensò alla registrazione, certa che il conducente di una delle auto era il responsabile del suo omicidio e anche della morte della persona trovata la settimana prima.

Mackenzie osservò il corpo di Claire con la fronte corrucciata. Era una reazione naturale avvertire sempre una sorta di rimorso per le vittime di omicidio ma, nel caso di Claire Locke, Mackenzie provava un senso di tristezza molto più intenso. Forse perché poteva immaginarla tutta sola in quel magazzino buio, incapace di muoversi o di chiedere aiuto.

“Grazie per le informazioni” disse Mackenzie. “Io e il mio collega resteremo in città per qualche giorno. Si metta in contatto con me se dagli esami dovesse risultare qualcosa.”

Uscì dall'obitorio e si diresse al piano principale. Prima di tornare al piccolo ufficio che lei ed Ellington avevano adibito a base, si fermò al banco della reception per chiedere una copia del dossier di Claire Locke. Lo ricevette due minuti dopo e lo portò in ufficio.

Trovò Ellington che fissava il monitor, appoggiato allo schienale della sua sedia.

“Trovato qualcosa?” gli chiese.

“Nulla di concreto. Ho visto altri sette veicoli andare e venire. Uno è rimasto fermo per circa sei ore, prima di ripartire. Voglio verificare con la polizia per sapere con quali di queste persone hanno già parlato. Perché Claire Locke finisse in quel magazzino, qualcuno che appare in questo filmato deve avercela portarla.”

Mackenzie annuì e iniziò a sfogliare il dossier. Claire non aveva precedenti penali e le sue informazioni personali non offrivano granché. Aveva venticinque anni, si era laureata alla UCLA due anni prima e lavorava come artista digitale presso una società di marketing locale. I genitori erano divorziati, il padre abitava alle Hawaii e la madre da qualche parte in Canada. Non era sposata né aveva figli, ma una nota a fondo pagina diceva che il fidanzato era stato informato della sua morte. Era stato contattato il pomeriggio prima, alle tre.

“Quanto ne hai ancora?” chiese a Ellington.

Lui si strinse nelle spalle. “Ancora tre giorni, a quanto pare.”

“Ci pensi tu qui, mentre io vado a parlare con il ragazzo di Claire Locke?”

“Immagino di sì” disse con un sospiro comico. “La vita coniugale si avvicina. Meglio che ti abitui a vedermi sempre seduto davanti a uno schermo. Specialmente durante la stagione di football.”

“Ok” replicò lei. “A patto che ti stia bene che io esca per conto mio mentre tu ti guardi le partite.”

E, come a dimostrargli quello che intendeva, se ne andò via, dicendogli da sopra la spalla: “Dammi qualche ora.”

“Certo. Poi però non ti aspettare di trovare la cena pronta quando torni.”

Quello scambio di battute rese Mackenzie incredibilmente felice che McGrath avesse permesso loro di lavorare insieme a quel caso. Tra il buio e la pioggia fuori e la tristezza che provava per la sorte di Claire Locke, non sapeva se sarebbe stata in grado di gestire quel caso da sola. Ma con Ellington al suo fianco, le sembrava di avere con sé una parte di casa, un posto dove tornare nel caso in cui l’indagine fosse diventata troppo travolgente.

Uscì dall’edificio. Era calata la notte e, sebbene la pioggia si fosse ridotta ad una pigra pioggerellina, Mackenzie non poté fare a meno di sentire che si trattava di una sorta di presagio.

CAPITOLO SETTE

Mackenzie non sapeva nulla del fidanzato di Claire, poiché non c'erano dettagli su di lui nel fascicolo. Tutto quello che sapeva era che si chiamava Barry Channing e che viveva al civico 376 di Rose Street, Appartamento 7. Quando bussò alla sua porta, ad aprire fu una donna che pareva sulla cinquantina. Aveva un’aria stanca e affranta, ed era evidente che non fosse contenta di ricevere visite alle nove passate di quella domenica sera piovosa.

 

“Desidera?” chiese la donna.

Mackenzie fu tentata di ricontrollare il numero sulla porta, poi però disse: “Sto cercando Barry Channing.”

“Sono sua madre. Lei chi è?”

Mackenzie mostrò il suo tesserino identificativo. “Mackenzie White, FBI. Speravo di fargli qualche domanda su Claire.”

“Non è davvero in condizione di parlare con nessuno” iniziò la madre. “Vede, mio figlio...”

“Mio Dio, mamma” disse una voce maschile che si avvicinava alla porta. “Sto bene.”

La madre si fece da parte, lasciando che il figlio si affacciasse all’uscio. Barry Channing era piuttosto alto e aveva i capelli biondi e corti. Come sua madre, aveva un’aria esausta ed era evidente che avesse pianto.

“Ha detto di essere dell'FBI?” chiese Barry.

“Esatto. Ha cinque minuti?”

Barry guardò sua madre con le sopracciglia aggrottate, poi sospirò. “Sì, certo. Entri, prego.”

Barry accompagnò Mackenzie nell'appartamento, lungo uno stretto corridoio che terminava in una cucina dall'aspetto comune. Sua madre, nel frattempo, era rimasta indietro, in disparte e con l’aria contrariata. Mentre Barry si sistemava su una sedia al tavolo della cucina, Mackenzie sentì una porta che veniva sbattuta da qualche parte.

“La prego di scusare mia madre” fece Barry. “Comincio a pensare che fosse più legata a Claire di me. E questo la dice lunga, visto che avevo comprato un anello di fidanzamento due settimane fa.”

“Mi dispiace molto per la sua perdita.”

“Me lo ripetono spesso” commentò Barry, guardando il piano del tavolo. “È stato tutto talmente inaspettato. Ho pianto come un bambino quando la polizia me lo ha detto, ieri, ma nonostante questo non ho perso il controllo. La mamma è venuta a stare da me per aiutarmi con il funerale e sono grato per il suo aiuto, ma è un po’ iperprotettiva. Una volta che se ne sarà andata, probabilmente riuscirò a far uscire tutto il dolore.”

“Sto per farle quella che potrebbe sembrare una domanda stupida” disse Mackenzie. “Conosce qualcuno che potesse avere qualche motivo per fare del male a Claire?”

“No. La polizia mi ha chiesto la stessa cosa. Non aveva nemici, sa? Lei e sua madre non andavano d'accordo, ma non al punto da arrivare a questo. Claire era una persona piuttosto privata. Niente amici intimi o altro... solo conoscenti.”

“Quando l'ha vista l'ultima volta?” domandò Mackenzie.

“Otto giorni fa. È venuta qui per sapere se avessi qualcosa da mettere nel suo magazzino. Ci abbiamo anche riso su. Non sapeva che avevo l'anello, ma sapevamo entrambi che ci saremmo sposati. Avevamo già iniziato a fare progetti. Quella sua domanda era solo un altro modo per riferirsi alla nostra futura convivenza.”

“Dopo quel giorno, quanto tempo è passato prima che cominciasse a preoccuparsi? Non mi sembra che abbia denunciato la sua scomparsa.”

“Ecco, vede, io seguo le lezioni all’università, e sto cercando di tenere la mia media di voti alta per potermi finalmente laureare. È davvero impegnativo e, oltre a quello, lavoro quarantacinque ore alla settimana. Quindi passavano anche quattro o cinque giorni senza che io e Claire ci vedessimo. Ma dopo tre giorni senza messaggi o chiamate, ho iniziato a preoccuparmi. Sono andato a casa sua, ma non mi ha aperto nessuno. Ho pensato di chiamare la polizia, però mi è sembrato stupido. Ho anche iniziato a chiedermi se avesse deciso di lasciarmi; forse l'idea del matrimonio l'aveva spaventata, o qualcosa del genere.”

“L'ultima volta che l'ha vista, le sembrava che stesse bene? Si è comportata in modo strano?”

“No, stava benissimo. Era di buon umore.”

“Per caso sa cosa voleva portare nel magazzino?”

“Probabilmente alcuni dei suoi libri di testo dell’università. Li aveva nel bagagliaio dell’auto da un po’ di tempo.”

“Sa da quanto tempo aveva in affitto quel deposito?”

“Da circa sei mesi. Ci teneva degli oggetti che si era portata qui traslocando dalla California. Come le dicevo... sapevamo che ci saremmo sposati, così invece di portare tutto direttamente nel suo appartamento, aveva lasciato un po’ di cose nel magazzino. L’aveva noleggiato proprio per questo, credo. Le dicevo sempre che non era necessario, ma lei insisteva che sarebbe stato molto più facile per quando fossimo andati a vivere insieme.”

“Quindi Claire non aveva nemici... e lei? C’è qualcuno che potrebbe aver fatto questo per farla soffrire?”

Barry sembrò interdetto, come se non avesse mai preso in considerazione quell’ipotesi. Scosse la testa lentamente e Mackenzie pensò che stesse per mettersi a piangere. “No. Ma quasi vorrei che fosse così. Almeno darebbe un senso a tutto questo. Perché non conosco nessuno che potesse desiderare la morte di Claire. Lei era così... era molto gentile. La persona più dolce che si possa immaginare.”

Mackenzie sapeva che era sincero, così come sapeva che non avrebbe ottenuto nulla da Barry Channing. Posò uno dei suoi biglietti da visita sul tavolo e lo fece scivolare verso di lui.

“Se le viene in mente qualcosa, la prego di chiamarmi.”

Barry si limitò a prendere il biglietto e annuire.

Mackenzie sentiva che avrebbe dovuto dire qualcos'altro, ma era uno di quei momenti in cui era chiaro che non ci fosse altro da dire. Si diresse verso la porta e, chiudendosela alle spalle, provò una fitta di rimpianto udendo Barry Channing che iniziava a singhiozzare.

Fuori, la pioggia era poco più che una nebbiolina. Mentre tornava alla macchina, Mackenzie chiamò Ellington, desiderando che la pioggia cessasse del tutto. Non avrebbe saputo dire perché la infastidisse tanto, era così e basta.

“Pronto, sono Ellington” disse la voce all’altro capo del telefono. Ellington non guardava mai chi era, prima di rispondere.

“Hai finito di guardare la TV?”

“In effetti, sì” rispose. “Adesso sto lavorando con il vicesceriffo Rising per eliminare dalla lista le persone con cui hanno già parlato. Tu hai qualche novità?”

“No. Ma voglio andare al magazzino in cui è stato trovato il primo cadavere. Puoi farti dare tutte le informazioni da Rising e incontrarmi davanti alla centrale tra una ventina di minuti? E vedi se è possibile metterci in contatto telefonico con il proprietario.”

“D’accordo. Allora a dopo.”

Terminata la telefonata, Mackenzie iniziò a guidare, pensando al fidanzato in lutto che si era lasciata alle spalle... pensando a Claire Locke, sola nel buio, affamata e terrorizzata nei suoi ultimi istanti di vita.

CAPITOLO OTTO

Mackenzie ed Ellington arrivarono da U-Store-It alle 22:10. L'impianto era diverso dal Seattle Storage Solution, in quanto si trattava di un edificio vero e proprio. La struttura stessa sembrava essere un ex capannone, ma l'esterno era stato abbellito da un giardino curato, visibile solo in parte alla luce dei faretti che delimitavano il marciapiede. Avevano avvertito del loro arrivo, e infatti c’era una luce era accesa all'interno, dove il proprietario e direttore del posto li attendeva.

L’uomo, di nome Ralph Underwood, li accolse sulla porta. Era un tipo con gli occhiali, basso e in sovrappeso. Sembrava contento della loro visita e non si sforzò di nascondere che fosse molto preso da Mackenzie.

Li condusse attraverso la parte anteriore dell'edificio, dove si trovavano una modesta sala d'attesa e una sala riunioni ancora più piccola. Aveva fatto un buon lavoro rendendo il posto caldo e accogliente, ma aveva ancora l'odore di un vecchio magazzino.

“Quante unità ci sono qui?” chiese Ellington.

“Centocinquanta” disse Underwood. “Ogni unità ha una porta che dà sul retro, così è più facile caricare e scaricare gli oggetti dall'esterno, piuttosto che dover accedere dalla parte anteriore dell'edificio.”

“Sembra molto funzionale” commentò Mackenzie, che non aveva mai visto un complesso di magazzini all'interno di un altro edificio.

“Al telefono ha detto volevate saperne di più sul corpo che ho trovato due settimane fa, giusto?”

“Esatto” confermò Mackenzie. Si era fatta inviare sul cellulare il dossier da Rising, e da lì lesse: “Elizabeth Newcomb, trent'anni. Secondo il rapporto della polizia, è stata trovata nel suo magazzino, morta a causa di una coltellata all’addome.”

“Non so tutti i particolari” disse Underwood. “Tutto quello che so è che, quando sono arrivato quella mattina e sono andato in giro per il capannone come sempre, ho visto qualcosa di rosso lungo il bordo della porta dell'unità. Avevo capito immediatamente di cosa si trattava, ma ho cercato di convincermi che avevo torto. Invece, quando ho aperto il box, lei era lì, stesa sul pavimento, morta in una pozza di sangue.”

Parlava come se fosse seduto attorno ad un falò a raccontare una storia. Mackenzie lo trovava irritante, ma sapeva anche spesso erano proprio le persone con una tendenza al melodrammatico a rivelarsi buone fonti di informazione.

“Aveva mai trovato niente del genere prima d'ora?” volle sapere Ellington.

“No. Però... ho avuto circa una dozzina di depositi abbandonati. È scritto nel mio contratto che, se l'unità non viene aperta almeno una volta in tre mesi, chiamo l’affittuario per assicurarmi che sia ancora interessato a quello spazio. Se dopo sei mesi non vengo contattato, metto le unità all'asta, compresi gli effetti personali all’interno.”

Mackenzie sapeva che si trattava di una pratica comune, ma le sembrava al limite della legalità.

“A volte le cose che la gente lascia in questi magazzini sono... ecco, inquietanti” proseguì Underwood. “In tre delle unità abbandonate che mi sono capitate, c'erano giocattoli erotici di ogni tipo. Qualcun altro ci teneva quindici fucili, compresi due AK-47. Un’unità doveva essere di un tassidermista, perché dentro c'erano quattro animali impagliati... e non sto parlando di peluche.”

Underwood li accompagnò oltre una porta in fondo all’ingresso. Oltrepassando la soglia, si trovarono direttamente in un corridoio molto ampio. Il pavimento era di cemento e il soffitto si innalzava per sei metri sopra le loro teste. Adesso Mackenzie aveva la certezza che quel luogo fosse stato un capannone di qualche tipo. I magazzini erano divisi in gruppi di cinque, e ogni gruppo era interrotto da un corridoio che correva al lato dell'edificio in entrambi i sensi. Guardando lungo il corridoio centrale, sembravano esserci infinite unità. Adesso che si trovavano all’interno, Mackenzie realizzò che il capannone era enorme, lungo almeno un centinaio di metri.

“L'unità che volete vedere è da questa parte” disse Underwood. Camminarono per circa due minuti, mentre Underwood continuava a parlare degli strani oggetti che aveva trovato in alcune delle unità abbandonate, così come alcuni piccoli tesori, come giochi nuovi di zecca, fumetti rari, e una cassaforte chiusa che conteneva più di cinquemila dollari.

Finalmente si fermò davanti a un'unità contrassegnata come C-2. A quanto pareva, si era preparato in anticipo, perché tirò fuori dalla tasca una sola chiave, che subito inserì. Dopo aver sbloccato la serratura, alzò la porta avvolgibile, rivelando l’interno che puzzava di chiuso. Underwood azionò un interruttore a parete e la luce si accese rivelando una stanza per lo più vuota.

“Non si è presentato nessun familiare a reclamare le sue cose?” chiese Mackenzie.

“Ho ricevuto una chiamata da sua madre, quattro giorni fa” rispose l’uomo. “Prima o poi passerà, ma non ha fissato una data.”

Mackenzie si aggirò nel magazzino, alla ricerca di qualcosa di simile a quello che avevano visto in quello di Claire Locke, ma non trovò niente. Forse Elizabeth Newcomb non aveva lo stesso spirito combattivo di Claire, oppure le prove della sua lotta erano già state ripulite dalla polizia.

Mackenzie andò verso i pochi oggetti accatastati in fondo alla stanza. Per lo più si trattava di contenitori di plastica, etichettati con nastro adesivo e pennarello nero: Libri e riviste, Infanzia, Roba della mamma, Decorazioni natalizie, Vecchie stoviglie.

Anche il modo in cui erano impilati sembrava molto organizzato. C'erano alcune scatole di cartone piene di album fotografici e foto incorniciate. Mackenzie sfogliò alcuni degli album, ma non vide nulla che potesse essere d'aiuto. C’erano solo famigliari sorridenti, viste sulla spiaggia e un cane che, a quanto pareva, doveva esserle stato molto caro.

 

Ellington si avvicinò e osservò le scatole. Aveva le mani sui fianchi, segno che non sapeva bene cosa fare. Di tanto in tanto ancora si stupiva di quanto lo conoscesse bene.

“Credo che, se ci fosse qualche indizio, sia stato già trovato dalla polizia” disse Ellington. “Forse possiamo trovare qualcosa nei verbali.”

Mackenzie annuì, ma i suoi occhi erano caduti su qualcos'altro. Raggiunse l'angolo più lontano, dove tre dei contenitori di plastica erano stati impilati uno sopra l'altro. Incastrata nell’angolo, tanto nascosta che non l'aveva notata durante la sua ispezione iniziale, c’era una bambola. Era vecchia, con i capelli ingarbugliati e macchie di sporco sulle guance. Sembrava uscita da un film horror di serie B.

“Inquietante” commentò Ellington, seguendo lo sguardo di Mackenzie.

“E stranamente fuori posto” rispose lei.

Prese la bambola, facendo attenzione a non toccarla troppo, nel caso in cui potesse costituire una prova. Certo, a prima vista sembrava solo un oggetto casuale, forse gettato nel mucchio all'ultimo minuto, quasi come per un ripensamento.

Ma tutto il resto qui dentro è meticolosamente organizzato e catalogato. Questa bambola salta all’occhio. Anzi, sembra quasi che sia stata messa lì intenzionalmente.

“Credo che dovremmo metterla in una busta per la raccolta prove” disse. “Perché questo è l’unico oggetto a non essere dentro una scatola? Questo posto è davvero ordinato. Perché lasciare fuori solo la bambola?”

“Pensi che sia stato l'assassino a metterla lì?” chiese Ellington. Non aveva ancora finito di formulare quella domanda, che iniziò a considerarla estremamente plausibile.

“Non lo so” ammise lei. “Ma penso di voler andare a dare un'altra occhiata al magazzino di Claire Locke. E voglio anche vedere in quanto tempo riusciamo ad ottenere il dossier completo degli omicidi in Oregon a cui hai lavorato... ai vecchi tempi.” Pronunciò l’ultima parte ridendo, senza lasciarsi sfuggire l'occasione di prenderlo in giro per il fatto che aveva sette anni più di lei.

Ellington si voltò verso Underwood, che era rimasto sulla porta, fingendo di non origliare. “Immagino che non abbia mai parlato con la signorina Newcomb al di fuori delle questioni legate all’affitto, vero?”

“Temo di no” disse Underwood. “Cerco di essere amichevole e ospitale con tutti, ma ce ne sono tantissimi, sa?” Poi vide la bambola che Mackenzie aveva ancora in mano e si accigliò. “Ve l’ho detto... ci sono un sacco di stranezze qui dentro.”

Mackenzie non ne dubitava. Ma quella bambola in particolare sembrava completamente fuori posto. E aveva intenzione di scoprire cosa significasse.

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