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Vae victis!

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.... Oh, ridenti vallate delle Ardenne!…

* * *

Così, mentre nel villaggetto di Bomal, Chérie e Cecilia, Jeannette e Mirella correvano pel giardino soleggiato, a un lontano balcone di Berlino si affacciava in quell'ora stessa un uomo dalla barba grigia.

Ai suoi piedi ondeggiava una folla convulsa e tumultuosa. Parlava, parlava l'uomo dalla barba grigia. E prometteva sangue alle jene.

… Così, mentre le quattro soavi fanciulle progettavano sorridenti la festa che avrebbero fatta il quattro d'agosto, da quel balcone sulla Wilhelmstrasse veniva pronunciata la sentenza che determinava il loro fato e il fato dell'Europa.

«… Inviteremo Lucilla, Cricri e Verbena,» diceva Chérie.

«Distruggeremo quanti si porranno sulla nostra via!» gridava l'uomo sul balcone.

«… Faremo musica,» diceva Jeannette.

«Abbatteremo su loro il nostro pugno di ferro,» diceva l'uomo sul balcone.

«… E balleremo,» rise Mirella.

«E il nostro calcagno ferrato li schiaccerà,» disse Von Bethmann Holweg.

—–

E le Jene Grigie ulularono.

III

Dal diario di Chérie

Oggi è il primo d'agosto. Fra tre giorni avrò diciott'anni.

A diciotto anni, dice Luisa, si è una vera signorina. Non si portano più le treccie per le spalle; anzi, io mi pettinerò come Cecilia: tutti i capelli raccolti in cima al capo con un grande pettine spagnuolo! A diciott'anni si può anche portare dei gioielli, quando se ne hanno; e si può mettersi del profumo, e pensare: chi mai amerò?....

Cecilia mi dice che stamattina ha veduto passare Florian Audet. Era a cavallo, alla testa del suo squadrone di Lancieri. Ritto in sella, così bello e severo, pareva Lohengrin, dice lei. Forse quest'anno, con tutto questo trambusto di manovre e di mobilitazione, egli non si ricorderà della mia festa.... Chissà?

Oggi fa molto caldo.

Non abbiamo alcuna notizia di Amour. Povero Amour! Che cosa gli sarà accaduto? Siamo molto rattristate pensando alla sua sorte; e stanotte Mirella è venuta in camera mia a dirmi che non poteva dormire per il pensiero di certi schiaffi che gli aveva dato quando non se li meritava.

—–

Più tardi. – Claudio scrive che il suo reggimento ha ricevuto l'ordine di recarsi a Mons. Dice che è possibile – ma non probabile – una invasione del nostro paese. Ci raccomanda, qualsiasi cosa accada, di essere molto calme e coraggiose.

All'idea di dover essere calme e coraggiose ci siamo talmente spaventate che non sappiamo più dove dar della testa. Ogni qual volta il campanello suona, ci figuriamo che è il nemico che arriva, e ci mettiamo tutte a strillare.

(Sentenza da ricordarsi: Non dire mai a nessuno di aver coraggio perchè questo mette paura).

—–

2 Agosto. – Altra giornata torrida. Ah, se si fosse a Westende! Com'era bello laggiù quando si andava in bicicletta sulla sabbia nel vestito da bagno. Un giorno, ricordo, io arrivai fino all'Yser. L'Yser è un grazioso canale azzurro che separa Westende da Nieuport; sulla sponda del canale sta un uomo con una barca che vi traghetta a Nieuport per dieci centesimi. (Veramente io quel giorno non volevo affatto andare a Nieuport, poichè ero vestita da bagno. D'altronde, non avendo tasche, non avevo neppure i dieci centesimi).

Mi pare di non scrivere delle cose di grande importanza in questo mio diario. Me lo ha regalato mio fratello Claudio dicendomi che non lo riempissi di futili sciocchezze. Ma cosa scriverci? Qui, di fatti importanti non ne accadono mai.

Non vi è nessuna notizia di Amour.

La Germania ha dichiarato la guerra alla Russia. (Ecco, questo sarebbe un fatto importante, ma mi pare più una notizia da giornali che una cosa da mettere nel mio diario.)

Lulù afferma che la Germania ha tutti i torti, ma noi, essendo neutrali, non dobbiamo dirlo.

—–

Più tardi. – Questo pomeriggio – essendo oggi domenica – andremo a fare una gita. Si va con Frida a Roche-à-Frêne a girovagare tra le rocce. Verrà forse anche Lulù; e Fritz ci seguirà con un cesto di sandwich, latte e frutta. E' stata Mirella a suggerirlo. Ha detto stamattina a colazione: «Mammà! Adesso mi pare che siamo stati tristi abbastanza. Abbiamo pianto e strillato tutto ieri e ier l'altro. Oggi si potrebbe andare in escursione a Roche-à-Frêne.»

Mirella è intelligentissima; e sarebbe anche bella. Peccato che abbia i capelli che non si arricciano.

—–

Sera, tardi. – Siccome niente d'importante è avvenuto quest'oggi – eccettuata una sola cosa – descriverò in questo diario la nostra escursione.

(Dirò subito la cosa importante: abbiamo veduto Florian e mi ha promesso di venire senza fallo a trovarci il giorno della mia festa.) Ora dunque parliamo della gita. Eravamo quasi allegre dopo essere state così tristi e spaventate in questi giorni passati a causa della guerra. Anche Lulù disse che era difficile pensare ad avvenimenti spaventosi con un sole così gaio e un cielo così bleu.

Frida per tutta la strada fu arcigna e silenziosa, e continuamente rallentava il passo per stare dietro a noi e vicino a Fritz. A proposito: Lulù ci disse che se il contegno della Germania non fosse corretto tutti i tedeschi sarebbero espulsi dal Belgio.

Questo vorrebbe dire che anche Frida se ne andrebbe. Se così fosse non ce ne dispereremmo. Essa è assai cambiata da qualche tempo in qua. Non risponde quando le si parla; quando scherziamo e ridiamo tra noi, essa ci guarda fisso coi suoi occhi tondi e vitrei, che sembrano, dice Mirella, quelli di un gatto randagio nella notte.

«Guarda Frida che fa il gatto crepuscolare,» dice Mirella ad ogni istante.

Questa similitudine di Mirella mi dà l'idea che Frida possa essere innamorata, poichè ho sentito dire che è l'amore che rende così strani e pazzeschi i gatti nella notte.

Sarebbe assai romantico e interessante se scoprissimo che Frida è innamorata!

Se non fosse che Fritz è un semplice servitore – mentre Frida è una damigella di compagnia – direi quasi ch'ella potrebbe essere innamorata di lui. Egli però non la guarda mai se non con un cipiglio da far paura.

A proposito di Fritz, oggi durante l'escursione lo vidi fare una cosa molto strana.

Ci eravamo scostati dalla strada e si camminava tra le roccie, quando a un dato punto scoprimmo una fonte d'acqua chiarissima, quasi nascosta tra cespugli e felci. Mentre le altre proseguivano, io ero rimasta indietro e mi arrampicavo a cercare del capelvenere; vedevo da lontano Fritz che aveva lasciato anche lui la strada e veniva lentamente dietro a noi. Appena egli scorse la fonte montanina vidi che si fermò di botto, chinandosi a guardar l'acqua. Indi si tolse rapidamente di tasca un taccuino, ne strappò un foglio e guardatosi attorno come se temesse d'essere veduto, vi scribacchiò qualche cosa. Poi tornò indietro frettoloso. Giunto al punto dove avevamo abbandonato la strada vidi che fissava il foglietto bianco sul tronco di un albero.

Mi venne in mente che potesse essere un messaggio amoroso.... forse per Frida. E appena egli fu ripassato scivolai giù per le rocce e corsi a guardare. Sul foglio erano scritte due sole parole: «Trinkwasser – rechts.»

Trovai la cosa molto strana. Non avevo mai pensato che Fritz sapesse il tedesco. Fantasticando ripresi il cammino e quando raggiunsi Fritz stavo per domandargli il significato di quel foglietto; ma appena egli mi vide parve così sorpreso e incollerito che non osai parlargli. Più tardi seguendo un sentiero nei boschi trovammo appiccicato su una roccia un altro foglietto di carta. Vi stava scritto: «Trinkwasser. – links.» Allora raccontai a Lulù ciò che avevo visto ed essa andò difilata a Fritz a chiedergliene la spiegazione. Fritz rispose che l'aveva fatto per Frida; tanto perch'ella sapesse dove trovare dell'acqua da bere. «Frida è un'anima assetata,» soggiunse ridendo e mostrando una quantità di piccoli denti da coniglio. Credo che sia la prima volta che vedo ridere Fritz in tutto questo tempo che è con noi. Confesso che non è molto bello quando ride.

Ma – come ha detto Frida delle sue orecchie – egli ha il sorriso che gli ha dato Iddio.

La gita a Roche-à-Frêne è grandiosa e fantastica. Dopo la nostra merenda restammo sdraiate sull'erba a guardare il cielo. Io forse sonnecchiai un pochino perchè tutt'a un tratto mi parve di essere a Westende quel giorno che l'aeroplano mi passò sopra mentre nuotavo.... Udii l'aspro ronzio del motore, ma stavolta m'impressionò lo strepito, ch'era straordinario; certo non ho mai udito un motore così rumoroso. Aprii gli occhi e vidi l'aeroplano proprio sopra di noi. Volava ad una grande altezza e aveva una strana apparenza d'insetto. Sembrava uno scarabeo. Era tutto bianco, con una larga striscia di celeste vivo sotto ogni ala. Notai anche che le ali avevano una forma curiosa; non erano diritte come quelle di tutti gli aeroplani che ho veduto, bensì si curvavano all'indietro come le ali degli uccelli.

Tutti guardavano in su e Mirella esclamò: «Com'è bello! pare uno scarabeo bianco! E vedete quelle striscie azzurre sotto le ali?…»

Allora accadde una cosa straordinaria. Fritz che stava seduto un po' discosto da noi leggendo un giornale, scattò in piedi. Egli è miope e, nel balzo che fece, gli occhiali gli caddero dal naso sull'erba. Allora si pose a gridare come un forsennato: «I miei occhiali, i miei occhiali!» E pestava i piedi; pareva impazzito. Per colmo, ecco Frida che si precipita a cercarglieli come se fosse la sua serva. Fritz gridava ancora: «Come ha detto – come ha detto? Uno scarabeo bianco?… con striscie azzurre sotto l'ali?…» e Frida guardando in su diceva: «Ja! ja! ja!» Parevano due pazzi.

 

L'aeroplano passò ronzando e sparve. Lulù s'era levata in piedi; era pallidissima. Subito dispose che tornassimo a casa; e per tutta la strada non aprì bocca.

Fu mentre attraversavamo Luzaine che c'imbattemmo in Florian. Era a cavallo e ricordai che Cecilia lo aveva paragonato a Lohengrin. Io trovai che somigliava forse più a Carlo il Temerario o a Cid el Campeador. Egli c'informò che il suo reggimento era accampato sulle sponde della Mosa in attesa d'ordini. S'aspettava da un istante all'altro d'essere mandato alla frontiera. Mentre egli ci narrava questo, il suo cavallo – un sauro magnifico – s'impennava e indietreggiava capriolando con passo di danza, come un cavallo da circo. Lui stava in sella, ritto e immobile, e mi sorrideva col sole negli occhi.

Mi promise, che, se non lo mandavano al fronte, sarebbe venuto senza fallo il giorno 4 a farmi gli auguri. Anche se non gli concedevano che un'ora sola di congedo. Gli ricordai che infatti egli non aveva mai mancato di venire a trovarmi in quel giorno; fin dal primissimo anno che arrivai in casa di mio fratello Claudio.

Ricordo perfettamente quel primo compleanno. Compivo – in quel lontano 4 di agosto – gli otto anni, e avevo perduto un mese prima il papà e la mamma a Namur.

Lulù mi dice ancor oggi che in quell'epoca ero una piccola selvaggia, scontrosa e tremante nei miei vestitini da lutto; piangevo sempre e avevo paura di tutto e di tutti.

Ebbene, in quel giorno del mio ottavo compleanno, poichè non facevo che piangere e singhiozzare, mio fratello Claudio ebbe l'idea di mandare a prendere Florian, ch'è suo figlioccio, pregandolo di provarsi a fare amicizia con me. Ricordo, come oggi, Florian al suo entrare in questa camera – proprio qui, in questa camera d'ingresso dove ora sto scrivendo. – Mi par di rivederlo, un ragazzo quattordicenne, alto, coi capelli ricci e gli occhi di un azzurro d'acciaio; mi sembra che assomigliasse un poco ad Andrea; ma più in bello!

Era ciò che Lulù chiama: «un petit type très-crâne.»

«Bonjour,» mi diss'egli nella sua voce chiara e risoluta. «Io mi chiamo Florian. Detesto le ragazze.» Mi parve strano che mi dicesse questo, e smisi di piangere per dare in una risatina. «Già,» continuò Florian guardandomi con aria di disapprovazione, «le ragazze – o stanno sempre a piagnucolare, o allora ridono come tante oche.»

Io cessai subito di ridere; e smisi poi anche di piagnucolare per non essere detestata da Florian.

.... Questi ricordi mi passavano per la mente oggi mentre lo guardavo; egli si chinava verso Luisa e le parlava a bassa voce, mentre il suo cavallo continuava a fare il passage, roteando e capriolando da una parte all'altra della strada.

Sì, egli somigliava davvero a un Charles le Téméraire molto giovane; od anche a quel cavaliere della leggenda che andò a svegliare la «Belle au Bois dormant»…

—–

3 Agosto. – Siamo molto felici! Abbiamo saputo che Amour è salvo. Si trova in custodia del capo-stazione di Marche, e il nostro piccolo amico Andrea andrà domattina prestissimo a prenderlo. Andrea ci fa osservare che l'andare a cercare i cani smarriti non è precisamente un servizio militare; ma soggiunge che è dovere di ragazzo esploratore il soddisfare i desideri d'ogni dama che richieda il suo aiuto. Quindi anche il rintracciare le loro bestie favorite non è cosa indegna di un boy-scout. Ha anzi soggiunto che per questa impresa porterà i colori di Mirella; ed essa, molto lusingata, gli ha legato intorno al braccio il nastro rosa un po' sgualcito che porta in fondo alla treccia.

Abbiamo invitate Lucilla, Jeannette, Cecilia e Cricri a venire da noi domani sera. Non sarà una vera festa come l'anno scorso perchè tutto è antipatico e disagevole a cagione dei tedeschi che si comportano così male. Per quanto neutrali si sia, non si può a meno d'essere disgustati di loro.

Credo che anche Frida si vergognasse oggi a tavola, quando Lulù lesse ad alta voce ciò che la Germania ha osato di fare. Figurarsi che i tedeschi si sono permessi di mandare una nota al nostro re proponendo – nientemeno! – ch'egli li lasciasse passare attraverso al nostro paese per arrivare alla Francia! Che insolenza!

Naturalmente il re ha risposto: – No! —

Siamo tutti usciti questo pomeriggio per recarci al piazzale della chiesa ad acclamare il nostro adorato sovrano. E' venuto Andrea a dirci che tutta Bomal vi accorreva; difatti è stata una bellissima dimostrazione. Eravamo tutti entusiasti. Il Borgomastro fece un gran discorso, poi cantammo la Brabançonne; ed infine Monsieur le Curé invocò la benedizione del cielo sul nostro paese e sul nostro re.

Tutti sventolavano i fazzoletti e c'era anche chi piangeva. Era accorso tutto il paese – non mancava nessuno. Solo Frida non volle venire con noi; si tappò in casa vergognandosi, certo, di essere tedesca. C'era anche Fritz; anzi Marietta osservò ch'egli era veramente l'unico giovinetto rimasto in Bomal. E' vero. Tutti gli altri o sono stati chiamati al servizio militare o sono partiti volontari. La piazza oggi era gremita di ragazze, di bambini e di gente molto vecchia.

Confesso che mi fa piacere il fatto che Fritz appartenga a noi. Avere un uomo in casa – come diceva bene l'altro giorno Lulù – vi dà un certo senso di sicurezza. Gliene riparlai oggi mentre tornavamo a casa; ma Lulù scosse nervosamente il capo. Pareva agitata e inquieta. «Ma Chérie!» disse stringendomi convulsamente il braccio, «non ti sei accorta come Fritz è cambiato? Dacchè Claudio è partito egli non si comporta più da domestico; non viene mai a chiedere i miei ordini; e ier l'altro a Roche-à-Frêne pareva un pazzo. – E pareva pazza anche Frida,» continuò Lulù, guardandosi attorno con gli occhi spauriti. «Non so, non so… vorrei che Claudio tornasse!»

E' un fatto che c'è qualche cosa di strano nel contegno di Fritz. Questa sera, per esempio, quando ci portò il giornale rimase lì a guardarci mentre l'aprivamo. Aveva un fare insolente e le mani in tasca.

Io lessi forte dal giornale: «I tedeschi entrano nel granducato di Lussemburgo e s'impossessano delle linee ferroviarie…» All'esclamazione costernata di Lulù alzai gli occhi, e allora scorsi Fritz che ci fissava con un risolino strano. Sotto ai nostri sguardi stupiti egli si tolse le mani di tasca; ma continuò a guardarci fisso.

«Questa è una notizia spaventosa,» mormorò Lulù.

Fritz disse: «Sissignora,» e aveva sempre sul volto quel suo strano sorriso di coniglio.

Vi fu un istante di silenzio: poi Lulù sospirò tra sè e sè: «Chi l'avrebbe mai detto?… Dieci giorni fa nessuno pensava alla guerra…»

«Oh!» fece Fritz. «La signora si sbaglia. C'era – c'era chi ci pensava.»

«Da dieci giorni…» balbettò Lulù.

«No. Da dieci anni!» rispose Fritz, con un sinistro balenìo negli occhi.

Seguì un nuovo silenzio. Indi Lulù domandò con voce-un po' tremante: «Vi disse qualche cosa il padrone l'altra notte quando l'accompagnaste alla stazione?… Lo lasciaste nel treno, non è vero?»

«Sissignora,» rispose Fritz, secco.

«E che cosa vi disse?» ridomandò Luisa.

Fritz attese un gran pezzo prima di rispondere. Poi crollò le spalle. «Ne disse tante di cose.»

«Ditemele!» ordinò Luisa. «Ripetetemi le sue precise parole.»

Fritz si rimise le mani in tasca e si appoggiò in atteggiamento insolente allo stipite della porta. «Mi disse: – Fritz, tu sei un servitore devoto e fedele! —» Ancora gli balenò sul volto quello strano sorriso.

«Già…» mormorò Luisa impallidendo un poco.

«Mi disse: « – Lascio qui tutto ciò che ho di più caro – mia moglie, mia figlia, mia sorella....»

«Sì…» ansò Luisa.

«Mi disse» – e Fritz alzò la voce – «difendile, Fritz, se vengono quelle belve. – Già. Ha proprio detto così: quelle belve! – Quelle belve!» egli ripetè forte e pareva volesse fulminarci cogli occhi.

Lulù divenne bianca come un lino, ed anch'io mi sentii venir freddo.

In quel mentre era entrata saltarellando la piccola Mirella, e udì le ultime parole di Fritz.

«Ma di che belve parlate?» chiese lei, un poco impressionata.

Fritz si rivolse alla piccina e la fissò con uno sguardo terribile.

«Di belve feroci!» disse lui. «Belve tedesche!… E ne sentirete le zanne!»

Poi girò sui tacchi e se ne andò, lasciandoci esterrefatte e mute.

—–

Che cosa significa tutto ciò?

Lulù ha scritto una lunga lettera a Claudio. Ma gli giungerà? E se pur gli giunge, potrà egli ritornare a noi?

IV

Dal diario di Mirella

Questo è un giorno importante: il quattro agosto – giorno di nascita di Chérie. Lulù le ha regalato un orologio d'oro e una sciarpa di seta lunga lunga color cielo. Io le ho regalato una scatola di cioccolatini, quasi piena. Anche una testa di clown dipinta su un pezzo di gomma; è una faccia molto comica che se si preme di qua o di là fa delle boccacce e delle smorfie. Le ho anche regalato il mio salvadanaio vuoto, un po' rotto. Ma abbastanza bello. E' foggiato ad elefante, e ciondola la testa quando vi si mette dentro del denaro, e poi seguita a ciondolarla per un pezzo come se ne domandasse ancora.

Cecilia e Jeannette hanno mandato delle rose; Lucilla e Cricri una scatola di fondants; Verveine Mellor, da cui non ci si aspettava nulla, mandò un parasole rosso. Veramente non avevamo invitato Verveine per questa sera perchè abita così lontano, quasi fuori del paese; ma visto il parasole, la inviteremo.

C'è mancato poco che mammà non lasciasse venire nessuno, tanto essa e Chérie si tormentano all'idea dei tedeschi; ma io ho pianto – e so che detestano di vedermi piangere – allora la mamma ha finito col dire che, dopo tutto, lasciar venire quelle cinque ragazze che vediamo tutti i giorni non era poi un ricevimento. Dunque verranno; ed io metterò il mio vestito rosa.

Il grande avvenimento di quest'oggi è stato l'arrivo di Amour nel suo cesto con quattordici franchi da pagare. Siamo molto contente di riaverlo; Chérie ha detto ch'era quasi come se le avessero regalato un cane nuovo per la sua festa. L'unica contrarietà riguardo ad Amour è che ha preso subito tra i denti la faccia di gomma dipinta che io aveva regalata a Chérie e non c'è stato verso di fargliela lasciare. E' scappato via e si è nascosto per rosicchiarla in pace. Difatti, quando l'abbiamo poi ritrovata sotto al letto, tutti i colori erano stati leccati via e non era più che un pezzo di gomma informe. Chérie mi assicura che le piace lo stesso, e Marietta dice che può servire molto bene come gomma da cancellare.

Marietta e Maria oggi se ne vanno; dicono che hanno paura a star qui. Si portano via poca roba e vanno a Liegi, dove si sentiranno più al sicuro. Maria ha raccomandato che andassimo via anche noi, e mammà ha detto che se le cose arrivassero a quel punto, certamente ce ne andremmo.

Mammà ha pianto due o tre volte oggi. E Frida fa finta di essere ammalata e s'è chiusa in camera sua. Da iersera non abbiamo più visto Fritz. Insomma, tutto è molto spaventoso e interessante. A pranzo dovremo servirci da noi e non ci sarà gran che da mangiare perchè nessuno ha fatto la cucina; ma non importa poichè vi sono molte paste e dolci preparati per la festa di questa sera. Anche delle tartine al foie-gras. Tutto è bene accomodato con fiori su una lunga tavola. Da bere avremo aranciata e granatina. Dovevano esserci anche i gelati, ma il pasticciere è andato a fare il soldato avant'ieri e sua moglie dice che ha troppi fastidi e troppi bambini per stare a fare i gelati. Essa ci raccontò che suo marito con tanti altri soldati stavano scavando dei fossi tutto intorno al Belgio per impedire ai tedeschi di entrare. Adesso vado a vestirmi. Chérie si fa molto bella. Mette il suo vestito di velo bianco come una sposa. Si fa anche una pettinatura nuova, tutta a girigoggoli che pare una torta – quella torta col rhum che Frida chiama «Kugelhopf.» Mammà ha promesso di farsi bella anche lei. Ha anche promesso che fino a domani non penserà più alla guerra nè ai tedeschi per non guastarci la serata, perchè – come le ha fatto osservare Chérie – non si compiono i diciotto anni che una sola volta nella vita!

Adesso che ci penso, anche gli undici non si compiono che una sola volta nella vita. Mi ricorderò di dirlo anch'io il giorno del mio compleanno; ho visto che mammà se ne è molto commossa....

—–

Così scriveva Mirella seduta al tavolo in sala da pranzo; e il suo atteggiamento – dalla testa molto inclinata sull'omero, alla punta della lingua sporgente e moventesi lentamente da un angolo all'altro della sua piccola bocca socchiusa – dinotava accuratezza e diligenza.

Dietro a lei la porta s'aprì senza grande strepito e Fritz s'affacciò per un istante. Guardò intorno, poi richiuse la porta e stette in ascolto sul pianerottolo; si udivano indistintamente dalla camera da letto le voci sommesse di Luisa e Chérie.

 

Fritz salì rapido al secondo piano e girò la maniglia della stanza di Frida. Era chiusa a chiave.

«Apri la porta,» comandò.

Frida obbedì. Non era la prima volta ch'essa apriva la sua porta a Fritz.

«Come parli forte,» susurrò ella in tono di rimprovero; e richiuse a chiave l'uscio. «Forse ti avranno udito.»

«E quand'anche?» disse Fritz. «Udranno ben altro.» Sedette ed accese una sigaretta. «Ah, ecco! Da due anni faccio il servitore qui. Da domani in poi diventerò il padrone.»

«Da domani!» balbettò Frida impressionata. «Ma che cosa dici?»

«Dico che ci siamo! Ci siamo finalmente!» esclamò Fritz, e il suo sguardo si levò lucido e feroce, verso la finestra aperta al cielo d'occaso.

Già da tempo il sole tondo e rosso – il gran sole d'agosto – era tramontato, ma il giorno s'indugiava ancora come se gli dolesse di finire. Là dove il cielo era più chiaro esso portava nel seno la falciuola scolorita della luna nuova, come una pallida ferita per la quale il giorno dovesse morire.

«Ci siamo, ci siamo!» ripetè Fritz. «E tu tienti pronta alla partenza.»

—–

In quel giorno stesso l'uragano s'era già scatenato sull'Europa. Le Jene Grigie si riversavano sul Belgio dal Sud-Est. A Dohain, a Francorchamps, a Stavelot l'orda cenerognola s'avanzava inesorabile, onda su onda, spargendo intorno la violenza e la morte.

Ma i cannoni non parlavano ancora. Nel villaggetto di Bomal, discosto appena una ventina di miglia, nulla se ne sapeva; e Luisa appuntando una rosa nelle treccie lucenti di Chérie diceva: «Domani penseremo alla guerra.»

Chérie la baciò e rise. Rise, ma con gli occhi un poco pensierosi, mentre mirava nello specchio la sua graziosa imagine. Poichè la giornata, di un azzurro insolente, svaniva in una serata d'azzurro tenue – e Florian Audet non aveva ancora mantenuto la sua promessa.

Forse, pensò Chérie, il suo battaglione ha ricevuto ordini di lasciare l'accampamento sulla Mosa; forse egli è stato mandato alla frontiera. Sospirò. Ah! s'ella avesse potuto rivederlo ancora!… Se avesse almeno potuto dirgli addio!…

Ma ecco entrare a colpo di vento la piccola Mirella, simile a un petalo di fior di pesco nel vestitino di seta vermiglia. «Vieni, vieni, Chérie! Hanno suonato alla porta!»

E poichè non c'era nessuno che potesse andare ad aprire – Maria e Marietta erano partite, Frida stava chiusa in camera sua, e Fritz era sparito – le due fanciulle scesero correndo ad aprire la porta a Lucilla e a Cricri, radiose entrambe nelle loro vesti di mussola cilestrina. Presto arrivarono anche Cecilia e Jeannette, e poi Verveine, coi brevi riccioli al vento – e tutte insieme colle bianche braccia intrecciate e le chiare gonne ondeggianti salirono alla sala da musica.

Verveine sedette al pianoforte, e le altre danzarono cantando:

 
«Sur le pont
«D'Avignon
«On y danse,
«On y danse,
«Sur le pont
«D'Avignon
«On y danse,
«Tout en rond
 

Attraverso le finestre spalancate le voci ridenti si spandevano nella mite aria serale; e un giovane soldato a cavallo che passava al galoppo per la strada silenziosa del villaggio udì la canzone ancor prima di giungere alla porta del dottor Brandès. Era Florian Audet che veniva a mantenere la sua promessa.

Egli saltò a terra, e gettando la briglia sopra una punta della piccola cancellata, suonò il campanello. Fu Luisa che scese ad aprirgli la porta.

«Ah, Florian,» esclamò lieta, «come sarà felice Chérie —» ma in quell'istante la luce dal corridoio battè in pieno sul viso del giovane, ed essa lo vide livido e stravolto. «Che cosa c'è?» chiese, abbassando la voce.

«Devo parlarvi!» rispose Florian, traendola in casa; entrò con lei nello studio del dottore e chiuse la porta. Luisa sentì d'improvviso come una gran pietra caderle sul cuore.

«Florian! dimmi… che cosa è accaduto? Vi sono notizie peggiori?»

«Le peggiori possibili,» disse il giovane. Indi i suoi occhi stupiti errarono sopra la graziosa figuretta che gli stava di fronte. «Si può sapere perchè siete vestita così?» Il volto gli si contrasse in un sorriso d'amara ironia. «Cosa c'è? Un ballo?»

«Ma no, Florian…» balbettò Luisa. «Ma sai pure che è la festa di Chérie…»

 
«Sur le pont d'Avignon
«On y danse, on y danse....
 

cantavano di sopra le voci giovanili.

Florian si coprì gli occhi. «Mio Dio,» mormorò… «Quanta incoscienza! E come faccio io a lasciarvi – come faccio?» Indi alzando lo sguardo vide gli occhi spauriti di Luisa che lo fissavano, e le prese la mano.

«Marraine,» disse. «Voi sarete coraggiosa – non è vero? E' meglio che io vi dica come stanno le cose.»

«Sì, Florian,» disse Luisa tenendo gli occhi fissi su di lui mentre il colore le spariva a poco a poco dal volto, lasciandolo di un pallore latteo.

«Ebbene – il paese è invaso ad ogni punto. Vi è già stato uno scontro a Verviers.»

«A Verviers!» gridò Luisa.

«Sì. E a Fleuron!»

Vi fu un silenzio.

Quindi Luisa domandò, quasi afona: «Che cosa… che cosa accadrà? Cosa significa questo per il nostro paese?»

«Significa rovina e strazio,» mormorò Florian a denti stretti. «Significa violenza, strage e devastazione.»

Luisa fu presa da un tremito convulso e si lasciò cadere su una seggiola. Florian girò su e giù per la stanza. «Teniamo ancora Visé,» mormorò soffermandosi. «Lo teniamo contro Von Emmich e le sue jene infernali!… E quando non potremo più tenerlo faremo saltare il ponte della Mosa.»

Luisa ebbe un singulto; poi alzò gli occhi – i grandi occhi che parevano macchie d'inchiostro nella faccia scolorita. «Florian! Credi – credi possibile che.... costoro vengano qui?»

«Tutto è possibile,» gemette Florian, «sì, sì! Anche questo è possibile.» E guardando la fragile figura davanti a sè e pensandola qui sola con Chérie e Mirella, uno spàsimo gli attraversò il viso.

«Ma tu resterai con noi!» esclamò Luisa, e il suo sguardo si appoggiò sulla gagliarda figura e sul maschio volto del giovane. «Quanto tempo potrai restar qui?»

Florian dette in un'amara risata. «Quaranta minuti,» disse. E vi fu un nuovo tragico silenzio.

Finalmente Florian si scosse. «Che ne è di quell'Olandese – quel domestico fidato di Claudio? Dov'è?»

«Fritz?» esclamò Luisa, tremando. E subito gli narrò la scena avvenuta la sera prima, ed anche gli impressionanti eventi della gita a Roche-à-Frêne.

Florian l'ascoltò con viso fosco, stringendo i pugni. Quindi riprese a camminare in su e in giù per la stanza. «Basta,» disse finalmente con voce rauca. «Per gli errori passati non c'è rimedio.» Poi si fermò davanti a Luisa. «Avete promesso d'essere coraggiosa. Adesso ascoltate ciò che vi dico – ed obbeditemi.»

Le diede istruzioni brevi e precise. Raccogliessero subito le poche cose di maggior valore che possedevano e lasciassero Bomal la mattina seguente alla prim'ora. Si recassero a Bruxelles, per la via di Marche e Namur – non per la via di Liegi. «Rammentatevi!» ripetè Florian, «non dovete passare per Liegi.» Nel caso che non vi fossero treni, dovevano noleggiare una carrozza o un carro – qualsiasi veicolo potessero trovare; e se non potevano trovar nulla andassero a piedi fino a Huy e di là a Namur come meglio potevano.

«Avete capito?»

Sì, Luisa aveva capito.

«E perchè non partire adesso – questa sera stessa?» suggerì Florian. «Potreste arrivare a Tervagne stanotte, se attraversate i boschi....»

«Stanotte!… Attraversare i boschi!…»

Luisa parve così terrorizzata a quelle parole ch'egli non osò insistere. D'altra parte, egli riflettè, potrebbe darsi che anche i boschi, stanotte, fossero già percorsi da drappelli di Ulani. No; meglio partire all'alba. Alle tre o le quattro del mattino.

«E' inteso?»

Sì; era inteso.

«E....» chiese la tremante Luisa, «che cosa faremo di Frida?»

«Non ve ne fidate!» esclamò Florian. «Tuttavia conducetela con voi se vuol venire. Se no, lasciatela stare. – Oh! e tenete chiuse le porte! Tutte le porte. Chiuse a chiave e a catenaccio.»

«Sì.» Luisa tremava da capo a piedi come una foglia al soffio della bufera.

«Avete denaro?»

Sì, sì, ne avevano del denaro.

«Sta bene. E adesso,» disse Florian – l'orologio al suo polso l'avvertiva che venti dei quaranta minuti erano già passati – «adesso voglio parlare con Chérie.»

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