Бесплатно

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4

Текст
iOSAndroidWindows Phone
Куда отправить ссылку на приложение?
Не закрывайте это окно, пока не введёте код в мобильном устройстве
ПовторитьСсылка отправлена

По требованию правообладателя эта книга недоступна для скачивания в виде файла.

Однако вы можете читать её в наших мобильных приложениях (даже без подключения к сети интернет) и онлайн на сайте ЛитРес.

Отметить прочитанной
Шрифт:Меньше АаБольше Аа

CAPITOLO XLV

Il conte dormì pochissimo, si alzò di buon'ora, e premuroso di parlar con Lodovico, corse all'appartamento del nord. La prima porta era chiusa di dentro, e fu perciò costretto a batter forte, ma nè i suoi colpi, nè la sua voce vennero ascoltati. Considerando la distanza che separava quella porta dalla camera da letto, credè che Lodovico, stanco di vegliare, si fosse profondamente addormentato. Poco sorpreso adunque di non ricevere veruna risposta, si ritirò e andò a passeggiare pe' boschi.

Il tempo era oscuro; i fiochi raggi del sole combattevano i vapori che sorgevano dal mare, ricoprendo la cima degli alberi dalle frondi gialleggianti per la stagione autunnale. La bufera era calmata, ma l'onde, sempre commosse, muggivano tuttora.

Emilia erasi egualmente alzata di buon'ora, ed aveva diretto i passi verso il promontorio alpestre dal quale scoprivasi l'Oceano. Gli avvenimenti del castello occupavano il suo spirito, e Valancourt formava eziandio l'oggetto de' suoi tristi pensieri; non poteva esserle ancora indifferente. La sua ragione le rimproverava sempre una tenerezza che sopravviveva nel suo cuore alla stima; rammentavasi l'espressione de' suoi sguardi allorchè l'avea abbandonato, l'accento con cui le disse addio, e se qualche caso aumentava l'energia de' suoi pensieri, struggevasi in amare lacrime. Giunta all'antica torre, si riposò su di un gradino mezzo rovinato, osservando le onde che venivano lentamente a frangersi sulla riva, cospargendo gli scogli dalla bianca loro spuma. Il monotono loro fragore, e le grige nubi che velavano il cielo, rendeano la scena più misteriosa ed analoga allo stato del suo cuore. Tale stato le divenne troppo penoso; si alzò, e traversando una parte delle ruine, guardando a caso su d'un muro vide alcune parole malamente scolpite colla punta d'un coltello; le esaminò, e riconobbe il carattere di Valancourt: le lesse tremando.

Chiaro dunque appariva che Valancourt aveva visitato quella torre, ed era anzi probabile che fosse stato nella notte precedente ch'era stata burrascosa, e quei versi descrivevano un naufragio: inoltre parea che non avesse abbandonato quelle rovine se non da poco tempo, chè il sole essendo sorto allora, non poteva avere scolpiti quei caratteri all'oscuro. Era dunque probabilissimo che Valancourt fosse nelle vicinanze.

Mentre tutte queste idee si presentavano con rapidità all'immaginazione di Emilia, tante emozioni la combatterono, che ne fu quasi oppressa; ma ebbe la prudenza di sfuggire un incontro pericoloso alla sua virtù, e s'incamminò in fretta alla volta del castello. Ricordandosi allora della musica già sentita e della figura passatale così vicino quella sera, fu quasi tentata di credere nella sua agitazione che fosse lo stesso Valancourt. Fatti pochi passi, incontrò il conte, che per distrarla dall'afflizione in cui la vide, le fece conoscere la risposta dell'avvocato di Aix, suo amico, a proposito della cessione dei beni della signora Montoni.

Ritornati al castello, Emilia si ritirò nella sua camera, ed il conte andò all'appartamento del nord. La porta n'era peranco chiusa. Il conte chiamò forte Lodovico, senza ricevere risposta. Sorpreso di tale silenzio, cominciò a temere non fosse accaduta qualche disgrazia all'infelice, o che la paura di qualche oggetto immaginario l'avesse fatto svenire. Cercò alcuni servitori, ai quali chiese se avessero veduto Lodovico, ma tutti risposero che, dalla sera precedente, nessuno erasi più avvicinato all'appartamento del nord.

« Egli dorme profondamente, » disse il conte, « è così lontano dalla porta d'ingresso, che non può sentire; bisognerà gettarla a terra. Prendete una leva e seguitemi. »

I servi rimasero muti e confusi; nessuno si movea. Dorotea parlò di un'altra porta che dalla galleria dello scalone metteva nell'anticamera del salotto, ed era per conseguenza assai più vicina alla camera da letto. Il conte vi andò, ma tutti i suoi sforzi furono inutili; per cui la fece atterrare. Esso entrò pel primo; Enrico lo seguì co' più coraggiosi, e gli altri aspettarono sulla scala. Regnava in quel luogo il più cupo silenzio. Entrato nel salotto, il conte chiamò Lodovico, ma, non ricevendo risposta, aprì egli stesso, ed entrò. Il silenzio assoluto regnante colà confermò i suoi timori; Enrico fece aprire le imposte d'una finestra, ma Lodovico non fu trovato, malgrado le più esatte ricerche nell'oratorio, nel letto, ed in tutte le altre stanze. Tutte le porte che comunicavano al di fuori, erano chiuse internamente come pure tutte le finestre. Lo stupore del conte fu inesprimibile; rientrò nella camera, ove tutto era al suo luogo. La spada stava sul tavolino, colla lucerna, un libro ed un mezzo bicchier di vino. Accanto al caminetto eravi il paniere con un resto di provvisioni, e legna col fuoco spento. Il conte parlava poco, ma il di lui silenzio esprimeva molto. Pareva che Lodovico avesse dovuto fuggire per qualche uscio segreto ed ignoto. Il conte non poteva risolversi ad ammettere una causa soprannaturale; e poi, quando anche vi fosse, quest'uscio segreto, come spiegare i motivi della sua fuga?

Villefort aiutò egli stesso a staccare il parato di tutte le stanze, per iscuoprire se nascondeva qualche apertura, ma tutto indarno. Egli si ritirò dunque dopo aver chiuso il salotto, e messasene la chiave in tasca. Diede ordini pressanti perchè si cercasse Lodovico fino ne' dintorni, e si ritirò con Enrico nel suo gabinetto, ove restarono un'ora circa. Qualunque fosse stato il soggetto della loro conferenza, Enrico da allora perdè tutto il brio, e diveniva grave e riservato allorchè trattavasi il soggetto che allarmava tutta la famiglia. La paura dei servi crebbe al punto che la maggior parte di essi partì immediatamente, e gli altri restarono finchè il conte non li avesse surrogati. Le ricerche più esatte sul destino di Lodovico furono inutili. Dopo molti giorni d'indagini, la povera Annetta si abbandonò alla disperazione, e la sorpresa generale fu al colmo.

Emilia, il cui spirito era stato vivamente commosso dalla strana fine della marchesa, e dalla misteriosa relazione ch'essa immaginava aver esistito fra lei e Sant'Aubert, era colpita in ispecie da un caso sì straordinario. Era inoltre afflittissima della perdita di Lodovico, la cui probità, fedeltà ed i servigi meritavano tutta la sua stima e riconoscenza. Desiderava trovarsi nella placida solitudine del suo convento; ma tutte le volte che ne parlava al conte, questi ne la dissuadea teneramente; ella sentiva per lui l'affetto, l'ammirazione ed il rispetto di una figlia; e Dorotea consentì alfine ch'ella l'informasse dell'apparizione da loro veduta nella camera da letto della marchesa. In tutt'altro momento avrebbe sorriso della di lei relazione, ma allora ascoltolla sul serio, ed allorchè ebbe finito, le raccomandò il più scrupoloso segreto. « Qualunque possa essere la causa di questi avvenimenti singolari, » disse il conte, « il tempo solo può spiegargli. Io veglierò con cura su quanto accadrà nel castello, ed impiegherò ogni mezzo per iscuoprire il destino di Lodovico. Intanto usiamo prudenza e circospezione. Andrò io stesso a passare una notte intiera in quell'appartamento, ma fintantochè ne determini l'istante, voglio che l'ignorino tutti. » La vecchia Dorotea gli raccontò allora le particolarità della morte della marchesa, che cagionarongli alta sorpresa.

La settimana seguente, tutti gli ospiti del conte partirono, eccettuato il barone, suo figlio ed Emilia. Quest'ultima ebbe l'imbarazzo di un'altra visita del signor Dupont, che la fece risolvere a tornar subito al convento. La gioia manifestata da quell'uomo appassionato nel rivederla, la persuase come non avesse rinunziato alla speranza di farla sua, Emilia però fu seco lui molto riservata. Il conte lo ricevè con piacere, glielo presentò sorridendo, e parve ritrarre buon augurio dall'impaccio in cui la vedea.

Dupont però lo comprese meglio, perdè d'improvviso ogni brio, e ricadde nel languore e nello scoraggiamento.

Il giorno seguente, nondimeno, spiò l'occasione di spiegare il motivo della sua visita, e rinnovò la domanda. Questa dichiarazione fu ricevuta da Emilia con visibile dispiacere: procurò di addolcirgli la pena d'un secondo rifiuto, coll'assicurazione reiterata della sua stima e amicizia. Più persuasa che mai dell'inconvenienza d'un più lungo soggiorno nel castello, andò subito ad informare il conte della sua volontà di tornare al convento.

« Cara Emilia, » le diss'egli, « vedo con dispiacere che incoraggite le illusioni pur troppo comuni ai giovani cuori: il vostro ha ricevuto un colpo violento, e credete non doverne guarir più. Cercate di respingere queste idee; scacciate le illusioni, e svegliatevi al sentimento del pericolo. »

Emilia sorrise forzatamente, e rispose: « So che cosa volete dire, o signore, e son preparata a rispondervi. Sento che il mio cuore non proverà mai un secondo affetto, e perderei la speranza di ricuperare ancora la pace e la tranquillità, se mi lasciassi trascinare a nuovi impegni.

– So bene che voi sentite tutto questo, ma so eziandio che il tempo indebolirà tale sentimento; io posso parlarvene in proposito, e so compatire i vostri affanni, chè conosco per esperienza cosa vuol dire amare e piangere l'oggetto amato, » soggiunse commosso assai; « giudicate dunque s'io debbo premunir voi contro i terribili effetti di un'inclinazione, che può influire su tutta la vita, e abbreviare quegli anni che avrebbero potuto esser felici. Il signor Dupont è uomo amabile e sensibile; vi adora da lungo tempo, la sua famiglia e le sue sostanze non son suscettibili d'alcuna obiezione. Or è superfluo aggiungere ch'io credo il signor Dupont capace di fare la vostra felicità. Non piangete, mia cara Emilia, » continuò il conte, prendendole una mano; « io non voglio indurvi a sforzi violenti per domare i vostri affetti, ma pregarvi solo a star lontana da tutte le occasioni, che possono rammentarvi gli oggetti della vostra tristezza, pensando qualche volta all'infelice Dupont, senza condannarlo a quello stato di disperazione da cui bramerei veder guarita voi stessa.

 

– Ah! signore, » disse Emilia, versando un torrente di lacrime, « non vorrei che i vostri voti a tal proposito ingannassero il signor Dupont, colla speranza ch'io possa accordargli la mia mano. Se consulto il cuore, ciò non accadrà mai, ed io posso sopportar tutto fuorchè l'idea che possa mai cambiar di pensiero.

– Soffrite ch'io mi faccia interprete del vostro cuore, » ripigliò il conte con un sorriso; « se mi fate l'onore di seguire i miei consigli sul resto, vi perdonerò l'incredulità sulla vostra condotta futura verso Dupont. Non vi solleciterò di restar qui più a lungo che non vi piaccia; ma astenendomi adesso dall'oppormi alla vostra partenza, reclamo dalla vostra amicizia qualche visita per l'avvenire. »

Emilia ringraziollo di tante prove d'affetto, e promise di seguire i suoi consigli, uno solo eccettuato, assicurandolo del piacere con cui profitterebbe del suo grazioso invito, allorchè Dupont non fosse più al castello.

Villefort, sorridendo di questa condizione, riprese: « Vi acconsento, il monastero è qui vicino; mia figlia ed io potremo venire spesso a vedervi. Se però qualche volta ci permettessimo di associare un compagno alla nostra passeggiata, ce lo perdonereste voi? »

Emilia parve afflitta, e non rispose.

« Ebbene, » soggiunse il conte, « non ne parliamo più; vi domando perdono d'essermi spinto troppo oltre. Vi supplico di credere che il mio unico scopo è un vero interesse per la vostra felicità e per quella del mio buon amico. »

La fanciulla scrisse alla badessa, e partì la sera del giorno seguente. Dupont la vide partire con rammarico; ma il conte cercò incoraggiarlo colla speranza che col tempo essa gli sarebbe stata più favorevole.

Emilia fu contentissima di trovarsi nel placido ritiro del chiostro, ove la badessa le rinnovò le maggiori prove di materna bontà, avvalorate dall'amicizia veramente fraterna delle altre monache. Sapevano esse di già l'avvenimento straordinario del castello, e la stessa sera, dopo cena, pregarono Emilia di raccontarne i dettagli; essa lo fece con circospezione, estendendosi assai poco sulla scomparsa di Lodovico. Tutte le ascoltanti convennero unanimemente a darle una causa soprannaturale.

« Fu creduto per molto tempo, » disse una monaca chiamata suor Francesca, « che il castello fosse frequentato dagli spiriti, e rimasi assai sorpresa quando seppi che il conte aveva la temerità di venire ad abitarlo. Credo che l'antico proprietario avesse qualche peccato da espiare. Speriamo che le virtù dell'attual possessore possano preservarlo dal castigo riserbato al primo, se realmente era reo.

– E di qual delitto lo sospettano? » disse una certa Feydeau, educanda.

– Preghiamo per l'anima sua, » rispose una monaca, la quale fin allora non avea aperto bocca. « Se fu reo, il suo castigo quaggiù bastò ad espiarne la colpa. »

Eravi nell'accento di tai detti un misto di serio e di singolarità che colpì Emilia. L'educanda ripetè l'inchiesta senza badare alle parole della monaca.

« Non oso dire qual fu il suo delitto, » ripigliò suor Francesca. « Intesi racconti strani a proposito del marchese di Villeroy. Dicono, tra altri, che dopo la morte della moglie partì da Blangy, e non vi tornò più. A quell'epoca io non era qui, e non posso dir nulla di preciso; la marchesa era morta già da molto tempo, e la maggior parte delle nostre suore non potrebbe dirne di più.

– Io lo potrei, » ripigliò la monaca che avea già parlato, e che si chiamava suor Agnese.

– Voi sapete dunque, » disse l'educanda, « le circostanze che vi fanno giudicare s'egli fosse colpevole o no, e qual delitto gli venisse imputato?

– Sì, » rispose suor Agnese; « ma chi potrebbe mai indagare i miei pensieri? Chi oserà mescolarsi ne' miei segreti? Dio solo è il suo giudice, ed egli è già al cospetto di quel giudice terribile.

– Vi domandava soltanto la vostra opinione, se questo discorso vi spiace, lo cambieremo subito.

– Spiacevole! » rispose la monaca con affettazione. « Noi parliamo a caso, senza pesare il valore delle parole. Spiacevole! è un'espressione miserabile. Io vado a pregare Iddio. »

Ed alzatasi sospirando, se ne andò.

« Che significa ciò? » chiese Emilia.

– Non è straordinario, » rispose suor Francesca; « ella è spesso così. La sua ragione è alterata; vaneggia.

– Povera donna! » soggiunse Emilia; « pregherò Dio per lei.

– Le vostre preci in tal caso si uniranno alle nostre, giacchè ne ha bisogno.

– Signora, » disse la Feydeau, « fatemi la grazia di dirmi la vostra opinione sul marchese di Villeroy. Lo strano avvenimento del castello ha tanto eccitato la mia curiosità, che mi rende ardita a tal segno: qual è dunque il delitto che gli viene imputato?

– Non si può, » rispose la badessa con aria grave, « non si può avventurare veruna proposizione sopra un soggetto così delicato. Quanto al castigo di cui parla suor Agnese, non so che ne abbia sofferto alcuno, ed avrà voluto di certo alludere al crudele rimordimento di coscienza. Guardatevi bene, figliuole, di provare questo terribile castigo, ch'è il purgatorio della nostra vita. La marchesa è stata un modello di virtù e rassegnazione, ed il chiostro istesso non avrebbe arrossito d'imitarla. La nostra chiesa ha ricevuto la di lei spoglia mortale, e la sua anima è volata senza dubbio in grembo al Creatore. Andiamo, figliuole, a pregare per gl'infelici peccatori. »

Ella si alzò, e la seguirono tutte alla cappella.

CAPITOLO XLVI

Villefort ricevè alfine una lettera dell'avvocato di Aix, che incoraggiava Emilia ad affrettare le sue istanze pel ricupero dei beni della zia. Poco dopo ricevè un simile avviso per parte di Quesnel; ma il soccorso della legge non pareva più necessario, giacchè la sola persona che avesse potuto opporsi non esisteva più. Un amico di Quesnel, che risiedeva a Venezia, aveagli mandato la relazione della morte di Montoni, processato con Orsino, come supposto complice dell'assassinio del nobile veneziano. Orsino, trovato reo, fu giustiziato; Montoni ed i suoi compagni, riconosciuti innocenti di quel delitto, furono tutti rilasciati tranne il primo. Il senato vide in lui un uomo pericolosissimo, e, per diversi motivi, fu ritenuto in carcere. Vi morì in modo molto segreto e sospettossi che il veleno troncasse i suoi giorni. La persona dalla quale Quesnel aveva ricevuto la notizia, meritava tutta la fede. Egli diceva dunque a Emilia che bastava reclamare i beni della zia per andarne al possesso, aggiungendo l'avrebbe aiutata a non trascurar veruna formalità. L'affitto della valle volgea al suo termine, per cui la consigliava di recarsi a Tolosa.

L'aumento del patrimonio d'Emilia aveva risvegliato in Quesnel un'improvvisa tenerezza per la nipote, e pareva avere più rispetto per una ricca fanciulla, di quel che non avesse sentito compassione per un'orfanella povera e senza amici.

Il piacere provato da Emilia a tale notizia, fu mitigato dall'idea che colui, pel quale aveva desiderato tanto di essere nell'agiatezza, non era più degno di lei. Nonpertanto ringraziò il cielo del benefizio inaspettato, e scrisse a Quesnel che sarebbe stata a Tolosa pel tempo indicato.

Quando Villefort andò al convento in compagnia di Bianca per far leggere ad Emilia il consulto dell'avvocato, fu istruito delle informazioni di Quesnel, e ne felicitò sinceramente la fanciulla. Tornò quindi a riparlare delle sue inquietudini sulla sorte di Lodovico; e disse che, volendo far cessare tutte le ciarle e le paure, aveva l'intenzione decisa di passare una notte intiera nell'appartamento del nord. Emilia seriamente allarmata, unì le sue preghiere a quelle di Bianca per distoglierlo da tale progetto.

« Che cos'ho io da temere? » rispos'egli; « non credo aver a combattere nemici soprannaturali, e quanto agli attacchi umani, sarò parato a riceverli; d'altronde, vi prometto di non vegliar solo. Mio figlio mi terrà compagnia; e se stanotte non isparirò come Lodovico, domani saprete il risultato della mia avventura. »

Il conte e Bianca, congedatisi poco dopo da Emilia, tornarono al castello.

La sera, dopo cena, Villefort s'incamminò con Enrico all'appartamento del nord, accompagnato dal barone, da Dupont e da alcuni domestici, che gli augurarono la buona notte alla porta. Tutto era in quelle stanze nel medesimo stato come dopo la sparizione di Lodovico. Essi furon costretti ad accendere il fuoco da sè, poichè nessuno si era arrischiato a venire fin là. Esaminarono scrupolosamente la camera e l'oratorio, e sedettero vicino al fuoco. Deposero le spade sul tavolino, e parlarono a lungo di varie cose. Enrico era spesso distratto e taciturno, e fissava tratto tratto un occhio diffidente e curioso sulle parti oscure della camera. Il conte cessò a poco a poco di parlare, e, per sottrarsi a' pensieri che l'assalivano, si mise a leggere un volume di Tacito, ond'erasi prudentemente munito.

CAPITOLO XLVII

Il barone di Santa-Fè, inquieto per l'amico, non avendo potuto chiuder occhio in tutta notte, erasi alzato di buonissima ora. Andando per notizie passò vicino al gabinetto del conte, ed udì camminare: bussò, e venne lo stesso Villefort ad aprirgli: lieto di vederlo sano e salvo, il barone non ebbe tempo di osservarne la fisonomia straordinariamente grave; le sue risposte riservate però ne lo resero ben presto accorto. Il conte affettando di sorridere, rispose evasivamente alle di lui interrogazioni; ma il barone divenne serio e così pressante, che Villefort, preso allora un tuono deciso di gravità, gli disse:

« Amico caro, non mi domandate nulla di più, ve ne scongiuro. Vi supplico inoltre di tacere su tutto ciò che la mia condotta avvenire potrà avere di sorprendente. Non ho difficoltà a dirvi che sono infelice, e che il mio esperimento non mi fece trovare Lodovico. Scusate la mia riserva sugl'incidenti di stanotte.

– Ma dov'è Enrico? » disse il barone, sorpreso e sconcertato dal rifiuto.

– È nelle sue stanze; mi farete il piacere a non interrogarlo. Potete esser certo che il motivo che m'impone silenzio verso un amico di trent'anni, non può derivare da un caso ordinario. La mia riserva, in questo momento, non deve farvi dubitare nè della stima, nè dell'amicizia mia. »

Troncato così il discorso, scesero per la colazione. Il conte mosse incontro alla sua famiglia con aria allegra: si schermì dalle molteplici interrogazioni con risposte scherzose, ed assicurò, ridendo, l'appartamento del nord non essere poi tanto da paventarsi, se lui e suo figlio n'erano usciti sani e salvi.

Enrico fu però meno felice ne' suoi sforzi per dissimulare; la sua faccia portava ancora l'impronta del terrore. Era muto e pensieroso, e quando voleva rispondere, celiando, alle pressanti dimande della Bearn, si vedeva bene il suo brio non esser naturale.

Dopo pranzo, il conte, a tenore della sua promessa, andò a trovare Emilia, la quale fu sorpresa di trovare ne' suoi discorsi sugli appartamenti del nord un misto di motteggio e riservatezza. Non disse però nulla dell'avventura notturna; e quand'essa ardì favellargliene, e chiedergli se si fosse accorto che gli spiriti frequentassero l'appartamento, si fece serio e rispose sorridendo:

« Cara Emilia, non vi guastate il cervello con simili idee che v'insegnerebbero a trovar uno spettro in tutte le stanze oscure. Ma credetemi, » soggiunse con un lungo sospiro, « i morti non appariscono per soggetti frivoli, nè all'unico scopo di spaventare i paurosi. » Tacque, pensò alquanto, indi ripigliò: « Ma via, non parliamone più. »

E s'accomiatò poco dopo. La fanciulla andò a raggiungere le monache, e restò sorpresa nel sentire come sapessero già l'avventura. Ammiravano esse l'intrepidità del conte a passar la notte nell'istesso appartamento ov'era sparito Lodovico, Emilia non considerava con qual rapidità circola una notizia superstiziosa. Le monache l'avevano saputa dal giardiniere, ed i loro sguardi dopo la scomparsa di Lodovico, stavano sempre fissi sul castello di Blangy.

Emilia ascoltava tacendo tutte le loro dissertazioni sulla condotta del conte. La maggior parte la condannarono come temeraria e presuntuosa. Suor Francesca sosteneva che il conte aveva mostrato tutta la bravura di un'anima grande e virtuosa. Non erasi macchiato di verun delitto, e non poteva temere lo spirito maligno, avendo diritti alla protezione di colui che comanda ai cattivi e protegge l'innocenza.

« I colpevoli non possono reclamare questa protezione, » disse suor Agnese sospirando e fissati gli occhi in Emilia, la prese per la mano dicendole: « Voi siete giovine, siete innocente, ma avete passioni in cuore… veri serpenti. Essi dormono ora: guardate che non si sveglino perchè vi ferirebbero a morte. »

 

La fanciulla, colpita da tali parole, e dal modo con cui venivano pronunziate, non potè trattener le lacrime.

« Ah! è dunque vero! » sclamò allora suor Agnese con tenerezza; « così giovine, ed essere infelice! Noi siamo adunque sorelle? Esistono dunque teneri rapporti fra i colpevoli? » Quindi, con occhi smarriti: « No, non c'è più riposo! non più pace! non più speranza. Le ho gustate per l'addietro; allora poteva piangere. La mia sorte è decisa.

– C'è speranza per tutti quelli che si pentono e si correggono, » disse suor Francesca.

– Per tutti, fuorchè per me, » replicò suor Agnese. « Ma la testa mi bolle, credo esser malata. Oh! perchè non posso cancellare il passato dalla memoria! Quelle ombre che sorgono come furie per tormentarmi, le veggo sempre in sogno; quando mi sveglio mi stanno dinanzi! Ed ora le vedo là, là… »

Restò qualche tempo nell'atteggiamento dell'orrore: i di lei sguardi erravano per la camera, come se avessero seguito qualche oggetto. Una monaca la prese dolcemente per la mano onde condurla fuori. Suor Agnese si calmò, mise un sospiro, e disse:

« Esse sono sparite, sì, sono sparite. Ho la febbre, e non so quel ch'io dica. Talvolta mi trovo in questo stato, ma presto passa. Fra poco starò meglio. Addio, care sorelle; vo' ritirarmi in cella; sovvengavi di me nelle vostre orazioni. »

Appena fu uscita, suor Francesca vedendo l'emozione di Emilia, le disse:

« Non vi sorprenda. La nostra sorella ha spesso la testa alterata, sebbene io non l'abbia mai veduta in un delirio così grande come oggi, ma spero che la solitudine e l'orazione la calmeranno.

– La sua coscienza pareva oppressa, » disse Emilia; « sapete voi per qual motivo sia ridotta in uno stato così deplorabile?

– Si, » rispose suor Francesca; poi soggiunse sottovoce: « In questo momento non posso dirvi nulla. Se volete saperne qualcosa, venite a trovarmi in cella dopo cena. Ma rammentatevi che a mezzanotte io devo andare al mattutino; venite dunque o prima, o dopo. »

Emilia promise di esser puntuale; sopraggiunse la badessa, e non si parlò più dell'infelice suor Agnese.

Il conte tornando al castello, trovò Dupont in un trasporto di disperazione, cagionatogli dal suo amore per Emilia; amore nato in lui da troppo tempo ond'esser vinto facilmente. Egli avea conosciuta la fanciulla in Guascogna; il di lui padre, cui erasi confidato, trovando ch'essa non era abbastanza ricca, lo dissuase dal pensare a cercarla in isposa. Finchè visse suo padre, gli fu obbediente, ma non potendo vincere la sua passione, cercava di addolcirla visitando i luoghi frequentati da Emilia, ed in ispecie la peschiera. Una volta o due aveale manifestato i suoi sentimenti in versi, ma giammai palesato il suo nome per non trasgredire agli ordini paterni. Colà aveva cantato quella canzone patetica, di cui Emilia era stata tanto sorpresa, e vi aveva trovato a caso quel ritratto che servì ad alimentare una passione troppo fatale al suo riposo. Abbracciata la carriera militare, scese a guerreggiare in Italia; intanto suo padre morì, ed egli aveva riacquistata la libertà quando l'unico oggetto che poteva rendergliela preziosa non poteva più corrispondergli. Si è veduto in qual modo ritrovasse Emilia, e come l'avesse aiutata a fuggire. Si è veduto finalmente a qual debole speranza appoggiasse il suo amore, e l'inutilità di tutti i di lui sforzi per vincerlo. Il conte procurò consolarlo collo zelo dell'amicizia, lusingandolo che forse la pazienza e la perseveranza potrebbero un giorno cattivargli l'affetto di Emilia.

Appena le monache si furono ritirate, la fanciulla, recatasi da suor Francesca, la trovò inginocchiata dinanzi ad un crocifisso; appena la vide, le fece segno di entrare, ed Emilia aspettò in silenzio ch'essa finisse la sua orazione, allora la monaca si alzò, e postasi a sedere sul letticciuolo, così cominciò:

« La vostra curiosità, sorella cara, vi ha resa esatta, ma non c'è nulla di notevole nell'istoria di suor Agnese. Non ho voluto parlare di lei in presenza delle altre, perchè non mi garba che conoscano il suo delitto.

– La vostra confidenza mi onora, » disse Emilia, « ma io non ne abuserò.

– Suor Agnese, » soggiunse la monaca, « è d'una famiglia nobile; la dignità della sua fisonomia ve lo avrà forse già fatto sospettare; ma non voglio disonorare il suo nome rivelandolo. L'amore fu cagione delle sue follie e del suo delitto. Fu amata da un gentiluomo poco ricco, e il di lei padre, da quanto mi fu detto, avendola maritata ad un signore ch'ella odiava, accelerò la sua perdita: obliò i suoi doveri e la virtù, e profanò i voti del matrimonio; questo delitto fu scoperto, ed il marito l'avrebbe sacrificata alla sua vendetta, se il di lei padre non avesse trovato il mezzo di sottrarla al suo potere. Non ho mai potuto scoprire in qual modo potè riuscirvi. La chiuse in questo convento, e la decise a prendere il velo. Si fece spargere la voce ch'essa era morta; il padre, per salvar la figlia, concorse a confermare questa notizia, e fece credere perfino al marito ch'era stata vittima del suo geloso furore. Parmi che quest'istoria vi sorprenda, e per vero non è comune, ma non è però senz'esempio. Ora sapete tutto; aggiungerò soltanto che il contrasto nel cuore di Agnese fra l'amore, i rimorsi ed il sentimento dei doveri claustrali, cagionò alla perfine il disordine delle sue idee. In principio era alteratissima; prese in seguito una malinconia abituale, ma da qualche tempo cade in accessi di delirio più forti e frequenti del solito. »

Emilia fu commossa da quest'istoria, che le parve aver molta analogia con quella della marchesa di Villeroy, e sparse qualche lacrima sugli infortunii d'entrambe. « È strano, » soggiunse ella, « ma vi sono momenti in cui credo rammentarmi la sua figura; io non ho per certo veduta mai suor Agnese prima di entrare in questo convento; bisogna che abbia visto in qualche parte una persona che le somigli, eppure non ne ho nessuna memoria. » E rimase sovrappensieri. Quando suonò mezzanotte, congedossi e tornò nella sua camera.

Per molti giorni consecutivi, Emilia non vide nè il conte, nè alcuno della sua famiglia; quand'egli comparve, essa notò con pena l'eccesso della sua agitazione.

« Non ne posso più, » rispos'egli alle di lei premurose interrogazioni; « voglio assentarmi per qualche tempo, onde ricuperare un poco di tranquillità. Mia figlia ed io accompagneremo il barone di Santa-Fè al di lui castello, situato alle falde dei Pirenei in Guascogna. Ho pensato, cara Emilia, che se voi andaste alla vostra terra della valle si potrebbe fare insieme parte del viaggio, ed io sarei lietissimo di potervi scortare fin là. »

Essa lo ringraziò, facendogli conoscere il dispiacere di non poter godere della sua compagnia, essendo obbligata di trasferirsi prima a Tolosa. « Allorchè sarete dal barone, » soggiunse, « vi troverete poco distante da' miei beni. Mi lusingo pertanto che non ripartirete di colà senza venire a trovarmi, credendo inutile dirvi qual piacere io proverò a ricevervi in compagnia di Bianca.

– Ne son convinto appieno, » rispose Villefort; « ed approfitterò molto volentieri delle vostre gentili profferte. »

E dopo i soliti complimenti, se ne partì.

Pochi giorni dopo, Emilia ricevè una lettera di Quesnel che l'avvisava di esser già a Tolosa, che la terra della valle era libera, e la pregava d'affrettarsi, perchè i suoi affari lo chiamavano in Guascogna. Essa non esitò più; andò a fare i saluti al conte, che non era ancora partito, e si mise in viaggio per Tolosa, in compagnia dell'infelice Annetta, e d'un fido servo della famiglia del conte.

Купите 3 книги одновременно и выберите четвёртую в подарок!

Чтобы воспользоваться акцией, добавьте нужные книги в корзину. Сделать это можно на странице каждой книги, либо в общем списке:

  1. Нажмите на многоточие
    рядом с книгой
  2. Выберите пункт
    «Добавить в корзину»