Tracce di Peccato

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Из серии: Un Thriller di Keri Locke #3
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Tracce di Peccato
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T R A C C E D I P E C C A T O

(UN THRILLER DI KERI LOCKE — LIBRO 3)

B L A K E P I E R C E

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include nove libri (più altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore dei gialli di MACKENZIE WHITE in sei libri (più altri in arrivo); della serie gialla di AVERY BLACK, che comprende quattro libri (più altri in arrivo); e della serie thriller di KERI LOCKE, che conta quattro libri (più altri in attivo).

Avido lettore e fan di gialli e thriller da una vita, Blake vorrebbe sapere cosa ne pensi delle sue opere, quindi visita il suo sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.

Copyright © 2017 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia per sé. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright Rommel Canlas, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.

I LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

I MISTERI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

FUOCO A BOSTON (Libro #3)

I GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

PROLOGO

Anche se aveva solo sedici anni, Sarah Caldwell aveva la testa sulle spalle e uno spiccato sesto senso che le diceva quando le cose non quadravano. E qui le cose non quadravano.

Quasi non c’era andata. Ma quando Lanie Joseph, la sua migliore amica dalle scuole elementari, l’aveva chiamata per chiederle di andare al centro commerciale quel pomeriggio, non era riuscita a trovare una ragione convincente per non farlo.

Però, fin dal momento in cui si erano incontrate, Lanie sembrava nervosa. Sarah non capiva che cosa nel vagabondare per il Fox Hills Mall potesse mettere così tanta ansia. Notò che mentre si provavano delle collane da Claire, Lanie aveva le mani che tremavano mentre cercava di allacciare la chiusura.

La verità era che Sarah ormai non sapeva più che cosa rendesse nervosa Lanie. Erano state incredibilmente vicine per tutti gli anni delle elementari. Ma quando poi la famiglia di Sarah si era trasferita da Culver City, nella zona sud, al quartiere di Westchester, proletario come l’altro ma meno pericoloso, si erano lentamente allontanate. Le comunità si trovavano a solo qualche miglio di distanza. Ma senza auto, che nessuna delle due ragazzine aveva, né un serio impegno a tenersi in contatto, si erano perse di vista.

Mentre provavano dei trucchi da Nordstrom, Sarah lanciava delle occhiate di sfuggita a Lanie nello specchio. I capelli biondo chiaro dell’amica erano striati di blu e rosa. Si era già messa così tanto trucco sugli occhi che non c’era proprio ragione di provarne ancora al bancone. La pelle chiara era resa ancora più pallida dai tatuaggi, dalla canotta nera e dai pantaloncini cortissimi che indossava. Sarah non poté fare a meno di notare che all’intenzionale body art erano mischiati degli ematomi.

Tornò a rivolgere lo sguardo al suo riflesso, e rimase sconvolta dal contrasto. Sapeva di essere carina anche lei, ma in modo più smorzato, quasi ponderato. I capelli castani lunghi fino alle spalle era legati in una coda. Il trucco era discreto – le ravvivava gli occhi nocciola e le lunghe ciglia. La pelle olivastra era priva di tatuaggi e indossava jeans sbiaditi e un top color foglia di tè carino ma per nulla osé.

Si domandò se restando nel vecchio quartiere non avrebbe finito col somigliare a Lanie, oggi. Quasi sicuramente no. I suoi genitori non le avrebbero mai permesso di prendere quella strada.

Se Lanie si fosse trasferita a Westchester, somiglierebbe ancora a una giovane prostituta che batte alla stazione di servizio?

Sarah sentì il viso farsi rosso mentre scacciava il pensiero di mente. Che razza di persona era a pensare cose così orribili su qualcuno con cui da bambina aveva giocato con le Barbie? Distolse lo sguardo, sperando che Lanie non si accorgesse del senso di colpa che di sicuro aveva scritto in faccia.

“Andiamo alla zona ristorante a mangiare qualcosa,” disse Sarah cercando di cambiare le dinamiche. Lanie annuì e si incamminarono, lasciandosi alle spalle la delusa commessa.

Sedute al tavolo masticando pretzel, Sarah decise finalmente di scoprire che cosa stesse accadendo.

“Be’, sai che adoro vederti, Lanie. Ma sembravi agitatissima quando mi hai chiamata e sembri così a disagio… c’è qualcosa che non va?”

“No. Va tutto bene. Solo che… il mio ragazzo passerà a salutarmi e credo di essere un po’ nervosa perché lo vedrai. È un po’ più grande di noi e stiamo insieme solo da poche settimane. Ho paura di perderlo e ho pensato che tu potresti parlare un po’ bene di me, ho pensato che se mi vedesse con la mia vecchia amica potrebbe vedermi in modo diverso.”

“Adesso com’è che ti vede?” chiese Sarah preoccupata.

Prima che Lanie potesse rispondere, si avvicinò al loro tavolo un ragazzo. Ancor prima delle presentazioni, Sarah capì che doveva essere lui.

 

Era alto e magrissimo, con jeans aderenti e una t-shirt nera che gli faceva risaltare la pelle pallida e i molti tatuaggi. Sarah notò che lui e Lanie avevano lo stesso piccolo teschio con le ossa incrociate tatuato sul posto sinistro.

Con i suoi lunghi, neri capelli a punta e gli scuri occhi penetranti, più che bello era bellissimo. A Sarah ricordava i front man di quelle band hair metal degli anni Ottanta per le quali sua madre andava in estasi, che si chiamavano cose come Skid Row o Motley Row o qualcosa Row. Avrà avuto ventun anni.

“Ehi, dolcezza,” disse con nonchalance, e si sporse per dare a Lanie un bacio incredibilmente appassionato, almeno per il ristorante di un centro commerciale. “Gliel’hai detto?”

“Ancora non ne ho avuto la possibilità,” disse Lanie timidamente, prima di rivolgersi a Sarah. “Sarah Caldwell, lui è il mio ragazzo, Dean Chisolm. Dean, lei è la mia più vecchia amica al mondo, Sarah.”

“Piacere di conoscerti,” disse Sarah con cortesia.

“Il piacere è tutto mio,” disse Dean prendendole la mano con un profondo inchino scherzosamente esagerato. “Lanie parla sempre di te, di come vorrebbe che poteste vedervi di più. Perciò sono contentissimo che oggi siate riuscite a vedervi.”

“Anch’io,” disse Sarah, colpita dall’inaspettato fascino del ragazzo, ma comunque sospettosa. “Che cos’è che non ha avuto la possibilità di dirmi?”

Il viso di Dean si illuminò tutto di un sorriso sereno che sembrava fatto per dissolvere i suoi sospetti.

“Ah, già,” disse. “Questo pomeriggio vengono da me degli amici e pensavamo che sarebbe divertente che venissi anche tu. Alcuni suonano in dei gruppi. Uno è in cerca di un nuovo cantante. Laine pensava che conoscerli potrebbe farti piacere. Dice che canti davvero molto bene.”

Sarah guardò Lanie, che le sorrise ma senza dire niente.

“È così?” le chiese Sarah.

“Potrebbe essere divertente provare qualcosa di nuovo,” disse Lanie con nonchalance, ma Sarah riconobbe lo sguardo nei suoi occhi, che la implorava di non dire nulla che la mettesse in imbarazzo davanti al suo nuovo, sexy ragazzo.

“Dove?” chiese Sarah.

“Dalle parti di Hollywood,” disse lui con gli occhi che brillavano dall’entusiasmo. “Andiamo. Sarà divertente.”

*

Sarah sedeva sul sedile posteriore della vecchia Trans-Am di Dean. Il relitto era ben conservato all’esterno, ma gli interni erano disseminati di mozziconi di sigarette e incarti arrotolati di McDonald. Dean e Lanie sedevano davanti. Con la musica alta, era impossibile conversare. Superarono Hollywood in direzione di Little Armenia.

Sarah guardò l’amica sul sedile davanti e si chiese se la stesse davvero aiutando, andando alla festa. I pensieri le tornarono al bagno del centro commerciale, dove, prima di andarsene, Lanie alla fine le aveva parlato apertamente.

“Dean è superpassionale,” aveva detto mentre si controllavano il trucco per l’ultima volta allo specchio del bagno. “E sono preoccupata che se non tengo il passo lo perderò. Cioè, è così sexy. Potrebbe avere tonnellate di ragazze. E non mi tratta come una ragazzina. Mi tratta come una donna.”

“È per questo che hai quegli ematomi, perché ti tratta come una donna?”

Cercò di cogliere lo sguardo di Lanie allo specchio ma l’amica si rifiutava di guardarla direttamente.

“Era solo nervoso,” disse. “Ha detto che mi vergognavo di lui e che era per questo che non gli presentavo nessuna delle mie rispettabili amiche. Ma la verità è che di amiche così non ne ho più. È stato in quel momento che ho pensato a te. Ho pensato che se voi due vi incontravate, avrei vinto due volte. Lui avrebbe capito che non lo tenevo nascosto e tu mi avresti fatto fare bella figura perché ho almeno un’amica, sai, con un futuro.”

Presero una buca e i pensieri di Sarah vennero riportati bruscamente al presente. Dean stava entrando in un parcheggio parallelo a una squallida strada con una fila di casette, tutte con le sbarre alle finestre.

Sarah prese il telefonino e cercò per la terza volta di inviare un messaggio a sua madre. Però ancora non aveva ricezione. Era strano perché non è che si trovassero in aperta campagna; si trovavano nel cuore di Los Angeles.

Dean parcheggiò e Sarah rimise il cellulare nella borsa. Se la ricezione era pessima anche in casa, avrebbe usato il telefono fisso. Dopotutto sua madre era sì piuttosto comprensiva, ma sparire per ore senza farle la cortesia di chiamarla andava decisamente contro le regole di famiglia.

Risalendo il viale, Sarah sentiva già i colpi sordi della musica. Un fremito di incertezza le percorse il corpo, ma lo ignorò.

Dean bussò forte alla porta principale e aspettò che qualcuno dentro aprisse quelle che sembravano serrature e chiavistelli vari.

Alla fine la porta si aprì appena per rivelare un ragazzo dal viso coperto da una massa di lunghi capelli spettinati. Il forte odore di erba impregnò l’aria e colpì Sarah in modo così inaspettato che prese a tossire. Il ragazzo vide Dean e gli diede un pugno amichevole, poi aprì la porta del tutto per farli entrare.

Lanie avanzò e Sarah le rimase alle spalle, vicinissima. A bloccare l’ingresso dal resto della casa c’era una grande tenda di velluto rosso, come quella di uno scadente numero di magia. Mentre il ragazzo dai capelli lunghi richiudeva la porta dietro di loro, Dean scostò la tenda e le portò nel soggiorno.

Sarah rimase scioccata da ciò che vide. La stanza era piena di divani, amorini e pouf. Su ognuno c’erano delle coppie che limonavano, e in alcuni casi che facevano di più. Tutte le ragazze sembravano avere l’età di Sarah, e la maggior parte sembrava fatta. Alcune sembravano anche svenute, il che non fermava i ragazzi, i quali sembravano tutti più vecchi, dal fare ciò che volevano. La vaga inquietudine che aveva provato avvicinandosi alla casa tornò, però molto più forte adesso.

Non ci voglio stare in questo posto.

L’aria era densa di erba e di qualcosa di più dolce e più forte che Sarah non riconosceva. Quasi a farlo apposta, Dean porse a Lanie uno spinello. Lei fece un gran tiro prima di passarlo a Sarah, che rifiutò. Decise che ne aveva abbastanza di quel posto, che sembrava il set di un vecchio film porno.

Prese il telefono per chiamare un Uber ma scoprì che ancora non c’era ricezione.

“Dean,” urlò per sovrastare la musica, “Devo chiamare mia madre per farle sapere che farò tardi ma non prende. Hai un telefono fisso?”

“Certo. È in camera mia. Ti faccio strada,” si offrì lui, ancora una volta mostrando quel sorriso caldo e aperto prima di rivolgersi a Lanie. “Dolcezza, mi prenderesti una birra in cucina? È da quella parte.”

Lanie annuì e puntò nella direzione che lui le aveva indicato, e Dean fece cenno a Sarah di seguirlo lungo un corridoio. Non sapeva neanche lei perché avesse mentito su chi dovesse chiamare. Ma qualcosa della situazione le faceva pensare che non sarebbe stato un bene dire che voleva filarsela.

Dean aprì la porta alla fine del corridoio e si fece da parte per lasciarla passare. Lei si guardò intorno ma non vide nessun telefono.

“Dov’è il fisso?” chiese, voltandosi verso Dean mentre udiva chiudersi la porta. Vide che aveva già girato la serratura e che stava attaccando la catena accanto alla cima della porta della camera.

“Scusa,” disse stringendosi nelle spalle, ma con un tono per nulla dispiaciuto. “Devo averlo spostato in cucina. Credo di essermene dimenticato.”

Sarah valutò quanto aggressiva dovesse essere. C’era qualcosa di sbagliatissimo, nella situazione. Era chiusa a chiave in una camera da letto di quello che sembrava un bordello in una zona squallida di Little Armenia. Non sapeva quanto sarebbe stato efficace sfidarlo, viste le circostanze.

Sii dolce. Fa’ la scema. Cerca di andartene.

“Okay,” disse con fare allegro, “allora andiamo in cucina.”

Mentre parlava udì lo sciacquone del bagno. Si voltò e vide la porta del bagno aperta su un enorme ispanico che indossava una t-shirt bianca sollevata su una gigantesca pancia pelosa. Aveva la testa rasata e la barba lunga. Dietro di lui, sul pavimento di linoleum, era stesa una ragazza che non poteva avere più di quattordici anni. Aveva su solo le mutandine e sembrava svenuta.

Sarah sentì stringersi il petto e respirare si fece difficile. Cercò di nascondere il panico crescente che provava.

“Sarah, lui è Chiqy,” disse Dean.

“Ciao, Chiqy,” disse, sforzandosi di tenere la voce calma. “Mi dispiace ma devo lasciarvi subito, vado in cucina a fare una telefonata. Dean, potresti aprirmi la porta?”

Decise che invece di cercare di trovare la cucina, dove dubitava ci fosse un telefono comunque, avrebbe puntato dritta all’uscita. Una volta fuori, avrebbe fatto l’autostop. Poi avrebbe chiamato il 911 per chiedere aiuto per Lanie.

“Lascia che ti dia un’occhiata migliore,” ordinò Chiqy con voce roca, ignorando quel che lei aveva detto. Sarah si voltò e vide che il grosso uomo la squadrava. Dopo un istante, si leccò le labbra. A Sarah venne da vomitare.

“Che ne pensi?” gli chiese Dean con impazienza.

“Credo che le mettiamo un prendisole con le codine e ne tiriamo fuori un buon reddito.”

“Adesso vado,” disse Sarah, e si precipitò alla porta. Con sua sorpresa, Dean si fece da parte, con aria divertita.

“Hai usato il jammer in modo che non potesse usare il telefono?” udì dire da Chiqy alle sue spalle.

“Sì,” rispose Dean. “L’ho guardata bene. Ci ha provato un sacco ma sembra non aver mai avuto ricezione. Vero, Sarah?”

Lei armeggiava con la catena della serratura, e l’aveva quasi aperta quando una grossa ombra le bloccò improvvisamente la luce. Fece per girarsi ma prima di riuscirci sentì una botta alla nuca e poi tutto diventò nero.

CAPITOLO UNO

La detective Keri Locke aveva il cuore che andava a mille. Anche se si trovava nel mezzo dell’enorme stazione di polizia, non prestava attenzione a nulla di ciò che la circondava. Riusciva a malapena a pensare razionalmente mentre fissava l’email sul telefonino, rifiutandosi di credere che fosse vera.

disponibile a incontrarti se segui le regole. mi farò sentire presto.

Le parole erano semplici ma il significato era colossale.

L’aveva aspettato per sei lunghe settimane, sperando contro ogni speranza che l’uomo che sospettava le avesse rapito la figlia cinque anni prima si mettesse in contatto con lei. E adesso l’aveva fatto.

Keri allontanò il telefono sulla scrivania e chiuse gli occhi, cercando di rimanere composta mentre tentava di cogliere appieno la situazione. Quando per la prima volta aveva scoperto il contatto dell’uomo conosciuto solo come il Collezionista, aveva organizzato un incontro. Ma lui non si era fatto vedere.

Gli aveva scritto per scoprire cosa fosse accaduto. Lui aveva detto che lei non aveva seguito le regole, ma aveva accennato che magari in futuro si sarebbe fatto risentire. Ci erano volute tutta la disciplina e la pazienza del mondo per non cercare di contattarlo di nuovo. Voleva farlo disperatamente, ma temeva che se ci fosse andata troppo pesante lui l’avrebbe presa male e avrebbe eliminato completamente l’indirizzo email, lasciandola senza modo di trovarlo – o di trovare Evie.

E ora, dopo le angoscianti settimane di silenzio, finalmente si era rimesso in contatto con lei. Certo, lui non lo sapeva che stava comunicando con la madre di Evie, e nemmeno che era una donna. Tutto ciò che sapeva lui era che si trattava di un potenziale cliente con cui stava discutendo di un lavoro di rapimento.

Questa volta Keri avrebbe preparato un piano migliore. L’ultima volta aveva avuto meno di un’ora per arrivare al luogo scelto da lui. Aveva cercato di mandare qualcun altro al posto suo per controllare la situazione da lontano. Ma lui comunque lo sapeva che il ragazzo che lei gli aveva mandato non era il suo cliente, e non si era fatto vedere. Keri non poteva permettere che accadesse ancora.

Resta calma. Sei arrivata fin qui e sta funzionando. Non rovinare tutto agendo d’impulso. Adesso non c’è niente che tu possa fare, comunque. Tocca a lui. Rispondigli con semplicità e aspetta che si faccia risentire.

Keri digitò una sola parola:

okay

Poi mise il telefono in borsa e si alzò dalla scrivania, troppo nervosa e agitata per restarsene seduta. Sapendo che non c’era altro che potesse fare, cercò di togliersi il Collezionista dalla testa.

 

Puntò alla stanza del personale per prendere qualcosa da mangiare. Erano passate le sedici e aveva lo stomaco che si lamentava, anche se non sapeva se fosse perché aveva saltato il pranzo o per l’ansia generale.

Quando arrivò vide il suo partner, Ray Sands, che frugava nel frigorifero. Era famoso perché acchiappava qualsiasi pietanza non etichettata con cura. Fortunatamente la sua insalata di pollo, con il nome “Keri” scritto a chiare lettere sul contenitore, era nascosta nell’angolo in fondo, in basso. Ray, un afroamericano di due metri e due per centoquattro chili con la testa pelata e la muscolatura grossa, avrebbe dovuto essere proprio disperato per andare a incastrarsi laggiù solo per un’insalata.

Keri era sulla soglia, a godersi silenziosamente la vista del fondoschiena di Ray che si dimenava mentre lui manovrava la sua massa. Oltre a essere il suo partner era anche il suo migliore amico, e di recente forse qualcosa di più. Entrambi sentivano una forte attrazione l’uno per l’altra, e se l’erano confessato meno di due mesi prima, mentre Ray si riprendeva da una ferita da arma da fuoco presa mentre fermavano un rapitore di minori.

Però, da allora, avevano fatto solo passettini. Flirtavano più apertamente quando erano soli, e c’erano stati molti mezzi appuntamenti in cui uno dei due andava nell’appartamento dell’altro per vedere un film.

Ma sembravano entrambi aver paura a fare la mossa successiva. Keri sapeva perché si sentiva così e sospettava che per Ray fosse lo stesso. Lei temeva che se avessero deciso di andare fino in fondo e non avesse funzionato, sia la collaborazione che l’amicizia potessero finir male. Era una preoccupazione legittima.

Nessuno dei due aveva un gran passato di romanticismi. Erano entrambi divorziati. Entrambi avevano tradito il rispettivo coniuge. Ray, un ex pugile professionista, era un noto dongiovanni. E Keri doveva ammettere che da quando Evie era stata rapita era stata un fascio di nervi, costantemente sul punto di perdere il controllo. Su Match.com non avrebbero avuto un gran successo.

Ray sentì di essere osservato e si voltò, con mezzo sandwich senza nome in mano. Vedendo che nella stanza c’era solo Keri, le chiese, “Ti piace quello che vedi?” e le fece l’occhiolino.

“Non essere vanitoso, incredibile Hulk,” lo ammonì. Adoravano prendersi in giro con nomignoli che sottolineavano la loro differenza di stazza.

“Chi gioca con i doppi sensi, adesso, Miss Bianca?” chiese, sorridendo.

Keri vide il suo viso oscurarsi e capì di non essere riuscita a nascondergli il nervosismo per il Collezionista. La conosceva troppo bene.

“Che c’è che non va?” le chiese immediatamente.

“Niente,” rispose superandolo e chinandosi per prendere l’insalata. A differenza di lui, lei non aveva problemi a infilarsi negli spazi stretti. Anche se non era piccola come il nomignolo della topolina del cartone animato poteva far pensare, in confronto a Ray, con il suo metro e sessantasette per cinquantanove chili era una lillipuziana.

Sentiva i suoi occhi addosso, ma finse di non accorgersene. Non voleva parlare di ciò che aveva per la testa per un paio di ragioni. Prima di tutto, se gli avesse detto dell’email del Collezionista lui avrebbe voluto discuterne i dettagli. E ciò avrebbe minato gli sforzi che stava facendo per rimanere in sé cercando di non pensarci.

Però c’era un’altra ragione. Keri era stata messa sotto sorveglianza da un losco avvocato che si chiamava Jackson Cave, che era famoso in quanto rappresentante di pedofili e rapitori di bambini. Per ottenere l’informazione che l’aveva condotta al Collezionista aveva commesso un’effrazione introducendosi nel suo ufficio e copiando un file nascosto.

L’ultima volta che si erano visti, Cave le aveva fatto capire che sapeva cosa aveva fatto e aveva detto chiaramente che la teneva d’occhio. Per Keri era chiaro che cosa intendesse dire. Da allora faceva perlustrazioni regolari in cerca di dispositivi di ascolto, e stava attenta a parlare del Collezionista solo in ambienti sicuri.

Se Cave avesse saputo che dava la caccia al Collezionista, forse l’avrebbe avvisato. Così lui sarebbe scomparso, e lei non avrebbe mai più trovato Evie. Quindi non c’era verso che ne parlasse con Ray in quel luogo.

Però lui non sapeva nulla di tutto questo, quindi insistette.

“Vedo che c’è qualcosa che non va,” disse.

Ma prima che Keri potesse chiudere diplomaticamente la discussione, il loro capo entrò come una furia nella stanza. Il tenente Cole Hillman, il loro supervisore diretto, aveva cinquant’anni ma sembrava molto più vecchio, con il viso solcato dalle rughe, i capelli sale e pepe spettinati, e un pancione in crescita che non riusciva a nascondere sotto le camice oversize. Era in giacca e cravatta come sempre, ma la prima era della taglia sbagliata e la seconda ridicolamente allentata.

“Bene. Sono contento che siate tutti e due qui,” disse saltando i saluti. “Venite con me. Avete un caso.”

Lo seguirono nel suo ufficio e sedettero sul malconcio divano contro il muro. Sapendo che probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di mangiare dopo, Keri divorò l’insalata mentre Hillman li aggiornava. Si accorse che Ray aveva finito il sandwich che aveva rubato prima ancora di sedersi. Hillman cominciò.

“La vostra possibile vittima è una ragazza di sedici anni di Westchester, Sarah Caldwell. Non si vede dall’ora di pranzo. I genitori l’hanno chiamata molte volte, e dicono di non essere riusciti a raggiungerla.”

“Danno i numeri perché la figlia teenager non li richiama?” chiese scettico Ray. “Sembra la tipica famiglia americana.”

Keri non replicò nonostante la sua inclinazione naturale a non essere d’accordo. Lei e Ray avevano litigato su questo punto molte volte. Pensava che lui fosse troppo lento ad accettare casi come questo. Lui riteneva che la sua esperienza personale facesse sì che si buttasse sul caso decisamente troppo prematuramente. Era una fonte costante di attrito e Keri adesso non aveva voglia di discutere. Ma ne aveva Hillman, apparentemente.

“Anch’io l’ho pensato all’inizio,” disse Hillman, “ma sono stati molto convincenti nel dire che la figlia non sparirebbe mai per così tanto senza farsi sentire. Hanno anche cercato di localizzarla tramite il GPS che ha sullo smartphone. Era spento.”

“Un po’ strano, ma comunque…” insistette Ray.

“Sentite, magari non è niente. Ma sono stati insistenti, persino terrorizzati. E hanno fatto notare che la politica di far aspettare ventiquattr’ore dalla sparizione prima di cominciare le ricerche non si applica ai minori. Voi due non avete casi pressanti al momento, quindi ho detto che sareste andati lì a sentire le loro dichiarazioni. Diavolo, la ragazzina potrebbe essere a casa per quando sarete arrivati. Ma la cosa non farà del male a nessuno. E così ci copriamo il culo nel caso in cui saltasse fuori qualcosa.”

“Mi sembra un buon piano,” disse Keri alzandosi in piedi per partire con la bocca piena dell’ultimo boccone di insalata.

“Ma certo che a te sembra un buon piano,” borbottò Ray segnandosi l’indirizzo che gli dava Hillman. “Un’altra ricerca vana in cui mi trascinerai.”

“Lo sai che le adori,” disse Keri uscendo dall’ufficio prima di lui.

“Potreste essere un po’ più professionali dai Caldwell?” urlò Hillman attraverso la porta aperta. “Vorrei che pensassero che stiamo almeno facendo finta di prenderli seriamente.”

Keri gettò il contenitore dell’insalata nella spazzatura e puntò al parcheggio. Ray dovette affrettarsi per starle dietro. Raggiungendo l’uscita, si sporse per sussurrarle qualcosa.

“Non credere di averla scampata col tuo segreto. Puoi dirmelo adesso o dopo. Ma so che qualcosa c’è.”

Keri cercò di non reagire visibilmente. C’era qualcosa. E aveva deciso di spiegargli tutto quando farlo non sarebbe stato rischioso. Ma doveva trovare un luogo più sicuro per dire al suo partner, migliore amico e potenziale fidanzato, che forse, finalmente, era sul punto di prendere il rapitore di sua figlia.

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