Il Sussurratore delle Catene

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Из серии: Un Mistero di Riley Paige #2
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Читает Caterina Bonanni
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IL SUSSURRATORE DELLE CATENE

(UN MISTERO DI RILEY PAIGE—LIBRO 2)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE ITALIANA

A CURA

DI

IMMACOLATA SCIPLINI

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAIGE, che include i gialli intrisi di suspense IL KILLER DELLA ROSA (libro #1), IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (libro #2) e OSCURITA' PERVERSA (#3).

Avido lettore ed è da sempre ammiratore dei romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti, pertanto siete invitati a visitare www.blakepierceauthor.com per unirvi alla mailing list, ricevere una copia gratuita del libro, dei regali, a connettervi su Facebook e Twitter, e a restare in contatto!

Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto ad uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani ed acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza. Immagine di copertina di Copyright GongTo, usata con l’autorizzazione di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA' PERVERSA (Libro #3)

Prologo

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Capitolo 22

Capitolo 23

Capitolo 24

Capitolo 25

Capitolo 26

Capitolo 27

Capitolo 28

Capitolo 29

Capitolo 30

Capitolo 31

Capitolo 32

Capitolo 33

Capitolo 34

Capitolo 35

Capitolo 36

Capitolo 37

Capitolo 38

Capitolo 39

Capitolo 40

Prologo

Il Capitano Jimmy Cole aveva appena terminato di raccontare ai passeggeri una vecchia storia sui fantasmi del Fiume Hudson.

Parlare di un omicidio perpetrato a colpi di ascia era il racconto ideale per divertirli in una notte lunga, buia e nebbiosa come quella.

Tornò a sedersi al suo posto, consentendo alle ginocchia, deboli per le varie operazioni subite, di riposare e rifletté per la milionesima volta sull’idea di andare in pensione. Aveva visto quasi ogni borgo che l’Hudson aveva da offrire, e, uno di quei giorni, persino su una piccola barca da pesca come la sua, la Suzy, il fiume avrebbe avuto la meglio su di lui.

In ogni caso, per quella notte aveva terminato e diresse la barca alla battigia, con l’intenzione di attraccare al molto di Reedsport.

Poco dopo, uno dei suoi passeggeri lo chiamò, destandolo dai suoi pensieri.

“Ehi, Capitano — il tuo fantasma non è laggiù?”

Jimmy non si girò nemmeno a guardare. Tutti e quattro i suoi passeggeri — due giovani coppie in vacanza — erano completamente ubriachi. Senza dubbio - pensò - uno degli uomini stava provando a spaventare le ragazze.

Ma, poi, una delle donne si intromise: “Anch’io lo vedo. Non è strano?”

Jimmy si voltò verso i passeggeri, imprecando tra sé e sé. Maledetti ubriaconi. Quella era l’ultima volta che li avrebbe portati in giro in barca fino a quell’ora della notte.

Il secondo uomo indicò con la mano.“E’ proprio lì”.

La moglie si coprì gli occhi. “Oh, non posso guardare!” esclamò, con una risata nervosa e imbarazzata.

Jimmy, esasperato, si rassegnò all’idea che non avrebbe avuto neanche un attimo di riposo. Perciò si voltò, guardando nella direzione indicata dall’uomo.

Effettivamente, notò qualcosa in un piccolo spazio tra gli alberi che crescevano lungo la battigia. Luccicava, pensò, e aveva una forma vagamente umana. Qualunque cosa fosse, sembrava sdraiata a terra, in posizione supina. Ma la distanza era tale da non consentirgli di mettere a fuoco.

Prima che Jimmy potesse mettere mano al suo binocolo, quell’oggetto (o quell’essere …) sparì, nascosto dagli alberi che crescevano lungo la riva.

La verità era che anche Jimmy aveva bevuto qualche birra.

Non che fosse un problema per lui. Conosceva bene il fiume. E gli piaceva il proprio lavoro. Amava in modo particolare navigare sull’Hudson a quell’ora della notte, quando l’acqua era così calma e pacifica. Erano ben poche le cose che potevano incrinare quella dolce sensazione di quiete.

L’uomo rallentò e, avvicinatosi al molo, fece accostare la Suzy ai parabordi, con grande attenzione. Orgoglioso di se stesso per aver condotto la manovra con una tale delicatezza e precisione, spense il motore e legò la barca.

I passeggeri scesero dall’imbarcazione, ridacchiando tra loro, e, senza quasi salutare, percorsero il molo ed attraversarono la spiaggia, diretti al loro Bed & Breakfast.

Era stato un bene farsi pagare in anticipo, si disse Jimmy.

Ma non riusciva a smettere di pensare allo strano oggetto che aveva scorto. Era distante, laggiù lungo la battigia. Era impossibile vederlo da lì. Chi o che cosa poteva essere?

Quell’interrogativo non lo avrebbe lasciato riposare in pace. Era fatto così, lo sapeva bene.

Con un marcato sospiro, infastidito dalla sua stessa curiosità, Jimmy s’avviò a piedi, raggiunse di nuovo la sponda del fiume e prese a seguire i binari ferroviari che si estendevano lungo l’Hudson.

Quei binari erano stati usati molti decenni addietro, quando Reedsport era composta soprattutto da bordelli e casinò. Ora, erano soltanto un’altra reliquia di un tempo passato.

Jimmy infine percorse una lunga curva e si trovò vicino ad un vecchio deposito, costruito nei pressi della linea ferroviaria. Alcune lanterne di sicurezza sull’edificio emettevano una luce fioca ma fu sufficiente perché Jimmy vedesse con chiarezza una figura umana che sembrava fluttuare a mezz’aria ed emanava dei bagliori. La sagoma era sospesa ad una delle travi orizzontali di un traliccio della linea elettrica.

 

Quando l’uomo si fece più vicino, per guardare meglio, sentì un brivido percorrergli la schiena. La sagoma era davvero umana ma non mostrava alcun segno di vita. Il corpo gli dava la schiena, infagottato in una sorta di stoffa e stretto da pesanti catene, che s’intrecciavano e lo legavano come fosse un prigioniero. Erano le catene, colpite dai raggi della fioca luce delle lanterne, a brillare.

Oh, Dio, non di nuovo.

A Jimmy tornò immediatamente alla memoria un terribile omicidio, che aveva sconvolto l’intera regione molti anni prima.

La sua camminata divenne incerta. Jimmy girò intorno al cadavere, avvicinandosi a sufficienza da vedere il suo viso — e ne rimase scioccato. L’aveva riconosciuta immediatamente. Era una donna del posto, faceva l’infermiera ed era un’amica di vecchia data. Ora aveva la gola squarciata e la bocca era tenuta aperta con una catena che aveva intorno alla testa.

Jimmy a stento riuscì a rimanere in piedi, sconvolto dal dolore e dall’orrore.

L’assassino era tornato.

Capitolo 1

L’Agente Speciale Riley Paige restò immobile, scioccata da quello che vedeva. Davanti a lei, sul suo letto c’era una manciata di ciottoli, che non avrebbero dovuto essere lì. Qualcuno doveva essersi intrufolato in casa sua, per posizionarli, qualcuno che intendeva certamente farle del male.

Capì all’istante che i sassolini erano un messaggio e riconobbe la firma di un vecchio nemico, che le stava facendo sapere di non essere morto.

Peterson è vivo.

Sentì il suo corpo tremare al solo pensiero. Lo aveva sospettato a lungo ed ora ne era assolutamente certa.

Ma ora c’era qualcosa di peggio: era entrato in casa sua. Questo pensiero le fece venire voglia di vomitare. Ma era ancora lì ora?

La paura le mozzò il respiro. Riley era consapevole di non essere in grande forma.

Nelle ultime ore era già sopravvissuta ad un terrificante incontro con un killer sadico e ne portava ancora i segni: la testa era fasciata, aveva graffi ovunque sul corpo.

Sarebbe stata in grado di affrontare Peterson, se si fosse trovato all’interno della sua casa?

Riley mise immediatamente mano alla fondina della pistola ed estrasse l’arma. Con mani tremanti, si avvicinò all’armadio e lo aprì. Non c’era nessuno all’interno. Controllò sotto il letto. Anche lì nulla.

La donna restò lì, costringendosi a pensare con lucidità. Era rimasta in camera da letto da quando era rincasata? Sì, aveva riposto la fondina sul comò vicino alla porta.

Ma non aveva acceso la luce, e non si era nemmeno guardata intorno. Era semplicemente entrata, aveva poggiato l’arma sul comò, poi era andata in bagno, a indossare la camicia da notte.

Il suo nemico poteva essere rimasto nascosto in casa per tutto il tempo?

Dopo che lei ed April erano tornate a casa, avevano chiacchierato e guardato la televisione fino a notte fonda.

Poi, la figlia era andata a letto. In una casa piccola come la sua, restare nascosti richiedeva un’incredibile abilità. Ma non poteva escludere questa possibilità.

Poi, una nuova paura la assalì.

April!

Riley afferrò la torcia che teneva sul comodino. Con la pistola nella mano destra e la torcia in quella sinistra, uscì dalla camera da letto e accese la luce del corridoio. Non sentendo nessuno strano rumore, corse verso la camera di April e aprì la porta. La stanza era immersa nel buio.

Riley accese la luce centrale.

La ragazza era già a letto.

“Che cosa succede, mamma?” April chiese, strizzando gli occhi, sorpresa.

La madre entrò nella stanza.

“Non alzarti dal letto” le raccomandò. “Resta dove sei.”

“Mamma, mi stai spaventando” April rispose con voce tremante.

Non poteva farne a meno, pensò Riley, che era a sua volta molto spaventata. Ed April aveva tutti i motivi di esserlo quanto lei.

Raggiunse l’armadio di April, puntò la torcia e controllò all’interno: nulla. Neppure sotto il letto della figlia c’era la minima traccia.

Che cosa doveva fare ora? Controllare ogni nicchia ed ogni angolo della casa, pensò.

Riley sapeva quello che il vecchio partner, Bill Jeffreys, avrebbe detto. Dannazione Riley, chiama aiuto.

Di solito cercava di fare le cose da sola e questo aveva sempre fatto infuriare Bill.

Ma stavolta, avrebbe seguito il suo consiglio. Con April in casa, Riley non poteva fare diversamente

“Metti un accappatoio e un paio di scarpe” disse alla figlia. “Ma non lasciare questa stanza — non ancora.”

Riley tornò nella propria camera e prese il telefono dal comodino. Digitò il numero della linea diretta dell’Unità d’Analisi Comportamentale. Non appena sentì una voce in linea, sibilò: “Sono l’Agente Speciale Riley Paige. Qualcuno si è introdotto in casa mia. Potrebbe essere ancora qui. Ho bisogno di supporto prima possibile.” Pensò per un secondo, poi aggiunse: “E mandate la scientifica.”

“Provvediamo immediatamente” fu la secca risposta.

Riley interruppe la telefonata, e uscì di nuovo nel corridoio. Ad eccezione delle due camere da letto e del corridoio, la casa era ancora buia. Peterson poteva essere ovunque, nascosto, in attesa di attaccare. Quell’uomo l’aveva colta di sorpresa una volta ed era quasi morta per mano sua.

Riley iniziò ad ispezionare la casa con efficienza professionale: man mano che avanzava, accendeva le luci, tenendo sempre la pistola pronta a sparare, puntava la torcia in ogni angolo buio ed ispezionava ogni mobile.

Infine, alzò lo sguardo al soffitto del corridoio.

La botola sopra di lei portava alla soffitta ma occorreva abbassare la scala che conduceva al suo interno. Avrebbe osato salire lassù a dare un’occhiata?

In quel momento, Riley sentì le sirene delle auto della polizia e sospirò di sollievo.

L’Agenzia doveva aver allertato la polizia locale, il quartier generale era a più di un’ora di distanza da casa sua.

Andò in bagno, indossò un paio di scarpe e la vestaglia, poi tornò in camera di April.

“Vieni con me. E stammi vicina” le raccomandò

Sempre con la pistola in pugno, Riley passò il braccio sinistro intorno alle spalle della figlia. La povera ragazza tremava per la paura.

Riley la condusse alla porta d’ingresso, e l’aprì nel momento in cui numerosi agenti di polizia, in uniforme, si stavano avvicinando al marciapiede.

Il comandante entrò in casa, con la pistola in mano. “Qual è il problema?” chiese.

“C’era qualcuno in casa” Riley rispose. “Potrebbe essere ancora dentro.”

Il poliziotto guardò la pistola che lei aveva in mano, con imbarazzo.

“Sono dell’FBI” disse Riley, rispondendo alla domanda che ancora non era stata formulata. “Gli agenti del BAU saranno qui presto. Ho già perquisito la casa, tranne la soffitta.” Aggiunse, facendo un cenno alle sue spalle. “C’è una botola nel soffitto, lì nel corridoio.”

Il poliziotto chiamò: “Bowers, Wright, venite qui e andate a controllare la soffitta. Gli altri cerchino fuori, sul retro e davanti alla casa.”

Bowers e Wright andarono dritti nel corridoio e tirarono giù la scala. Entrambi impugnavano le pistole. Uno aspettò in fondo alla scala, mentre l’altro salì in alto e accese la luce. In pochi momenti, l’uomo sparì nella soffitta.

Presto, si sentì gridare: “Non c’è nessuno qui.”

Riley avrebbe voluto sentirsi sollevata alla notizia. Ma la verità era che aveva sperato con tutta se stessa che Peterson fosse stato lì. Avrebbero potuto arrestarlo lì, immediatamente — o, meglio ancora, ucciderlo. Dubitava molto che si trovasse in cortile o sul retro.

“Ha una cantina?” chiese il capo.

“No, solo un tunnel di servizio” Riley rispose.

Il poliziotto chiamò fuori: “Benson, Pratt, controllate sotto la casa.”

April, spaventatissima, era ancora aggrappata alla madre.

“Che cosa succede, mamma?” chiese.

Riley esitò. Per anni, aveva evitato di raccontare ad April il brutto del suo lavoro.

Ma di recente si era resa conto di essere diventata iperprotettiva. Perciò, aveva raccontato alla figlia di come fosse stata imprigionata da Peterson e delle sofferenze che aveva subito — o, almeno, le aveva confidato quello che aveva pensato April fosse in grado di gestire.

Le aveva anche rivelato che dubitava della morte di quell’uomo.

Ma che cosa avrebbe dovuto dire ad April ora? Non lo sapeva.

Prima che Riley riuscisse a formulare una risposta, April disse: “E’ Peterson, non è vero?”

Riley strinse forte sua figlia, provando a nascondere il tremore che avvolgeva tutto il corpo della ragazza.

“Lui è ancora vivo.”

Capitolo 2

Un’ora dopo, la casa di Riley era ancora affollata da persone in divisa o munite dei cartellini identificativi dell’FBI. Gli agenti federali, armati di tutto punto, e gli uomini della scientifica stavano lavorando gomito a gomito con la polizia.

“Raccogliete quei ciottoli sul letto” Craig Huang ordinò. “Dovranno essere esaminati per verificare se conservino traccia di impronte o del DNA.”

In un primo momento Riley era rimasta delusa dal fatto che fosse stato Huang ad essere in servizio. Il collega era molto giovane e l’unica esperienza di lavoro con lui non era andata bene.

Ma dovette ricredersi, constatando che stava impartendo ordini ragionevoli e organizzando l’analisi della scena del crimine in modo efficace. Huang stava migliorando nel suo lavoro.

La scientifica era già al lavoro, perlustrando ogni centimetro della casa e passando il pennello per raccogliere le impronte. Gli altri agenti erano spariti nel buio sul retro della casa, nel tentativo di individuare tracce di pneumatici o orme dirette verso il bosco.

Una volta che tutto sembrò avviato, Huang condusse Riley lontano dagli altri, in cucina. Si sedettero a tavola ed April si unì a loro, ancora molto scossa.

“Allora, che cosa ne pensi?” Huang chiese a Riley. “Abbiamo qualche possibilità di trovarlo?”

Riley sospirò scoraggiata.

“No, temo che se ne sia andato da un bel po’. Deve essere stato qui questa sera, prima che mia figlia e io tornassimo a casa.”

Proprio allora, un’agente entrò dal cortile sul retro della casa. La donna indossava una giacca Kevlar, aveva carnagione, capelli e occhi scuri e sembrava ancora più giovane di Huang.

“Agent Huang, ho trovato qualcosa” disse rispettosamente. “Graffi sulla serratura della porta sul retro. Sembra che qualcuno l’abbia forzata.”

“Ottimo lavoro, Vargas” Huang commentò. “Ora sappiamo come ha fatto ad entrare. Potresti restare con Riley e sua figlia per un po’?”

Il volto della giovane s’illuminò per la gioia.

“Ne sarei felice” rispose immediatamente.

Si sedette al tavolo, e Huang lasciò la cucina per unirsi agli altri.

“Agente Paige, sono l’Agente María de la Luz Vargas Ramírez.” Un grande sorriso le comparve sul volto. “Lo so, è uno scioglilingua. E’ un’usanza messicana. Mi chiamano Lucy Vargas.”

“Sono felice che tu sia qui, Agente Vargas” Riley disse.

“Solo Lucy, per favore.”

La giovane donna restò in silenzio per un istante, continuando a guardare Riley. Infine, non riuscì a trattenersi: “Agente Paige, spero di non sembrare fuori luogo nel dirle questo, ma … è un vero onore incontrarla. Seguo il suo lavoro sin da quando ho iniziato a studiare. Tutto quello che ha fatto finora è davvero grandioso.”

“Grazie” Riley disse.

Lucy sorrise con ammirazione. “Voglio dire, il modo in cui ha chiuso il caso Peterson— tutta la storia è strepitosa.”

Riley scosse la testa.

“Vorrei che le cose fossero così semplici” rispose, con un tono amaro nella voce. “Lui non è morto. Si è introdotto qui oggi.”

Lucy rimase a guardarla, quasi incredula.

“Ma tutti dicono —” Lucy esordì.

Riley la interruppe.

“Qualcun altro pensava che fosse vivo. Marie, la donna che ho salvato. Era certa che fosse ancora lì fuori a tormentarla. Lei …”

 

Riley si fermò, il ricordo del corpo di Marie, impiccata nella sua stessa camera da letto, le tornò dolorosamente davanti agli occhi.

“Si è suicidata” Riley affermò.

Lucy sembrava terrorizzata e sorpresa al contempo. “Mi dispiace” riuscì solo a rispondere.

Proprio allora, Riley sentì una voce familiare chiamarla.

“Riley? Stai bene?”

La donna si voltò e vide Bill Jeffreys in piedi sulla soglia della cucina, con un’espressione ansiosa dipinta sul volto. Il BAU doveva averlo avvertito del pericolo e lui si era precipitato.

“Sto bene, Bill” lei disse. “E anche April. Accomodati.”

Bill sedette al tavolo con le tre donne. Lucy lo guardò, quasi sotto choc all’idea di aver appena incontrato l’ex partner di Riley, un’altra leggenda dell’FBI.

Huang rientrò in cucina.

“Non c’è nessuno in casa e nemmeno fuori” disse a Riley. “I miei uomini hanno esaminato e raccolto qualsiasi traccia. Ma non hanno trovato nulla di utile per continuare l’indagine. Andrò dai tecnici del laboratorio per scoprire se possono ricavarne qualcosa.”

“Lo temevo” Riley commentò.

“Sembra che abbiamo finito qui” concluse Huang. Poi lasciò la cucina per dare gli ultimi ordini agli agenti.

Riley si rivolse alla figlia.

“April, andrai a casa di tuo padre stanotte.”

Gli occhi di April si spalancarono.

“Non ti lascerò qui” April disse. “E non voglio stare con papà.”

“Devi andarci” Riley disse. “Potresti non essere al sicuro qui.”

“Ma mamma —”

Riley l’interruppe. “April, ci sono ancora delle cose che non ti ho detto di quest’uomo. Cose terribili. Sarai al sicuro con tuo padre. Passerò a prenderti domani dopo la scuola.”

Prima che April potesse continuare a protestare, intervenne Lucy.

“Tua madre ha ragione, April. Dammi retta. Anzi, consideralo un mio ordine. Sceglierò di persona un paio di agenti, che ti accompagneranno. Agente Paige, col suo permesso, telefonerò al suo ex-marito e lo metterò al corrente dei fatti.”

Riley fu sorpresa dall’offerta di Lucy e fu anche contenta. In maniera misteriosa, Lucy sembrava aver intuito che per lei questa sarebbe stata una telefonata difficile da fare. Indubbiamente, Ryan avrebbe preso questa notizia meglio da qualcuno che non fosse Riley.

Lucy era anche riuscita a gestire bene April. Non aveva soltanto individuato la serratura forzata, ma aveva anche dimostrato empatia, che era una qualità eccellente in un agente BAU, anche troppo spesso spazzata via dallo stress del lavoro.

Questa donna è brava, pensò Riley.

“Coraggio” Lucy disse ad April. “Andiamo a telefonare a tuo padre.”

April fulminò la madre con lo sguardo ma si alzò dal tavolo e seguì Lucy in soggiorno, dove cominciarono a fare la telefonata.

Riley e Bill restarono seduti da soli in cucina. Sebbene sembrasse tutto finito, per il momento, a Riley parve giusto che Bill fosse lì. Avevano lavorato insieme per anni, e aveva sempre pensato a loro due come una coppia affiatata: avevano entrambi quarant’anni, con qualche filo grigio tra i capelli scuri. Erano entrambi devoti al proprio lavoro ed avevano problemi nei rispettivi matrimoni.

Bill era robusto di costituzione e aveva un carattere forte.

“E’ stato Peterson” Riley disse. “E’ stato qui.”

Bill non rispose. Sembrava dubbioso.

“Non mi credi?” la donna gli chiese. “Ho trovato dei ciottoli nel mio letto. Deve averceli messi lui. Non possono esserci arrivati in un altro modo.”

Bill scosse la testa.

“Riley, sono certo che ci fosse davvero un intruso” le disse. “Non lo hai immaginato. Ma Peterson? Ne dubito fortemente.”

Riley iniziò ad irritarsi.

“Bill, ascoltami. Ho sentito rantolare contro la porta, una notte, e, guardando fuori, ho trovato dei ciottoli. Marie ha sentito gettare ciottoli contro la finestra della sua camera da letto. Di chi altro potrebbe trattarsi?”

Bill sospirò e scosse la testa.

“Riley, sei stanca” le rispose. “E quando si è stanchi e si ha un’idea fissa in mente, è facile credere a qualunque cosa. Può succedere a chiunque.”

Riley stentò a trattenere le lacrime.

In tempi migliori, Bill si sarebbe fidato del suo istinto senza esitazione. Ma quei giorni erano finiti e lei conosceva bene la ragione. Poche notti prima, gli aveva telefonato da ubriaca, chiedendogli di cedere alla loro attrazione reciproca ed iniziare una relazione. Era stato un enorme sbaglio, e lo sapeva: non aveva più bevuto un solo goccio da allora. Nonostante questo, le cose non erano andate bene tra loro, dopo.

“So perché parli così, Bill” ribatté. “E’ tutto per quella stupida telefonata. Non ti fidi più di me.”

Ora la voce di Bill esprimeva rabbia.

“Dannazione, Riley, sto solo cercando di essere realistico.”

Riley stava fremendo di rabbia. “Vattene, Bill.”

“Ma Riley —”

“Credermi o no è una tua scelta. Ma ora voglio che te ne vada.”

Con un’aria rassegnata, Bill si alzò dal tavolo e se ne andò.

Dalla porta della cucina, Riley vide che quasi tutti avevano lasciato la sua abitazione, inclusa April. Lucy rientrò.

“L’Agente Huang lascerà un paio di agenti qui” la informò. “Sorveglieranno la casa da un’auto, per il resto della notte. Non sono certa che sia una buona idea che lei resti qui dentro da sola. Sarei felice di restare.”

Riley si sedette a riflettere per un istante. Quello che voleva — quello di cui aveva bisogno in questo momento — era che qualcuno credesse che Peterson non era morto. Dubitava di riuscire a convincere Lucy di questo.

Tutta la situazione sembrava senza speranza.

“Starò benissimo, Lucy” la rassicurò.

Lucy annuì e lasciò la cucina. Riley sentì il suono dei passi degli ultimi agenti, che lasciavano la casa e chiudevano la porta alle loro spalle. Si alzò e andò la porta principale e quella sul retro per assicurarsi che fossero ben chiuse.

Poi, andò nel soggiorno e si guardò intorno. La casa sembrava stranamente illuminata: ogni singola luce era accesa.

Devo spegnerne qualcuna, pensò.

Ma non appena raggiunse l’interruttore del soggiorno, le dita si bloccarono. Non poteva farlo. Era paralizzata dal terrore.

Peterson, lo sapeva, stava ritornando per lei.

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