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Из серии: Le Cronache dell’invasione #1
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CAPITOLO VENTITRÉ

Kevin correva, tentando di tenere il passo con la dottoressa Levin, Luna e Ted mentre attraversavano velocemente l’istituto della NASA cercando di arrivare allo spazio dove veniva conservata la roccia. Poteva vedere gli sguardi scioccati sui volti degli scienziati che incrociavano, alcuni che ovviamente lo riconoscevano, altri probabilmente solo sorpresi di vedere qualcuno correre a quel modo in una struttura scientifica.

La dottoressa Levin porse a Kevin un mazzo di chiavi.

“Se le cose vanno storte,” disse mentre correva, “se c’è qualcosa che non riusciremo a contenere, c’è uno spazio di sicurezza sotto alla struttura, al piano sottostante l’interrato. Una delle chiavi dà accesso alla rete dei bunker, se non è chiusa ermeticamente. Usa questa, e l’ascensore dovrebbe portati direttamente lì.”

“Dove tengono la roccia presa durante la spedizione?” esclamò Ted a un gruppo di scienziati mentre passavano.

“Laboratorio di ricerca 3B,” disse uno di loro. “Perché? C’è qualcosa…”

Stavano già correndo oltre, tentando di arrivare in tempo. Si fermavano davanti alle porte della sicurezza, ma solo quelle li rallentarono un poco, aprendosi con la carta magnetica di Ted, mostrando delle luci verdi ed emettendo dei rassicuranti sfiati d’aria.

Kevin poteva sentire il professor Brewster che gridava dietro di loro, ma non rallentò.

Scesero nelle viscere dell’edificio, passando attraverso laboratori che Kevin aveva visto quando Phil gli aveva fatto fare un giro della struttura. Passarono vicino ai laboratori dei laser e delle colture, le cose che avevano promesso di dare all’umanità una possibilità di sopravvivenza e prosperità se mai fossero arrivati a un altro mondo, e le cose che portavano in sé la promessa di rendere quel posto migliore. In quel momento l’unica cosa che contava era la minaccia di ciò che sarebbe potuto accadere se non si fossero accertati che la roccia venisse contenuta.

Si fermarono davanti a un insieme di segnali, poi corsero ancora, scesero una rampa di scale e arrivarono in una parte dell’edificio dove l’unica fonte di luce era artificiale. A Kevin sembrava un ambiente sterile, poco accogliente se paragonato con il resto della struttura. Gli scienziati che incrociavano lì indossavano per lo più cerate pulite o camici di laboratorio, ovviamente nel tentativo di salvaguardarsi dalla contaminazione degli esperimenti.

Quando arrivarono al laboratorio, Kevin dovette ammettere che aveva tutto l’aspetto di un posto sicuro. Aveva delle pareti di vetro rinforzato su tre lati, mentre la quarta corrispondeva con il muro esterno dell’edificio. La roccia si trovava nel mezzo, appoggiata su un tavolo come un uovo di Pasqua che è stato aperto a metà. Tre scienziati erano lì attorno con addosso delle cerate di plastica bianca pulite. Due portavano delle maschere, mentre uno pareva non doversene preoccupare, dato che si trovava lontano dalla roccia e lavorava a un microscopio.

Il vetro era spesso, ma Kevin poteva sentire quello che stavano dicendo all’interno mentre Ted lavorava alla serratura, cercando di entrare.

“Questi campioni sono comunque interessanti,” disse lo scienziato. “Anche se non è niente di quello che ci era stato promesso.”

“Attento che Brewster non senta quello che stai dicendo,” rispose un altro. “Per quanto lo riguarda, prima dichiariamo che la roccia non vale niente, e ce ne sbarazziamo, e meglio è.”

“Beh, pare che dovrà aspettare. Questo è…”

“Cosa?” chiese il terzo scienziato. “E mettiti una maschera. È il protocollo.”

Kevin vide il momento in cui il vapore iniziò a salire dalla superficie della roccia. Era quasi trasparente e avrebbe potuto confonderlo con l’umidità dovuta al cambio di temperatura nella roccia, ma in qualche modo sapeva che non era così.

“Continua a fare così,” disse uno degli scienziati.

Kevin batté la mano contro il vetro, mentre Ted continuava a lavorare alla serratura.

“Ci vuole il codice come anche la carta,” disse. “Immagino che l’abbiano fatto perché siamo in una stanza sigillata.”

“Dovete uscire da qui,” chiamò Kevin. “Siete tutti in pericolo.”

Si girarono verso di lui mentre continuava a battere i pugni sul vetro, ovviamente non sicuri del perché fosse lì, o di cosa fare. I due con la maschera in volto sembravano confusi. Quello senza…

Gli occhi dell’uomo che non indossava la maschera cambiarono improvvisamente, le pupille passarono da nere a bianche e parvero quasi brillare. Fissò Kevin e nel suo sguardo ci fu qualcosa di molto simile al riconoscimento, cosa che prima non c’era. E anche una sorta di ostilità che riempì Kevin di paura.

Era intelligente, e pericoloso.

E per niente umano.

CAPITOLO VENTIQUATTRO

“Allontanatevi da lui!” gridò Kevin. “C’è qualcosa che non va in lui.”

Lo scienziato si girò verso gli altri due e allungò le mani verso di loro strappando le maschere dai loro volti prima che si potessero rendere conto di ciò che stava accadendo. Kevin avrebbe voluto gridare per avvertirli, ma pareva che fosse ormai troppo tardi. Vide gli occhi degli scienziati cambiare, le pupille che diventavano bianche come quelle dell’altro.

Kevin si allontanò dal vetro e guardò Luna. Pareva essere spaventata proprio come era lui in quel momento, cosa che probabilmente non era un buon segno. Luna non si spaventava mai.

Ted sembrava pensare a cosa fare, e anche quella cosa faceva paura. Kevin era abituato ad averlo sempre con la risposta pronta per tutto. Aveva tirato fuori il telefono e stava facendo una telefonata.

“Abbiamo un’irruzione di quarto livello,” disse. “Sto lavorando per contenerla, ma dovete avviare i protocolli di emergenza, subito.”

C’era un pannello sul muro. Ted lo aprì, digitando una serie di numeri su una tastiera. Premette un pulsante e le luci rosse iniziarono a lampeggiare in tutti i corridoi mentre una voce computerizzata risuonava negli altoparlanti.

“Emergenza. Emergenza. Contenimento in corso.”

Serrande di metallo scivolarono lungo i lati di tutti i laboratori di quel piano, trasformandoli efficacemente in giganti scatole di metallo da cui nulla poteva fuggire. Kevin udì un grugnito di frustrazione dall’interno del laboratorio e osò tirare un sospiro di sollievo.

“Ce l’abbiamo fatta?” chiese. “Li abbiamo fermati?”

“Lo spero,” disse Ted. Nonostante tutto andò verso un armadietto e ne tirò fuori delle maschere simili a quelle che stavano indossando gli scienziati. Ne passò una a Luna e una a Kevin e indossò lui stesso l’altra.

“Cosa sta succedendo qui? Perché è stato tutto chiuso?”

Kevin si voltò e vide il professor Brewster che si avvicinava insieme alla dottoressa Levin e almeno una dozzina di altre persone. Una guardia addetta alla sicurezza teneva la dottoressa Levin per il gomito, con un’espressione dispiaciuta in volto, ma costretto a non lasciare la presa.

“Siete andati troppo oltre,” disse il direttore della struttura puntando un dito contro di loro. “Non avevate alcun diritto di fare questo.”

“Siete fortunato che l’abbiamo fatto,” disse Luna prima che Kevin o Ted potessero dire qualcosa, “perché ora sareste circondato dagli alieni, se non l’avessimo fatto.”

“Alieni,” disse il professor Brewster con una nota di disprezzo. “Non abbiamo già sentito abbastanza di queste sciocchezze?”

“Oh, siamo ben lontani dalle sciocchezze,” disse Ted. “Ho visto anche io.”

“È vero,” disse Kevin. “Possono impossessarsi dei corpi delle persone. La roccia che abbiamo trovato emette un gas che si è infiltrato negli scienziati che erano lì.”

Il professor Brewster scosse la testa. “Ci sono un sacco di gas che possono causare strani comportamenti, e non c’è nulla di strano. E per questa cosa abbiamo solo la vostra parola.”

“La mia parola,” disse Ted con tono che suggeriva all’altro di non contraddirlo.

Fu a quel punto che si sentì il ticchettio.

“Ticchettio” non era proprio la parola giusta per descriverlo. Lo faceva apparire quasi come un rumore leggero, addirittura delicato. Invece era tale da riverberare nelle orecchie di Kevin come qualcosa di assordante e duro che sbatteva contro le pareti della stanza.

“Ci sono delle persone chiuse là dentro?” chiese il professor Brewster.

Gli alieni li stanno controllando,” disse Kevin. “Le loro pupille sono diventate bianche quando è successo.”

“Probabilmente una semplice reazione chimica,” insistette il professor Brewster. “Ad ogni modo, questa follia è durata fin troppo. Libererò i miei collaboratori, chiamerò qua sotto la sicurezza e vi farò portare fuori da questa struttura.”

Fece per avvicinarsi al pannello di controllo che Ted aveva usato e Kevin vide il soldato tirare fuori una pistola.

“Sparerò a chiunque tocchi quei comandi,” promise.

Questo scioccò un poco Kevin. Non voleva che nessuno venisse ferito per questa situazione. Anche se, in caso dovesse essersi trattato di qualcuno di quel posto, il professor Brewster era probabilmente in cima alla lista. Lo scienziato si girò verso di loro alzando le mani.

“Non oserebbe mai!” disse. Dall’interno della scatola di metallo formata dalle serrande i colpi ripresero.

“Uhm… penso che potrebbe farlo,” rispose Kevin. “Professor Brewster, non possiamo permettere loro di uscire da quella stanza. Dobbiamo fermare gli alieni fino a che possiamo.”

“Non ci sono alieni!” insistette il professor Brewster. “Avete imprigionato i miei collaboratori per un abbaglio, e…”

 

I colpi si interruppero, e il modo improvviso in cui avvenne fece fermare anche il direttore della struttura. Qualcosa cliccò e ronzò, poi le luci rosse nel corridoio smisero di lampeggiare e le serrande d’acciaio salirono.

“Non mi pare per niente bene,” disse Luna.

Era una minimizzazione. Le serrande si alzarono e Kevin vide che gli scienziati erano lì fermi e passivi, apparentemente calmi mentre aspettavano l’opportunità di essere liberi. Kevin immaginava che fosse abbastanza normale che degli alieni fossero in grado di manovrare un computer. Dopotutto avevano una tecnologia che era riuscita a inviarli attraverso una galassia. Confronto a questo, probabilmente un computer non era poi tanto complicato.

“Vedete,” disse il professor Brewster. “Non ci sono alieni, solo tre normalissimi…”

Gli scienziati aprirono le loro bocche e gridarono all’unisono, un rumore che assomigliava più al verso di un insetto che a qualcosa di umano, più alieno che altro. Kevin vide lo shock sui volti degli scienziati che lo circondavano quando si resero conto che quelli non erano più i loro colleghi.

“Guardate i loro occhi,” disse uno dei ricercatori.

Kevin guardò verso Ted. “Siamo al sicuro qua fuori, giusto?”

“Fino a che non riusciranno ad attraversare il vetro,” disse Ted. “Tutti voi, vi servono delle maschere per il volto. Se quel vapore esce, siete tutti in pericolo.”

Il professor Brewster sembrava essere impegnato a cercare di ricomporsi per dire che non c’era nessun problema, che andava tutto bene, ma pareva che avesse quale difficoltà a farlo. Stava ancora cercando di prendere la parola quando gli scienziati controllati dagli alieni presero una sedia di metallo e iniziarono a colpire il vetro usandola come un ariete da sfondamento, lavorando tutti e tre insieme e facendo rimbombare il frastuono in tutta la struttura.

Iniziarono ad apparire delle crepe nel vetro. Kevin le vide propagarsi come la tela di un ragno sulla superficie, allungandosi e increspandosi a ogni colpo. Ted puntò la pistola contro gli scienziati, ma questo non li fece fermare né tantomeno rallentare.

Il vetro si ruppe e gli uomini saltarono fuori. Kevin sentì la pistola di Ted sparare, ma non parve cambiare di molto le cose. Vide gli scienziati che non avevano una maschera restare prima immobili sul posto, sussultando mentre portavano le mani alla gola, e poi ricomporsi, dritti in piedi. Uno di essi si lanciò contro un collega che indossava la maschera e gliela strappò, esalando poi una sorta di nebbiolina chiara che riempì lo spazio attorno a loro. Nel giro di pochi attimi anche quello scienziato venne trasformato.

Uno afferrò Kevin, strappandogli la maschera che indossava. Kevin cercò di trattenere il fiato, cercò di staccarsi dall’aggressore, ma era impossibile. Un vapore dall’odore stantio lo avvolse…

… e non accadde nulla.

Luna andò a sbattere contro il fianco dello scienziato che teneva Kevin. Era piccoletta, ma aveva un sacco di esperienza nel colpire la gente più grande di lei, e il colpo bastò a fare in modo che lo scienziato lasciasse la presa.

“Correte!” gridò Ted. “Andate nel bunker!”

Iniziò a sparare nella baraonda, ma questo non fermò gli scienziato. Qualsiasi cosa li stesse controllando non sembrava curarsi di cose umane come dolore o danni operati sui corpi che possedevano. Mentre Kevin guardava, tre scienziati afferrarono Ted e lo trascinarono a terra.

Kevin voleva aiutare Ted, voleva lanciarsi in avanti e tirarlo fuori da quel caos, ma non c’era modo di farlo, non c’era modo di poterlo soccorrere. Il massimo che poté fare fu afferrare il braccio di Luna e tirarla via, correndo poi insieme a lei, scappando dagli scienziati che avanzavano.

Guardandosi alle spalle Kevin li vide trasformarsi uno alla volta. Vide la dottoressa Levin sussultare, stringendosi la gola mentre il gas entrava in lei, poi rialzarsi in un modo che appariva fin troppo calmo, troppo tranquillo.

Vide il professor Brewster trasformarsi nel giro di pochi istanti, travolto dal gas.

Una parte di lui pensava che Ted sarebbe riuscito in qualche modo a sconfiggerli, che si sarebbe liberato e sarebbe venuto ad aiutarli. Kevin lanciò un grido affranto quando vide il soldato immobilizzarsi e poi rialzarsi, unendosi agli altri nell’inseguimento.

Corsero insieme lungo i corridoi della struttura, con un numero sempre maggiore di scienziati dietro di loro con una determinazione che non era più neanche lontanamente umana. Guardandosi alle spalle Kevin poté vedere Ted, la dottoressa Levin e il professor Brewster, alieni come tutti gli altri. Una parte di lui avrebbe voluto lasciarsi cadere in ginocchio, distrutto dallo shock. Solo la presenza di Luna al suo fianco lo spingeva a correre.

“Da questa parte,” disse Luna tirandolo lungo un corridoio e poi attraverso una serie di stanze che contenevano materiale scientifico. Si abbassarono dietro a una serie di grossi microscopi, restando fermi mentre, oltre le porte, gli scienziati posseduti dagli alieni avanzavano attraverso la struttura, quasi automaticamente, afferrando chiunque incontrassero per trasformarlo.

Luna si inginocchiò e fissò Kevin. “Lascia che ti guardi negli occhi.”

Kevin sapeva cosa voleva vedere. “Non sono un alieno.”

“No, ma dovresti esserlo. Non so come mai a te non sia successo nulla.” Scosse la testa. “Cosa facciamo?”

Sembrava dare per scontato che ci dovesse essere qualcosa che si potesse fare. Kevin non era della stessa opinione. Se la sua malattia gli aveva insegnato una cosa, era che c’erano cose che era impossibile risolvere.

“Ted ha detto di andare nel bunker,” disse Kevin.

Luna annuì. “Hai le chiavi?”

Kevin gliele fece vedere.

“Ok,” disse Luna. “Andiamo.”

Kevin fece strada, strisciando in mezzo alle attrezzature scientifiche e andando in direzione degli ascensori. Di tanto in tanto si fermavano, e sia Kevin che Luna restavano immobili, aspettando che gli scienziati passassero oltre. Non erano molti ormai. Kevin immaginò che si stessero probabilmente muovendo attraverso il resto della struttura, trasformando la gente che incontravano. Era un po’ come quelle volte in cui entravano di soppiatto in posti dove non potevano stare, e dovevano stare nascosti dagli adulti, solo che in realtà non era niente del genere. Non gli sarebbe capitato di ricevere solo una sonora sgridata o l’ordine di uscire se fossero stati beccati.

Gli ascensori erano davanti a loro, subito oltre una stanza piena di piante usate per i test. Davanti a loro c’erano in attesa una mezza dozzina di scienziati, come se sapessero che loro due sarebbero andati da quella parte.

Probabilmente lo sapevano, pensò Kevin. Da quello che era successo nel laboratorio, era come se avessero accesso ai pensieri e ai ricordi della gente che controllavano, quindi era abbastanza ovvio che sapessero del bunker.

“Cosa facciamo?” chiese Luna.

Kevin cercò di pensare. “Ci serve una distrazione.”

Raccolse una delle piante e soppesò il vaso in ceramica. Si spostò verso la porta della stanza che stava più distante dall’ascensore, scegliendo una direzione. Poi fece rotolare il contenitore della pianta con la maggior forza possibile, ritornando di corsa da Luna giusto in tempo per sentire il rumore dello schianto in lontananza.

Gli scienziati controllati dagli alieni si girarono verso il suono, poi corsero in quel loro orribile e sincronizzato silenzio.

“Ora,” disse Kevin, e lui e Luna strisciarono verso gli ascensori. C’era una serratura più o meno all’altezza del petto.

“Veloce,” disse Luna, “usa la chiave.”

Kevin la inserì nella serratura e delle luci verdi si accesero. Le porte dell’ascensore si aprirono con penosa lentezza. Quanto tempo ci sarebbe voluto perché gli alieni vedessero quello che avevano fatto e capissero che li avevano ingannati? Quanto tempo prima che tornassero a prenderli tutti e due?

Un suono inumano poco distante suggerì che non mancava molto.

“Dentro,” disse Luna, ed entrambi si lanciarono nell’abitacolo.

C’era un’altra serratura all’interno dell’ascensore, insieme a un pulsante in fondo ai controlli con la semplice indicazione “Bunker”. C’erano anche altri pulsanti, per i diversi piani della struttura, per la lobby e per il garage. Kevin rimase fermo pensando al da farsi.

“Cosa stai aspettando?” chiese Luna. “Hai sentito Ted, dobbiamo andare nel bunker.”

Kevin annuì. Aveva sentito. C’era solo un problema.

“Cosa succederà ai nostri genitori?” chiese.

Vide Luna sgranare gli occhi.

Fuori vide gli alieni che svoltavano l’angolo, tutti diretti verso gli ascensori in perfetta sincronia.

“Se andiamo nel bunker, chi salverà i nostri genitori?” chiese Kevin. Non poteva abbandonare sua madre e lasciare che diventasse un’aliena. Non poteva.

Quindi, mentre gli scienziati controllati dagli alieni iniziavano ad avanzare, Kevin premette l’unico pulsante possibile.

CAPITOLO VENTICINQUE

Kevin non poteva che aspettare fermo lì in piedi mentre l’ascensore saliva verso la lobby. I secondi sembrarono scorrere lenti, e a ogni momento che passava, Kevin poteva immaginare gli scienziati che correvano attraverso l’edificio, afferrando la gente e esalando quel loro vapore, o che semplicemente aspettavano che si propagasse nella struttura, o magari anche oltre.

L’ascensore emise un brontolio e le luci lampeggiarono suggerendo che probabilmente stava succedendo qualcosa da qualche altra parte della struttura, qualcosa di violento.

“Pensi che saranno capaci di fermarci?” chiese Luna. Sembrava davvero spaventata. Spaventata almeno quanto Kevin.

“Non lo so,” ammise lui, e non saperlo era la cosa peggiore. Non aveva idea di cosa sarebbe successo, o se si potesse fermare, o come.

Lentamente l’ascensore si fermò e le porte si aprirono rivelando la lobby. Kevin e Luna uscirono in silenzio, non osando levarsi le maschere mentre la percorrevano rapidamente.

Un’occhiata al pavimento disse a Kevin che era la cosa giusta da fare. Poteva vedere il vapore che scorreva come la nebbia in una fredda mattina, riversandosi da sotto le porte e diffondendosi, raccolta e trasportata dal vento fuori. Non la poté vedere quando arrivò a contatto con la gente che protestava fuori, ma notò l’effetto quando la respirarono: li vide restare immobili e fissare il cielo come se aspettassero qualcosa.

“No,” disse Luna, e Kevin poté sentire l’orrore nella sua voce. “No, non può diffondersi così velocemente.”

Kevin ricacciò indietro la sua stessa paura, deglutendo. Come poteva quel vapore fare così tanto e così rapidamente? Ma conosceva la risposta: era stato programmato da sempre per questo, e quello era il pensiero più terrificante, perché significava che le persone là fuori erano solo l’inizio.

Kevin non riusciva a elaborare una soluzione per passare oltre a loro, ma sembrava che Luna avesse un’idea. Stava già facendo strada fuori dall’istituto, diretta verso il parcheggio.

“Cosa stai facendo?” le chiese Kevin.

“Se vogliamo arrivare a casa in tempo, non possiamo prendere l’autobus,” disse. “Ci serve una macchina.”

“Quindi intendi rubarne una?” chiese Kevin. “Ma sai guidare almeno?”

Gli sembrava inconcepibile che qualcuno della loro età potesse esserne capace, ma Luna sembrava piuttosto convinta.

“Non rubare, ma prendere in prestito,” gli disse. “E sì, so guidare. Probabilmente. Uno dei miei cugini mi ha fatto guidare il suo furgone una volta. Non è così difficile.”

Andarono al parcheggio e fissarono tutte le auto lì. Kevin non era certo di cosa servisse per rubarne una, o quanto ci sarebbe voluto per farlo. Non era neanche certo che avessero tutto questo tempo. Poteva già vedere alcune delle persone fuori dalla recinzione della struttura che si giravano verso di loro.

“Ehm… Luna?” disse. “Penso che dobbiamo sbrigarci.”

“Ecco!” disse lei indicando. Kevin riconobbe immediatamente la compatta utilitaria della dottoressa Levin. “Ti ha dato le sue chiavi, giusto?”

“Non ne sono sicuro,” disse Kevin. Le tirò fuori. “Mi ha dato quella dell’ascensore, ma…” Una spiccò subito tra le altre. “Questa ti sembra la chiave di un’auto?”

“Esattamente,” disse Luna. Gliele prese dalla mano e si portò alla macchina, aprendo le portiere. Guardandosi alle spalle Kevin poté vedere la gente controllata dagli alieni che ora avanzava verso di loro e verso la struttura in un unico gruppo sincronizzato.

 

Kevin si tuffò nell’automobile, dove Luna stava già lavorando con la chiave, cercando di avviare il motore.

“Pensavo che sapessi quello che stavi facendo,” disse Kevin.

“È diversa dal furgone di mio cugino,” rispose Luna. “Dammi un minuto.”

Kevin guardò oltre il cruscotto e vide l’orda di scienziati che avanzava. “Non sono sicuro che abbiamo un minuto.”

“Aspetta, penso di aver capito!” Il motore inaspettatamente si accese. Luna inserì la marcia e si lanciarono in avanti, andando a sbattere contro la macchina davanti a loro.

“Dall’altra parte,” disse Kevin.

“Vuoi guidare tu?” chiese Luna nervosamente. Riuscì a inserire la retromarcia e uscì dal parcheggio con un’altra strisciata di metallo contro metallo. Rimise l’auto in prima e partirono verso il cancello.

Uno degli uomini della folla che protestava si lanciò davanti all’auto, rimbalzando sul cofano e poi rimettendosi in piedi, apparentemente illeso. Kevin aveva visto Ted sparare agli scienziati posseduti senza essere capace di fermarli, quindi dubitava che l’auto avesse fatto molto. Un altro si lanciò contro il cofano, tenendosi stretto, gli occhi con le pupille bianche fissi su di loro.

“Levalo! Levalo!” gridò Luna.

Kevin non era sicuro di come poterlo fare, ma fece del suo meglio. Abbassando il finestrino dal suo lato, si sporse all’esterno strattonando l’uomo per fargli lasciare la presa. Tirò e l’aggressore lasciò andare, cadendo sul cemento.

Ora erano liberi e corsero attraverso il complesso della NASA, diretti verso l’autostrada mentre la gente posseduta li seguiva. La piccola vettura sbucò in una strada e Kevin si guardò attorno, sperando di vedere gente impegnata nei propri affari, sperando in parte che ci fossero dei poliziotti che li avrebbero fermati perché guidavano in modo così irregolare, in modo da poter avere l’occasione di avvisare la gente di ciò che stava accadendo.

La gente rimaneva invece a bordo strada, perfettamente immobile e con gli occhi fissi al cielo.

“Il vapore si sta diffondendo,” disse Kevin.

Luna annuì. “Dobbiamo arrivare dai nostri genitori. Subito.”

Si fiondarono lungo la strada. Kevin poteva vedere le nocche di Luna bianche mentre stringeva il volante, il volto fisso nella concentrazione. Nonostante tutto svoltava e frenava sforzandosi di farci l’abitudine. Se ci fossero state altre persone che guidavano, Kevin non aveva dubbio che sarebbero andati a sbattere entro il primo chilometro. Invece le uniche altre auto sulla strada erano ferme, abbandonate ai lati o occasionalmente nel mezzo della carreggiata mentre i loro proprietari scendevano per fissare il cielo.

Questa era colpa sua. Se non avesse mai detto niente di quello che aveva visto, se non avesse mai portato la gente alla roccia, allora questo non sarebbe successo. Non ci sarebbero state delle persone ferme lì catatoniche come dei manichini, con gli effetti del…

Sua madre. Era di certo là fuori e non sapeva cosa stesse succedendo. Non sapeva cosa fare. Era al sicuro? E se fosse già come gli altri? No, Kevin non poteva sopportare quel pensiero. Kevin tirò fuori il telefono e tentò di chiamarla per avvisarla. Non fu sorpreso di trovare una mezza dozzina di chiamate perse da parte sua, e tutti i messaggi con cui tentava di sapere dove lui si trovasse. La richiamò subito.

“Kevin?” disse quando rispose. “Kevin, dove sei? Dove sei stato? Non eri a casa quando sono tornata. Sono uscita di senno!”

Kevin sospirò di sollievo, perché, dal suono della sua voce, sua madre era ancora in pieno possesso della sua mente.

“Mamma, sono con Luna,” le disse.

“Luna? Cosa state combinando voi due? Dove siete? C’è della roba in TV… dicono un sacco di cose.”

“È difficile da spiegare, mamma,” disse Kevin. “Siamo andati all’istituto della NASA per mettere in guardia la gente che gli alieni ci hanno imbrogliati, ma siamo arrivati troppo tardi.”

“Gli alieni?” disse la madre di Kevin. “Kevin, hai fatto tutta quella strada? Non era sicuro, e…”

“Mamma,” disse Kevin. “Mi devi ascoltare. C’era una sorta di gas o qualcosa del genere dentro alla roccia. Cambia le persone, permette agli alieni di controllarle. Devi trovare una maschera, o un posto che non sia aperto all’aria.”

“Kevin,” disse sua madre, “non mi pare proprio…”

“Non sono pazzo, mamma,” insistette Kevin prima che sua madre potesse finire. “No. Guarda la TV. Se non mi credi, te lo dice Luna.”

Porse il telefono a Luna perché potesse parlare. Non era sicuro che fosse una buona idea, distrarla durante la guida, ma doveva fare qualcosa per tenere sua madre al sicuro. O almeno provarci.

“Signora McKenzie, è tutto vero,” disse Luna. “Deve ascoltarmi. L’ho visto. Ho visto gli scienziati tramutarsi… sì, so che sembra una follia, ma le giuro che è vero. Stiamo venendo a prenderla adesso.”

Ruotò il volante di colpo per evitare un’altra auto e Kevin tirò via il telefono.

“Mamma? Saremo lì il prima possibile. Se qualcuno tenta di entrare, guardalo prima negli occhi. Se le pupille sono bianche, non lasciarlo entrare. Neanche noi. E mamma? Ti voglio bene.”

Forse non era una cosa alla moda da dire, ma in quel momento a Kevin non interessava. Voleva che sua madre lo sapesse.

“Anche io ti voglio bene,” disse lei. “Qualsiasi cosa sia, troveremo un modo per risolverla.”

Kevin non era così sicuro che sarebbe stato tanto facile. Riattaccò e chiamò i genitori di Luna, dato che non c’era modo che lei riuscisse a farlo senza fermarsi o andare a sbattere. Chiamò sua madre e poi suo padre, sentendo il telefono passare ogni volta alla segreteria telefonica.

“Nessuna risposta,” disse.

Luna lo guardò. “Pensi che significhi…”

“Attenta!” disse Kevin afferrando il volante e evitando un gruppo di persone che si erano portate in mezzo alla strada per guardare il cielo. La loro auto sbandò un poco, andando a strisciare contro il cordolo del marciapiede prima di continuare la sua corsa.

Luna strinse di nuovo il volante, non dicendo nulla ora mentre guidava, sempre più veloce man mano che la sua sicurezza cresceva. Kevin sospettava che avrebbe dovuto rallentare almeno un po’, ma non aveva intenzione di dirglielo in quel momento, soprattutto non ora che dovevano ancora arrivare da sua madre.

Sembrò passare un’eternità prima che riuscissero a svoltare in Walnut Creek e tutto lì sembrò troppo tranquillo, quasi sinistro. Quando Luna fermò l’auto davanti alla casa di Kevin, gli venne in mente che non avrebbe dovuto esserne capace. Avrebbero dovuto trovarsi circondati dai giornalisti, tutti felici di fotografarlo mentre faceva qualcosa che non gli era concesso.

Invece la strada era vuota.

“Dove sono tutti?” si chiese Kevin ragionando a voce alta.

“Vuoi essere importunato dai giornalisti?” ribatté Luna. “Probabilmente sono in giro a raccogliere notizie su tutto quello che sta succedendo, o hanno deciso di andare a cercare riparo. Io l’avrei fatto.”

“Lo faremo,” promise Kevin. Non appena avessero recuperato i loro genitori. “Mia madre dovrebbe aver visto che abbiamo accostato.”

Andò dall’auto alla casa, suonando il campanello e battendo poi alla porta.

“Mamma,” gridò. “Non è un giornalista. Sono io, Kevin.”

Aspettò lì diversi secondi, non sicuro che il silenzio fosse dovuto al fatto che sua madre si stava nascondendo, o che significasse qualcosa di più sinistro. Osò tirare un sospiro di sollievo quando sentì il click della serratura e la porta iniziò ad aprirsi.

“Mamma!” disse Kevin allargando le braccia per stringerla in un abbraccio, senza curarsi di quanto potesse sembrare inopportuno alla sua età. Lei si portò davanti a lui, sorridendo e tenendo anche lei le braccia aperte, apparentemente al sicuro, apparentemente felice…

… poi Kevin vide i suoi occhi, vuoti e bianchi, fissi, e si rese conto che sua madre voleva prenderlo, non abbracciarlo.

Era troppo tardi, si rese conto, sentendo un vuoto aprirglisi nello stomaco.

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