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Из серии: Le Cronache dell’invasione #1
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CAPITOLO VENTI

Kevin stava in mezzo alle fabbriche e ascoltava la trasmissione del messaggio che iniziava ad arrivare. All’inizio fu difficile, più difficile del solito, e più difficile di quanto Kevin avrebbe potuto immaginare.

Iniziò a preoccuparsi. E se quello che c’era nel suo cervello e prima l’aveva collegato ai segnali fosse ora cambiato, spostandosi con il lento progredire della sua malattia? E se ci fosse stata solo una breve finestra quando il suo cervello era stato ricettivo, e ora stesse iniziando a chiudersi? Tentò di concentrarsi, sentendo i rumori e intenzionato a coglierne il senso.

Un’immagine gli si imprimeva nel cervello, numeri che brillavano in file ordinate di coordinate. Kevin non le avrebbe riconosciute in quanto tali, ma aveva già visto elenchi di quel genere, quando aveva imparato come spostare il telescopio la prima volta per cogliere il flusso del messaggio.

“Kevin?” chiese Luna. “Stai bene?”

Kevin non sapeva come rispondere. La parte strana era che si sentiva meglio rispetto ai giorni precedenti, magari una qualche interazione tra la sua malattia e il messaggio faceva migliorare momentaneamente i sintomi.

“Non lo so,” disse. “Penso… penso che gli alieni vogliano che cerchiamo segnali in un altro posto.”

Era stato così l’ultima volta che aveva ricevuto un messaggio così diretto nel suo cervello, con una potenza tale da non poterla contenere. Era stato l’inizio di tutta la storia.

“E allora a chi lo diciamo?” chiese Luna.

Kevin probabilmente rimase troppo tempo a fissarla, perché lei allargò le braccia.

“Cosa? dobbiamo dirlo a qualcuno,” disse.

Kevin sapeva che probabilmente aveva ragione. Se c’era un nuovo messaggio, la gente avrebbe voluto saperlo. Il problema era che lui non era sicuro di come avrebbero reagito. Aveva visto tutti i giornalisti che si trovavano ancora fuori da casa sua. Aveva visto il dolore che aveva causato a sua madre. Non valeva la pena tenersi tutto per sé, perlomeno per proteggerla?

“Non sono sicuro che qualcuno mi crederebbe,” disse. “Pensano che sia un imbroglione. Se lo dico alla gente, daranno per scontato che sto ancora tentando di attirare l’attenzione.”

La gente non lo avrebbe ascoltato ora, qualsiasi cosa avesse detto. Se si presentava con un’altra striscia di numeri, non avrebbero deciso che stava semplicemente tentando di ricominciare tutto da capo?

“Potremmo dirlo a tua mamma,” disse Luna. “Lei ti crederebbe, e saprebbe cosa fare.”

Kevin scosse la testa. “Non sono sicuro che ora sarebbe così, non dopo tutto il casino che questo ha già causato. Anche se ci credesse, non so se qualcuno ascolterebbe anche lei.”

“E chi allora?” chiese Luna. “Dobbiamo dirlo a qualcuno. Un giornalista magari?”

Quello almeno avrebbe riportato la notizia alla ribalta, ma di nuovo, non gli sembrava una grande idea. Se fosse andato dai giornalisti, cercando di spiegare, non l’avrebbero solo preso in giro? Doveva essere in grado di fornire delle prove. C’era solo un posto dove poteva farlo, solo un posto dove sarebbero stati capaci di riallineare un telescopio per cogliere qualsiasi altro segnale ci fosse in attesa.

“Dobbiamo contattare qualcuno della struttura della NASA,” disse Kevin.

Già mentre lo diceva, capiva quanto sarebbe stato difficile. Tirò fuori il telefono cercando di pensare al modo migliore di fare le cose. Non che lui avesse il numero diretto di nessuna delle persone che avrebbero potuto essergli di aiuto.

Decise di iniziare con la dottoressa Levin, perché almeno la direttrice del SETI era sembrata più comprensiva del professor Brewster. Trovò online un numero del SETI e chiamò, ascoltando il trillo e ottenendo alla fine la linea con la reception.

“Pronto,” disse la donna della reception. “Istituto SETI, come posso aiutarla?”

“Devo parlare con la dottoressa Levin di una questione urgente,” disse Kevin, cercando di assumere un tono più da adulto possibile. Magari se riusciva a passare per un collega o qualcosa del genere, gli avrebbero permesso di parlarle.

“Chi parla?” chiese la donna.

“Beh… ehm…” Kevin guardò verso Luna, che scrollò le spalle. “Sono Kevin McKenzie. Ma devo parlarle subito. C’è stato un altro messaggio, e c’è una seconda serie di coordinate, e…”

Sentì il click della comunicazione che veniva interrotta.

“Non mi lasciano neanche spiegare,” disse Kevin. Faceva male: dopo tutto quello che c’era stato, non aspettavano neanche di lasciargli dire qualcosa.

“Dobbiamo continuare a provare,” insistette Luna. “Dà qua. Proveremo con la NASA. Sono loro ad avere i telescopi, dopotutto.”

Chiamò e premette alcuni pulsanti. Sembrò anche più brava nel cercare di apparire più grande, perché quando parlò a Kevin parve più il tono di sua madre che quello dell’amica.

“Salve, mi chiedevo se potessi parlare con il professor Brewster. È piuttosto urgente, sì. Sono la professoressa Sophie Langford dell’Università del Wisconsin. Sì, aspetto.”

Kevin non aveva mai saputo che Luna fosse così brava a inventarsi le cose al momento. Gli passò il telefono e Kevin lo prese, giusto in tempo per sentire la voce del professor Brewster dall’altra parte della linea.

“Pronto?” disse il professor Brewster. “Professoressa… Langford, giusto?”

Kevin trattenne il fiato. “Professor Brewster, sono io, sono Kevin. Non riattacchi, è urgente.”

“Ma cosa pensi di fare chiamando questo numero?” chiese il professor Brewster. “E arrivando a me sotto false sembianze? Non pensi di essere già abbastanza nei guai, giovanotto?”

“Mi ascolti,” disse Kevin. “Non la starei chiamando se non fosse importante. Ci sono delle cose che deve sapere.”

“So già abbastanza della tua situazione,” disse il professor Brewster.

“Non si tratta di questo,” insistette Kevin. “C’è stato un altro messaggio! Una nuova serie di coordinate. Gli alieni hanno detto…”

“Basta,” disse il professor Brewster. “Abbiamo investito tutti abbastanza tempo e sforzo nell’inseguire questa farsa, e non occorre replicarla. Ora riattacco, Kevin. Se contatterai ancora questa struttura, passerò i dettagli alla polizia.”

Riagganciò proprio come aveva fatto la donna alla reception.

Kevin rimase fermo pensando a cosa poter fare adesso. Non aveva altri numeri di telefono da provare, a meno che non volesse tentare di chiamare un giornalista o la Casa Bianca o qualcosa del genere, e in entrambi i casi sospettava che avrebbe ottenuto più o meno la stessa reazione. Poteva andare a casa e tentare di parlare con i giornalisti lì, o poteva aspettare sua madre, ma entrambe le opzioni portavano il rischio che lo ignorassero, e…

“Quindi,” disse Luna interrompendo il suo flusso di pensiero, “come andiamo al SETI?”

“Cosa?” chiese Kevin.

“È l’opzione migliore che abbiamo,” disse Luna. “Se andiamo da loro, vedranno che dici seriamente, e saranno capaci di persuadere la NASA a muovere i loro telescopi. E comunque la dottoressa Levin è sempre sembrata più carina del professor Brewster.”

Dicendolo così, riuscì a farlo sembrare così decisamente logico che non c’era spazio per discussioni di sorta. Luna aveva un suo modo di fare cose del genere che poteva sembrare terrificante, a modo suo. Lo stesso Kevin pensò che si dovesse per lo meno provare.

“Mia mamma mi ammazza se faccio una cosa del genere,” sottolineò.

“Tua mamma ti vuole troppo bene per farlo,” disse Luna. “Ad ogni modo, ti metterà in punizione a vita per essere scappato in questo modo oggi. Perlomeno tenta di salvare il mondo, visto che già sei nei guai.”

“Tu però non serve che ti metti nei guai,” sottolineò Kevin. “I tuoi genitori daranno di matto se te ne vai a San Francisco.”

“E pensi che ti lascerei fare questa cosa tutto da solo?” gli chiese Luna. “Pensi che ti lascerei prendere tutto il merito per aver ritrovato gli alieni? Pensi che ti lascerei avere tutto il divertimento?”

“Non sono sicuro che sarà esattamente divertente,” disse Kevin.

Luna stava già scuotendo la testa. “Sei andato nella giungla senza di me, ma non mi lascerai a casa anche questa volta, Kevin.”

CAPITOLO VENTUNO

Presero i biglietti dell’autobus per San Francisco da un commesso che li guardò con sospetto. Kevin non era sicuro che fosse perché l’uomo l’aveva riconosciuto dal notiziario o perché pensava che fossero dei fuggiaschi, o entrambe le cose. Riuscirono comunque a comprare i biglietti e presero due posti a sedere verso il retro dell’autobus che partì mezzo pieno in direzione della città. Si rannicchiarono sui sedili e Kevin si trovò ad essere riconoscente che Luna fosse con lui. Non era certo che sarebbe riuscito a fare questa cosa senza di lei.

Il viaggio in autobus sembrò durare un’eternità, e Kevin passò la maggior parte del tempo a cercare di decidere cosa poteva raccontare per convincerli che stava dicendo la verità. Non poteva solo chiedere loro di fidarsi di lui, non dopo l’ultima volta.

“Certo che puoi,” disse Luna quando lui le confidò i suoi dubbi. “Chiedi loro di controllare la localizzazione del segnale. Potrebbero non essere in grado di capire cosa significhi, ma lo sentiranno comunque.”

Faceva sembrare la cosa facile, ma la verità era che probabilmente era la loro migliore opzione. Quindi, quando l’autobus arrivò alla stazione, Kevin scese insieme a Luna, trovando un taxi che li avrebbe portati nella giusta direzione, cercando di ignorare il modo in cui il suo corpo iniziava a tremare.

 

“State andando per tutta l’agitazione che c’è lì?” chiese il tassista. “Vi siete persi il grosso. Hanno smesso di parlare di alieni un paio di giorni fa.”

“Magari ricominceranno,” disse Luna. “Non si sa mai.”

L’autista li portò fino all’ingresso del SETI. Non c’erano persone accampate fuori come alla struttura della NASA, e Kevin ne fu felice. Significava che poteva semplicemente entrare senza che la gente lo vedesse, o lo prendesse, o…

“Tu?” disse la donna della reception non appena lo vide comparire sulla soglia. “Non hai capito il messaggio quando ho riattaccato? Hai già causato così tanti guai. Esci prima che chiami la sicurezza.”

Prima era stata la madre di Kevin a impegnarsi in un confronto di grida con la donna della reception. Ora fu Luna a farsi avanti, ovviamente pronta per una discussione.

“Va tutto bene,” disse la dottoressa Levin entrando nella lobby. “Faccio io. Kevin, cosa stai facendo qui?”

“Sta cercando di arrivare a lei,” disse Luna, l’irritazione facilmente udibile nel suo tono di voce. “Ma pare che la gente che lo ha già tradito non sia intenzionata ad ascoltarlo.”

“Ciao, Luna,” disse la dottoressa Levin. “I vostri genitori sanno che siete qui? Non dovreste essere qui, a dire il vero.”

“C’è stato un altro messaggio,” disse Kevin, immaginando che non ci fosse molto tempo. Non aveva la sensazione di avere molto tempo in quel momento. Forse era lo sforzo di aver fatto tutta quella strada, ma Kevin sentiva la pressione nella testa che cresceva, insieme alle vertigini che facevano ondeggiare il mondo attorno a lui. Respinse tutto. Questa era una faccenda seria.

“Kevin,” disse la dottoressa Levin, “sappiamo tutti ormai che i messaggi non sono reali. Anche se pensi che lo siano, devi smetterla.”

“Come facevo a sapere della Pioneer 11?” chiese Kevin. Aveva avuto un intero viaggio in autobus per pensare a cosa avrebbe detto, e a come convincere la dottoressa Levin. “Come facevo a sapere dove sarebbe stato il primo segnale? Mi avete visto farlo con i vostri stessi occhi, dottoressa Levin.”

La scienziata iniziò a scuotere la testa. “Non ha importanza.”

“Sì,” insistette Kevin. “Se non crede alle prove davanti a suoi occhi, allora a cosa serve la scienza?” Fece una pausa. “Se siete capaci di spiegarlo, allora ditemi. Ditemi come faccio a fare queste cose e io mi girerò e me ne andrò. Ma penso che non possiate, e non potete, perché è reale, e c’è un altro messaggio.

Avrebbe detto altro, ma non poté trattenere oltre l’improvvisa pressione nella testa.

Improvvisamente, crollò a terra.

*

L’oscurità chiamò Kevin. Per una volta non c’erano visioni, non c’erano messaggi e neanche segni di qualsiasi altra cosa.

Solo il vuoto.

Si svegliò nella luce abbagliante, sbattendo le palpebre, cercando di capire dove si trovasse.

Luna e la dottoressa Levin lo stavano guardando.

“Kevin, stai bene?” chiese Luna.

“Dovremmo chiamare un medico,” disse la dottoressa Levin.

“No,” riuscì a dire Kevin, e per un momento neanche lui era certo di quale fosse la domanda a cui stava rispondendo. “Basta dottori. Non chiamate mia madre. Dobbiamo ascoltare il segnale.”

Si rese conto che era svenuto. Era sdraiato sul pavimento, nello stesso punto dove pochi secondi prima era in piedi.

Sentì la dottoressa Levin sospirare. Non era certo di cosa avrebbe fatto se l’avesse gettato fuori. Mettere l’informazione in Internet, magari? Inviarla direttamente a qualche osservatorio nella speranza che loro ne facessero qualcosa? Forse sarebbe finito troppo nei guai con sua madre per una cosa del genere. Doveva solo stare lì e sperare.

Vide la dottoressa guardarlo con più compassione rispetto a prima, e sospettava che lo svenimento avesse smosso qualcosa in lei.

“Ok,” disse la dottoressa Levin. “Ok, lo ammetto, ho pensato a tutto fin da quando sei venuto qui. A meno che in qualche modo tu non sia riuscito a prendere il controllo dell’intero sistema della NASA… No, non funziona e basta. Ma questo significa che…”

“Significa che lei mi crede,” disse Kevin.

La dottoressa Levin annuì. “Sì, ti credo. Non voglio, ma non posso vedere altri modi. Cos’è questo tuo messaggio?”

“Coordinate,” disse Kevin. “Come l’altra volta che abbiamo dovuto cambiare l’allineamento del telescopio, solo che diverse. Vogliono che ci concentriamo in un punto diverso.”

“Per dei messaggi che vengono da un diverso punto del cielo?” chiese la dottoressa Levin. Kevin la sentì sospirare. “Sai che nessuno sposterà un telescopio solo perché lo dico io, giusto? Non dopo…”

“Dopo tutto quello che ho fatto?” ipotizzò Kevin.

La dottoressa Levin annuì.

“Dev’esserci qualcuno,” insistette Luna, accanto a loro. “Non serve che il professor Brewster lo sappia. O potremmo trovare un modo di accedere illecitamente.”

A volte era sorprendente quanto poco rispetto Luna avesse per le regole. Con sorpresa di Kevin, la dottoressa Levin parve prendere sul serio il suo suggerimento.

“Entrare in modo illecito nella NASA è difficile,” disse. “Per farlo, abbiamo bisogno di qualcuno che…”

Poi i suoi occhi si illuminarono capendo la soluzione.

“Ma certo,” disse, rispondendo a se stessa. “Phil.”

Kevin annuì sentendo nominare lo scienziato. “Pensate che… pensate che ci aiuterebbe?”

“Potrebbe,” disse la dottoressa Levin. “Almeno è il nostro migliore asso nella manica.”

Lei e Luna aiutarono Kevin ad alzarsi in piedi. Gli ci volle uno sforzo, ma se la sarebbe cavata.

“Non posso credere che lo sto facendo di nuovo,” disse, “ma immagino… immagino che sia necessario fare un giro alla NASA.”

CAPITOLO VENTIDUE

Andarono fino alla struttura della NASA con l’auto della dottoressa Levin. Mentre tutti e tre si avvicinavano all’edificio, videro che c’erano ancora delle persone all’esterno, ma ben meno di prima. Si diressero con l’auto verso i cancelli, dove trovarono una guardia addetta alla sicurezza in piedi dietro a una sbarra abbassata.

“Questa parte potrebbe essere insidiosa,” disse la dottoressa Levin. “Non sono tornata qui da quando tutto è successo.”

Si avvicinò e la guardia sollevò una mano.

“Non si può entrare qui,” disse. “Se l’ho detto a uno di voi, devo averlo detto a… dottoressa Levin, cosa ci fa qui? Non è sulla lista per oggi.”

“Dobbiamo entrare, Neil,” disse. “Devo parlare con Phil.”

“Dobbiamo?” disse la guardia. Guardò nel retro dell’auto. “Aspetti, quello non è…?”

Kevin non si intimidì davanti allo sguardo della guardia. In quel momento era la loro unica speranza.

“Tu? Tu non dovresti essere qui. Hanno detto…”

“Probabilmente hanno detto un sacco di cose di ogni genere,” disse la dottoressa Levin, “ma noi abbiamo bisogno di entrare. Per favore.”

“Mi spiace, dottoressa Levin,” disse la guardia. “Ma non posso proprio lasciarla entrare così, soprattutto non insieme a lui.”

Kevin guardò verso Luna, che annuì.

“Ti prego, Neil, è di vitale importanza,” disse la dottoressa Levin.

“Mi spiace, deve girare l’auto e… ehi!”

Kevin e Luna scattarono fuori praticamente contemporaneamente. Kevin sfrecciò oltre la guardia quasi insieme a Luna. L’uomo non poteva afferrarli entrambi nello stesso istante, quindi riuscirono a passare oltre la sbarra, correndo verso le porte della struttura, mentre l’uomo si girava per rincorrerli, impacciato da alcune persone che si erano avvicinate per protestare, e che avevano chiaramente deciso di venire a vedere cosa stesse succedendo.

Kevin corse avanti, scattando verso la porta. Lui e Luna furono entrambi più veloci dell’uomo e raggiunsero le porte prima che la guardia avesse percorso metà della distanza. Avrebbe sicuramente avuto un significato maggiore, se le porte non fossero state chiuse a chiave. Kevin batté i pugni, ma non aveva il pass per accedere, non l’aveva mai avuto, e ora la guardia stava quasi per raggiungerli.

“Andrete tutti e due diretti alla polizia!” promise loro mentre si avvicinava.

Poi le porte della struttura si aprirono e sia Kevin che Luna scivolarono all’interno, un passo più avanti della guardia. La porta si richiuse subito dopo e Kevin sollevò lo sguardo per vedere chi avesse aperto.

“Ted?” Era l’ultima persona che si era aspettato di vedere lì, ma probabilmente anche la migliore nella quale avrebbe potuto imbattersi. “Sei ancora qui?”

Ted annuì. “Sono dovuto restare per rispondere ad alcune domande sulla faccenda. Ma non preoccuparti di questo. Cosa ci fai qui, Kevin?” Guardò poi verso Luna. “Siete qui tutti e due?”

“C’è stato un altro messaggio,” disse Kevin.

Laddove gli altri avevano riagganciato o lo avevano guardato come se fosse matto, Ted gli lanciò un’occhiata seria. “Ne sei sicuro?”

Kevin annuì. “Ci serve qualcuno che possa riallineare il telescopio. C’è un’altra serie di coordinate.”

Ted guardò mentre la dottoressa Levin entrava, ora che lui era stato in grado di riportare la guardia al suo posto. “Stavate venendo per controllare?”

La dottoressa Levin annuì. “Speravo che Phil potesse dimostrarsi intenzionato ad eseguire il riallineamento in maniera tacita. La cosa ardua è stata entrare qui.”

“Posso occuparmene,” disse Ted. “Sono qui in teoria solo per fare i bagagli, ma ho ancora totale accesso.”

Tirò fuori una carta magnetica e li fece entrare nell’edificio. Alcune delle persone nella lobby li fissarono quando entrarono, ma nessuno disse nulla. Kevin immaginò che ciò avesse molto a che vedere con la presenza di Ted e della dottoressa Levin.

“Dovremmo agire rapidamente,” disse Ted. “Molto presto qualcuno dirà al professor Brewster che siete qui.”

“Dobbiamo sperare di avere già i nuovi messaggi in tempo,” disse la dottoressa Levin.

Fece strada verso l’ufficio di Phil, con Kevin, Luna e Ted che la seguivano. Kevin vide le occhiate che alcune persone gli lanciarono, udì il mormorio mentre passavano. Non si erano dimenticati di quello che era successo prima. Kevin sperava solo che Phil sarebbe stato contento di aiutarli.

La dottoressa Levin bussò alla porta dell’ufficio del ricercatore, e Kevin guardò la sua faccia quando li vide lì. Passò da consapevolezza a sorpresa, e poi a una sorta di preoccupata comprensione.

“No,” disse sollevando le mani. “Qualsiasi cosa sia, no.”

“Non ti abbiamo neanche chiesto niente, ancora,” disse la dottoressa Levin.

“Ma lo farete,” disse Phil, “e il professor Brewster lo verrà a sapere, e…”

“Ti preoccupi di quello che dirà David?” ribatté la dottoressa Levin.

Phil scrollò le spalle e poi sospirò. “Cosa vi serve?”

“Devi puntare il telescopio verso delle nuove coordinate,” disse Kevin, rispondendo per loro. “Ho ricevuto un altro messaggio.”

“Vuoi che io… ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?” chiese Phil.

“Guardala da questo punto di vista,” sottolineò la dottoressa Levin. “Se lo fai, sarai quello che ha dato prova che Kevin ha sempre avuto ragione.”

Phil deglutì, poi annuì. “Ok, ma dobbiamo farlo in silenzio. Andiamo.”

Ora era lui a fare strada attraverso la struttura, portandoli fino a un laboratorio equipaggiato di monitor e schermi. Un paio di click sulla tastiera da parte di Phil e iniziarono a comparire dei dati da uno dei telescopi.

“Ok,” disse, “pare che siamo programmati qui. Dobbiamo solo… oh, ecco la mi carriera che se ne va.”

Kevin si girò. Attraverso le porte del laboratorio vide il professor Brewster che si avvicinava con un’espressione scura in volto.

“Cosa ci fanno loro qui?” chiese mentre si avvicinava. “Interrompi immediatamente quello che stai facendo!”

Kevin immaginò che fosse inevitabile che qualcuno gli andasse a dire che loro si trovavano lì. Aveva solo pensato che magari avrebbero avuto un po’ più di tempo prima che succedesse.

“Pare che abbiamo finito,” disse Phil.

“No, se lo facciamo velocemente,” rispose Kevin.

“Neanche tanto velocemente,” disse Luna. Corse verso la porta e la chiuse incastrando una sedia sotto alla maniglia. “Cosa?” chiese mentre gli altri la guardavano. “È solo la cosa ovvia da fare.”

“Solo per te,” disse Kevin con un sorriso.

Fuori il professor Brewster picchiava i pugni contro la porta. “Apritela subito! Chiamerò la sicurezza! Chiunque dia assistenza a quel ragazzo verrà trattato come un criminale!”

 

Kevin guardò verso Phil. Senza di lui non sarebbero stati capaci di riallineare il telescopio, quindi se lui decideva di non farlo…

“Ok,” disse. “Quali sono le coordinate?”

Kevin fece un sospiro di sollievo e recitò i numeri a memoria. Come con la prima serie di numeri, sembravano quasi stampati nel suo cervello, erano lì quando chiudeva gli occhi ed era praticamente come leggerli piuttosto che ricordarli.

“Sei sicuro?” chiese Phil.

Kevin annuì e aprì gli occhi. C’erano più persone fuori dalla porta adesso, riunite lì attorno per vedere cosa stesse succedendo, o cercando di aiutare il professor Brewster a entrare.

“E allora andiamo,” disse Phil. Premette un altro pulsante e Kevin vide i numeri sullo schermo cambiare mentre l’allineamento del radiotelescopio iniziava a muoversi. Si spostarono poco alla volta e i numeri divennero più vicini a quelli che aveva visto, e sempre più vicini fino a che…

Nel momento in cui combaciarono, si sentì un segnale, forte e chiaro. Dei suoni iniziarono a provenire dal sistema. C’era una sensazione familiare in essi, ma allo stesso tempo sembravano diversi da alcuni di quelli che Kevin aveva tradotto. Meno precisi e meccanici, più fluidi.

Lo stesso si trovò a tradurli in automatico.

“Se state ricevendo questo, state attenti,” tradusse. “Siete in grave pericolo. L’ultimo messaggio che avete ricevuto era un trucco.”

Kevin poteva sentire il professor Brewster che continuava a picchiare con le mani contro la porta, ma continuò ad ascoltare, e ora la traduzione scorreva dalle sue labbra.

“La loro trasmissione è stata una menzogna, preparata con l’intenzione di farvi aprire la capsula. Non è una capsula temporizzata. È un’arma. Ci ha distrutti completamente. Questo è il nostro ultimo messaggio, per avvisare gli altri di non ripetere il nostro stesso errore.”

Kevin si accigliò, non sicuro se stesse traducendo correttamente, ma il messaggio non era finito.

Brewster e il suo team fecero irruzione attraverso la porta.

“Cosa significa tutto questo?” chiese, ma si fermò di colpo quando anche lui sentì.

“Non fate gli errori che abbiamo fatto noi. Non aprite quello che vi mandano.”

Il messaggio si interruppe, poi ripeté, come se fosse in qualche modo lanciato in loop.

“Qualcuno ha voluto assicurarsi che lo sentissimo,” disse Luna.

Kevin annuì, cercando di capirne il senso. Guardò verso gli adulti.

“Dove si trova la roccia?” chiese Brewster.

“Al piano di sotto. Laboratorio 3B.”

“Chiamateli al telefono!” gridò Ted. “SUBITO!”

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