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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3

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Quando Galerio sottoscrisse quest'editto di tolleranza, egli era ben sicuro, che Licinio avrebbe facilmente secondato le inclinazioni del proprio benefattore ed amico, e che tutte le determinazioni, prese in favor dei Cristiani, avrebbero ottenuto l'approvazione di Costantino. Ma l'Imperatore non volle arrischiarsi ad inserirvi nel preambolo il nome di Massimino, il consenso del quale era della massima importanza, e che pochi giorni dopo successe alle Province dell'Asia. Ne' primi sei mesi però del suo nuovo regno, Massimino affettò di adottare i prudenti consigli del suo predecessore; e quantunque non condiscendesse giammai ad assicurar la tranquillità della Chiesa con un pubblico editto, Sabino, suo Prefetto del Pretorio, mandò una circolare a tutti i Governatori e Magistrati delle Province, nella quale spaziava sopra la clemenza Imperiale, riconosceva l'invincibile ostinazion de' Cristiani, ed ordinava a' ministri di giustizia di tralasciare le loro inefficaci ricerche, e di chiuder gli occhi alle segrete assemblee di quegli entusiasti. In conseguenza di questi ordini, molti Cristiani rilasciati furono dalle prigioni, o liberati dalle miniere. I Confessori, cantando inni di trionfo, tornavano a' lor paesi, e quelli, che avevan ceduto alla violenza della tempesta, chiedevano con lacrime di pentimento di esser riammessi nel seno della Chiesa175.

Ma questa finta calma fu di breve durata, nè poterono i Cristiani d'Oriente fondare alcuna speranza nel carattere del lor Sovrano. La crudeltà e la superstizione erano le passioni dominanti l'animo di Massimino: la prima gli suggeriva i mezzi, la seconda gli additava gli oggetti della persecuzione. L'Imperatore era tutto portato al culto degli Dei, allo studio della magia, ed a prestar fede agli oracoli. I Profeti o i Filosofi, ch'egli rispettava come favoriti del Cielo, venivano spesso innalzati al governo delle Province, ed ammessi a' suoi più segreti consigli. Questi facilmente lo persuasero, che i Cristiani andavano debitori delle loro vittorie alla regolar disciplina con cui vivevano, e che la debolezza del Politeismo era nata principalmente dalla mancanza d'unione e di obbedienza fra' Ministri della religione. Fu dunque instituito un sistema di governo, che era evidentemente copiato da quello della Chiesa. In tutte le maggiori città dell'Impero vennero i tempj risarciti ed adornati per ordine di Massimino, ed i Sacerdoti destinati al culto delle varie Divinità furono sottoposti all'autorità di un Pontefice superiore, che si volle opporre al Vescovo, affinchè promuovesse la causa del Paganesimo. Questi Pontefici poi riconoscevano ancor essi la suprema giurisdizione de' Metropolitani, o sommi Sacerdoti delle Province, che agivano come immediati Vicarj dell'Imperatore medesimo. Una veste bianca era l'insegna della lor dignità, e questi nuovi Prelati furono diligentemente presi dalle più nobili ed opulente famiglie. Per le insinuazioni de' Magistrati e dell'Ordine sacerdotale si fece un gran numero di ossequiose rappresentanze, particolarmente dalle città di Nicomedia, di Antiochia e di Tiro, che artificiosamente esponevano le ben note intenzioni della Corte, come i sentimenti generali del popolo; eccitavano l'Imperatore a consultar le leggi della giustizia piuttosto che i dettami della sua clemenza; esprimevano l'abborrimento che avevano a' Cristiani, ed umilmente supplicavano, che quegli empi settarj fossero finalmente esclusi da' limiti de' lor territorj. Sussiste ancora la risposta di Massimino alla rappresentanza, ch'ei ricevè da' cittadini di Tiro. Loda esso lo zelo e la devozion loro in termini della più alta soddisfazione; si diffonde sull'ostinata empietà de' Cristiani; e mostra, mediante la facilità con cui consente alla lor espulsione, ch'egli credeva di ricevere piuttosto che di conferire una grazia. A' Sacerdoti non meno che a' Magistrati fu data l'autorità di procurare l'esecuzione de' suoi editti, i quali sopra tavole di rame vennero incisi, e quantunque fosse ad essi raccomandato ch'evitassero di spargere il sangue, si fecero tuttavia soffrire ai non ubbidienti Cristiani i più crudeli ed ignominiosi gastighi176.

I Cristiani Asiatici tutto aveano a temere dalla severità di un superstizioso Monarca, il quale prendeva le sue misure di violenza con sì deliberata politica. Ma appena erano scorsi pochi mesi, che gli editti pubblicati, da' due Imperatori d'Occidente obbligarono Massimino a sospendere il proseguimento de' suoi disegni: la guerra civile, ch'egli sì temerariamente intraprese contro Licinio, occupò tutta la sua attenzione; e la disfatta e la morte di Massimino presto liberaron la Chiesa dall'ultimo e dal più implacabile de' suoi nemici177.

In questo general prospetto della persecuzione, che fu autorizzata per la prima volta dagli editti di Diocleziano, io mi sono a bella posta astenuto dal descrivere i tormenti e le morti particolari dei Martiri. Sarebbe stato assai facile di raccogliere dall'istoria di Eusebio, dalle declamazioni di Lattanzio e dagli atti più antichi una lunga serie di orride e disgustose pitture, e di riempiere molte pagine di flagelli e di verghe, di uncini di ferro e di letti infuocati, e di ogni genere di torture, che il fuoco ed il ferro, le bestie feroci ed i più barbari esecutori potessero infliggere al corpo umano. Ravvivar si potrebbero queste scene funeste con una folla di visioni e di miracoli, destinati o a differire la morte, o a celebrare il trionfo, o a scuoprir le reliquie di que' Santi canonizzati, che soffriron pel nome di Cristo. Ma io non posso determinar ciò che debbo scrivere, finchè non mi trovo soddisfatto intorno alla misura di quello che debbo credere. I più gravi Istorici Ecclesiastici, ed Eusebio stesso, molto francamente confessano, di aver riferito tutto ciò che potea ridondare in gloria, e di aver soppresso tutto quel che poteva tendere al disonore della religione178. Tal protesta dovrà eccitare naturalmente il sospetto, che uno scrittore, il quale ha sì apertamente violato una delle leggi fondamentali dell'Istoria, non abbia avuto molto riguardo all'osservanza delle altre; ed il sospetto prenderà sempre maggior vigore dal carattere d'Eusebio, che era meno portato alla credulità, e più esercitato negli artifizi delle Corti, che quasi tutti gli altri di lui contemporanei. In alcune occasioni particolari, quando i Magistrati erano inaspriti da qualche personal motivo d'interesse o di sdegno, quando lo zelo de' Martiri li muoveva a dimenticar le regole della prudenza, e forse anche della decenza, a rovesciare gli altari, a scagliare imprecazioni contro gl'Imperatori, ad offendere il Giudice sedente nel suo Tribunale, allora si può supporre, che qualunque genere di tormenti, cui la crudeltà potesse inventare o la costanza soffrire, esaurito venisse su quelle vittime, destinate al supplizio179. Si è fatta però costante menzione di due circostanze, le quali fan credere che il trattamento generale de' Cristiani, presi da' ministri di giustizia, fosse meno intollerabile di quel che ordinariamente suppongasi. I. A' Confessori, condannati ai lavori delle miniere, permettevasi dall'equità o dalla negligenza de' lor custodi di fabbricare cappelle, e di liberamente professare la lor religione in mezzo a quelle orribili abitazioni180; II. I Vescovi eran costretti a raffrenare ed a censurare il precipitato zelo de' Cristiani, che volontariamente si davano nelle mani de' Magistrati. Alcuni di questi erano persone oppresse dalla povertà e da' debiti, che ciecamente cercarono di terminare una miserabile vita per mezzo d'una gloriosa morte; altri erano allettati dalla speranza, che una breve sofferenza purgato avrebbe le colpe di tutta la vita; ed altri finalmente venivan mossi dal motivo meno onorevole di rilevare abbondanti alimenti, e forse un considerabil guadagno dall'elemosine, che la carità de' Fedeli donava a' carcerati181. Dopo che la Chiesa ebbe trionfato sopra tutti i suoi nemici, l'interesse non meno che la vanità de' prigionieri li dispose ad ampliare il merito de' respettivi lor patimenti. Una giusta distanza di tempo o di luogo diede campo al progresso della finzione, ed i frequenti esempi, che si allegavano, di santi Martiri, de' quali si erano instantaneamente risanate le piaghe, rinnovata la forza, e miracolosamente restituite le membra perdute, erano sommamente adatti allo scopo di rimuovere ogni difficoltà, e di rispondere a qualunque obbiezione. Siccome le più stravaganti leggende contribuivano all'onor della Chiesa, venivano esse applaudite dalla credula moltitudine, sostenute dal potere del Clero, e confermate dalla sospetta testimonianza dell'Istoria Ecclesiastica.

 

Le descrizioni degli esilj, delle carcerazioni, delle pene e de' tormenti son così facilmente esagerate o abbellite dal pennello di un artificioso Oratore, che siamo naturalmente indotti ad investigare un fatto di una più distinta ed incredibil natura, vale a dire il numero delle persone, che soffriron la morte in conseguenza degli editti pubblicati da Diocleziano e da' suoi colleghi e successori. I leggendari moderni fanno menzione di armate e di città intere, che furono ad un tratto disperse dalla cieca rabbia della persecuzione. I più antichi scrittori si contentano di spargere una quantità di libere e tragiche invettive, senza discendere a determinare il numero preciso di quelli, a' quali fu concesso di sigillare col loro sangue la fede dell'evangelio. Dall'istoria d'Eusebio però possiam ricavare, che nove soli Vescovi furon puniti con la pena di morte; e dalla particolar enumerazione, ch'ei fa, de' Martiri della Palestina, siamo assicurati che non più di novanta due Cristiani ebber diritto a quell'onorevol titolo182. Siccome non sappiamo fino a qual segno ascendesse in quel tempo lo zelo ed il coraggio Episcopale, dal primo di questi fatti non possiamo tirare alcuna utile conseguenza: ma il secondo può servire a giustificare una importantissima ed assai probabile conclusione. Secondo la distribuzione delle Province Romane, la Palestina può valutarsi la decimasesta parte dell'Impero Orientale183; e poichè vi furono alcuni governatori, che per una reale o affettata clemenza avean conservato le loro mani pure dal sangue de' Fedeli184, egli è ragionevol di credere, che il paese, dov'era nato il Cristianesimo, producesse almeno la decimasesta parte de' Martiri, che soffriron la morte negli stati di Galerio e di Massimino; per conseguenza tutti insieme potrebbero ascendere a circa mille cinquecento; numero, che se dividasi ugualmente ne' dieci anni della persecuzione, darà un annual resultato di centocinquanta Martiri. Usando la medesima proporzione rispetto alle Province dell'Italia, dell'Affrica, e forse della Spagna dove al termine di poco più di tre anni fu sospeso o abolito il rigore delle leggi penali, si ridurrà la quantità de' Cristiani, che soffrirono per giudicial sentenza la pena capitale in tutto l'Impero a meno di duemila persone. E poichè non può dubitarsi, che i Cristiani eran più numerosi, ed i lor nemici più esacerbati nel tempo di Diocleziano, di quel che fossero stati mai in alcuna precedente persecuzione, questo probabile e moderato calcolo può darci regola per valutare il numero de' Santi e de' Martiri primitivi, che sacrificaron la vita per l'importante fine d'introdurre nel mondo la religione Cristiana.

Noi finiremo questo capitolo con una trista verità, che contro voglia s'insinua nella mente; cioè che ammettendo, anche senz'esitazione o esame veruno, tutto quel che ha narrato l'istoria, o finto la devozione intorno a' martirj, bisogna sempre confessare, che i Cristiani hanno usato, nel corso delle intestine lor dissensioni, gli uni contro degli altri severità molto maggiori di quelle, ch'essi abbiano giammai provate dallo zelo degl'Infedeli. Ne' secoli d'ignoranza, che vennero dopo la sovversione dell'Impero d'Occidente, i Vescovi della città Imperiale estesero il loro dominio sopra i Laici ugualmente che sopra i Cherici della Chiesa Latina. La fabbrica della superstizione da essi eretta, che potè per lungo tempo affrontare i deboli sforzi della religione, fu assaltata finalmente da una folla di arditi fanatici, che dal secolo duodecimo fino al decimosesto assunsero il popolar carattere di Riformatori. La Chiesa Romana difese con la violenza il dominio, che acquistato avea con la frode: ed un sistema di benevolenza e di pace fu ben presto disonorato con le proscrizioni, con le guerre, con le stragi e coll'instituzione del Sant'Uffizio. E siccome i Riformatori erano animati dall'amore della libertà civile non meno che religiosa, i Principi Cattolici unirono il loro interesse con quello del Clero, e sostennero con la spada e col fuoco i terrori delle spirituali censure. Si dice, che ne' soli Paesi Bassi soffrissero per mano del carnefice più di centomila sudditi di Carlo V. e questo numero straordinario viene attestato da Grozio,185 uomo d'ingegno e di dottrina, che mantenne la sua moderazione in mezzo al furor delle Sette che contendevano, e compose gli annali del secolo e del paese, in cui visse, in un tempo nel quale la invenzione della stampa avea facilitato i mezzi di sapere i fatti, ed accresciuto il pericolo di scuoprire la falsità. Se dobbiamo prestar fede all'autorità di Grozio, bisogna confessare, che il numero de' Protestanti posti a morte in una sola Provincia, e durante il corso di un solo regno, sorpassò di gran lunga quello degli antichi Martiri nello spazio di tre secoli, ed in tutto il Romano Impero. Ma se l'improbabilità del fatto medesimo dee prevalere al peso della testimonianza, se dee credersi, che Grozio abbia esagerato il merito ed i patimenti de' Riformatori186, saremo naturalmente portati a richiedere, qual fiducia dunque aver possiamo ne' dubbiosi ed imperfetti monumenti dell'antica credulità; o qual credito si voglia accordare ad un Vescovo cortigiano o ad un appassionato declamatore, che sotto la protezione di Costantino godeva il privilegio esclusivo di rappresentare le persecuzioni mosse contro i Cristiani da' vinti rivali, o da' negletti predecessori del grazioso loro Sovrano.

SAGGIO DI CONFUTAZIONE DEL CAP. XV

Si protesta a bel principio il Sig. Gibbon di voler fare una ricerca intorno al progresso e stabilimento del Cristianesimo, guidato unicamente dal candore e dalla ragione, e lo fa con un'arte e con una prevenzione, che comincia dalle prime mosse a svelarsi. Egli si lagna essere i monumenti de' primi tempi della Chiesa sospetti ed imperfetti; e li rende tali la mala fede, colla quale egli, dove li tronca, dove gli altera, dove vi aggiunge capricciosi comenti per far nascere le difficoltà, dalle quali si finge imbarazzato. Incontra un'altra gran difficoltà, ch'egli ascrive alla legge dell'Imparzialità, ed è quella di calunniare i Cristiani, anche dove la critica più severa li terrebbe al coperto della maldicenza. Sarà nostro dovere di andarne di mano in mano somministrando le prove, per quanto ci sarà permesso dagli angusti limiti, che ci siamo prefissi.

Nel proporre l'argomento del capo, ad onta della ambiguità, colla quale si spiega per parer Cristiano, e delle proteste che fa di rispettare la cagione primaria de' rapidi progressi della Chiesa Cristiana, determina abbastanza il lettore ad accorgersi, ch'egli intende provare, nulla in tale avvenimento osservarsi di sovrannaturale, ma esser tutto a naturali cagioni dovuto. Se ciò fosse vero, la Religione verrebbe a spogliarsi della luminosissima prova, che in favore della sua divina origine si raccoglie dal modo col quale si stabilì, e dalla rapidità con cui si propagò. Egli muove ogni pietra per far crollare questa prova; ma noi per sostenerla dureremo assai lieve fatica.

 

Il nostro esame però non è importante solamente per questo. La nausea del sovrannaturale ha trasportato ancora l'Autore a negare i miracoli de' primi secoli, quelli degli Apostoli, quelli di Gesù Cristo, ogni miracolo in generale; e ad esercitar pure la sua mordacità contro i misteri o contro la morale della Religion Rivelata: onde disputando con lui, si disputa con un Incredulo, che si sforza di comparire Cristiano. In vero questo ritratto non è luminoso: ma gli argomenti, che ne recheremo, convinceranno chiunque, che nell'esporre i suoi sentimenti noi certamente non ci siamo specchiati sull'esempio di lui.

Le cagioni naturali, ch'egli ha felicemente rinvenute, sono: 1. Lo zelo inflessibile e intollerante de' Cristiani: 2. La dottrina di una vita futura accompagnata da ciò che poteva aggiungerle peso: 3. Il dono de' miracoli attribuito alla Chiesa primitiva: 4. La morale pura, ed austera degli antichi Fedeli: 5. L'unione e la disciplina della Cristiana Repubblica: 6. La debolezza del Politeismo: 7. Lo Scetticismo del Mondo Pagano: 8. La pace e l'unione del Romano Impero.

Prima Conclusione che dee provare l'Autore. Lo zelo e inflessibile e intollerante de' Cristiani fu una delle cagioni naturali dello stabilimento e de' progressi del Cristianesimo

Ristretto. Il popolo Ebreo, che giacque gran tempo nella condizione de' più vili schiavi, si distinse coll'insociabilità de' costumi, coll'odio che professava del genere umano, e colla ostinazione invincibile, colla quale ricusò sempre di accoppiare l'elegante mitologia dei Greci alle istituzioni Mosaiche. I primi Giudei non credettero i miracoli operati da Dio alla lor presenza: quelli però del secondo tempo prestarono cieca fede alla tradizione de' loro maggiori. La legge Mosaica sembra essere stata istituita per un paese particolare e per una sola nazione. Il Cristianesimo prescrisse uno zelo egualmente esclusivo per la verità della Religione, ed ammise l'autorità di Mosè e de' Profeti, da' quali però il Messia era stato promesso come Re e Conquistatore, non come Martire e Figliuolo di Dio. La Chiesa dimorò gran tempo confusa fra le Sette della Sinagoga, ed i Giudei convertiti univano all'Evangelio il culto Mosaico. I loro argomenti sembrano plausibili; ma la sagacità degl'interpreti ha rimossa ogni difficoltà. La Chiesa di Gerusalemme, che osservava i riti Mosaici, tornò da Pella nella nuova città di Adriano, avendovi prima rinunciato; e quelli, che rimasero costanti, furon trattati da Eretici. Circa questa controversia S. Giustino Martire spiegò a Trifone il suo sentimento con gran diffidenza, e confessò ch'era contrario a quello della Chiesa, che finalmente trionfò sul più mite. Se gli Ebioniti pretendevano non doversi abolire l'antico Testamento per la sua perfezione, gli Gnostici al contrario vi trovavano tanti difetti, che ricusarono di crederlo dettato da Dio. Sino ad Adriano la Chiesa tollerò ogni setta; in progresso l'escluse tutte. Persuasi i primi Cristiani, essere i demonj gli autori, i patrocinatori e gli oggetti dell'Idolatria, riguardavano con orrore ogni piccolo segno di culto nazionale: il loro più essenziale e più penoso dovere era di conservarsi puri nella corruzione dell'Idolatria, che infettava tutte le azioni pubbliche e private, prendendo sempre l'apparenza del piacere, e spesso quella della virtù. I Cristiani pretendevano da ciò l'opportunità di dichiarare e di confermare la zelante loro opposizione. Per mezzo di tali proteste di continuo si fortificava il loro attacco alla fede, ed a misura che cresceva lo zelo, essi combattevano con più ardore e con più felice successo nella santa guerra intrapresa contro l'impero de' demonj.

Risposta. Tutti gli oggetti, che si presentano uniti in questo quadro, sono estranei all'argomento prefisso per titolo: della promessa conclusione in nessuna parte si parla, fuorchè nelle ultime righe, che noi abbiamo giudicato importante di trascrivere interamente, affinchè il lettore gli domandi ragione, come ha impiegate tante carte e tante citazioni di Autori in materie che non influiscono per modo alcuno nella conclusione, che avea tolta a stabilire, ed a questa non consacri se non gli ultimi quattro o cinque versi.

Ma formano essi poi una prova? Vediamolo. Conclusione. Una delle cagioni naturali dello stabilimento e de' progressi del Cristianesimo fu lo zelo degli stessi Cristiani. Supposta prova. I Cristiani si opponevano con forza alle pratiche dell'Idolatria, e dichiaravano con zelo i loro sentimenti. Per mezzo di tali proteste di continuo si fortificava il loro attacco alla fede; ed a misura che cresceva lo zelo, essi combattevano con più ardore e con più felice successo nella santa guerra intrapresa contro l'impero dei demonj. Qui, se noi non siamo ciechi, non iscorgiamo, se non la descrizione del fatto, di cui dovevasi render ragione. Lo zelo de' Cristiani combatteva con felici successi contro i demonj; cioè stabiliva e dilatava la fede dell'Evangelio tra le genti, che servivano al demonio. Come esso produceva quest'effetto? Da quali principj ripeteva la sua forza? Da questa spiegazione dipenderebbe il decidere, se in esso dobbiamo riconoscere una cagione del tutto naturale. Ma l'Autore di tutto ha parlato fuorchè di questo; e quindi ognuno comincerà a scuoprire, quanto ci vaglia nell'arte di ragionare, e quanta pena dia agli Apologisti del Cristianesimo per difenderlo da' colpi di lui.

Lo zelo de' Cristiani ridusse rapidamente alla fede molte nazioni del mondo. Questo è il fatto, di che dobbiamo rintracciar la cagione, e per condurci da filosofi, uopo è considerare le persone dal Cristiano zelo investite, quelle che ne seguiron l'impulso, e l'oggetto, intorno al quale si aggirava lo zelo. Nè dobbiamo permettere all'Autore, che dopo di averci fatta visitare la Palestina per informarci degli affari Giudaici senza vedervi nascere il Cristianesimo, ci trasporti di salto in mezzo agl'Idolatri, e ci additi i Campioni dell'Evangelio già cresciuti e formati in atto di guerreggiare contro l'impero del demonio. Ragion vuole, che se ne osservi il primo cominciamento, ed insieme i primi progressi.

I fondatori della Religion Cristiana furono Gesù Nazareno, ch'era tenuto per figliuolo di un falegname, e dodici pescatori, che abbandonate le reti, si diedero a seguirlo. La loro apparenza non poteva risvegliare, se non il più alto disprezzo. Poveri, rozzi, ignoranti, odiati dalla loro nazione, impresero a riformare il Mondo, ed il loro zelo fu coronato dai più felici successi.

I primi, ai quali eglino si rivolgessero, furono i Giudei, a cui erano pienamente noti. I Giudei si distinguevano all'ostinazione invincibile di non voler accoppiare altra istituzione a quelle di Mosè; ed alle istituzioni Mosaiche era congiunta la fortuna dello Stato. Questi i primi piegarono la fronte alla croce. Indi si aggregarono all'ovile di Cristo gl'Idolatri sudditi dell'Impero Romano, i quali da una parte guardavano con dispregio e con orrore i Giudei, e dall'altra erano tenacemente attaccati alla Religione della patria e per l'antichità ch'ella vantava, e per la gloria, alla quale aveva fatto salire l'Impero, e soprattutto perchè l'idolatria sotto l'apparenza del piacere e della virtù si presentava con sì seducenti maniere, che pe' Cristiani medesimi era un dovere penoso il resistervi.

In quel tempo i progressi, che i Romani avevano fatto nelle scienze, erano pervenuti al colmo della perfezione. Allora fu che pubblicossi il sistema Cristiano; sistema che co' suoi misteri pareva che distruggesse le più semplici e le più chiare idee della ragione, e che chiamando gli uomini colle massime morali ad una meta troppo alta riguardo alla sfera, dentro la quale si erano confinati i Gentili, sgomentava la natura ed irritava le passioni.

Questa dottrina e questa morale sostenuta dall'ardore di persone in apparenza cotanto deboli, in brevissimo tempo si stabilì, e fu avidamente abbracciata dagl'inflessibili Giudei e da' voluttuosi Gentili. Ora bisogna provare, che una sì stupenda rivoluzione accadde secondo il corso ordinario dell'umana natura, o confessare che i felici successi, che incontrò lo zelo de' Missionari Evangelici, si debbono ascrivere a cagione sovrannaturale. Quando l'Autore vorrà trattar l'argomento, che ha lasciato intatto, saprà a qual partito appigliarsi.

Presentiamogli frattanto un'altra considerazione. Non solamente ci fa stupire la conversione del Mondo operata con istrumenti tanto in apparenza deboli, ma inoltre non sappiamo comprendere, come ed i predicatori ed i convertiti avessero potuto star saldi fra tanti pericoli. I Cristiani, esclama l'Autore, si opponevano con forza agli errori, dichiaravano i loro sentimenti, e tali proteste gli attaccavano vie più alla fede. Anche qui veggiamo il nudo fatto, al quale bisogna aggiungere tutte le circostanze per darne idea adeguata.

Le tentazioni della Idolatria sono minutamente descritte dalla stessa penna dell'Autore, il quale ha ben riflettuto, che tutte le azioni, sì pubbliche che private vi facevano allusione, e ch'era un dovere penoso quello di resistere alle dolci attrattive del piacere, ch'ella menava in trionfo. A terminare il quadro noi aggiungeremo, che la professione Cristiana era universalmente tacciata con nota d'infamia; che le leggi l'avevano proscritta; che chi l'abbracciava, perdeva i suoi beni, e stava di continuo esposto al pericolo dell'esilio, dei tormenti, della morte. Avviene naturalmente, che tante e tali difficoltà inspirino maggior coraggio a combattere? L'Autore lo ha istoricamente supposto: aspettiamo ora, che lo provi filosoficamente; e diamo intanto una rapida scorsa agli oggetti estranei, co' quali egli ha dissipata la sua e la nostra attenzione.

Comincia dal rappresentare come una gioconda armonia di scambievole tolleranza il profondo letargo, nel quale giacevano immerse tutte le nazioni Idolatre circa il più grande, anzi l'unico affare, che abbia l'uomo in questa vita mortale; e procura di mettere in odio l'intolleranza de' Giudei, per ferir di riverbero il Cristianesimo, che prescrisse lo stesso zelo esclusivo. L'intolleranza religiosa non è altro che una incompatibilità di dottrina che nasce dalla natura, anzichè dall'arbitrio degli uomini. Siccome non può stare, che il triangolo abbia e non abbia tre lati, così non può conciliarsi, che sia stata rivelata da Dio una dottrina ed un'altra ad essa contraria: e s'egli ha annessa la salvazione a quella, non può essere, che si salvi chi a questa si attiene.

È ben altro l'insociabilità de' costumi, l'inumanità, la crudeltà, onde negli ultimi tempi furono rimproverati i Giudei per una depravazione personale contraria alle leggi di Mosè, il quale se vietò loro di trattare cogli Idolatri per non contaminarsi coll'esecrande lordure, che vengono rammemorate ne' libri sacri, ordinò loro nel medesimo tempo, che rendessero a' forestieri tutti gli uffizi della carità; e di trattarli come se stessi, a motivo che anch'eglino erano stati forestieri nella terra di Egitto.

La legge Mosaica fu istituita per un paese particolare e per una sola nazione quanto alla parte cerimoniale ed all'amministrazione politica, ma quanto ai precetti del Decalogo, che appartengono alla natura e cui Iddio si degnò di confermare colla rivelazione, obbliga tutti gli uomini.

Che i primi Giudei testimonj de' miracoli, co' quali Iddio gli scortava, non li credessero, e che vi prestassero cieca credenza i posteri per semplice tradizione, l'Autore lo raccoglie da quel passo: usquequo detrahet mihi populus iste? Usquequo non credent mihi in signis, quae feci coram eis? Gli dobbiamo rimproverare l'ignoranza del Latino, o la mala fede? Per non esserci permesso nè l'uno nè l'altro, farebbe d'uopo, che nel testo si leggesse usquequo non credant signa quae feci coram eis. Ma l'espressione usquequo detrahent mihi: usquequo non credent mihi in signis suona in volgare: Fino a quando mormoreranno della mia condotta? Fino a quando non presteranno fede alle mie minacce ed alle mie promesse, giacchè ho fatti innanzi a loro tanti miracoli? Questo è il vero rimprovero fatto a' primi Giudei, e che si vede non meno frequentemente ripetuto a' Giudei del secondo tempio. Per la qual cosa nulla da questo luogo può riferirsi contro la certezza degli enunciati miracoli.

I Profeti riunirono nel Messia co' caratteri di Re, e di Conquistatore quelli di Martire e di Figliuolo di Dio, e questi si trovano raccolti in ogni libro di Teologia. Ma ripiglia Orobio: Gesù non essendo stato Re e Conquistatore temporale, perchè i suoi seguaci ricorrono al senso spirituale? Perchè risponde il Limborchio, tal è l'interpretazione datane dagli Scrittori del nuovo Testamento, inspirati da quel Dio che dettò l'antico: e le prove dell'inspirazione di quelli è tale, che i Giudei non possono contrastarle senza ferire ancor questo.

La Chiesa non restò pure un momento confusa colla Sinagoga, nè quanto alla dottrina, nè quanto alla comunione. Gli Ebrei insegnavano, che la salute dipendeva unicamente dalla legge Mosaica; che Gesù era stato un impostore, e che la sua dottrina doveva passare per un'empia e detestabile profanazione. Secondo i Cristiani, Gesù era figliuolo di Dio, da cui solo sperar si doveva la vita eterna, e le cerimonie Mosaiche erano divenute per lo meno inutili. Circa la comunione, i Cristiani si congregavano in case private, e la Sinagoga lungi dal tollerarli li perseguitò fieramente e dentro e fuori della Palestina.

Lo sbaglio dell'Autore sarà per avventura derivato dal vedere, che nel primo secolo alcuni de' Giudei convertiti univano amendue i culti. Nel qual punto di storia sembra, che le sue idee fossero molto superficiali e confuse.

Tre classi di Giudei sostenevano l'osservanza dei riti Mosaici: alcuni li congiungevano all'Evangelio, ma senza crederli necessari alla salute; e questi erano riconosciuti per Ortodossi; altri ne insegnavano la necessità, e furono rigettati come Eretici sin dalla nascita della Chiesa, allor quando gli Apostoli nel Concilio di Gerusalemme dichiararono, che non erano più necessari. Nella terza classe mettiamo i Giudei non convertiti, i quali esaltavano tanto le istituzioni Mosaiche, che condannavano assolutamente la legge ed il culto di Cristo.

Ora scrive l'Autore, che gli argomenti impiegati da' Giudei convertiti a provare, che le ceremonie Mosaiche non potevano abrogarsi, e che tutti i Proseliti li dovevano riconoscere come indispensabili, non plausibili: gli espone in compendio, e cita la conferenza d'Orobio con Limborchio, dove si trovano estesamente spiegati (p. 103). Chi non dirà ad un tal parlare, che Orobio difenda la causa de' Cristiani giudaizzanti? Frattanto questa è una metamorfosi operata dall'immaginazione dell'Autore, che lo ha convertito tanti anni dopo che è morto; impresa, che non potè riuscire al Limborchio, col quale il Giudeo Orobio disputò per ben tre volte contro il Cristianesimo, e rimase Giudeo. Sì fatti errori, commessi per troppo abbondare in erudizione, ci vagliano di ammaestramento; quando ci rammentiamo della sicurezza, colla quale egli dichiarò nella piccola prefazione di aver letti tutti gli originali, coi quali aveva illustrate la sue ricerche.

175Eusebio (l. IX. c. 1) riporta l'epistola del Prefetto.
176Vedi Eusebio l. VIII. c. 14. l. IX. c. 2-8. e Lattanzio de M. P. c. 36. Questi scrittori convengono in descrivere gli artifizi di Massimino; ma il primo riferisce l'esecuzione di varj Martiri, mentre l'altro afferma espressamente che occidi servos Dei vetuit.
177Pochi giorni avanti la sua morte pubblicò un amplissimo editto di tolleranza, nel quale attribuì tutti i rigori, che avevan sofferto i Cristiani, ai Giudici e Governatori, che avevano male inteso le sue intenzioni. Vedasi l'editto ap. Euseb. l. IX. c. 10.
178Tale è la bella deduzione che si trae da due passi notabili appresso Eusebio l. VIII. c. 2, e de Martyr. Palest. c. 12. La prudenza dell'Istorico ha esposto il suo carattere alla censura ed al sospetto. Era ben noto, ch'egli stesso era stato posto in carcere, e si supponeva che se ne fosse liberato per mezzo di qualche disonorevole compiacenza. Tal accusa gli fu mossa contro nel tempo ch'esso viveva, ed anche alla sua presenza nel Concilio di Tiro. Vedi Tillemont Mem. Eccles. Tom. VIII. Part. 1. p. 67.
179L'antica, e forse autentica narrazione de' patimenti di Taraco, e de' suoi compagni (Act. Sincer. Ruinart. p. 419-448) è piena di forti espressioni di disprezzo e di sdegno, che non potevano non irritare il Magistrato. La condotta di Edesio verso Jerocle, Prefetto dell'Egitto, fu anche più straordinaria. λογοις τε καὶ εργοις τον θικαστην… περιβαλων. Euseb. de Martyr. Palest. c. 5.
180Euseb. de Mart. Palest. c. 13.
181August. Collat. Cartag. Dei III. c. 13. ap. Tillemont Mem. Eccles. Tom. V. part. I. p. 46. La controversia co' Donatisti ha sparso qualche luce, quantunque forse parziale, sull'istoria della Chiesa Affricana.
182Eusebio (de Martyr. Palest. c. 13) chiude la sua narrazione assicurandoci, che questi sono i Martirj, che avvennero nella Palestina in tutto il corso della persecuzione. Può sembrare, che il quinto capitolo del suo libro VIII, che si riferisce alla Provincia della Tebaide in Egitto, contraddica la nostra moderata calcolazione; ma questo non servirà che a farci ammirare l'artifizioso maneggio dell'Istorico. Scegliendo per teatro della più squisita crudeltà il più distante e separato paese del Romano Impero, dice che nella Tebaide spesso avevan sofferto il Martirio da dieci fino a cento persone in un giorno. Ma quando egli viene a raccontar il suo proprio viaggio in Egitto, il suo stile insensibilmente diventa più cauto e moderato. Invece di usare un grande ma determinato numero, parla di molti Cristiani (πλειους) e col massimo artifizio sceglie due parole ambigue (ισ ορτσαηιεν e ὑπμειναστας) che possono indicare tanto quel che aveva veduto, quanto ciò che aveva udito; sì l'aspettazione che l'esecuzion della pena. Essendosi così assicurato un sotterfugio, lascia l'interpretazione dell'equivoco passo a' suoi lettori e traduttori; immaginando a ragione che la lor pietà gl'indurrebbe a preferir il senso più favorevole. Fu per avventura un poco maliziosa l'osservazione di Teodoro Metochita, che tutti quelli che avevan conversato, come Eusebio, con gli Egiziani, si dilettavano di uno stile oscuro ed ingrato (Vedi Valesio nel luogo cit.).
183Quando la Palestina era divisa in tre parti, la Prefettura d'Oriente conteneva 48 Province. Siccome però le antiche distinzioni delle nazioni erano da gran tempo abolite, i Romani distribuirono le Province, avuto riguardo ad una general proporzione di loro estensione ed opulenza.
184Ut gloriari possint, nullum se innocentium peremisse, nam et ipse audivi aliquos gloriantes, quia administratio sua in hac parte fuerit incruenta. Lactant. Inst. Div. V. 12.
185Grot. Annal de Reb. Belgic. l. I. p. 12. Edit. fol.
186Fra Paolo (Istor. del Concil. Trident. l. III.) riduce il numero de' Martiri Belgici a 50000. Non era Fra Paolo inferiore a Grozio in dottrina e moderazione. L'anteriorità del tempo conferisce alla testimonianza del primo qualche vantaggio, che per altra parte egli perde per la distanza, che passa da Venezia a' Paesi Bassi.
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