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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12

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A. D. 697-1200

Nel narrare l'invasione fatta da Attila nell'Italia, non tacqui41, come i Veneziani fuggiti dalle città distrutte del Continente, si fossero cercato uno oscuro asilo nella catena d'isolette che l'estremità dell'Adriatico golfo fiancheggiano. Circondati per ogni lato dal mare, liberi, indigenti, laboriosi, e padroni d'una inaccessibil dimora, a mano a mano in repubblica si congregarono. Le prime fondamenta di Venezia accolse l'isola di Rialto, e venne, in vece della elezione annuale di dodici tribuni, l'uffizio di un Duca o Doge perpetuo, che durava quanto la vita di chi lo assumea. Collocati fra due imperi, i Veneziani vanno fastosi della fama di aver sempre mantenuta la primitiva loro independenza42, e sostenuta coll'armi la lor libertà, dai Latini posta in pericolo, fama che, con testimonianze commesse allo scritto, potrebbero di leggieri giustificare. Il medesimo Carlomagno abbandonò tutte le sue pretensioni sulle isole del golfo Adriatico; Pipino, figlio di lui, ebbe mal successo in volendo superare le lagune di Venezia, troppo profonde, perchè la sua cavalleria potesse varcarle, ma non a bastanza per offerire alle sue navi ricetto; e sotto il successivo regno di tutti gli alemanni Imperatori, le terre della Repubblica veneta da ogn'altro paese italiano sonosi contraddistinte. Ma quegli abitanti imbevuti eransi dell'opinione generale dell'estranie nazioni, e de' Greci loro sovrani, i quali siccome parte non alienabile dell'Impero d'Oriente li riguardavano43. Il nono e il decimo secolo somministrano prove e molte, e saldissime di tale dipendenza. Laonde i vani titoli e i servili onori della Corte di Bisanzo, cotanto ambiti dai loro Dogi, avrebbero invilite le magistrature di questo popolo libero, se l'ambizione de' cittadini, e la debolezza di Costantinopoli non avessero per insensibili gradi sciolte le catene di questa dependenza medesima, che poi non era nè severissima, nè di soverchio assoluta. Convertiti l'obbedienza in rispetto, i privilegi in prerogative, la libertà del Governo politico quella del Governo civile affrancò. Le città marittime dell'Istria e della Dalmazia obbedivano ai sovrani dell'Adriatico; e quando questi armarono per Alessio contra i Normanni, l'Imperatore greco non riguardò i soccorsi de' medesimi, qual tributo che il Sovrano può aspettarsi dai sudditi, ma beneficenza di grati e fedeli confederati li reputò. Retaggio fu di questo popolo il mare44. Certamente i Genovesi e i Pisani, rivali de' Veneti, teneano la parte occidentale del Mediterraneo, dalla Toscana a Gibilterra; ma avendo Venezia ottenuta di buon'ora una grossa parte nel commercio vantaggiosissimo della Grecia e dell'Egitto, le ricchezze di essa, a proporzione delle inchieste degli Europei, si aumentarono; le sue manifatture di cristalli e di seta, fors'anche l'instituzione della sua Banca ad una antichità la più rimota risalgono, e i frutti della comune industria nella magnificenza della Repubblica e de' privati ammiravansi. Facea mestieri di mantenere l'onore della veneta bandiera, di vendicare ingiurie a questa inferite, o proteggerne la marittima libertà? La Repubblica potea in brevissimo tempo lanciar nell'acque, allestire una flotta di cento galee, ch'essa adoperò a mano a mano contra i Greci, contra i Saracini, contra i Normanni, o in soccorso, che grande fu, de' Francesi nelle loro spedizioni alle coste della Sorìa. Ma questa solerzia de' Veneziani, nè cieca, nè disinteressata mostravasi. Dopo la conquista di Tiro, parteciparono al dominio sovrano di questa città, primo ricettacolo del commercio di tutto il Globo; e già scorgeansi nella politica del veneto Governo tutta l'avarizia di un popolo trafficante, e tutta l'audacia di una potenza marittima. Ma non fu mai che il consiglio l'ambizione non ne regolasse; e dimenticò rare volte, che, se la copia delle sue galee armate era conseguenza e salvaguardia di sua grandezza, il suo navilio mercantile le avea dato origine e la sostenea. Evitato lo scisma de' Greci, non quindi Venezia un'obbedienza servile al Pontefice di Roma prestò; e l'abito di corrispondere cogl'Infedeli di tutti i climi, le fu schermo di buon'ora contra gl'influssi della superstizione. Il Governo primitivo di Venezia presentava una mescolanza informe di democrazia e di monarchia; pei suffragi di una generale assemblea eleggevasi il Doge; e questi, sinchè piaceva al popolo la sua amministrazione, regnava con fasto e con autorità ad un sovrano addicevoli; ma negli spessi cambiamenti politici occorsi, cotesti maestrati vennero e rimossi, e confinati in esilio, e talvolta anche morti per opera di una moltitudine sempre violenta, spesse volte ingiusta. Col secolo dodicesimo solamente incominciò quell'abile e vigilante aristocrazia, per le cui conseguenze ai dì nostri il Doge non è più che un fantasma, il popolo un nulla45.

A. D. 1201

Appena giunti a Venezia i sei ambasciatori francesi, vennero nel palagio di S. Marco amichevolmente accolti dal Doge Enrico Dandolo, che, pervenuto all'ultimo periodo dell'umana vita, fra gli uomini più chiari del suo secolo risplendea46. Aggravato dagli anni, e divenuto cieco47, il Dandolo conservava tutto il vigore del suo coraggio e del suo intendimento, il fervor d'un eroe bramoso di segnalare per qualche memorabile impresa l'epoca del suo regno, la saggezza di un cittadino infiammato dall'ardore di fondare la propria fama sulla gloria e la possanza della sua patria. Il valore e la fiducia de' Baroni francesi e de' lor deputati, ottennero da lui approvazione ed encomj: «S'io non fossi che un privato, rispondea loro, nel sostenere una sì bella causa, e in compagnia di tali campioni, bramerei terminare il corso della mia vita.» Ma nella sua qualità di magistrato di una Repubblica, li chiese di qualche indugio per consigliarsi in una bisogna di tanta importanza co' suoi colleghi. La proposta de' Francesi venne primieramente discussa nel consesso de' sei Savj nominati di recente per vegliare all'amministrazione del Doge; indi portata ai quaranta Membri del Consiglio di Stato, poi comunicata all'Assemblea legislativa, composta di quattrocentocinquanta Membri, eletti ciascun anno ne' sei rioni della città. E in pace, e in guerra, il Doge era sempre il Capo della Repubblica; ma il credito personale goduto dal Dandolo, di maggior peso l'autorità legale rendevane. Si ventilarono ed approvarono le ragioni da esso addotte per favorire la confederazione; indi gli fu conferita l'autorità di far note agli ambasciatori le condizioni del Trattato che si volea stipulare48. Giusta le medesime, i Crociati, verso la festa di S. Giovanni, del successivo anno sarebbersi adunati a Venezia, ove avrebbero trovato barche piatte per contenere quattromila cinquecento cavalli e novemila scudieri, e navi sufficienti per trasportare quattromila cinquecento uomini a cavallo e ventimila fantaccini. I Veneziani doveano inoltre per nove mesi mantenere di tutte le necessarie vettovaglie la flotta, e condurle ovunque il servigio di Dio o della Sovranità il richiedesse, scortandole inoltre con cinquanta galee armate, e veleggianti colla bandiera della Repubblica. In corrispondenza di tal carico che si assumeano i Veneziani, i pellegrini, prima del partire, doveano sborsare ottantacinquemila marchi d'argento; e quanto alle conquiste, sarebbersi in parti eguali divise fra i confederati. Patti per vero alquanto aspri; ma la circostanza incalzava, e i Baroni francesi non sapeano risparmiare nè il proprio sangue, nè le proprie ricchezze. Fu tosto convocata un'assemblea generale per ratificare il Trattato, e diecimila cittadini empieano la grande cappella e la piazza di S. Marco. I Nobili francesi vidersi per la prima volta alla necessità d'inchinare la maestà del popolo. «Illustri Veneziani, dicea il maresciallo di Sciampagna, veniam deputati da' più grandi e più possenti Baroni della Francia, per supplicare i Sovrani del mare a soccorrerci nel liberare Gerusalemme. Questi nostri commettenti ci raccomandarono prostrarci dinanzi a voi, nè ci rialzeremo, se prima non ne promettete di vendicare con noi gli affronti fatti al Redentore del Mondo». Tali parole accompagnate dal pianto49, l'atteggiamento supplichevole, e in un l'aspetto guerriero di coloro che le proferivano, eccitarono tal grido universale di applauso, il cui rumore, dice Goffredo, a quel del tremuoto rassomigliavasi. Il venerabile Doge salì il suo tribunale, ove aringando favore dei supplicanti, spiegò quali siano i soli motivi onorevoli e virtuosi che l'adunanza di tutto un popolo possono giustificare. Copiatosi in pergamena il Trattato, munito di suggelli, confermato da giuramenti, scambievolmente accettato con lagrime di gioia dai rappresentanti delle due nazioni, venne tosto inviato a Roma per ottenerne da Papa Innocenzo III l'approvazione. I mercatanti somministrarono duemila marchi per le prime spese dell'armamento; e intantochè due de' sei Deputati le Alpi rivalicavano per annunziare alla lor gente il buon successo delle negoziate cose, gli altri quattro si condussero, ma indarno a Genova e a Pisa, per indurre queste due Repubbliche a prendere parte nella Santa Lega.

 

A. D. 1202

Indugi ed ostacoli non preveduti tardarono l'adempimento di questo Trattato. Di ritorno a Troyes, il Maresciallo venne affettuosamente accolto, e per le operate cose lodato da Teobaldo, conte di Sciampagna, generale che ad unanime voto i pellegrini eransi scelto; ma la salute di questo giovine valoroso incominciando a vacillare, non andò guari che ogni speranza di salvarlo mancò. Deplorando il destino che lo dannava a perire immaturo, non in mezzo al campo della battaglia, ma sopra un letto d'angoscia, distribuì morendo i proprj tesori a' suoi prodi e numerosi vassalli, dopo averli indotti a giurare alla sua presenza che il voto di lui e di loro medesimi avrebber compiuto. Ma, prosegue il Maresciallo, non tutti quelli che accettarono i donativi la lor parola mantennero; i più risoluti campioni della Croce a Soissons si assembrarono per la scelta di un nuovo generale, e fosse incapacità, gelosia, o contraggenio, non trovarono alcuno tra i Principi francesi fornito delle prerogative d'animo necessarie a condurre sì fatta spedizione, e nemmeno del desiderio di questo comando. Laonde i voti si unirono a favore di uno straniero, di Bonifazio, marchese di Monferrato, rampollo di una stirpe d'eroi, e conosciuto egli medesimo per meriti politici e militari50. Nè la pietà, nè la sua ambizione, gli consigliavano ricusar l'offerta di comando fattagli dai Baroni francesi: per lo che, dopo avere trascorsi alcuni giorni alla Corte di Francia, ove trovò accoglienza ad un amico e ad un parente dovuta, accettò solennemente nella chiesa di Soissons la croce di pellegrino, e il bastone di generale, ripassando indi l'Alpi per prepararsi a questa impresa di lunga durata. All'avvicinarsi della Pentecoste, Bonifazio, dispiegato il proprio stendardo, prese la volta di Venezia a capo de' suoi Italiani; colà il precedettero, o seguirono i Conti di Fiandra e di Blois, ed alcuni più illustri Baroni di Francia, ai quali si aggiunse un numeroso corpo di pellegrini alemanni, tutti compresi dagli stessi motivi che i primi animavano51. Non solamente aveano compiuti, ma oltrepassati i loro obblighi, i Veneziani: costrutte scuderie pe' cavalli, baracche pe' soldati; magazzini abbondantemente forniti di foraggi e di vettovaglie: i legni da trasporto, le navi e le galee, non aspettavano per salpare che il pagamento della somma stipulata nel Trattato per le spese di allestire la flotta. Ma tal somma era più forte assai delle ricchezze insieme unite di tutti i pellegrini in Venezia adunati. I Fiamminghi, che un'obbedienza volontaria e precaria al loro Conte prestavano, aveano impresa sui proprj navigli la lunga navigazione dell'Oceano e del Mediterraneo, e molta mano di Francesi e d'Italiani preferito valersi per questa traversata dei modi meno dispendiosi e più agiati che vennero offerti loro dai Marsigliesi e dai Pugliesi. I pellegrini trasferitisi a Venezia avrebbero potuto dolersi in veggendo che, dopo avere scontata la loro contribuzione personale, venivano tenuti mallevadori pei compagni lontani; pur tutti i Capi di buon grado le proprie suppellettili di oro e d'argento nel tesoro di S. Marco deposero; ma un sì generoso sagrifizio non era ancora bastante, e ad onta di tanti sforzi a compiere la pattuita somma trentaquattromila marchi ancora mancavano.

La politica e l'amor patrio del Doge tolsero di mezzo l'ostacolo. Ei fece ai Baroni il partito di unirsi ai suoi concittadini per ridurre alcune città ribellanti della Dalmazia; al qual patto promise condursi in persona a combattere sulle coste della Palestina, e ottenere inoltre dalla Repubblica che, quanto al rimanente debito de' Crociati, aspettasse ad ottenerne il pagamento l'istante, in cui qualche ricca conquista ne porgesse ai medesimi i modi. Non poco titubarono, mossi anche da riguardi di coscienza, i Francesi; ma anzichè rinunziare all'impresa, finalmente a questo partito si accomodarono. I primi atti ostili della flotta, furono contro Zara52, città forte sulle coste della Schiavonia, che sottrattasi ai Veneziani, sotto la protezione del Re ungarese erasi posta53. Rotta la catena, o sbarra che il porto ne difendeva, sbarcati i loro cavalli, le loro truppe, le loro macchine da guerra, costrinsero nel quinto giorno la città ad arrendersi a discrezione. Gli abitanti ebbero salve la vite, ma per punirli d'aver ribellato, vennero saccheggiate le loro case, spianate le mura della città. Innoltrata essendo la stagione, i confederati risolvettero scegliere un porto sicuro in fertile paese, per ivi trascorrere il verno tranquillamente: ma ne turbaron la quiete le nimistà di nazione surte fra i soldati e i marinai, e le frequenti lotte che da queste nimistà conseguivano. La conquista di Zara era stata origine di discordie e di scandali. Spiacea che la prima fazione de' confederati, non di sangue infedele, ma del sangue medesimo de' Cristiani, avesse lordate le loro armi; lo stesso Re di Ungheria e i suoi nuovi sudditi fra i campioni della Croce si noveravano; il timore o la incostanza aumentava gli scrupoli de' devoti. Il Pontefice avea scomunicati diversi spergiuri Crociati che saccheggiavano e trucidavano i lor fratelli54: anatema che risparmiò solamente il Marchese Bonifazio e Simone di Montfort, l'un d'essi, perchè non si era trovato all'assedio, l'altro pel merito di avere abbandonata del tutto la lega. Innocenzo avrebbe perdonato di buon grado ai semplici e docili penitenti francesi, ma a maggiore sdegno lo concitava l'ostinata ragione de' Veneziani, che ricusando di confessare le loro colpe, non sapean che farsi di perdono, nè voleano, quanto alle bisogne lor temporali, l'autorità d'un prete conoscere.

 

L'unione di una flotta e di un esercito sì poderoso, le speranze del giovine Alessio avea rianimate55. Così a Venezia come a Zara, non risparmiò vivissime istanze ai Crociati, perchè il riconducessero in patria, e la liberazione del suo genitore operassero56. Le raccomandazioni di Filippo, Re di Alemagna, la presenza e le preghiere del giovine Greco a pietà mossero i pellegrini; e il marchese di Monferrato, e il Doge di Venezia, la causa ne assunsero e perorarono. Un doppio parentado e la dignità di Cesare aveano colla famiglia imperiale congiunti i due fratelli primogeniti di Bonifazio57, che sperava acquistarsi, per l'importanza di un tanto servigio prestato, un reame. Più generosa l'ambizione del Dandolo, inspiravagli ardente desiderio di assicurare al suo paese gl'immensi vantaggi che una tale impresa al commercio veneto promettea58. La prevalenza di questi due personaggi ottenne buona accoglienza agli ambasciatori d'Alessio; e se per una parte, la vastità delle offerte fattesi da questo giovane, era tale da mettere in qualche diffidenza, per l'altra i motivi da esso addotti, e i vantaggi ai quali per sè stesso agognava, poterono giustificare l'indugio posto alla liberazione di Gerusalemme, e all'uso delle forze che a tal fine esser doveano serbate. Promise pertanto Alessio per sè e pel padre suo, che appena ricuperato il trono di Costantinopoli, al lungo scisma de' Greci porrebbero termine, sottomettendosi eglino e i loro sudditi, alla supremazia della Chiesa romana. Si obbligò ricompensare le fatiche e i servigi de' Crociati coll'immediato sborso di dugentomila marchi d'argento; seguire i pellegrini in Egitto; o, se più espediente fossesi giudicato, mantenere durante un anno diecimila soldati, e finchè vivea, cinquecento uomini a cavallo pel servigio di Terra Santa. Patti così seducenti vennero dalla Repubblica di Venezia accettati, e l'eloquenza del Doge e del Marchese indusse i Conti di Blois, di Fiandra, di S. Paolo, ed altri otto Baroni a prender parte in una impresa tanto gloriosa. Co' soliti giuramenti un Trattato di lega offensiva e difensiva si confermò: ciascuno individuo, giusta lo stato suo, o la sua indole, fu adescato da motivi di generale interesse, o da quelli del proprio; dall'onore di restituire ad un Sovrano il trono perduto, o dall'opinione assai fondata che tutti gli sforzi de' Crociati per liberare la Palestina sarebbero vani, ogni qualvolta la conquista di Costantinopoli, non precedesse e agevolasse quella di Gerusalemme. Ma i ridetti Capi comandavano una truppa di guerrieri liberi e di volontarj, alcuni di questi loro eguali, che ragionavano, e talvolta a proprio talento operavano. Benchè una grande maggiorità per la nuova lega si fosse chiarita, non immeritevoli di considerazione erano il numero e gli argomenti di coloro che la ributtavano59. Anche gli animi i più intrepidi abbrividivano al racconto udito delle forze navali di Costantinopoli, e delle inaccessibili fortificazioni di questa città. Pure non allegavano in pubblico i lor timori, e forse a sè stessi palliandoli, più decorose obbiezioni, dedotte dal dovere e dalla Religione, mettevano in campo. Citavano i dissidenti la santità del voto che, unicamente per far libero il Santo Sepolcro, dalle lor famiglie e case aveali allontanati; non essere lor pensamento che motivi oscuri ed incerti di umana politica dovessero distoglierli da una santa impresa, l'evento della quale nelle mani della Providenza si stava: le censure pontificie e i rimproveri di lor coscienza averli assai severamente puniti per la conquista di Zara, prima colpa che si rimprocciavano; non volere aggiugnerne una seconda col lordare in avvenire le proprie armi nel sangue cristiano: sullo Scisma dei Greci aver già l'Appostolo di Roma pronunziata sentenza; non appartenerne ad essi la punizione; nè tampoco il farsi vendicatori degl'incerti diritti dei Principi di Bisanzo. Mossi da sì fatti principj, o pretesti, una gran parte di pellegrini, per valore e pietà i più rinomati, abbandonarono il campo; eppure nocquero meno all'impresa, che non quella fazione di mal contenti che rimanendo, cercarono tutte le occasioni di spargere nell'esercito la discordia, e con opposizioni, or manifeste, or segrete, il buon esito dell'armi impacciarono.

A. D. 1203

Tale diffalta non fece che i Veneziani affrettassero meno gli apparecchi della partenza, e forse, sotto apparenza di generosa sollecitudine inspirata loro dal giovine Alessio, celavano il risentimento che contra la nazioni di lui e la famiglia nudrivano. Oltrechè, la cupidigia loro sentivasi offesa dalla preferenza che di recente i Greci aveano data alla rivale Repubblica di Pisa; non dimenticavano antichi e tremendi conti rimasti addietro tra essi e la Corte di Costantinopoli; fors'anche il Dandolo non si dava, per lo meno, cura di dismentire la popolare credenza che accusava l'Imperator Manuele, di avere violati nella persona del veneto Doge i diritti delle nazioni e della umanità, privandolo della facoltà della vista, nel tempo che il grado di Ambasciatore la persona di lui rendea sacra. Da parecchi anni le onde adriatiche d'un sì straordinario armamento non si ricordavano; centoventi barche piatte, o palandre per li cavalli; dugentoquaranta vascelli carichi di soldati e d'armi, settanta di vettovaglie, protetti da cinquanta galee ben munite, e pronte alla pugna, tal si era lo stato di una sì formidabile flotta60. Propizio il vento, tranquillo il mare, sereno il cielo mostravansi, e gli occhi d'ognuno con ammirazione a questa scena guerriera e splendentissima stavano intenti. Gli scudi de' cavalieri e degli scudieri, giovando parimente ad ornamento e a difesa, vedeansi ad entrambe le sponde delle navi in bell'ordine collocati; e le varie bandiere delle nazioni e delle famiglie, che sventolavano a prora, uno spettacolo magnifico e decoroso offerivano. Le catapulte e le macchine atte a lanciar sassi e a conquassare muraglie, allor l'ufizio dell'artiglieria de' nostri giorni prestavano. Una musica militare raddolciva i travagli e le noie della navigazione, intantochè que' guerrieri affidati alla persuasione che quarantamila eroi cristiani erano bastanti a conquistar l'Universo, scambievolmente s'incoraggiavano61. Per l'abilità e l'esperienza de' veneti piloti, giunta con prospero viaggio da Venezia a Zara la flotta cristiana, da quest'ultimo lido a Durazzo, situato sul territorio greco, immune da avversi casi pervenne. L'isola di Corfù le offerse reficiamenti e riparo. Superato con fausta navigazione il pericoloso capo Maleo, estremità australe della Morea, i confederati approdarono alle isole di Negroponte e di Andros62, gettando le áncore dinanzi ad Abido, riva asiatica dell'Ellesponto. Nè difficili, o sanguinosi furono i preludj della conquista. Privi di zelo patrio e di coraggio gli abitanti delle greche province, nè solamente a resister pensarono. E per vero dire la presenza del legittimo erede del trono potea questa loro docilità render lodevole, e n'ebbero di fatto il compenso nella moderazione e nella severa disciplina che gli occupatori mantennero. Nell'attraversare l'Ellesponto questa flotta trovandosi entro canale angustissimo rinserrata, il numero delle vele la superficie dell'acqua oscurò. Postesi alla giusta distanza le navi in mezzo al vasto specchio della Propontide, per queste quete onde solcarono fino agli scali della costa europea, fermando l'áncore verso l'abbazia di S. Stefano, tre leghe circa a ponente di Costantinopoli. Il Doge consigliò saggiamente i Crociati a non isbandarsi sopra quella costa popolosa e nemica. Poi accostandosi al termine le lor vettovaglie, e giunta la stagion delle messi, deliberarono rinnovellarle nelle fertili isole della Propontide; e a tal meta i confederati il loro corso indirissero. Ma un colpo di vento, e l'impazienza de' naviganti, li spinsero verso levante, in tanta vicinanza della spiaggia e della città, che quelli dei baluardi e quelli dele navi con gittate di sassi e dardi scambievolmente si salutarono. In questo passaggio, l'armata contemplò con ammirazione la capitale dell'Oriente che ergendosi sulla cima de' sette suoi colli, e dominando i continenti dell'Asia e dell'Europa, piuttosto la capitale sembrava dell'Universo. Indorate le cupole de' palagi e delle Chiese dai raggi del Sole, questi erano ripercossi dalla superficie dell'acque. Il brulichio dei soldati e degli abitanti affoltatisi sulle mura sorprese gli sguardi de' naviganti spettatori che la codardia di quella gente ignoravano; onde un subitaneo terrore invase i petti d'ogni Crociato in pensando che a memoria d'uomini una tanto pericolosa impresa da una sì picciola mano di combattenti non erasi mai tentata. Ma il momentaneo scoraggiamento dissiparono la speranza e la consuetudine del valore; per lo che «ciascuno, narra il Maresciallo della Sciampagna, fisò il guardo alla spada, o alla lancia, di cui fra poco avrebbe fatto un uso tanto glorioso63». Innanzi al sobborgo di Calcedonia i Latini il navilio fermarono. Rimasti soli entro le navi i marinai, e sbarcati senza ostacolo i soldati e l'armi, il saccheggio di un palagio imperiale, offerse anticipate ai Baroni le delizie del buon successo cui aspiravano. Nel terzo giorno, la flotta e l'esercito si volsero a Scutari, sobborgo asiatico di Costantinopoli. Sorpreso e messo in fuga da ottanta cavalieri un corpo di cinquecento uomini di cavalleria greca, una pausa di nove giorni bastò a provvedere lautamente il campo e di foraggi e di ogni genere di vettovaglie.

Parrà forse cosa straordinaria che, imprendendo io a narrare l'invasione di un grande Impero, non abbia fatta menzione degli ostacoli che al buon successo de' conquistatori oppor si poteano. Perchè, comunque i Greci difettasero di valore, erano ricchi ed industriosi, e obbedivano ad un assoluto Monarca. Ma avrebbe fatto mestieri che a questo Monarca non fossero mancati, l'antiveggenza, finchè i nemici erano lontani, il coraggio, poichè gli ebbe alle coste dei suoi dominj. Avendo dimostrato di accogliere in atto di scherno le prime notizie venutegli intorno alla lega del proprio nipote co' Francesi e coi Veneziani, i cortigiani di lui gli persuasero essere verace questo scherno e figlio del suo coraggio. Non passava sera che al finir della mensa costui non mettesse per tre volte in rotta i Barbari dell'Occidente. Questi Barbari in vece non disprezzavano, e ben a ragione, le forze navali de' Greci: perchè i mille seicento navigli pescherecci di Costantinopoli64 avrebbero somministrati quanti marinai bastavano ad allestire una flotta capace di sommergere le galee venete, o certamente di chiudere ad esse l'ingresso dell'Ellesponto. Ma qual valevole difesa non diviene impotente per la trascuratezza d'un Sovrano, per la corruttela de' suoi Ministri? Il Gran Duca, o Ammiraglio, facea un traffico scandaloso, e quasi pubblico, delle vele, degli alberi da nave, de' cordami. Le reali foreste servivano soltanto alla caccia del Principe, il che aveasi per bisogno ben più rilevante; e gli eunuchi, al dir di Niceta, stavano di sentinella agli alberi, come se queste piante ad un culto religioso fossero consacrate. L'assedio di Zara, il rapido avvicinar de' Latini destarono finalmente Alessio dagli orgogliosi suoi sogni; ma quando la sciagura gli parve reale, inevitabile la credè parimente. La presunzione disparve, e all'abietta codardia, e alla disperazione die' luogo. Questi spregevoli Barbari accamparono impunemente a veggente della reggia di chi li scherniva; e il tremebondo Monarca non seppe che ricorrere ad un'ambasceria, il cui fasto, e minaccevole contegno, non velò agli occhi de' Francesi la costernazione prodotta dal loro arrivo. Gli Ambasciatori chiesero a nome di Cesare con quali mire i Latini avessero posto campo sotto le mura imperiali; se a ciò sinceramente gli avea mossi la brama di compiere il loro voto e far libera Gerusalemme, applaudire Alessio ai lor pietosi disegni, ed essere pronto a secondarli co' proprj tesori; ma se avessero ardito penetrare nel santuario dell'Impero, rendersi ad essi noto, che il loro numero, fosse stato anche dieci volte maggiore, dal giusto sdegno dell'Imperatore campar non poteali. Semplice e nobile si fu la risposta del Doge veneto e de' Baroni, «L'obbligo che ci siamo assunti, è difendere la causa della giustizia e dell'onore; disprezziamo l'usurpatore della Grecia, le sue offerte, le sue minacce. Noi dobbiamo amicizia, egli obbedienza, all'erede legittimo di Bisanzo, al giovine Principe che sta in mezzo di noi, e al padre di esso, l'Imperatore Isacco, a cui un fratello ingrato ha tolti il trono, la libertà, e persino il godimento di vedere la luce. Questo colpevole fratello confessi il suo delitto, implori la clemenza dell'uomo cui fece mortali offese; noi intercederemo, onde gli sia permesso di vivere nella pace e nell'abbondanza. Ma riguarderemo siccome insulto commesso contro di noi una seconda ambasceria, alla quale il ferro e il fuoco portati di nostra mano nel palagio di Costantinopoli, sarebbero la sola nostra risposta65

Dieci giorni dopo giunti a Scutari i Crociati, e come soldati, e come Cattolici, al passaggio del Bosforo si prepararono. Pericolosa impresa! Largo e rapido è questo canale; in tempo di bonaccia, la corrente dell'Eussino, potea portare in mezzo alla flotta, quel fuoco formidabile che si conosce sotto nome di fuoco greco; settantamila uomini schierati in battaglia stavano difendendo l'opposta riva. In sì memorabile giornata, che volle il caso contraddistinta da cheto aere e da cielo sereno, i Latini in sei spartimenti distribuirono il loro ordine di battaglia. Al primo, ossia all'antiguardo comandava il Conte di Fiandra, uno fra' Principi cristiani de' più poderosi, e temuto pel numero e per l'abilità de' suoi balestrai; il fratello di lui Enrico, i Conti di S. Paolo e di Blois, Mattia di Montmorency guidavano i quattro altri corpi alla pugna; e sotto il commando del Montmorency marciavano volontarj il Maresciallo e i Nobili della Sciampagna. Al Marchese di Monferrato, condottiero degli Alemanni e de' Lombardi, obbediva il sesto spartimento militare, retroguardo e corpo di riserva di tutto l'esercito. I cavalli di battaglia, sellati, e coperti delle lor gualdrappe che sino a terra scendevano, nelle barche piatte vennero collocati66. Dietro il proprio cavallo teneasi in piedi ciascun cavaliere, nascosto il capo nell'elmo, brandendo la lancia, armato di tutto punto. I sergenti e gli arcieri si posero entro i legni da trasporto, ognun de' quali era rimorchiato da una ben armata ed agile galea; laonde tutti questi sei spartimenti, senza incontrare nemici, nè ostacoli, il Bosforo attraversarono. Ciascun corpo, ciascun soldato non faceva altro voto che di essere il primo a sbarcare, altra deliberazione che di vincere o di morire. I cavalieri, gelosi d'affrontar essi i rischi più grandi, appena il poterono, si lanciarono armati nel mare, e coll'acqua che il loro fianco radea raggiunsero il lido. I sergenti67 e gli arcieri il loro esempio seguirono, gli scudieri, abbassati i ponti delle palandre, posero a terra i cavalli. I Cavalieri in arcione aveano appena incominciato ad ordinare gli squadroni e a mettersi colle lance in resta, quando i settantamila Greci che stavano ad essi a fronte, sparirono. Alessio diede l'esempio di questo scoraggiamento ai soldati non lasciando altro segnale di essersi trovato in quel campo, che una ricca tenda, dal cui spoglio soltanto i Latini compresero che contro un Imperatore avean combattuto. Fu risoluto giovarsi del primo terrore che comprese i nemici per forzare con doppio impeto l'ingresso del porto. Di fatto i Francesi presero d'assalto la torre di Galata68; intanto che i Veneziani si assumeano il più arduo cimento di rompere la sbarra, ossia catena tesa da questa torre alla riva bisantina. I primi sforzi a ciò parvero inutili, ma l'intrepida loro perseveranza la vinse: venti legni da guerra, quanto rimanea della greca marineria, vennero presi o mandati a fondo. Gli speroni delle galee69, o il loro peso, troncarono, infransero gli enormi anelli di quella catena; per lo che la flotta veneta vittoriosa, e senza scomporsi, gettò l'áncora nel porto di Costantinopoli. Tai furono i primi fatti, per cui i Latini con ventimila uomini che tuttavia ad essi avanzavano, si procacciarono i modi di avvicinarsi, per assediarla, ad una città che racchiudeva quattrocentomila uomini70, cui solamente qualche coraggio per difenderla avrebbe bastato. Un tale calcolo per vero dire suppone che la popolazione di Costantinopoli, sommasse in circa a due milioni d'abitanti; ma ammettendo ancora che il numero de' Greci in armi non fosse sì sterminato, gli è certo che i Francesi il credeano, e tale persuasione fa evidente prova di lor magnanima intrepidezza.

41T. VI di questa storia.
42Il Pagi (Critica, t. III, A. D. 810, n. 4 ec.) tratta sulla fondazione e l'independenza di Venezia e sull'invasione di Pipino (V. la diss. del Beretti, Cron. It. medii aevi, in Muratori, Script. t. X, p. 153). I due critici mostrano qualche parzialità. Il Francese contro la Repubblica, l'Italiano in favore di essa.
43Allorchè il figlio di Carlomagno armò i suoi diritti dì sovranità, i fedeli Veneziani gli risposero: οτι ημεις διπλος θελσμεν ειναι του Ρομαιων βασιλεως, perchè noi vogliamo essere secondi sudditi del Re dei Romani (Costantino Porfirogeneta, De admin. imper. part. II, c. 28, p. 85); tradizione del nono secolo che rende ragione de' fatti del decimo, confermati dall'ambasceria di Liutprando di Cremona. Il tributo annuale che l'Imperatore permise si pagasse al Re d'Italia dai Veneziani, raddoppia la servitù di questi sotto aspetto di alleggerirla; ma l'odioso διουλοι vuol essere tradotto come nel chirografo dell'anno 827 (Laugier, Hist. de Venise, t. I, p. 67 ec.) co' più miti vocaboli subditi o fideles.
44V. la venticinquesima e trentesima dissertazione delle Antichità del Medio Evo del Muratori. La Storia del commercio composta da Anderson non fa incominciare il traffico de' Veneziani coll'Inghilterra che nell'anno 1323. L'Abate Dubos (Hist. da la ligue de Cambrai, t. II, p. 443-480) offre una allettevole descrizione del fiorente stato del loro commercio e delle loro ricchezze nel principio del secolo XV.
45I Veneziani tardarono assai nel pubblicare e scrivere la loro storia. I più antichi loro monumenti sono: I. l'arida Cronaca composta, come sembra, da Giovanni Sagornino (Venezia 1765 in 8), ove si dimostrano lo stato e i costumi di Venezia nell'anno 1028; II. la storia più voluminosa del Doge Andrea Dandolo 1342-1354, pubblicata per la prima volta nel duodecimo tomo del Muratori, A. D. 1728. La Storia di Venezia scritta dall'Abate Laugier (Parigi 1728) è un'Opera non priva di merito, e della quale io mi sono principalmente giovato per la parte che alla costituzione della Repubblica si riferisce.
46Enrico Dandolo compiea gli ottantaquattro anni quando fu eletto Doge, A. D. 1192, e ne avea novantasette all'atto della sua morte, A. D. 1205. V. le osservazioni del Ducange sopra Villehardouin, n. 204. Ma gli storici originali non mettono attenzione a questa straordinaria lunghezza di vita. È questo, cred'io, il primo esempio d'un eroe pervenuto quasi ai cento anni. Teofrasto potrebbe somministrar l'esempio di uno scrittore quasi nonagenario: ma invece di εννενκοντα novanta (Prooem. ad Character.) sarei piuttosto inclinato a leggere επδομεκοντα settanta come hanno pensato l'ultimo editore di Teofrasto, il Fischer, ed anche il Casaubono. Egli è quasi impossibile che in tanto avanzata età il corpo e l'immaginazione conservino il loro vigore.
47I moderni Veneziani (Laugier, t. II, p. 219) accusano della cecità del Dandolo l'Imperator Manuele, calunnia confutata dal Villehardouin e dagli antichi storici, secondo i quali il veneto Doge per conseguenza d'una ferita, perdè la vista (n. 34 e Ducange).
48V. il Trattato originale nella Cronaca di Andrea Dandolo p. 323-326.
49Leggendo il Villehardouin non possiamo far di meno di osservare che questo Maresciallo e i cavalieri suoi confratelli piangevano molto spesso. «Sachiez que la ot mainte lerme plorée de pitié (n. 17): mult plorant (ibid.); mainte lerme plorée (n. 34) si orent mult pitié et plorérent mult durement (n. 60); i ot maint lerme plorée de pitié (n. 202)». In somma piangevano in tutte le occasioni, ora per afflizione, ora per gioia, e se non altro per divozione.
50Questo Marchese di Monferrato, segnalato erasi per una vittoria contro gli Astigiani (A. D. 1191), per una crociata in Palestina, per una legazione pontificia presso gli alemanni principi sostenuta (Muratori, Annali d'Italia, t. X, p. 163-202).
51V. la Crociata degli Alemanni nella Historia C. P. di Gunther (Can. Antiq. lect. t. IV, p. V-VIII) che celebra il pellegrinaggio di Martino, uno fra i predicatori rivali di Folco di Neuilly. Apparteneva all'Ordine di Citeaux, e il suo monastero era situato nella diocesi di Basilea.
52Indera, oggidì Zara, colonia romana che riconosce Augusto per suo fondatore, ai dì nostri ha un circuito di due miglia, e contiene fra i cinque e i seimila abitanti; ottimamente fortificata, un ponte la congiunge alla terra ferma (V. i viaggi di Spon e di Wheeler, viaggi di Dalmazia, di Grecia, ec. t. I, p. 64-70; viaggio in Grecia p. 8-14). L'ultimo di questi viaggiatori, confondendo Sestertia e Sestertii, valuta dodici lire sterline un arco di trionfo decorato di colonne e di statue. Se a que' giorni non v'erano alberi nei dintorni di Zara, convien dire che quegli abitanti non avessero ancora pensato a piantare i ciliegi, dai quali oggidì si ritrae il famoso maraschino di Zara.
53Il Katona (Hist. crit. reg. Hungar. Stirpis Arpad. t. IV, p. 536-558) unisce fatti e testimonianze, oltre ogni dire, sfavorevoli ai conquistatori di Zara.
54V. tutta la transazione e i sentimenti del Papa nelle Epistole di Innocenzo III, Gesta, c. 86, 87, 88.
55Un leggitore moderno farà le maraviglie nel veder dato il nome di valletto di Costantinopoli al giovine Alessio. Questo titolo degli eredi del trono corrispondeva all'Infante degli Spagnuoli, al nobilissimus puer de' Romani. I paggi o valletti de' Cavalieri non erano men nobili de' loro padroni (Villehar. e Duc. n. 36).
56Il Villehardouin (n. 38) chiama l'Imperatore Isacco Sarsach forse dalla voce francese Sire, o dalla greca Κυρ, κυριος, Sire, Signore, formata colla terminazione del nome proprio: le denominazioni corrotte di Tursac e di Conserac che troveremo in appresso, ne forniranno un'idea della libertà che in ordine a ciò si prendeano le antiche dinastie della Sorìa e dell'Egitto.
57Ranieri e Corrado: l'uno sposò Maria, figlia dell'Imperatore Manuele Comneno, l'altro Teodora Angela sorella degli Imperatori Isacco ed Alessio. Corrado abbandonò la Corte di Bisanzo e la moglie per accorrere in difesa di Tiro minacciata da Saladino (Ducange, Fam. Byzant., p. 187-203).
58Niceta in Alex. Comn., (l. III, c. IX), accusa il Doge e i Veneziani, come autori della guerra mossa a Costantinopoli, e riguarda come κυμα υπερ κυματι, procella sopra procella, l'arrivo e le ignominiose offerte del Principe esigliato.
59Il Villehardouin e il Gunther spiegano i sentimenti dell'una e dell'altra fazione. L'Abate Martino, che abbandonando l'esercito a Zara si trasferì in Palestina, venne inviato come ambasciatore a Costantinopoli, trovatosi a proprio dispetto spettatore del secondo assedio.
60La nascita e le dignità che si univano in Andrea Dandolo gli somministravano e modi e motivi di cercare negli archivj di Venezia la storia del suo illustre antenato. Il laconismo ch'ei serba ne' proprj racconti rende alquanto sospette le moderne e verbose relazioni di Sanuto (Muratori script. rer. it. t. XXII), del Sabellico e del Ramnusio.
61V. Villehardouin, n. 62. In cotest'uomo, originali appaiono i sentimenti quanto il modo di esprimerli. Proclive alle lagrime, non quindi meno allegrasi della gloria e del pericolo delle pugne con tale entusiasmo, che ad uno scrittore sedentario non può appartenere.
62In questo viaggio, quasi tutti i nomi geografici trovansi svisati dai Latini: il nome moderno di Calcide, e di tutta l'Eubea deriva dall'Euripus d'onde Evripo, Negripo, Negroponte, che alle nostre carte geografiche fanno disdoro. (D'Anville, Geogr. anc. t. I, p. 263).
63Et Sachiez que il ne ot si hardi cui le cuer ne fremist (c. 67) … Chascuns regardoit ses armes… que par tems en arunt mestier (c. 68). Tale è l'ingenuità caratteristica del vero coraggio.
64«Eandem urbem plus in solis navibus piscatorum abundare, quam illos in toto navigio. Habebat enim mille et sexcentas piscatorias naves… Bellicas autem sive mercatorias habebat infinitae multitudinis et portum tutissimum». Gunther, Hist C. P., c. 8, p. 10.
65Καθαπερ ιεερω, ειπειν δε και θεοψυτευτων παραδεισων εφειδοντο τουτωνι, come ad un sacro bosco parlavano, e risparmiavanlo quasi un giardino piantato da Dio. Niceta, in Alex. Comn., l. III, c. 9, p. 348.
66Seguendo la traduzione del Vigenere, mi valgo del sonoro vocabolo di palandra, usato credo tuttavia lungo il littorale del mediterraneo. Se però scrivessi in Francese, adoprerei la parola originaria ed espressiva di vessiery o huissiers, tolta da huis, voce vieta che significava una porta atta a sbassarsi a guisa de' ponti levatoi, ma che per gli usi di mare collo stesso meccanismo si alzava nella parte interna del navilio. (Ducange, Villehardouin, n. 14, e Joinville, p. 27-28, ediz. del Louvre).
67Per evitare l'espressione vaga di seguito o seguaci ec., ho adoperata, seguendo il Villehardouin la voce sergente, per indicare tutti gli uomini a cavallo che non erano cavalieri. Vi erano sergenti d'armi e sergenti di toga. Assistendo alla parata e alle adunate di Westminster può vedersi la bizzarra conseguenza di una tal distinzione (Ducange, Gloss. lat. Servientes etc. t. VI, p. 226-231).
68È inutile l'annotare che intorno a Galata, alla catena del porto ec., il racconto del Ducange è compiuto e minutamente esatto. V. anche i capitoli particolari dell'opera C. P. Christiana dello stesso autore. L'ignoranza o la vanità degli abitanti di Galata era sì grande, che appropiavano a sè medesimi l'Epistola di S. Paolo ai Galati.
69La galea che ruppe la catena chiamavasi l'Aquila (Dandolo, Chron., p. 322), che il Biondi (de Gestis Venet.) ha trasformata in Aquilo, vento boreale. Il Ducange (n. 83) ammette la seconda sposizione; ma egli non conosceva il testo autentico del Dandolo, e trascurò inoltre di esaminare la topografia del porto. Avrebbe veduto allora che il vento di scilocco era infinitamente più favorevole del vento di tramontana a questa spedizione dei Crociati.
70Quatre cent mille hommes ou plus (Villehardouin, n. 134) vuole intendersi d'uomini in istato di portar l'armi. Il Le Beau (Hist. du Bas-Empire, t. XX, p. 417), concede a Costantinopoli un milione d'abitanti, sessantamila uomini di cavalleria e una moltitudine innumerabile di soldati. Nel suo stato d'invilimento la capitale dell'Impero ottomano contiene oggidì quattrocentomila abitanti. (Voyages de Bell, vol. II, p. 401-402). Ma non tenendo i Turchi alcun registro nè de' morti, nè delle nascite, ed essendo intorno a ciò sospette tutte le relazioni che abbiamo, egli è impossibile il verificare la vera loro popolazione (Niebuhr, Voyag. en Arab., t. I, p. 18, 19).
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