Una Ragione per Salvarsi

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Из серии: Un Mistero di Avery Black #5
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CAPITOLO DUE

L’ansia di Avery raggiunse il culmine quando arrivò alla centrale. Ovunque c’erano furgoni, completi di giornalisti e presentatori che lottavano per raggiungere le posizioni migliori. C’era così tanta confusione nel parcheggio e nel viale che all’ingresso erano stati mandati agenti in uniforme per tenerla a bada. Avery si diresse verso il retro per raggiungere l’altro ingresso, lontano dalla strada, e vide che anche lì si era parcheggiato qualche furgone dei notiziari.

Tra gli agenti che cercavano di mantenere la calma dietro al palazzo, vide Finley. Quando lui notò la sua auto, si allontanò dalla folla per farle segno, indicandole di avvicinarsi. A quanto pareva, Connelly lo aveva mandato fuori come una specie di guardia, per assicurarsi che riuscisse ad attraversare la ressa di gente.

Lei parcheggiò l’auto e si diresse il più rapidamente possibile verso l’ingresso sul retro. Finley le si affiancò immediatamente. Per via del suo passato come avvocato e dei casi ad alto profilo che aveva seguito da detective, Avery sapeva di avere un volto che le truppe televisive locali riconoscevano facilmente. Fortunatamente grazie a Finley, nessuno riuscì a darle una bella occhiata fino a quando non fu sospinta attraverso la porta sul retro.

“Che diavolo sta succedendo? Abbiamo preso Randall?” chiese Avery.

“Mi piacerebbe molto dirti che cosa è successo,” rispose Finley. “Ma O’Malley mi ha raccomandato di stare zitto. Vuole essere il primo a parlare con te.”

“Mi sembra giusto, suppongo.”

“Come stai, Avery?” chiese Finley mentre si dirigevano rapidamente verso la sala conferenze vicina al retro del quartier generale dell’A1. “Voglio dire, per la faccenda di Ramirez?”

Lei fece del suo meglio per sembrare noncurante. “Sto bene. La sto affrontando.”

Finley capì l’antifona e lasciò perdere quell’argomento. Camminarono in silenzio fino alla sala conferenze.

Avery si aspettava che la stanza fosse piena come il parcheggio. Era certa che un caso in cui fosse coinvolto Howard Randall avrebbe radunato ogni agente disponibile in quella sala. Invece, quando entrò insieme a Finley, vide solo Connelly e O’Malley seduti al grande tavolo. I due uomini già presenti le lanciarono espressioni che in qualche modo erano l’una opposta dell’altra; lo sguardo di Connelly era preoccupato mentre quello di O’Malley sembrava dire Che diavolo devo fare con te adesso?

Quando si sedette, si sentì coma una scolaretta spedita nell’ufficio del preside.

“Grazie per essere venuta così in fretta,” esordì O’Malley. “So che stai passando un periodo infernale. E credimi… ti ho voluta qui solo perché ho pensato che volessi essere coinvolta in quello che sta succedendo.”

“Howard ha davvero ucciso qualcuno?” chiese lei. “Come fate a saperlo? Lo avete preso?”

I tre uomini si scambiarono un’occhiata imbarazzata intorno al tavolo. “No, non esattamente,” rispose Finley.

“È successo la notte scorsa,” spiegò Connelly.

Avery sospirò. Era vero che si era aspettata di sentire una cosa del genere al telegiornale o in un messaggio dell’A1. Tuttavia… l’uomo che aveva imparato a conoscere attraverso un tavolo in prigione, chiedendogli pareri e consigli, non le era sembrato capace di uccidere. Era strano… lei lo conosceva grazie al suo passato da avvocato e sapeva che lo era. Lo aveva fatto molte volte; c’erano undici omicidi collegati al suo nome quando era andato in prigione, e si diceva che ce ne sarebbero stati molti altri se solo ci fosse stata qualche prova in più. Ma la notizia la sconvolse ugualmente nonostante fosse assolutamente prevedibile.

“Siamo certi che sia stato lui?” chiese.

O’Malley fu subito in imbarazzo. Emise un sospiro e si alzò dalla sedia, iniziando a camminare avanti e indietro.

“Non abbiamo nessuna prova certa. Ma era una studentessa del college e l’omicidio è abbastanza cruento da farci pensare che sia opera di Randall.”

“Avete già aperto un fascicolo?” volle sapere.

“Lo stiamo mettendo insieme adesso e…”

“Posso vederlo?”

Di nuovo, Connelly e O’Malley si scambiarono uno sguardo incerto. “Non serve che ti concentri troppo su questo caso,” spiegò O’Malley. “TI abbiamo chiamata perché conosci quello psicopatico meglio di chiunque altro. Ma non è un invito a occupartene. Hai troppe cose per la testa in questo momento.”

“Apprezzo il pensiero. Avete delle foto della scena del crimine che posso vedere?”

“Le abbiamo,” rispose O’Malley. “Ma sono piuttosto macabre.”

Avery non disse niente. Era già abbastanza irritata che l’avessero chiamata a rapporto con tutta quella urgenza e che la stessero trattando come una bambina.

“Finley, potresti andare nel mio ufficio a prendere il materiale che abbiamo?” chiese O’Malley.

Finley si alzò, obbediente come sempre. Mentre lo guardava uscire, Avery si rese conto che le due settimane che aveva passato in uno stato di lutto incerto le erano sembrate più lunghe. Amava il suo lavoro e quel posto le era mancato da morire. Trovarsi vicino a quel meccanismo ben oliato le stava migliorando l’umore, anche se era solamente una fonte di informazioni per O’Malley e Connelly.

“Come sta Ramirez?” chiese O’Malley. “L’ultima notizia che ho ricevuto risale a due giorni fa ed era sempre uguale.”

“Sempre uguale,” rispose lei con un sorriso tirato. “Nessuna cattiva notizia, nessuna buona notizia.”

Fu sul punto di raccontar loro dell’anello che le infermiere gli avevano trovato in tasca, l’anello di fidanzamento che Ramirez aveva deciso di offrirle. Forse li avrebbe aiutati a capire perché si sentiva così coinvolta dalla sua ferita e aveva deciso di rimanergli accanto tutto il tempo.

Prima che la conversazione potesse progredire, Finley tornò nella stanza con una cartella che non conteneva molto. La appoggiò davanti a lei, ricevendo un cenno di approvazione da parte di Connelly.

Avery l’aprì e guardò le foto. In tutto ce n’erano sette, e O’Malley non aveva esagerato. Le immagini erano decisamente allarmanti.

C’era sangue ovunque. La ragazza era stata trascinata in un vicolo e spogliata fino alle mutande. Il suo braccio destro sembrava rotto. Aveva i capelli biondi, anche se la maggior parte era sporca di sangue. Avery cercò ferite da proiettile o coltellate ma non ne vide nessuna. Solo quando raggiunse la quinta foto, con un primo piano del volto della ragazza, capì il metodo dell’uccisione.

“Chiodi?” chiese.

“Già,” replicò O’Malley. “E da quello che siamo riusciti a capire, sono stati infilati con una tale forza e precisione che deve aver usato una di quelle sparachiodi pneumatiche. Abbiamo incaricato la Scientifica di occuparsene, quindi per ora possiamo solo fare ipotesi sull’ordine con cui è successo. Crediamo che il primo colpo sia stato quello proprio dietro l’orecchio sinistro. Deve essere stato sparato da una certa distanza perché non l’ha trapassata completamente. Le ha perforato il cranio, ma per adesso è tutto quello che sappiamo.”

“E se non è stato quel colpo a ucciderla,” continuò Connelly, “di certo è stato quello che l’ha presa di traverso sotto la mascella. È entrato attraverso il fondo della bocca, è passato nel palato ed è penetrato nella cavità nasale fino al cervello.”

La violenza implicata fa pensare davvero a Howard Randall, rifletté Avery. È innegabile.

Ma c’erano altri dettagli nelle immagini che non combaciavano con quello che sapeva di Howard. Studiò le foto, scoprendo che nonostante tutti i casi che aveva visto, quelle erano tra le più sanguinose e sconvolgenti.

“Quindi di preciso cosa vi serve da me?”

“Come ho detto…conosci quest’uomo piuttosto bene. In base a quello che sai, vorrei sapere dove potrebbe nascondersi. Credo che possiamo dire per certo che sia rimasto in città, a giudicare dall’omicidio.”

“Non è pericoloso dare per scontato che sia opera di Howard Randall?”

“Due settimane dopo che evaso di prigione?” chiese O’Malley. “No. Direi che combacia tutto ed è chiaramente opera sua. Vuoi andare a rivedere le foto delle scene dei crimini dei suoi casi?”

“No,” rispose Avery con un certo veleno. “Non mi serve.”

“Quindi che cosa puoi dirci? Lo stiamo cercando da due settimane e non abbiamo ancora scoperto niente.”

“Pensavo che avessi detto che non mi volevi sul caso.”

“Mi servono i tuoi consigli e la tua assistenza,” ribadì O’Malley.

Qualcosa in quella richiesta era quasi offensivo, ma discutere non avrebbe avuto senso. Oltretutto, in quel modo avrebbe potuto concentrarsi su qualcosa che non fosse la situazione di Ramirez.

“Tutte le volte che ho parlato con lui, non mi ha mai dato una semplice risposta. Era sempre una specie di indovinello. Lo faceva per provocarmi, perché avrei dovuto impegnarmi per avere la soluzione. Lo faceva anche per divertirsi. Sinceramente credo che mi vedesse come una specie di conoscente. Non davvero un’amica, ma qualcuno con cui poteva avere uno scambio a un livello intellettuale.”

“E non ce l’ha mai avuta con te per tutto la storia di quando sei stata il suo avvocato?”

“Perché avrebbe dovuto essere arrabbiato con me?” chiese lei. “L’ho fatto scagionare… l’ho liberato. Ricordi, praticamente dopo si è costituito. Ha ucciso di nuovo solo per far vedere quanto fossi incompetente.”

“E invece quelle tue visite in prigione… ne era felice?”

“Sì. E a essere sincera non l’ho mai capito. Credo fosse una questione di rispetto. E per quanto possa sembrare stupido, penso che una parte di lui si sia sempre pentita per quell’ultimo omicidio, per avermi fatto sembrare una sciocca al processo.”

 

“E ha mai parlato di tentativi di fughe durante le tue visite?” chiese Connelly.

“No. Lì dentro si trovava bene. Nessuno lo infastidiva. Tutti provavano una specie di timore per lui. Paura, forse. Ma era praticamente il re di quel posto.”

“Allora perché sarebbe evaso?” insistette O'Malley.

Avery sapeva dove stava andando a parare, che cosa stava cercando di farle dire. E il problema era che aveva senso. Howard sarebbe evaso solo se avesse avuto qualcosa da fare all’esterno. Qualche questione in sospeso. O forse era semplicemente annoiato.

“È un uomo furbo,” disse Avery. “Un uomo spaventoso. Forse voleva di nuovo sentirsi sfidato.”

“O magari voleva uccidere di nuovo,” replicò disgustato Connelly, indicando le foto.

“Possibile,” ammise lei. Poi abbassò lo sguardo sulle foto. “Quando è stata trovata?”

“Tre ore fa.”

“Il suo corpo è ancora lì?”

“Sì, siamo appena tornati dalla scena. Il coroner dovrebbe arrivare tra quindici minuti. La scientifica rimarrà con il corpo fino al suo arrivo.”

“Chiamali e digli di aspettare. Che non tocchino il corpo. Voglio vedere la scena.”

“Ho detto che non te ne occuperai tu,” ribadì O’Malley.

“L’hai fatto. Ma se vuoi che ti dica in che stato d’animo fosse Howard Randall, se ha commesso davvero lui questo omicidio, allora non basta guardare le foto. E a rischio di sembrare arrogante, sai che sono la migliore esperta di scene del crimine che hai.”

O’Malley imprecò seccamente sotto voce. Senza dire altro, si girò e tirò fuori il cellulare. Fece un numero e qualche secondo più tardi, qualcuno dall’altro capo rispose.

“Sono O’Malley,” disse. “Ascoltate. Aspettate a muovere il corpo. Avery Black sta arrivando.”

CAPITOLO TRE

Stranamente, O’Malley affidò a Finley l’incarico di andare sulla scena del crimine insieme a lei. Lungo la strada Finley non parlò molto, e invece guardò pensieroso fuori dal finestrino per quasi tutto il tempo. Lei sapeva che l’agente non si era mai occupato appieno di un caso di alto profilo. Se quella fosse stata la sua prima volta, le dispiaceva un po’ per lui.

Suppongo si stiano preparando per il peggio. Qualcuno dovrà farsi avanti se Ramirez non ce la farà. Finley andrebbe bene come chiunque altro. Meglio, forse.

Quando arrivarono sulla scena del crimine, fu chiaro che la Scientifica e gli esperti forensi avevano concluso i loro doveri. Si aggiravano senza niente da fare, la maggior parte di loro radunata davanti al nastro della scena del crimine legato all’ingresso del vicolo. Uno aveva un caffè in mano, cosa che fece capire ad Avery che era ancora mattina. Diede uno sguardo all’orologio e vide che erano solo le 8:45.

Dio, pensò. Negli ultimi giorni ho davvero perso ogni concetto del tempo. Avrei giurato che quando sono stata al mio appartamento fossero almeno le nove.

Quel pensiero la fece sentire stanca tutto d’un tratto. Ma ignorò la propria spossatezza mentre si avvicinava con Finley al gruppetto dei detective. Mostrò distrattamente il distintivo e Finley fece un cenno educato accanto a lei.

“Sei sicura di sentirtela?” le chiese.

Avery si limitò ad annuire mentre entravano nel vicolo, chinandosi oltre il nastro della scena del crimine. Avanzarono per diversi metri e poi svoltarono a sinistra, dove la stradina si apriva in su una piccola area piena di polvere, macerie e graffiti. Qualche vecchio cassonetto cittadino era abbandonato in un angolo, dimenticato. Non troppo distante c’era la donna che Avery aveva visto nelle foto della scena del crimine. Le immagini non l’avevano preparata alla visione nella vita reale.

Innanzitutto il sangue era decisamente peggio. Senza la patina lucida delle foto, era opaco e brutale. La natura sconvolgente dell’omicidio la riportò immediatamente alla realtà, allontanando quasi del tutto la sua mente e i suoi pensieri dalla stanza d’ospedale di Ramirez.

Si avvicinò quanto più poté senza pestare il sangue e lasciò lavorare il proprio cervello.

Il reggiseno e le mutande non sono affatto sensuali o provocanti, rifletté. Non era una ragazza in giro a divertirsi. Se è quello l’aspetto delle sue mutande, è probabile che anche i suoi vestiti non fossero particolarmente sexy.

Si mosse lentamente attorno al corpo, assorbendo più i dettagli che il sangue. Vide il segno di puntura dove il chiodo era entrato sotto la mascella. Ma notò anche altre ferite, tutte uguali, tutte inflitte con una sparachiodi. Una tra gli occhi. Una appena sopra l’orecchio sinistro. Una in ogni ginocchio, una alla base del petto, una attraverso la mascella e una dietro la testa. Il flusso del sangue e la breve descrizione che O’Malley le aveva fatto suggerivano che ci fossero ferite simili dietro il corpo della ragazza, che in quel momento era premuto contro il muro di mattoni come una bambola di pezza.

Era brutale, eccessivo e violento.

La ciliegina sulla torta era il fatto che le mancava la mano sinistra. Il moncherino ancora sanguinante indicava che era stata tagliata meno di sei ore prima.

Gridò da sopra la spalla verso il gruppo di detective. “Segni preliminari di stupro?”

“Niente di visibile,” gridò a sua volta uno di loro. “Non lo sapremo per certo fino a quando non l’avremo portata via di qui.”

Lei percepì l’acidità in quel commento ma l’ignorò. Riprese a muoversi lentamente intorno alla donna. Finley la guardava da una distanza di sicurezza, con l’aria di qualcuno che avrebbe voluto essere in una qualsiasi altra parte del mondo. Studiò il corpo, la sua natura. Era stato fatto da un uomo che aveva bisogno di dimostrare qualcosa. Quello era ovvio.

È per questo che vogliono collegarlo ad Howard, pensò. È appena scappato, era stato imprigionato per i suoi crimini e forse vuole dimostrare di essere ancora pericoloso, a se stesso e alla polizia.

Ma non le sembrava giusto. Howard era un folle ma quello era quasi barbarico. Era al di sotto di lui.

Howard non ha problemi a uccidere, né a farlo in modi che attirino l’attenzione dei media. Ha sparso le parti dei corpi delle sue vittime attorno a tutta Harvard, in fondo. Ma mai niente del genere. Questo è oltre l’oscenità. Gli omicidi di Howard erano violenti, ma c’era qualcosa di quasi pulito in essi… le prove dicono che prima strangolasse le sue vittime e poi le facesse a pezzi. E anche i tagli delle parti del corpo erano fatti con una certa precisione.

Quando finalmente si allontanò, registrando tutti i dettagli nella propria mente, Finley si fece avanti. “Che cosa pensi?” chiese.

“Ho un’idea,” rispose lei. “Ma a O’Malley non piacerà per niente.”

“Che sarebbe?”

“Howard Randall non ha niente a che vedere con questo caso.”

“Cazzate. E la mano? Vuoi scommettere che è nascosta da qualche parte nel campus di Harvard?”

Avery rispose con un semplice mmmhhh. Era lecito pensarlo, ma non ne era convinta.

Fecero per tornare verso l’auto, ma prima ancora che potessero arrivare al nastro della scena del crimine, vide una macchina inchiodare stridendo davanti al marciapiede in strada. Non la conosceva, ma riconobbe il volto. Era il sindaco.

Che cosa ci fa qui quel cretino? si domandò. E perché sembra così arrabbiato?

L’uomo si avvicinò come una furia ai detective rimasti, che gli fecero strada come un sol uomo. Mentre lo lasciavano passare, Avery si chinò sotto il nastro della scena del crimine per andargli incontro. Decise di fermarlo prima che potesse infilare il becco nel casino sanguinolento che lo aspettava dietro di lei.

Il volto del sindaco Greenwald era una maschera rossa di pura rabbia. Avery si aspettava che cominciasse a schiumare dalla bocca.

“Avery Black,” sibilò, “che accidenti credi di fare qui?”

“Beh, signore,” esordì lei, non sapendo bene come rispondergli.

A quanto pareva, non aveva importanza. Un’altra auto arrivò a gran velocità sul ciglio del marciapiede, quasi fermandosi sul retro di quella del sindaco. Quell’auto la riconobbe. Si era appena parcheggiata quando O’Malley uscì dal lato del passeggero. Connelly spense il motore e uscì a sua volta, raggiungendo il capitano il più rapidamente possibile.

“Sindaco Greenwald,” esclamò O’Malley. “Non è come pensa.”

“Questa mattina, che cosa mi hai detto?” replicò Greenwald. “Mi hai detto che tutte le prove indicano che è opera di Howard Randall. Mi hai assicurato che ti saresti occupato della questione e che la scena del crimine avrebbe potuto offrire degli indizi su dove si nasconda quel figlio di puttana. Non è così?”

“Sì, signore, l’ho fatto,” rispose O’Malley.

“E vorresti dirmi che affidare il caso ad Avery Black sarebbe il tuo modo di occuparti della questione? La stessa detective che la stampa sa essersi incontrata con lui in privato in moltissime occasioni?”

“Signore, le assicuro, non si sta occupando del caso. L’ho chiamata solo per una consulenza. Dopo tutto, conosce Howard Randall meglio di chiunque altro in polizia.”

“Non mi importa. Se la stampa lo viene a sapere… se gli viene anche solo il dubbio che la detective Black si stia occupando del caso, avrò talmente tanta merda da spalare che userò i vostri stipendi per comprare le vanghe.”

“Sì, capisco, signore. Ma il…”

“La città è già terrorizzata con Randall a piede libero,” continuò il sindaco, ormai lanciato. “Sai bene quanto me che arrivano almeno trenta chiamate al giorno di cittadini in ansia sicuri di averlo visto. Quando sapranno dell’omicidio, e parliamoci chiaro, è solo una questione di tempo, capiranno che è stato lui. E se Avery Black del cazzo si sta occupando del caso, o è anche solo nei paraggi…”

“Non ha importanza,” lo interruppe Avery, avendo sentito abbastanza.

“Che cosa hai detto?” praticamente gridò il sindaco Greenwald.

“Ho detto che non ha importanza. Non è stato Howard Randall a uccidere questa donna.”

“Avery…” cominciò Connelly.

Nel frattempo, O’Malley e il sindaco Greenwald la guardavano come se le fosse spuntato un terzo braccio.

“Dici sul serio?” chiese Greenwald.

E prima che potesse rispondere, con sorpresa di nessuno O’Malley prese le difese del sindaco. “Black… lo sai che è opera di Howard Randall. In nome di Dio, perché credi che non sia così?”

“Rileggete i suoi fascicoli,” ribadì lei. Poi guardò Greenwald e aggiunse: “Lo faccia anche lei. Controlli i fascicoli su Howard Randall. Trovi uno dei suoi omicidi che sia simile a questo, così esagerato e sanguinolento. Lo smembramento è una cosa, ma questo è quasi predatorio. Howard prima strangolava le sue vittime. Quello che vedo in quest’ultimo assassinio è ben diverso da lui.”

“Howard Randall ha spaccato la testa di una donna con uno stramaledetto mattone,” esclamò Greenwald. “Direi che è abbastanza brutale e sanguinario.”

“Lo è. Ma quella donna è stata colpita due volte e il rapporto dice che è stato il secondo colpo a ucciderla, non il primo. Howard Randall non lo faceva per l’eccitazione o la violenza o la strumentalizzazione. Anche nello spargimento delle parti del corpo, c’era una quantità minima di sangue. È quasi come se avesse voluto evitarlo, nonostante le sue azioni. Ma questo omicidio… è troppo. È gratuito. E anche se è un mostro e di certo un assassino, Howard Randall non è gratuito.”

Notò un mutamento sul volto di O’Malley. Almeno ci stava pensando, prendendo i suoi esempi con le pinze. D’altra parte il sindaco Greenwald non voleva dare retta.

“No. È opera di Howard Randall ed è ridicolo pensare altrimenti. Per quel che mi riguarda, questo omicidio ha acceso un fuoco sotto tutto il dipartimento A1, che diavolo, sotto ogni agente di tutta la città! Voglio Howard Randall in manette o cadranno delle teste. E con effetto immediato, voglio Black lontana dal caso. Non deve essere coinvolta in nessuna veste!”

Detto ciò, Greenwald tornò a grandi passi all’auto. Avery si era dovuta sorbire molte riunioni insieme a lui in passato e stava iniziando a pensare che si aggirasse a grandi passi in ogni occasione. Non lo aveva mai visto camminare normalmente.

“Sei tornata in servizio da mezz’ora,” commentò Connelly, “e sei già riuscita a far incavolare il sindaco.”

“Non sono in servizio,” sottolineò lei. “E comunque come faceva a sapere che ero qui?”

“Non ne abbiamo idea,” rispose O’Malley. “Crediamo che dei giornalisti ti abbiano vista uscire dalla centrale e lo abbiano informato. Abbiamo cercato di arrivare qui prima di lui ma ovviamente abbiamo fallito.” Sospirò, prese fiato e aggiunse: “Quanto sei certa che non sia stato Randall? Al cento per cento?”

 

“Ovvio, non sono sicura in maniera assoluta. Ma questo omicidio non corrisponde a nessuno dei suoi. Sembra diverso. Ha un’aria diversa.”

“Credi possa essere un emulatore?” domandò O’Malley.

“Potrebbe, immagino. Ma perché? E se lo è, sta facendo un pessimo lavoro.”

“Potrebbe essere uno stronzo fanatico fissato con i serial killer?” ipotizzò Connelly. “Uno di quei perdenti che colleziona le figurine degli assassini potrebbe essersi eccitato quando Randall è scappato e ha trovato il coraggio di uccidere per la prima volta.”

“Mi sembra improbabile.”

“Anche non presumere come sospettato un Howard Randall fuggito recentemente di galera per un omicidio così simile ai suoi.”

“Volevi la mia opinione e io te l’ho data.”

“Beh,” disse O’Malley, “hai sentito Greenwald. Non posso chiederti di aiutarci con questo caso. Apprezzo che tu sia venuta questa mattina quando te l’ho chiesto ma… suppongo sia stato un errore.”

“A quanto pare,” replicò lei, detestando la facilità con cui O’Malley cedeva alla pressioni del sindaco. Lo aveva sempre fatto ed era una delle poche ragioni per cui aveva sempre trovato difficile rispettare il suo capitano.

“Mi dispiace,” le disse Connelly mentre tornavano verso le auto. Finley li seguì, dopo aver assistito a tutta la scena silenziosamente a disagio. “Ma forse ha ragione. Anche se il sindaco non fosse stato tanto categorico, credi davvero che sia il genere di faccenda in cui dovresti cacciarti in questo momento? Sono passate solo due settimane dal tuo ultimo caso importante, e da quando sei quasi morta, potrei aggiungere. E due settimane da quando Ramirez…”

“Ha ragione,” continuò O’Malley. “Prenditi un po’ di tempo. Qualche altra settimana. Te la senti?”

“Farò quello che serve,” rispose lei, dirigendosi alla sua auto insieme a Finley. “Buona fortuna con questo assassino. Lo troverete, ne sono certa.”

“Black,” aggiunse O’Malley. “Non prenderla sul personale.”

Lei non rispose. Entrò in auto e avviò il motore, lasciando pochi istanti a Finley perché si unisse a lei, prima di allontanarsi dal marciapiede e da un cadavere che era quasi sicura non fosse opera del recentemente evaso Howard Randall.

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