Una Ragione per Correre

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Из серии: Un Mistero di Avery Black #2
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CAPITOLO CINQUE

Avery parcheggiò l’auto per strada, tra le altre macchine della polizia e si preparò, osservando il quartier generale del dipartimento di polizia A7 su Paris Street, nell’East Boston. Fuori dalla stazione c’era tutto il circo mediatico. Era stata indetta una conferenza stampa per parlare del caso e vari furgoni della televisione, telecamere e giornalisti bloccavano la strada, nonostante diversi agenti cercassero di convincerli a spostarsi.

“Il tuo pubblico ti aspetta,” notò Ramirez.

Sembrava che non vedesse l’ora di essere intervistato. Teneva la testa dritta e sorrideva a ogni giornalista si voltasse verso di lui. Con suo grande disappunto, nessuno si avvicinò. Avery stava a capo chino e camminò più velocemente possibile per entrare nella stazione. Odiava le folle. C’era stato un momento della sua vita, quando faceva l’avvocato, in cui le era piaciuto che la gente conoscesse il suo nome e le si radunasse attorno durante i processi, ma da quando lei stessa era stata metaforicamente processata dalla stampa, aveva imparato a disprezzare la loro attenzione.

Ma i giornalisti le accorsero subito intorno.

“Avery Black,” disse uno, mettendole un microfono in faccia. “Ci può dire qualcosa sulla donna assassinata sulla marina?”

“Perché si sta occupando del caso, detective Black?” gridò un altro. “Questo è l’A7. È stata trasferita a un altro dipartimento?”

“Che cosa pensa della nuova campagna del sindaco, Fermiamo il Crimine?”

“Lei e Howard Randall state ancora insieme?”

Howard Randall, pensò. Nonostante il prepotente desiderio di tagliare tutti i ponti con Randall, Avery non era riuscita a toglierselo dalla mente. Ogni giorno dal loro ultimo incontro, l’assassino aveva trovato un modo per strisciare nei suoi pensieri. A volte un semplice profumo o un’immagine era tutto ciò che bastava per sentire le sue parole: “Ti fa venire in mente qualcosa della tua infanzia, Avery? Che cosa? Dimmi…” Altre volte, lavorando su diversi casi, aveva cercato di pensare come avrebbe fatto lui per trovare la soluzione.

“Fuori dai piedi!” gridò Ramirez. “Spostatevi! Fate spazio. Andiamo.”

Le appoggiò una mano sulla schiena e la sospinse nella stazione.

Il quartier generale dell’A7, un grande palazzo di mattoni e pietra, aveva recentemente subito una grossa modernizzazione degli interni. Le scrivanie di metallo e l’atmosfera cupa, tipica dell’organizzazione statale, erano svanite. Al loro posto c’erano eleganti tavoli argentati, sedie colorate e uno spazio aperto per le attese che sembrava più l’ingresso di un parco giochi.

Come l’A1, ma ben più moderna, la sala conferenze aveva le pareti di vetro così che la gente potesse guardare fuori su tutto il piano. Sul grande tavolo ovale di mogano c’erano microfoni davanti a ogni posto a sedere e campeggiava un grande televisore a schermo piatto per le teleconferenze.

O’Malley era già seduto al tavolo accanto a Holt. Ai loro lati c’erano il detective Simms e il suo partner, e due persone che Avery immaginò fossero l’addetto della scientifica e il coroner. Rimanevano due posti liberi in fondo al tavolo, vicino all’ingresso.

“Sedetevi,” fece loro cenno O’Malley. “Grazie per essere venuti. Non vi preoccupate, non vi starò con il fiato sul collo per tutto il tempo,” disse rivolto ai presenti, con particolare enfasi verso Avery e Ramirez. “Voglio solo essere sicuro che siamo tutti dalla stessa parte.”

“Sei sempre il benvenuto qui,” disse Holt con genuino affetto verso O’Malley.

“Grazie, Will. Comincia pure.”

Holt indicò il suo agente.

“Simms?” disse.

“Okay,” disse Simms, “credo che stia a me. Perché non cominciamo con la scientifica, passiamo al rapporto del coroner e poi vi dico del resto della nostra giornata,” disse in particolare al capitano Holt, prima di voltarsi verso l’esperto della Scientifica. “Che te ne pare, Sammy?”

Uno snello uomo indiano era a capo della loro squadra scientifica. Portava giacca e cravatta e sollevò i pollici quando venne fatto il suo nome.

“Sì, signore, Mark,” disse con entusiasmo. “Come abbiamo già detto, abbiamo molto poco su cui lavorare. L’appartamento era pulito. Niente sangue, nessun segno di lotta. Tutte le telecamere sono state bloccate con una resina epossidica trasparente che si può comprare in una qualsiasi ferramenta. Abbiamo trovato resti di fibre di guanti neri, ma anche quelli non ci danno alcun solido indizio.”

Il detective Simms continuava a lanciare sguardi verso Avery. Sammy stava facendo fatica a capire chi era al comando. Continuava a guardare Simms, Holt e tutti gli altri. Alla fine capì l’antifona e iniziò a rivolgersi ad Avery e a Ramirez.

“Però abbiamo qualcosa dal cantiere navale,” continuò Sammy. “Ovviamente l’assassino ha disabilitato le telecamere anche lì, come nell’appartamento. Per arrivare al cantiere senza essere notato deve essersi mosso tra le undici di sera, quando l’ultimo operaio lascia la marina, e le sei del mattino, quando arriva il primo turno. Abbiamo trovato le stesse impronte di scarpe nel cantiere navale e sulla barca, prima che altri agenti di polizia arrivassero sulla scena. L’impronta è di uno stivale numero quarantatré, marca Redwings. Sembra che zoppichi per una possibile ferita alla gamba destra, dato che la scarpa sinistra lascia un calco più profondo dell’altra.”

“Eccellente,” commentò orgoglioso Simms.

“Abbiamo anche controllato quella stella disegnata sul ponte,” continuò Simms. “Non abbiamo trovato materiale genetico. Tuttavia abbiamo trovato una fibra nera simile a quelle del guanto nell’appartamento, quindi è un collegamento interessante, grazie, detective Avery.” Annuì verso la detective.

Aver annuì a sua volta.

Holt sbuffò.

“Infine,” concluse Sammy, “crediamo che il corpo sia stato portato al cantiere navale all’interno di un tappeto arrotolato, dato che su di esso c’erano molte fibre di tappeto e che ne mancava uno dalla casa.”

Annuì per indicare che aveva finito.

“Grazie, Sammy,” disse Simms. “Dana?”

Fu il turno di una donna in camice bianco da laboratorio, che sembrava avrebbe preferito essere ovunque tranne che in quella stanza. Era sulla mezza età, con lisci capelli castani che le arrivavano alle spalle e un costante cipiglio sul volto.

“La vittima è morta in seguito alla frattura del collo,” disse. “C’erano lividi sulle braccia e le gambe che indicano che è stata spinta a terra o contro una parete. La donna è morta da circa dodici ore. Non c’erano segni di penetrazione forzata.”

Si riappoggiò all’indietro con le braccia incrociate.

Simms sollevò le sopracciglia e si voltò verso Avery.

“Detective Black? Qualcosa sulla famiglia?”

“Un vicolo cieco,” disse Avery. “La vittima vedeva i genitori una volta alla settimana per portargli la spesa e preparargli la cena. Niente fidanzato. Nessun altro parente stretto a Boston. Ma aveva uno stretto gruppo di amiche con cui dovrò parlare. I genitori non sono sospetti, quasi non riuscivano ad alzarsi dal divano. Avremmo cominciato a fare ricerche sulle amiche, ma non ero sicura del protocollo,” disse, con uno sguardo a O’Malley.

“Grazie,” disse Simms. “Abbiamo capito. Credo che dopo questa riunione sarai tu al comando, detective Black, ma non sono io a decidere. Ecco cosa ha scoperto la mia squadra finora. Abbiamo controllato i suoi tabulati telefonici e gli indirizzi email. Lì niente di strano. Le telecamere del palazzo erano disattivate e l’edificio non appare in altre riprese. Però abbiamo trovato qualcosa alla libreria della Venemeer. Oggi era aperta. Ha due dipendenti a tempo pieno. Non sapevano della sua morte ed erano sinceramente sconvolti. Nessuno dei due sembra un possibile sospettato, ma entrambi hanno detto che di recente il negozio ha avuto dei problemi con una banda locale chiamata Chelsea Death Squad. Il nome viene dal loro punto di ritrovo principale, su Chelsea Street. Ho parlato con la nostra unità che si occupa di bande e ho saputo che sono una gang ispanica relativamente nuova, affiliata alla lontana con qualche cartello. Il loro capo è Juan Desoto.”

Avery aveva sentito parlare di Desoto ai tempi in cui lavorava sulle gang, durante i suoi primi anni in polizia. Era un pesce piccolo con una squadra appena formata, ma per anni aveva fatto il sicario per molte grosse bande in tutta Boston.

Perché un assassino della mafia con la propria banda avrebbe voluto uccidere la proprietaria di una piccola libreria e depositarne il corpo in bella vista su uno yacht? si chiese.

“Sembra che tu abbia trovato una buona pista,” esclamò Holt. “È seccante dover cedere le redini a un dipartimento dall’altra parte del canale. Purtroppo è la vita. Non è vero, capitano O’Malley? Un compromesso, giusto?” Sorrise.

“È giusto,” rispose con riluttanza O’Malley.

Simms si raddrizzò.

“Juan Desoto sarebbe sicuramente il mio sospettato numero uno. Se questo fosse il mio caso,” sottolineò, “cercherei di andare a trovare lui per primo.”

La frecciatina infastidì Avery.

Davvero mi serve tutto questo? pensò. Anche se era molto incuriosita dal caso, i confini confusi tra i responsabili la disturbavano. Devo seguire i suoi ordini? Ora è lui il mio supervisore? O posso fare quello che voglio?

O’Malley sembrò leggerle il pensiero.

“Credo che qui abbiamo finito. Giusto, Will?” disse, prima di rivolgersi esclusivamente ad Avery e a Ramirez. “Da adesso voi due siete i responsabili, a meno che non dobbiate consultarvi con il detective Simms a proposito delle informazioni di cui abbiamo appena parlato. Proprio ora stanno facendo delle copie dei file per voi. Verranno inviate all’A1. Dunque,” si alzò con un sospiro, “a meno che non ci siano altre domande, potete iniziare. Io ho un dipartimento da gestire.”

 

*

La tensione dentro l’A7 continuò a innervosire Avery fino a quando non si furono allontanati dall’edificio e dai giornalisti, e furono di nuovo in auto.

“È andata bene,” esultò Ramirez. “Ti rendi conto di cosa è appena successo là dentro?” chiese. “Ti hanno appena affidato il più grosso caso che l’A7 abbia avuto da anni, e solo perché sei Avery Black.”

Avery annuì silenziosamente.

Essere al comando aveva un alto costo. Poteva fare le cose a modo suo, ma se ci fossero stati dei problemi sarebbero stati solo una sua responsabilità. Oltretutto, aveva la sensazione che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto notizie dall’A7. Mi sembra di avere due capi adesso, gemette dentro di sé.

“Quale è la nostra prossima mossa?” chiese Ramirez.

“Ripartiamo da zero con l’A7 e andiamo a trovare Desoto. Non sono certa di che cosa troveremo, ma se la sua banda stava molestando la proprietaria di una libreria, vorrei sapere il perché.”

Ramirez fischiò.

“Come fai a sapere dove trovarlo?”

“Tutti sanno dove trovarlo. Ha un piccolo caffè su Chelsea Street, vicino alla tangenziale e al parco.”

“Credi che sia il nostro uomo?”

“Non sarebbe la prima volta che Desoto ammazza qualcuno.” Avery scrollò le spalle. “Non sono sicura che questa scena del crimine corrisponda al suo modus operandi, ma potrebbe saperne qualcosa. A Boston è una leggenda. Da quello che so, ha lavorato per i neri, gli irlandesi, gli italiani, gli ispanici, tutti. Quando ero una recluta lo chiamavano l’Assassino Fantasma. Per anni nessuno ha nemmeno creduto che esistesse. L’unità anti crimine organizzato gli ha affibbiato degli omicidi persino a New York, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare qualcosa. Ha sempre avuto quel caffè, da quando lo conosco.”

“Lo hai mai incontrato?”

“No.”

“Sai che faccia ha?”

“Sì,” disse lei. “Una volta ho visto una sua foto. Ha la pelle chiara ed è molto, molto grosso. Credo che si sia anche fatto affilare i denti.”

Ramirez si voltò verso di lei e sorrise, ma sotto quell’espressione Avery percepì lo stesso panico e la scarica di adrenalina che stava iniziando a provare lei. Stavano per entrare nella fossa dei leoni.

“Sarà interessante,” commentò lui.

CAPITOLO SEI

Il caffè si trovava sul lato nord del sottopassaggio per la tangenziale di East Boston. Era dentro un palazzo di mattoni a un piano con grandi vetrate e una semplice insegna, Caffè. I vetri erano oscurati.

Avery parcheggiò vicino all’ingresso e uscì dall’auto.

Il cielo si era rabbuiato. Verso sud-ovest, vedeva l’arancio, il rosso e il giallo del tramonto. Sul lato opposto c’era un negozio di alimentari e il resto della strada era occupato da case. La zona era tranquilla e modesta.

“Facciamolo,” disse Ramirez.

Dopo una lunga giornata passata a obbedire agli ordini e a partecipare a riunioni, Ramirez sembrava carico e pronto all’azione. La sua impazienza preoccupò Avery. Alle bande non piace che dei poliziotti nervosi invadano il loro territorio, pensò. Specialmente quelli senza mandato e che hanno solo delle chiacchiere su cui basarsi.

“Vacci piano,” disse. “Faccio io le domande. Niente mosse improvvise. Non atteggiarti in alcun modo, okay? Siamo qui solo per fare domande e per vedere se possono aiutarci.”

“Certo.” Ma Ramirez si incupì e il suo linguaggio del corpo disse tutt’altro.

Quando entrarono nel locale risuonò il tintinnio di una campanella.

Il minuscolo spazio ospitava quattro séparé con dei divanetti rossi e un unico bancone al quale si potevano ordinare il caffè e altre portate da colazione durante la giornata. Sul menù c’erano meno di quindici piatti e nel locale ancora meno clienti.

Due uomini ispanici anziani e magri che avrebbero potuto essere dei senzatetto bevevano caffè seduti in uno dei séparé sulla sinistra. In un altro era accomodato scompostamente un giovane gentiluomo con gli occhiali da sole e un borsalino nero, che si voltò verso la porta. Indossava una canottiera nera e in una fondina da spalla aveva una pistola in bella mostra. Avery lanciò un’occhiata alle sue scarpe. Quarantadue, pensò. Al massimo un quarantadue e mezzo.

“Puta,” sussurrò l’uomo alla vista di Avery.

Gli uomini anziani non sembrarono accorgersi di nulla.

Dietro al bancone non c’era lo chef né il commesso addetto all’asporto.

“Salve,” salutò Avery. “Vorremmo parlare con Juan Desoto, se è dentro?”

Il giovane uomo scoppiò a ridere.

Pronunciò rapidamente qualche parola in spagnolo.

“Dice: ‘vai a farti fottere, poliziotta puttana con il tuo cagnolino,’” tradusse Ramirez.

“Adorabile,” commentò Avery. “Senti, non vogliamo problemi,” aggiunse e sollevò entrambi i palmi in segno di sottomissione. “Vogliamo solo fare qualche domanda a Desoto su una libreria su Summer Street che sembra non piacergli.”

L’uomo si raddrizzò e indicò la porta.

“Fuori dai piedi, polizia!”

C’erano molti modi in cui Avery avrebbe potuto gestire la situazione. L’uomo aveva un pistola e lei supponeva che fosse carica e senza licenza. Sembrava pronto ad attaccarla senza alcuna ragione. Quello, insieme al bancone vuoto, la portò a pensare che stesse succedendo qualcosa in una stanza sul retro. Droga, immaginò, oppure là dietro hanno uno sventurato negoziante e lo stanno massacrando di botte.

“Vogliamo solo qualche minuto con Desoto,” ripeté.

“Troia!” esclamò l’uomo, alzandosi e prendendo la pistola.

Ramirez estrasse immediatamente la sua.

I due uomini anziani continuarono a bere il loro caffè e a sedere in silenzio.

Ramirez gridò da sopra la canna della pistola.

“Avery?”

“Tutti quanti, calmatevi,” ordinò lei.

Un uomo apparve da un’apertura sulla cucina dietro al bancone, un individuo corpulento a giudicare dal collo e dalle guance rotonde. Sembrava essersi chinato per farsi vedere, il che riduceva la sua altezza. Il volto era parzialmente nascosto nell’ombra; era un ispanico calvo e dalla pelle chiara con una luce divertita negli occhi. Sulle labbra aveva un sorriso e nella bocca portava una griglia che faceva sembrare i suoi denti dei diamanti affilati. Non sembrava avere cattive intenzioni, ma era tanto tranquillo e calmo in quella situazione tesa che Avery fu costretta a interrogarsi sul motivo.

“Desoto,” disse.

“Niente armi, niente armi,” Desoto fece cenno dal riquadro della finestra. “Tito,” chiamò, “appoggia la pistola sul tavolo. Agenti. Mettete le pistole sul tavolo. Niente armi qui.”

“Assolutamente no,” disse Ramirez tenendo l’arma puntata sull’altro uomo.

Avery riusciva a sentire il corto pugnale che teneva legato alla caviglia, nel caso fosse finita nei guai. E oltretutto tutti sapevano che loro due erano diretti al locale di Desoto. Andrà tutto bene, pensò. Spero.

“Mettila giù,” disse.

In segno di buona fede, prese delicatamente la Glock con le punte delle dita e la mise sul tavolo tra i due uomini anziani.

“Fallo,” disse a Ramirez. “Lasciala sul tavolo.”

“Merda,” sussurrò il partner. “Non mi piace per niente. Neanche un po’.” E tuttavia obbedì; appoggiò la pistola sul tavolo. Solo allora l’altro uomo, Tito, mise giù la sua e sorrise.

“Grazie,” disse Desoto. “Non vi preoccupate. Nessuno vuole le vostre pistole da poliziotto. Lì saranno al sicuro. Venite. Parliamo.”

Svanì dalla vista.

Tito indicò una piccola porta rossa, praticamente impossibile da notare data la sua posizione dietro uno dei séparé.

“Prima tu,” disse Ramirez.

Tito fece un inchino ed entrò.

Ramirez fu il secondo e Avery li seguì.

La porta rossa si apriva sulla cucina. Un corridoio portava ancora più a fondo nel palazzo. Proprio davanti a loro c’era una scalinata che scendeva in cantina, ripida e buia. In fondo c’era un’altra porta.

“Ho un brutto presentimento,” sussurrò Ramirez.

“Buono,” sibilò Avery.

Nella stanza oltre la porta era in corso una partita di poker. Cinque uomini, tutti ispanici, ben vestiti e armati di pistole, si ammutolirono al loro arrivo. Il tavolo era coperto di denaro e gioielli e alle pareti dell’ampia stanza erano appoggiati dei divanetti. Su numerosi scaffali Avery notò mitra e machete. C’era anche un’altra porta. Una rapida occhiata ai loro piedi rivelò che nessuno di loro aveva scarpe grandi abbastanza da essere l’assassino.

Sul divano, con le braccia allargate e un enorme sorriso sul volto che rivelava la griglia di denti affilati, c’era Juan Desoto. Il suo fisico era più taurino che umano, pompato e scolpito da allenamenti quotidiani e, Avery immaginò, steroidi. Un gigante anche da seduto, era alto più di due metri. Anche i suoi piedi erano enormi. Almeno un quarantasei, pensò Avery.

“State calmi, tutti quanti, calmi,” ordinò Desoto. “Giocate, giocate,” sospinse i suoi uomini. “Tito, porta loro qualcosa da bere. Che cosa le piacerebbe, agente Black?” chiese con enfasi.

“Mi conosce?” domandò lei.

“Non la conosco,” rispose l’uomo. “Ma so chi è lei. Due anni fa ha arrestato il mio cuginetto Valdez e alcuni dei miei cari amici nei West Side Killers. Sì, ho molti amici in altre bande,” disse, davanti allo sguardo sorpreso di Avery. “Non tutte le gang lottano tra di loro come bestie. Io preferisco pensare più in grande. La prego. Che cosa posso portarle?”

“Per me niente,” rispose Ramirez.

“Sto bene così,” aggiunse lei.

Desoto annuì verso Tito, che uscì da dove era entrato. Tutti gli uomini al tavolo continuarono a giocare a carte, eccetto uno. L’altro uomo era la copia esatta di Desoto, solo molto più piccolo e più giovane. Borbottò qualcosa a Desoto e i due ebbero un’accesa conversazione.

“È il fratello minore di Desoto,” tradusse Ramirez. “Pensa che dovrebbero ucciderci entrambi e buttarci nel fiume. Desoto sta cercando di dirgli che è per questo che è sempre in prigione, perché pensa troppo quando invece dovrebbe tenere la bocca chiusa e ascoltare.”

“Sientate!” gridò alla fine Desoto.

Con riluttanza, il fratello minore si riaccomodò ma fissò Avery in cagnesco.

Desoto prese fiato.

“Le piace essere una poliziotta famosa?” chiese.

“Non proprio,” rispose Avery. “Dà agli uomini come te un bersaglio all’interno del dipartimento di polizia. Non mi piace essere un bersaglio.”

“Vero, vero,” confermò lui.

“Stiamo cercando informazioni,” aggiunse Avery. “Una donna di mezza età di nome Henrietta Venemeer ha una libreria sulla Summer. Libri spirituali, new age, psicologia, cose così. Si dice che non ti piaccia il suo negozio. Qualcuno le stava dando fastidio.”

“E sarei stato io?” esclamò lui sorpreso, indicandosi.

“Tu o i tuoi uomini. Non siamo sicuri. È per questo che siamo qui.”

“Perché sareste venuti fin qui, dentro la tana del lupo, per chiedere di una donna con una libreria? Vi prego, spiegatemi.”

Non sembrò aver riconosciuto né il nome di Henrietta né la sua libreria. A dire la verità, Avery ebbe l’impressione che si sentisse insultato da quell’accusa.

“È stata assassinata la notte scorsa,” disse Avery, facendo molta attenzione agli uomini nella stanza e alle loro reazioni. “Le hanno spezzato il collo e l’hanno legata a uno yacht nella marina su Marginal Street.”

“Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?” domandò lui.

“È quello che vogliamo scoprire.”

Desoto iniziò a parlare ai suoi uomini in uno spagnolo rapido e agitato. Il fratello minore e un altro uomo sembravano irritati di essere accusati di qualcosa così chiaramente al di sotto di loro. Invece gli altri tre si fecero imbarazzati sotto quell’interrogatorio. Iniziò una discussione. A un certo punto, Desoto si alzò in preda alla rabbia e sfoggiò tutta la sua altezza e la sua stazza.

“Quei tre sono stati al negozio,” sussurrò Ramirez. “Lo hanno rapinato due volte. Desoto è incazzato perché è la prima volta che ne sente parlare, e non ha mai avuto la sua parte.”

Con un ruggito, Desoto sbatté il pugno sul tavolo e lo spaccò in due. Banconote, monete e gioielli volarono per aria. Una collana quasi frustò Avery al volto e lei fu costretta a spingersi contro la porta. Tutti e cinque gli uomini si alzarono dalle sedie. Il fratello di Desoto gridò per la frustrazione e alzò le braccia. Desoto concentrò tutta la sua furia su un uomo in particolare. Puntò un dito in volto al tizio e volarono minacce.

 

“È stato lui a portare gli altri al negozio,” bisbigliò Ramirez. “È nei guai.”

Desoto si voltò con le braccia spalancate.

“Vi devo delle scuse,” annunciò. “I miei uomini hanno veramente avvicinato questa donna nel suo negozio. Due volte. È la prima volta che ne sento parlare.”

Il cuore di Avery batteva forte. Erano in una stanza isolata piena di criminali arrabbiati e armati, e nonostante le parole e i gesti di Desoto, l’uomo era una presenza intimidatoria, e se le voci erano vere, un pluriomicida.

“Grazie,” rispose Avery. “Giusto per essere chiari, uno dei tuoi uomini potrebbe aver avuto un motivo per uccidere Henrietta Venemeer?”

“Nessuno uccide senza il mio permesso,” affermò lui categoricamente.

“La Venemeer è stata posizionata in modo strano sulla barca,” insisté Avery. “In bella vista di tutto il porto. Le hanno disegnato una stella sopra la sua testa. Significa qualcosa per te?”

“Ti ricordi mio cugino?” domandò Desoto. “Michael Cruz? Un piccoletto? Magrolino?”

“No.”

“Gli hai spezzato un braccio. Gli ho chiesto come avesse potuto farsi battere da una ragazzina, e lui ha detto che era molto veloce, e forte. Credi che potresti battere me, agente Black?”

Era iniziata una spirale discendente.

Avery riusciva a sentirlo. Desoto si annoiava. Aveva risposto alle loro domande, era seccato e arrabbiato, e aveva due poliziotti disarmati nella saletta privata sotto il suo negozio. Anche gli uomini che stavano giocando a poker ormai erano totalmente concentrati su di loro.

“No,” disse lei. “Secondo me in una lotta corpo a corpo mi ammazzeresti.”

“Credo nella legge del taglione,” disse Desoto. “Credo che quando vengono date informazioni, in cambio ne devono essere ricevute. L’equilibrio,” sottolineò, “è molto importante nella vita. Io ti ho dato delle informazioni. Tu hai arrestato mio cugino. Ora hai preso due volte qualcosa da me. Lo capisci, vero?” domandò. “Tu mi devi qualcosa.”

Avery indietreggiò e assunse la tipica posa da jujitsu, con le gambe piegate leggermente divaricate, le braccia alzate e le mani aperte sotto il mento.

“Che cosa ti devo?” chiese.

Con un grugnito, Desoto balzò in avanti, caricò il braccio destro e colpì.

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