Mariti Nel Mirino

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MARITI NEL MIRINO

(UN MISTERO DI RILEY PAIGE—LIBRO 13)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE ITALIANA

A CURA

DI

IMMACOLATA SCIPLINI

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dedicata ai misteri di RILEY PAGE, che comprende quattordici libri (e altri in fase di pubblicazione). Blake Pierce è anche autore della serie sui misteri di MACKENZIE WHITE, composta da nove libri, di quella sui misteri di AVERY BLACK, che include sei libri, della nuova serie dedicata ai misteri di KERI LOCKE, composta al momento da cinque libri, ed infine di quella che racconta GLI INIZI DI RILEY PAIGE, il cui primo volume si intitola LA PRIMA CACCIA.

Accanito lettore, da sempre appassionato di romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti; pertanto siete invitati a visitare il sito www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto.

Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto ad uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani ed acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza. L’immagine di copertina è di proprietà di aradaphotography, usata su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

VITTIME SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PREMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

CAUSE TO DREAD (Libro #6)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRÉ

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

PROLOGO

Morgan Farrell non aveva idea di dove si trovasse o da dove provenisse. Le sembrava di essere sbucata fuori da una nebbia fitta e spessa. E qualcosa, o qualcuno, era proprio lì di fronte a lei.

Fece qualche passo in avanti, aguzzando lo sguardo, e notò il volto di una donna che la guardava: sembrava persa e confusa, esattamente come si sentiva Morgan.

“Chi sei?” le chiese.

Quel volto ripeteva le parole che pronunciava all’unisono … infine Morgan comprese …

Il mio riflesso.

Stava guardando il suo volto in uno specchio.

Si diede della stupida; come aveva fatto a riconoscersi? Ma non era del tutto sorpresa.

Il mio riflesso.

Era ormai consapevole del fatto che il volto che aveva di fronte era il suo, riflesso da uno specchio, ma era come guardare un’estranea. Quello era il viso che aveva sempre avuto, il viso che in genere tutti giudicavano elegante e bello. Ma in quel momento le appariva fasullo.

Il volto allo specchio non sembrava neppure … vivo.

Per alcuni istanti, Morgan si domandò se fosse morta. Poi focalizzò la sua attenzione sul suo respiro, lievemente affaticato. Sentì il suo battito cardiaco accelerare leggermente.

No, non era morta. Ma sembrava essersi persa.

Provò a ragionare.

Dove sono?

Che cos’ho fatto prima di ritrovarmi qui?

Benché il fatto di non conoscere le risposte la facesse sentire strana, era un problema familiare. Non era la prima volta che si ritrovava da qualche parte dell’enorme casa senza sapere come ci fosse finita. Gli episodi di sonnambulismo erano causati dai vari tranquillanti che il medico le aveva prescritto, certamente sommati al troppo scotch.

Morgan sapeva soltanto una cosa: era meglio che Andrew non la vedesse in quello stato. Non era truccata, e i capelli erano un disastro. Sollevò una mano per sistemare una ciocca sulla fronte, e a quel punto vide qualcosa di sorprendente …

La mia mano.

E’ reale.

E’ coperta di sangue.

Vide la sua bocca, riflessa nello specchio, spalancarsi per lo shock.

 

Poi, sollevò l’altra mano e si accorse che anche quella grondava sangue.

Ebbe un istintivo moto di repulsione e si pulì le mani sui vestiti.

Quando si accorse di quello che aveva fatto, ne rimase ancora più sconvolta: si era appena ripulita dal sangue sulla sua costosissima vestaglia di seta.

Andrew si sarebbe infuriato, se lo avesse scoperto.

Ma come poteva fare per ripulirsi in un altro modo?

Si guardò intorno ed afferrò frettolosamente un asciugamano appeso accanto allo specchio. Mentre tentava di ripulirsi le mani, vide il monogramma …

AF

Era l’asciugamano di suo marito.

Si sforzò di focalizzare la sua attenzione sull’ambiente … i costosi asciugamani monogrammati …. le luccicanti pareti dorate.

Si trovava nel bagno del marito.

Morgan sospirò, disperata.

Già in passato, il suo girovagare notturno l’aveva condotta nella camera da letto del marito: sapeva che, se lo avesse svegliato, l’uomo avrebbe reagito male, perché si sarebbe sentito violato nella sua privacy.

Non solo era entrata nella camera del marito ma l’aveva attraversata entrando nel bagno annesso.

Rabbrividì. Le punizioni del marito erano sempre crudeli.

Che cosa mi farà stavolta? pensò.

Morgan scosse il capo, provando a scacciare la confusione. La testa le faceva molto male e aveva la nausea. Ovviamente, aveva preso troppi tranquillanti e, dopo, aveva bevuto molto …

In quel momento vide che, non solo, aveva sporcato di sangue uno dei preziosi asciugamani di Andrew, ma aveva anche lasciato le impronte su tutto il piano del bagno. C’era sangue persino sul pavimento in marmo.

Da dov’è venuto tutto questo sangue? si chiese.

Una strana idea si formò nella sua mente …

Ho tentato di uccidermi?

Non riusciva a ricordare di averlo fatto, ma era una possibilità da considerare. Aveva considerato l’idea di suicidarsi più di una volta, da quando era sposata con Andrew. E, se fosse davvero morta per propria mano, non sarebbe stata la prima a farlo in questa casa.

Mimi, la precedente moglie di Andrew, si era suicidata.

Ed anche il di lui figlio, Kirk, soltanto lo scorso novembre.

Quasi sorrise con amara ironia …

Ho appena tentato di continuare la tradizione di famiglia?

Indietreggiò, per guardarsi meglio.

Tutto questo sangue …

Non vide alcuna ferita.

Perciò, da dove veniva il sangue?

Voltandosi, notò che la porta che conduceva alla camera da letto di Andrew era spalancata.

Lui è dentro? si chiese.

Era rimasto addormentato per tutto il tempo, qualsiasi cosa fosse accaduta?

Quella possibilità la lasciò sollevata. Se dormiva così profondamente, forse sarebbe riuscita a sgattaiolare via senza che si accorgesse della sua presenza lì.

Poi, soffocò un gemito, realizzando che non sarebbe stato affatto facile. C’era ancora tutto quel sangue da gestire.

Se Andrew fosse entrato in bagno ed avesse scoperto quella scena orribile, non avrebbe che potuto incolparla, in quale modo.

Andava sempre a finire così.

Il panico in lei aumentò; tentò di ripulire il piano con l’asciugamano. Ma si accorse che non serviva ad alcunché. Non stava facendo altro che spargere sangue ovunque. Avrebbe dovuto usare l’acqua per ripulire tutto.

Fece per aprire il rubinetto ma si fermò in tempo: il suono dell’acqua avrebbe senz’altro svegliato Andrew. Pensò che, forse, avrebbe potuto chiudere la porta del bagno con molta delicatezza e, solo a quel punto, far scorrere l’acqua più silenziosamente possibile.

Attraversò in punta di piedi l’enorme bagno, raggiungendo la porta. A quel punto, infilò con molta circospezione la testa nella camera da letto.

Quello che vide la fece sobbalzare.

Le luci erano soffuse, ma non c’era alcun dubbio: Andrew era disteso a letto, ricoperto di sangue. Anche le lenzuola ne erano impregnate. Vide delle macchie anche sulla moquette.

Morgan si avvicinò precipitosamente al letto.

Gli occhi del marito erano spalancati, cristallizzati in un’agghiacciante espressione di terrore.

E’ morto, comprese. Non era lei ad essere morta, bensì Andrew.

Si era suicidato?

No, questo era impossibile. Andrew non provava altro che disprezzo per coloro che si toglievano la vita, inclusi sua moglie e suo figlio.

“Le persone serie non lo facevano” aveva spesso detto.

Ed Andrew si era sempre vantato di essere una persona seria, chiedendo spesso a Morgan …

“Sei una persona seria?”

Guardando con maggiore attenzione, vide che il corpo di Andrew presentava diverse ferite aperte su tutto il corpo. E, nascosto tra le lenzuola impregnate di sangue, sotto il corpo vide un grosso coltello da cucina.

Chi può averlo fatto? Morgan si chiese.

Poi, una calma strana ed euforica si impadronì di lei, quando comprese …

Finalmente l’ho fatto.

L’ho ucciso.

L’aveva fatto nei suoi sogni molte volte.

E, finalmente, aveva messo davvero in atto quell'idea.

Sorrise e disse ad alta voce, rivolgendosi al cadavere…

“Chi è una persona seria adesso?”

Ma rimase consapevole di non potersi crogiolare in quella sensazione calda e piacevole. Un omicidio restava un omicidio, e sapeva di doverne affrontare le conseguenze.

Non aveva paura e non si sentiva in colpa; provava un profondo senso di appagamento.

Era stato un uomo orribile. Ed era morto. Qualunque cosa potesse succedere, ne era davvero valsa la pena.

Prese il telefono accanto al letto con la mano appiccicosa e fece per digitare il 911 ma poi pensò …

No.

C’è qualcun altro che deve saperlo prima.

Si trattava di una donna gentile, che si era mostrata preoccupata per il suo benessere un po’ di tempo fa.

Prima di ogni altra cosa, doveva telefonare a quella donna e raccontarle che non avrebbe più dovuto preoccuparsi di Morgan.

Finalmente tutto andava bene.

CAPITOLO UNO

Riley notò che Jilly aveva un sonno agitato. La quattordicenne era seduta nel sedile adiacente a lei, la testa appoggiata alla spalla di Riley. Il loro aereo era partito ormai tre ore, e ce ne sarebbero volute altre due, prima di atterrare a Phoenix.

Sta sognando? Riley si domandò, augurandosi che, nel caso, fossero bei sogni.

Jilly aveva avuto delle tremende esperienze durante la sua breve vita, e aveva ancora molti incubi. La sua ansia era aumentata, quando i servizi sociali di Phoenix avevano scritto una lettera, informando dell’intenzione del padre di Jilly di riaverne la custodia. Ora erano in volo dirette a Phoenix, per un’udienza che avrebbe risolto la questione una volta per tutte.

Anche Riley era preoccupata. Che cosa sarebbe successo alla ragazzina se il giudice non le avesse permesso di restare con Riley?

L’assistente sociale l’aveva rassicurata, escludendo un epilogo del genere.

Ma se si fosse sbagliata? Riley si chiese.

Jilly prese ad agitarsi ancora di più. Iniziò a lamentarsi leggermente.

Riley la scosse gentilmente e disse: “Svegliati, tesoro. Stai avendo un incubo.”

Jilly si svegliò di soprassalto, lo sguardo fisso davanti a sé per un istante. Poi, scoppiò in lacrime.

Riley mise un braccio intorno a Jilly, e prese un fazzoletto nella sua borsa.

Chiese: “Che cosa c’è? Che cosa stai sognando?”

Jilly singhiozzò silenziosamente per alcuni momenti. Poi disse: “Non è niente. Non preoccuparti.”

Riley sospirò. Sapeva che Jilly custodiva dei segreti di cui non le piaceva parlare.

Accarezzò i capelli scuri della ragazza e disse: “Puoi dirmi tutto, Jilly. Lo sai.”

Jilly si asciugò le lacrime e si soffiò il naso.

Infine, disse: “Ho sognato una cosa che è accaduta per davvero. Alcuni anni fa. Mio padre era davvero ubriaco, e mi accusava di tutto, come sempre …del fatto che mia madre se ne fosse andata e della sua incapacità a mantenere un lavoro. Di tutto. Mi disse di volermi fuori dalla sua vita. Mi prese per un braccio e mi trascinò fino ad un armadio, per poi buttarmi dentro e chiudere la porta e …”

Jilly divenne silenziosa e chiuse gli occhi.

“Ti prego, continua” Riley la incitò.

Jilly si scosse un po’ e poi proseguì: “All’inizio, avevo paura di urlare, perché pensavo che mi avrebbe trascinata fuori e mi avrebbe picchiata. Mi ha soltanto lasciata lì, come se mi avesse completamente dimenticata. E poi …”

Jilly soffocò un singhiozzo.

“Non so quante ore siano passate, ma tutto è diventato davvero tranquillo. Pensavo che fosse svenuto o andato a letto. Ho aspettato per un tempo infinito, e tutto è rimasto così tranquillo. Infine, ho supposto che avesse lasciato la casa. Lo faceva qualche volta. Andava via per giorni, e non sapevo quando sarebbe tornato, o se lo avrebbe fatto.”

Riley rabbrividì, provando ad immaginare l’orrore della povera ragazza.

Jilly continuò: “Infine, ho cominciato a gridare e a colpire la porta, ma, naturalmente, nessuno poteva sentirmi, e non potevo uscire. Sono rimasta da sola in quell’armadio per … neppure adesso so per quanto tempo. Diversi giorni, probabilmente. Non avevo nulla da mangiare, e certamente non potevo dormire, ed avevo fame e paura. Ho dovuto persino andare al bagno lì dentro e ho dovuto pulire, dopo. Ho iniziato a vedere e sentire cose strane al buio, immagino che fossero allucinazioni. Credo di aver quasi perso la testa.”

Poco da meravigliarsi, Riley pensò con orrore.

Jilly riprese: “Quando ho sentito di nuovo dei rumori nella casa, ho pensato che forse stavo sentendo delle cose. Ho gridato, e papà è venuto all’armadio e l’ha aperto. In quel momento era sobrio, e sembrava sorpreso di vedermi. “Come sei finita qui dentro?” ha chiesto. Si comportò come se fosse stato dispiaciuto, per avermi messa in quella situazione, e mi trattò BENE per un po’ dopo.”

La voce di Jilly si era ridotta quasi ad un sussurro, e poi aggiunse: “Pensi che otterrà la mia custodia?”

Riley soffocò la sua ansia. Come poteva condividere le sue stesse paure con la ragazza che sperava ancora di adottare, per farla diventare a tutti gli effetti sua figlia?

Non poteva permetterselo.

Così, rispose …

“Sono sicura che non lo farà.”

“Sarà meglio che non succeda” Jilly replicò. “Perché, se lo facesse, scapperò via per sempre. Nessuno riuscirà mai a trovarmi.”

Riley fu scossa da un profondo brivido, perché capì …

Dice davvero.

Jilly era già scappata via da una vita che non le piaceva in passato. Riley ricordava anche troppo bene tutto quello che era successo la prima volta in cui aveva incontrato Jilly: stava lavorando ad un caso che coinvolgeva delle prostitute uccise a Phoenix, ed aveva trovato la ragazza nella cabina di un camion, in un parcheggio in cui lavoravano le prostitute. Jilly aveva deciso di vendere il proprio corpo al proprietario del veicolo.

Avrebbe fatto di nuovo qualcosa di così disperato? Riley si chiese, inorridendo alla sola idea.

Nel frattempo, Jilly si era calmata e si era rimessa a dormire.

Riley riappoggiò la testa della ragazza contro la sua spalla, tentando di soffocare le sue preoccupazioni per l’imminente udienza. Ma non riusciva a scrollarsi di dosso il timore di perdere Jilly.

La ragazza sarebbe sopravvissuta se ciò fosse accaduto?

E, anche se fosse sopravvissuta, che tipo di vita avrebbe avuto?

*

Quando l’aereo atterrò, quattro persone accolsero Riley e Jilly. Una aveva un volto familiare, Si trattava di Brenda Fitch, l’assistente sociale che aveva affidato Jilly alle cure di Riley. Brenda era una donna snella, con un sorriso caloroso ed amorevole.

Riley non riconobbe le altre tre persone.

Brenda le abbracciò entrambe, poi iniziò le presentazioni.

Cominciò da una coppia sposata di mezz’età; erano entrambi tarchiati e sorridenti.

Brenda disse: “Riley, non credo che tu abbia mai incontrato Bonnie e Arnold Flaxman. Sono stati i genitori affidatari di Jilly, per qualche tempo, dopo che l’hai salvata.”

Riley annuì, mentre ricordava come Jilly fosse subito scappata via da quella coppia, per quanto benintenzionata. La ragazza voleva vivere soltanto con Riley, che si trovò a sperare che i Flaxman non serbassero alcun rancore. In realtà sembravano gentili e accoglienti.

 

Brenda poi presentò a Riley un uomo alto con una testa lunga e dalla forma strana, e un sorriso in qualche modo sciocco.

Brenda disse: “Questo è Delbert Kaul, il nostro avvocato. Bene, andiamo a cercare un posto in cui sederci a parlare.”

Il gruppo attraversò frettolosamente l’atrio, fino al caffè più vicino. Gli adulti ordinarono un caffè, e Jilly prese una bibita analcolica. Mentre erano tutti seduti, Riley ricordò che il fratello di Bonnie Flaxman era Garrett Holbrook, un agente dell’FBI di stanza lì a Phoenix.

Riley chiese: “Come se la passa Garrett in questi giorni?”

Bonnie alzò le spalle e sorrise: “Oh, sa com’è. Garrett è Garrett.”

Riley annuì. Ricordava il collega come un uomo taciturno e dall’atteggiamento freddo. Ma aveva indagato sull’omicidio della sorellastra di Garrett, che quindi si era dimostrato grato per il contributo dato alla risoluzione del mistero, e aveva collaborato a far sì che Jilly finisse con gli affidatari Flaxman. Riley sapeva che era un brav’uomo, sebbene esternamente sembrasse di ghiaccio.

Brenda disse a Riley: “Mi fa piacere che tu e Jilly siate riuscite a venire qui con così poco preavviso. Speravo davvero di portare a termine l’adozione, ormai, ma, come ti ho scritto nella mia lettera, siamo incappati in un imprevisto. Il padre di Jilly ha dichiarato di aver preso la decisione di rinunciare alla figlia per costrizione. Non solo contesta l’adozione, ma minaccia anche di accusarti di rapimento, e me come complice.”

Sfogliando alcuni documenti legali, Delbert Kaul aggiunse: “Il suo caso è piuttosto inconsistente, ma ne sta facendo una seccatura. Ma non preoccupatevi. Sono sicuro di poter risolvere la questione entro domani.”

In qualche modo, il sorriso di Kaul non parve a Riley molto rassicurante. Aveva qualcosa di debole e incerto. Si domandò come gli fosse stato assegnato il caso.

Riley notò che Brenda e Kaul sembravano essere in buoni rapporti. Non certo amanti, ma buoni amici. Forse era questo il motivo per cui Brenda lo aveva assunto.

Non necessariamente una buona ragione, Riley pensò.

“Chi è il giudice?” Riley chiese.

Il sorriso svanì dal volto di Kaul, che rispose: “Owen Heller. Non esattamente la mia prima scelta, ma è il meglio che siamo riusciti ad ottenere in tali circostanze.”

Riley soffocò un sospiro. Si sentiva sempre meno rassicurata. Sperava che Jilly la vivesse diversamente.

Kaul poi spiegò quello che tutti avrebbero dovuto dire all’udienza. Bonnie e Arnold Flaxman avrebbero dovuto raccontare della la loro esperienza con Jilly, sottolineando il bisogno della ragazza di vivere in un ambiente stabile, che certo non poteva avere con suo padre.

Kaul spiegò che avrebbe voluto avere il fratello maggiore di Jilly come testimone, ma era sparito da molto ormai, e non era riuscito a rintracciarlo.

Riley doveva testimoniare riguardo al tipo di vita che era in grado di offrire a Jilly. Era arrivata a Phoenix munita di ogni sorta di documentazione per supportare le sue dichiarazioni, inclusi i dati finanziari.

Kaul tamburellò con la matita contro il tavolo ed aggiunse: “Ora Jilly, non devi testimoniare”

Jilly interruppe: “Voglio farlo e lo farò.”

Kaul sembrò un po’ sorpreso dalla nota di determinazione nella voce di Jilly. Riley avrebbe voluto che l’avvocato sembrasse tanto determinato quanto la ragazza.

“Bene” Kaul disse, “è deciso, allora.”

Quando l’incontro giunse al termine, Brenda, Kaul ed i Flaxman se ne andarono insieme. Riley e Jilly noleggiarono un’auto, poi raggiunsero un albergo vicino e fecero il check in.

*

Appena si furono sistemate all’interno della loro camera d’albergo, Riley e Jilly ordinarono una pizza. In TV davano un film che avevano già visto entrambe, e non vi prestarono molta attenzione. Con grande sollievo di Riley, Jilly non sembrava neanche un po’ ansiosa. Chiacchierarono piacevolmente di piccole cose: l’imminente anno scolastico di Jilly, vestiti, scarpe e di gossip.

Riley trovava difficile credere che Jilly facesse parte della sua vita da così breve tempo. Le cose sembravano così naturali e semplici tra loro.

Come se fosse sempre stata mia figlia, Riley pensò. Era esattamente così che si sentiva, ma questo pensiero incrementò la sua ansia.

Sarebbe tutto finito domani?

Riley non riusciva a immaginare come sarebbe stato, se fosse successo.

Avevano quasi finito la pizza, quando furono interrotte da un forte segnale proveniente dal portatile di Riley.

“Oh, dev’essere April!” Jilly esclamò. “Ha promesso che avremmo fatto una videochiamata.”

Riley sorrise e lasciò che Jilly rispondesse alla chiamata della sua figlia maggiore. Ascoltò svogliatamente dall’altra parte della camera, mentre le due ragazze chiacchieravano come le sorelle che erano davvero diventate.

Quando la conversazione terminò, Riley parlò con April, mentre Jilly si stese sul letto a guardare la TV. Il viso di April sembrava serio e preoccupato.

Lei chiese: “Come andrà domani, mamma?”

Buttando un occhio dall’altra parte della camera, Riley vide che Jilly si era rimessa a guardare di nuovo il film. Non pensava che stesse davvero origliando ciò che lei ed April stavano dicendo, ma voleva comunque stare attenta.

“Vedremo” Riley rispose.

April parlò a bassa voce, così che Jilly non potesse sentire.

“Sembri preoccupata, mamma.”

“Immagino di sì” rispose, parlando lei stessa a bassa voce.

“Puoi farcela, mamma. So che puoi.”

Riley deglutì rumorosamente.

“Lo spero” replicò.

Parlando sempre con tono basso di voce, la voce di April era scossa dall’emozione.

“Non possiamo perderla, mamma. Non può tornare a quella vita.”

“Lo so” Riley disse. “Non preoccuparti.”

Riley ed April si guardarono in silenzio per alcuni istanti. Improvvisamente, Riley si sentì profondamente colpita dalla maturità che dimostrava la sua figlia quindicenne.

Sta davvero crescendo, Riley pensò orgogliosamente.

April disse infine: “Va bene, ti lascio andare. Chiamami non appena sai qualcosa.”

“Certo” Riley rispose.

Terminò la videochiamata e tornò a sedersi sul letto con Jilly. Il film era quasi terminato, quando il telefono squillò. Riley cadde nuovamente in preda alla preoccupazione.

Le telefonate non avevano portato alcunché di buono ultimamente.

Prese il telefono e sentì una voce femminile.

“Agente Paige, la chiamo dal centralino di Quantico. Abbiamo appena ricevuto una chiamata da una donna di Atlanta … beh, non so come gestire la cosa, ma vuole parlare direttamente con lei.”

“Atlanta?” Riley chiese. “Di chi si tratta?”

“Il suo nome è Morgan Farrell.”

Riley sentì un brivido che la mise in allerta.

Ricordava la donna da un caso a cui aveva lavorato a febbraio. Il ricco marito di Morgan, Andrew, era stato - seppur per breve tempo - sospettato in un caso di omicidio. Riley e il suo partner, Bill Jeffreys, avevano interrogato Andrew Farrell a casa ed avevano compreso che non era il killer, che stavano cercando. Ciò nonostante, Riley aveva notato dei segni, da cui aveva dedotto che abusasse della moglie.

Aveva silenziosamente dato a Morgan un bigliettino dell’FBI, ma, da allora, non aveva mai avuto sue notizie.

Immagino che voglia finalmente aiuto, Riley pensò, visualizzando la donna minuta ma timida che aveva visto nella villa di Andrew Farrell.

Si chiese che cosa sarebbe stata in grado di fare per chiunque, in quel momento.

Infatti, l’ultima cosa al mondo di cui lei aveva bisogno era un altro problema da risolvere.

L’operatrice in attesa chiese: “Vuole che le giri la telefonata?”

Riley esitò per un secondo, poi rispose: “Sì, per favore.”

Nel giro di un istante, sentì una voce femminile.

“Pronto, parlo con l’Agente Speciale Riley Paige?”

In quel momento ricordò: Morgan non aveva pronunciato una sola parola per tutto il tempo in cui era stata a casa sua. Era parsa fin troppo terrorizzata dal marito persino per parlare.

Ma non sembrava affatto terrorizzata adesso.

In effetti, sembrava piuttosto felice.

E’ soltanto una telefonata di cortesia? si chiese.

“Sì, sono Riley Paige” rispose.

“Beh, ho soltanto pensato di doverle fare una chiamata. E’ stata molto gentile con me quel giorno quando è venuta a casa nostra, e mi ha lasciato il suo bigliettino da visita, e sembrava molto preoccupata per me. Volevo soltanto informarla che non deve già farlo. Tutto andrà bene adesso.”

Riley respirò più facilmente.

“Mi fa piacere saperlo” disse. “Lo ha lasciato? Otterrà il divorzio?”

“No” Morgan rispose allegramente. “Ho ucciso il bastardo.”

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