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Un Trono per due Sorelle

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Из серии: Un Trono per due Sorelle #1
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CAPITOLO NOVE

Sofia si ridiresse verso il palazzo, cercando di apparire più sicura di quanto si sentisse. Da quello che aveva visto delle ragazze nobili lì attorno fino a quel momento, non ammettevano mai un singolo momento di incertezza.

Era di aiuto il vedere le folle che iniziavano a formarsi, girovagando nel castello insieme all’ammasso del resto della gente. Colse alcune delle occhiate che le lanciavano, e per uno o due momenti si preoccupò che la vedessero al di là del suo travestimento. Quando una donna più anziana le si avvicinò, Sofia fu certa che l’avrebbero smascherata e l’avrebbero rimandata all’orfanotrofio. Il suo talento la rassicurò un poco.

Chi è? Deve essere nuova. Avremmo notato di certo una ragazza così bella, ne sono sicura. Mi ricorda un po’ come ero io a quell’età. Sono sicura che ne parleranno.

“Benvenuta,” disse la donna offrendole la mano. “Sono Lady Olive Casterston.”

“Sofia… di Meinhalt,” disse Sofia prendendo la mano della donna e ricordando in tempo sia la sua nuova voce che il suo nome. “Sono molto lieta di fare la sua conoscenza.”

Oh, dagli Stati dei Mercanti. Non c’è da meravigliarsi che non ne abbia sentito parlare. Suppongo questo spieghi il modo in cui mi ha preso la mano senza alcuna cortesia.

Sofia dispiegò maggiormente i suoi talenti mentre parlava, leggendo quello che poteva dalla mente della donna. Non sembrava sospettosa. Se non altro appariva determinata ad essere amichevole. Chiacchierarono di nullità, e Sofia colse quel momento per poter dare ascolto alla stanza.

“Mi perdoni se le mie abitudini non son quelle cui siete avvezzi,” disse Sofia. “Le cose sono… molto diverse qui, penso.”

“Spero non troppo diverse,” disse Lady Olive. “Ma immagino, con la guerra… oh, poverina. Sei rimasta coinvolta in tutte quelle cose? Vieni, vieni con me. Ti presento a delle persone. Sir Jeffrey, questa è Sofia di Meinhalt, deve assolutamente conoscerla.”

Così, molto semplicemente, Sofia si trovò a fare la conoscenza di una schiera di persone tanto velocemente che le fu impossibile ricordare chi fosse chi. Lady Olive rimase con lei per le prime presentazioni, descrivendo il quadro di una ragazza che fuggiva dalle guerre sul continente, il che significava che Sofia non dovette mai raccontare in prima persona la bugia… ma solo lasciare che le persone pensassero quello che volevano.

Sapeva quello che stavano pensando, ovviamente, e i suoi poteri erano l’unica ragione per cui riusciva a stare a galla in quel mare di gente che stava incontrando. Le permettevano di avere degli accenni di ciò che quella gente si aspettava, e di cogliere frammenti di informazioni che permettessero loro di pensare che lei avesse almeno sentito notizie sulla politica di Ashton.

Lasciò che quella marea di persone che doveva conoscere la trasportasse alla sala da ballo, e lì Sofia dovette contrastare l’urgenza di sussultare davanti al puro spettacolo che si trovò davanti.

“Va tutto bene, cara?” chiese un ufficiale in pensione, chiaramente sperando di avere una possibilità di essere galante. Ovviamente Sofia non era riuscita a mascherare alla perfezione il suo stupore.

Come avrebbe potuto, ad ogni modo? Ogni parete della sala da ballo era ricoperta da specchi circondati da cornici dorate. Il pavimento era un capolavoro di legno intarsiato che formava una mappa del mondo conosciuto che conteneva anche alcune delle terre scoperte oltreoceano. C’erano candelabri al soffitto che sembravano avere mille candele, mentre un trio di musicisti vestiti con abiti dorati occupavano un piccolo spazio di lato. Alle pareti non c’era spazio per dipinti, ma gli architetti avevano sopperito a quella mancanza con un affresco in stile moderno, che faceva apparire la sala da ballo come fosse aperta su una sorta i paesaggio bucolico.

“Signorina?”

“Sì, tutto bene,” lo rassicurò Sofia. “Solo che non pensavo che avrei mai visto… di nuovo un’occasione come questa.” Sofia di Meinhalt di sicuro doveva aver partecipato a cose del genere prima d’ora. “Ma la ringrazio per aver chiesto.”

Non c’era ancora nessuno che danzava. Invece i presenti mangiavano uova di quaglia e mele affogate nel vino, bevevano delicati vini da calici o li prendevano da quella che sembrava una piccola fontana in un angolo, che faceva fluire il rosso beveraggio.

La maggior parte di loro però parevano intenti a trovare posto come la gente al mercato quando cerca gli affari migliori, o come eserciti che cercano di prendere il terreno migliore. Forse tutte e due le cose, dato che sembravano esserci per certo un po’ di entrambe le varietà nella sala. I frammenti di pensiero che Sofia colse le resero chiaro che c’era ben più di un semplice ballo in corso.

Certamente non posso stare sotto di lui.

Come ha fatto il Conte di Charlke a permettersi la nuova casa di cui sta parlando??

Mia figlia troverà un marito questa sera? Ha quasi vent’anni!

Sofia si era immaginata un quadro di affari cortesi e maestosi, ma il baluginio dei pensieri di coloro che le stavano attorno le rendevano chiaro quanto stesse accadendo sotto la superficie. Sembrava che ogni gesto e ogni parola fossero una parte di un qualche grandioso gioco di posizione e avanzamento. Tutti i presenti sembravano essere lì perché volevano qualcosa, anche solo mostrare il potere e la posizione che già possedevano.

C’era della grazia in questo, però. Alcune delle ragazze presenti avevano un aspetto elegante come dei cigni con i loro costumi, mentre tutti parevano aver fatto del loro meglio con gli abiti e le maschere. Era il genere di occasione che in qualche altro luogo avrebbe reso tutti anonimi, ma qui serviva per mostrare il loro gusto e la loro abilità nel permettersi le cose più raffinate.

O rubarle, nel caso di Sofia.

Passeggiava per la stanza con passi delicati, ascoltando sia i pettegolezzi che i nobili si scambiavano tra loro che gli strati più profondi sotto a questo, resi solo dai pensieri che avevano nella mente. Sentì voci che raccontavano quali uomini e donne avessero perso a carte o nelle scommesse con i cavalli, insieme a preoccupazioni più profonde da parte di coloro che sospettavano di non riuscire questa volta a pagare i loro debiti. Udì storie di relazioni e infedeltà, e il suo talento le permise di distinguere quelle che erano vere da quelle che venivano diffuse deliberatamente per causare guai.

Forse, se lei fosse stata una persona di tipo diverso, avrebbe potuto tentare di fare fortuna sfruttando quei segreti. Ma non era quello che voleva. Lei desiderava essere felice, non odiata. Voleva essere parte di quel luogo, non un predatore agli angoli. Voleva essere più che semplicemente il dono che possedeva.

Questo significava trovare un modo più permanente di collegarsi a quella corte. Significava trovare un marito. Sofia deglutì al pensiero. Era un grosso impegno, e messo in quel modo, sembrava incredibilmente mercenario. Ma era poi tanto peggio dei nobili là attorno che tentavano di creare buoni matrimoni tra i loro figli?

Era certamente meglio che essere vincolati, qualsiasi cosa accadesse.

E in un certo senso Sofia aveva un vantaggio sugli altri: poteva almeno vedere che genere di persone erano veramente gli uomini là attorno. Poteva guardare a fondo in loro e vedere che l’uomo dritto ed eretto alla sua sinistra aveva in sé una sfumatura di crudeltà, o scorgere il giovane che pensava alla cortigiana che avrebbe visitato nuovamente quella notte.

Sofia si guardava attorno nella stanza, sentiva gli occhi addosso a sé, percepiva le speranze di alcuni uomini che guardavano verso di lei. Alcuni sembravano dei predatori, come lupi che accerchiano un cerbiatto. Altri chiaramente intendevano usarla per poi scaricarla.

C’era un giovane con indosso una maschera da sole e un vestito di stoffa dorata che servivano solo a enfatizzare le linee belle e affascinanti dei suoi tratti. Si trovava in mezzo a un gruppo di arrampicatori sociali e Sofia capì ancor prima di guardare nei loro pensieri che si trattava di Rupert, il figlio primogenito della vedova, ed erede del regno.

Un’occhiata ai suoi pensieri fece distogliere lo sguardo di Sofia. Per lui non era altro che un pezzo di carne. Peggio ancora: sotto quella facciata scherzosa c’era pure un tocco di violenza. Sofia aveva sentito dire che il Principe Rupert era un bravo soldato che amava allenarsi insieme agli altri nobili ufficiali. Ma c’era dell’altro, e bastò a rendere Sofia certa di non volerglisi neanche avvicinare.

Iniziò a concentrarsi sulla ricerca del nobiluomo che Cora le aveva raccomandato: Phillipe van Anter. Ma cercare di cogliere una specifica persona tra una folla mascherata era difficile, anche con un talento come il suo. Guardò un giovane uomo con i capelli rossi come i suoi. No, non era lui. E non era neanche l’uomo con il costume da arlecchino, né quello che pensava che la sua uniforme militare fosse un ottimo costume.

Si girò e rimase paralizzata vedendo un giovane ai lati della folla. Era vestito con abiti costosi, con un costume che sembrava evocare l’acqua che scorre e la mutevolezza del tempo del regno dell’isola. Indossava una tunica grigia e argentata su un completo di camicia e pantaloni blu, con stivali leggermente decorati con gioielli che in qualche modo riusciva ad apparire elegante piuttosto che esagerato.

La maschera gli nascondeva metà del volto, ma lo stesso Sofia poteva vedere quanto fosse bello. Non aveva i tratti duri di alcuni dei soldati presenti nella sala, ma appariva comunque forte e atletico.

Non era uno di quelli che la guardavano in modo lascivo, e non lo faceva neanche con le altre donne nella stanza. Sofia non colse in lui nessun senso di violenza come le era accaduto con il Principe Rupert, né percepì alcuno dei problemi che aveva visto in così tanti pensieri tra i presenti. C’era qualcosa di tranquillo in lui, quasi pacifico.

 

Ma non era così che Sofia si sentiva. Sentì il proprio respiro accelerare vedendolo, e i suoi occhi si fissarono su di lui mentre si muoveva nella stanza. Fu solo quando un uomo si chinò davanti a lui che lei colse l’unica cosa di cui non si era accorta: quello era il Principe Sebastian, il figlio più giovane della vedova. Non quello che avrebbe mai ereditato, ma pur sempre molti più di quanto Sofia avrebbe potuto sperare.

Sofia fece per distogliere lo sguardo, ma si trovò nuovamente con gli occhi fissi su di lui, come incapace di evitarlo. Mentre gli si avvicinava trovò Lady Angelica e le sue amiche, e anche se non fosse stata capace di leggere i loro pensieri, Sofia avrebbe comunque visto le occhiate bramose che la nobildonna lanciava al principe.

Quando le lesse i pensieri, Sofia rimase pietrificata.

Un bicchiere e avrà presto abbastanza sonno.

Sofia andò verso la ragazza attraverso la folla ronzante. La vide toccare una borsetta che teneva alla vita.

Spero solo che il medico non mi abbia imbrogliata. Se non funziona abbastanza rapidamente, non sarò mai io quella che finisce nel suo letto.

Sofia poté indovinare il suo piano. Angelica aveva programmato di dare al Principe Sebastian una sorta di sedativo, e poi di uscire dalla sala al suo braccio. Lo avrebbe imbrogliato portandolo a letto con sé, noncurante dei suoi desideri.

Quando sarò incinta dovrà sposarmi.

Quel pensiero intercettato spinse Sofia oltre il limite. Doveva fermare questa storia. Si portò rapidamente vicina all’altra ragazza, usando il suo talento nel modo che l’aveva utilizzato per rubare nelle strade, osservando il momento in cui l’attenzione di Angelica fosse per un momento fallace, e poi allungo una mano con noncuranza, come a sventolare un ventaglio, per rubare la borsetta dalla sua cintura.

Sofia avrebbe potuto gettare via il sedativo, ma in quel momento sentiva che la nobildonna meritava più di questo, se non altro per come si era comportata con Cora. Sofia prese un bicchiere di vino e vi aggiunse tranquillamente della polvere, mescolandola alla bevanda. Si riportò vicino ad Angelica e guardò il momento in cui posò il suo vino per un momento su uno dei tavolini che c’erano nella stanza.

Fu questione di pochi secondi, ma Sofia stava aspettando proprio questo, e le fu quindi possibile scambiare con facilità il vino. Si allontanò sorseggiando il vino di Angelica mentre la giovane nobildonna beveva da quello che Sofia le aveva inquinato.

Ci volle un po’ per vederne gli effetti. Per un minuto o due, infatti, Sofia non fu certa di essere riuscita a combinarla. Poi vide Angelica barcollare leggermente, rifiutando in malo modo il tentativo di una delle sue amiche di aiutarla.

Cosa sta succedendo? Ho fatto qualche errore?

Sofia la vide portare le mani alla cintura, alla ricerca della sua borsetta. In quel momento Angelica inciampò, e questa volta una delle sue amichette la prese al volo. Parve volersi ribellare, o discutere, ma tutto il gruppo la portò rapidamente fuori dalla sala, presumibilmente alla ricerca di un posto dove farla coricare.

Sofia sorrise tra sé e sé al pensiero che l’altra ragazza avesse ottenuto ciò che si meritava. Guardò poi verso Sebastian.

Ora veniva la parte che lei si meritava.

Perché la verità era che non c’era nessun altro nella stanza: aveva occhi solo per lui.

CAPITOLO DIECI

Kate si sentiva peggio di quando era salita sulla barca. Tremava mentre camminava per la città, la luce calante che non era per nulla sufficiente ad asciugare i vestiti fradici che indossava.

Era anche affamata, così affamata che stava già pensando a rubare per riempire il suo stomaco brontolante. Si trovò a fissare ogni negozio e bancarella attorno a lei, cercando un’opportunità, ma non vedeva ancora alcuna occasione, neanche con il suo talento che le consentiva di accorgersi quando c’era via libera.

Si trovò quasi a desiderare di essere di nuovo all’orfanotrofio, ma era un desiderio stupido. Ancor prima di scappare, era stato un posto peggiore di quello. Almeno nelle strade non c’erano suore che la picchiavano per i suoi errori, né interminabili ore di lavoro attorno a faccende sconclusionate per evitare il peccato della pigrizia.

Ma era molto simile, e Kate si trovò a sperare che sua sorella stessa meglio di così. I suoi tentativi di trovare una connessione con Sofia non stavano funzionando. Oppure la sorella era occupata con qualcosa che richiedeva tutta la sua attenzione e non poteva risponderle. Cercò anche di contattare ancora Emeline. Di nuovo, nessuna risposta.

Kate continuò a camminare.

Non era certa di dove si trovava in città adesso, ma dall’aspetto del luogo di certo non era finite in qualche quartiere nobile. Immaginava che in quei posti i ciottoli sarebbero stati luccicanti come marmo invece che pezzi rotti di mattone e granito ricoperti da sterco di cavallo. Le case attorno a lei sembravano più povere addirittura di quelle attorno alla Casa degli Indesiderati, e dall’interno Kate poteva sentire di tanto in tanto provenire grida, litigi e risate.

Passò vicino a una locanda, dove la luce di una candela all’interno illuminava garzoni e operati che bevevano. Le parole di una canzone sconcia arrivarono fino alla strada, e nonostante tutto Kate si trovò ad arrossire. Uno degli uomini le lanciò un’occhiata, e Kate si affrettò ad andare oltre.

Alla luce del giorno Ashton era stata un vorticante via vai di traffico attorno. All’avvicinarsi del buio quell’angolo sembrava molto meno amichevole. In un vicolo lì vicino Kate fu sicura di udire suoni di violenza. Passando vicino a un altro notò un uomo e una donna schiacciati contro un muro insieme, e distolse lo sguardo.

Sapeva di doversi scaldare. Alla luce del giorno avrebbe potuto stare abbastanza calda da asciugarsi semplicemente andando in giro, ma di notte, con la luna che illuminava con il suo bagliore soffuso e il vento che la sferzava quando non riusciva a stare abbastanza vicina a uno dei muri?

Sarebbe morta di freddo se non avesse trovato un fuoco.

C’erano fuochi in tutta la città, dentro a caminetti e graticole. I caminetti delle case attorno a lei fumavano contro il cielo della notte mentre gli inquilini all’interno cucinavano e si tenevano al calduccio. Però lei non poteva entrare così in una di quelle case.

Poteva tentare una locanda, ma le locande costavano soldi, e se fosse rimasta lì in giro Kate non aveva dubbio che qualcuno avrebbe voluto sapere cosa stesse facendo. Quindi continuò a camminare, guardando bramosa le locande lì vicino e tentando di ignorare i rumori dei più pericolosi abitanti mentre si dedicavano ai loro affari notturni.

Alla fine Kate ebbe la sensazione di non poter più andare avanti. Alla locanda successiva cui giunse, scivolò nel cortile che richiudeva. Poteva non essere in grado di pagare per un stanza, ma questa aveva una stalla, e sarebbe potuta stare al caldo tra i cavalli se fosse stata attenta. Di sicuro c’erano stallieri in giro, e i proprietari dei cavalli sarebbero arrivati la mattina per prenderli. Per adesso Kate non riusciva però a cogliere nessun pensiero di persone che intendessero avvicinarsi.

C’erano tre cavalli nella scuderia. Uno era uno stallone nero, dall’aspetto grande e aggressivo. Un altro era un docile pony bianco che appariva fin troppo minuto e trascurato. Il terzo era una giumenta saura che nitrì quando Kate si avvicinò, scivolando nella sua posta per rannicchiarsi tra la paglia. Kate prese una coperta che era avvolta attorno al cavallo, e l’animale non parve curarsene quando lei se l’avvolse attorno.

Non era molto, ma sempre meglio che andarsene in giro per le strade cercando di asciugarsi all’aria. Non tentò di dormire, perché non voleva rischiare che qualcuno entrasse di soppiatto mentre lei era assopita. Rimase semplicemente seduta lì mentre lentamente e gradualmente iniziava a scaldarsi un poco.

Iniziò anche a pensare. Aveva programmato di lasciare la città quando i ragazzi l’avevano trovata ed era stata costretta a scappare. Il piano era stato di rubare tutto quello che riusciva a trovare, da cibo ad armi, vestiti e… beh, un cavallo. C’era qualche motivo per cui non poteva ancora farlo?

Kate scivolò fino all’ingresso della scuderia, guardando fuori mentre allo stesso tempo dispiegava i suoi sensi. Non aveva illusioni su cosa le sarebbe successo se l’avessero presa a rubare qualcosa di costoso come un cavallo. Le sarebbe toccato il ferro per la marcatura almeno, o più probabilmente il cappio.

Ma in quel momento, quando l’alternativa era morire lentamente nella città, sembrava che valesse la pena rischiare.

Farlo sul serio era la parte difficile. Kate poté vedere alcuni dei finimenti dei cavalli disposti alla parete, e la giumenta saura rimase ferma mentre lei le metteva la copertina e la sella. Era ovviamente avvezza a gente sconosciuta che la preparava per il suo padrone. Trovò altri pezzi di bardatura, e alcuni ricordi delle lezioni all’orfanotrofio su come essere una brava servitrice le dissero cosa doveva fare e dove doveva metterli. Il resto Kate cercò di indovinarlo, e dato che la cavalla non si ribellava ai suoi sforzi, sospettò di aver fatto le cose per bene.

Aprì la porta della scuderia più piano che poté, e ogni scricchiolio o cigolio dei cardini le sembrò incredibilmente forte contro il silenzio della notte. Non osò montare a cavallo dalla scuderia, quindi condusse la cavalla all’esterno, passo dopo passo, fino a che raggiunse il cancello che portava alla strada.

“Ehi, tu! Cosa pensi di fare?”

Kate non esitò. Il suo montare in sella non fu aggraziato, ma perlomeno fu rapido. Piantò i talloni nei fianchi della cavalla a gridò al massimo della sua voce. Allo stesso tempo le trasmise, più potente che poté, l’urgenza della fuga.

Kate non sapeva quale di quelle azioni portò la giumenta a galoppare, ma in quel momento non aveva importanza. L’unica cosa che contava era che si trovava aggrappata alla cavallo mentre galoppava tra le strade di notte. C’erano delle grida alle sue spalle, ma presto svanirono in lontananza.

La vera difficoltà era tenersi in sella. Kate non aveva mai cavalcato prima d’ora. L’orfanotrofio dava per scontato che quelli che andavano a cavallo fossero esclusivamente coloro che compravano i servi vincolati. Di certo non lei, e di certo non così veloce.

Questo la portò a tenersi stretta al collo della cavalla senza neanche tentare di virare e lasciando che fosse lei a scegliere da che parte andare, sorpassando i carri e i pochi pedoni che c’erano in giro. Si tenne stretta fino a che la forza della giumenta iniziò a calare, poi tirò le redini per fermarla.

Riuscì a farla rallentare al passo e in quel momento tentò di orientarsi. Non sapeva esattamente dove si trovava in città, ma aveva un’idea di dove si trovasse il fiume, perché si era allontanata da lì poco tempo prima. Se continuava ad andare dalla parte opposta, alla fine sarebbe stata fuori dalla città.

Kate diresse la cavalla verso quella che sperava fosse la direzione giusta e continuò ad avanzare. Poteva anche non aver mai cavalcato prima d’ora, ma si trovò rapidamente nel ritmo, tenendosi con le gambe e continuando ad avanzare mentre la sua cavalcatura la portava oltre negozi e locande, bordelli e case di gioco.

Passò tra i varchi nelle vecchie mura. C’era stato un tempo in cui avrebbe dovuto attraversare un cancello chiuso, passando oltre a guardie che avrebbero voluto sapere dove si era procurata il cavallo. Quei giorni erano passati però, e i cancelli erano stati distrutti dai cannoni in una delle guerre civili. Ora Kate poté passarvi attraverso con facilità, passando alla grande calma che c’era fuori dalla città.

C’erano ancora delle grida da qualche parte dietro di lei, ma Kate dubitava che qualcuno avrebbe potuto prenderla adesso. Per esserne sicura, si mantenne fuori dalle strade principali, così che chiunque la stesse inseguendo dovesse cercarla. Questo significava passare tra file di edifici in legno, la maggior parte con i loro piccoli giardini coltivati per cercare di raccogliere del cibo in più.

Per la prima volta in vita sua Kate si sentì veramente libera. Poteva continuare ad andare, fino alla Vie Equestri con i loro campi aperti e i loro piccoli villaggi, e nessuno l’avrebbe fermata. Là fuori sarebbe riuscita a trovare quello di cui aveva bisogno, che fosse cibo, o armi, o solo la libertà di vivere della terra.

 

Fece un respiro profondo, resistendo all’urgenza di spingere la cavalla di nuovo al galoppo. Aveva già corso abbastanza per quella notte. Per ora voleva proseguire al passo che la saura poteva mantenere fino a mattina, quindi le permise di continuare il suo passo affrettato fuori dalle grinfie della città.

Quando arrivò alla bottega di un fabbro, Kate fermò ancora la sua giumenta. Era l’unico gruppo di edifici in pietra in mezzo a un mare di legno e mattoni da costruzione, così solido nell’aspetto che sembrava essere lì da sempre. C’erano esempi delle lavorazioni del proprietario nello spazio attorno, da cancelli in ferro battuto a falci che aspettavano di essere affilate, a barili colmi di aste di frecce che aspettavano solo che le loro punte vi fossero fissate.

Furono quelle ad attirare l’attenzione di Kate. Se c’erano delle punte di frecce, allora ci potevano essere altre cose che vi andassero insieme. Potevano esserci archi corti da cacci che aspettavano solo quel genere di metallo elaborato che certa gente amava. Potevano esserci coltelli. Potevano esserci anche delle spade.

Kate sapeva di dover andare avanti. Sarebbe stato più sicuro non rischiare altri furti fino a che non si fosse trovata lontana dalla città. La stessa cavalla era stata un rischio enorme. Eppure era un rischio che le aveva dato un grosso vantaggio, o no?

E forse era molto meglio fare tutto adesso in un colpo unico. La gente le stava già dando la caccia, quindi forse era meglio correre tutti i suoi rischi questa notte, piuttosto che rischiare di rovinare le cose una volta che si trovava in aperta campagna. In qualche modo Kate aveva la sensazione che fosse meglio lasciarsi tutti i suoi piccoli crimini alle spalle in città, una volta lasciata Ashton. Quella era sempre parte della vita cui voleva voltare le spalle: non voleva rovinare la sua nuova vita facendosi dei nemici nei villaggi che si trovavano lungo le Vie Equestri o nelle Contee al di là.

Prese la decisione: Kate fermò la cavalla vicino alla recinzione attorno al negozio del fabbro. Saltò oltre la recinzione e subito ebbe la sensazione di aver fatto qualcosa di irreversibile. Strisciò verso la bottega del fabbro, tenendosi bassa.

C’erano tre edifici. Uno era chiaramente il negozio principale, un altro sembrava dover essere la casa dell’artigiano, mentre il terzo era probabilmente una qualche sorta di magazzino e laboratorio. Fu verso quello che Kate scivolò nel buio, sulla base del fatto che probabilmente poteva non essere chiuso a chiava, e che probabilmente conteneva le armi.

In effetti, quando Kate guardò all’interno attraverso una delle finestrelle, poté vedere barili con else di spade e archi che vi facevano capolino, mescolati a pezzi ornamentali e lunghi chiodi che servivano per la costruzione di barche.

Ora le serviva solo un modo per entrare. Kate fece il giro verso la porta, ma c’era un grosso lucchetto in ferro battuto e la maniglia non si muoveva neanche se provava. Tornò verso la finestra e osservò il vetro piombato. Ci sarebbe passata? Forse era stretta, ma Kate pensò di potercela fare.

Avrebbe dovuto rompere la finestra per farlo, ma con tutti gli oggetti sparpagliati nel cortile, la cosa si presentava semplice. Raccolse un ferro attorcigliato che serviva da sbarra per una ringhiera e lo fece roteare.

Il rumore di vetro rotto risuonò forte nel silenzio e Kate trattenne il fiato, ascoltando per cogliere eventuali movimenti. Non sentendo nulla, tolse il resto del vetro e si spinse attraverso la finestra.

Cercò tra i barili. Non sapeva tanto quanto avrebbe voluto sulle armi, ma poteva vedere che alcune delle creazioni erano meglio di altre. C’erano delle spade che sembravano leggere e scattanti, mentre altre apparivano come copie più a buon mercato. Addirittura alcune delle spade con le else più elaborate avevano delle lame prive di corpo, e con un luccichio opaco contro il metallo ben disegnato di altre.

Li stesso poteva dirsi degli archi. Alcuni erano in legno di tasso e cenere, mentre altri sembravano essere composti da molti strati di legname e corno, legati insieme con del metallo. Kate prese il migliore che poté trovare. Se doveva fare questa cosa, doveva farla per bene. Non c’era modo di saltare ancora fuori dalla finestra con tutte quelle cose addosso, quindi le spinse fuori prima, poi passò lei stessa e balzò a terra, nel buio.

Una mano le si serrò sulla spalla, tanto grande e forte che Kate non ebbe alcuna possibilità di fuga. Si girò, cercando di liberarsi, ma delle forti braccia le si avvolsero attorno.

Kate deglutì, sapendo che era finita.

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