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Un Trono per due Sorelle

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Из серии: Un Trono per due Sorelle #1
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CAPITOLO DICIOTTO

Kate poteva sentire l’eccitazione che cresceva in lei mentre camminava insieme a Will verso la periferia di Ashton. Lì le case lasciavano posto a spazi più aperti, e Kate poté vedere la vegetazione delle Vie Equestri al di là, piatta, aperta e libera.

Un giorno sarebbe andata in quello spazio aperto, ma non questa mattina. Questa mattina Kate era più interessata al punto ai limiti della città dove sventolavano le bandiere grigie e blu del regimento di Will.

“Sei sicura di voler andare a vedere la mia compagnia?” chiese Will. Sembrava sorpreso dal pensiero che Kate potesse trovare interessante una cosa del genere. “Ci sono cento altre cose che potremmo fare oggi.”

Kate scorse dei barlumi dei suoi pensieri. Potevano andare dal teatro a una passeggiata nel verde vicino alla città. Potevano andare a mangiare qualcosa insieme in una delle taverne o girovagare qua e là dove Will sapeva esserci un violinista che suonava e dove la gente poteva ballare. Sembrava tutto interessante, ma non era quello che Kate voleva.

“Voglio vedere com’è,” gli disse. “Come posso fare le armi migliori se non so niente del genere di gente che poi dovrebbe usarle?”

Era un buon argomento, ma non era la completa verità. La verità era che c’era qualcosa nel pensiero di una delle compagnie libere lì presenti che solleticava Kate riempiendola di curiosità. Quelli erano uomini che giravano il mondo, combattendo contro nemici e visitando posto esotici. Voleva sapere tutto di loro. Voleva vederlo con i suoi occhi.

Lo stesso Will sembrava un po’ nervoso man mano che si avvicinavano, e Kate poteva vedere quanto fosse preoccupato da ciò che poteva succedere una volta arrivati lì, e di come gli altri membri del regimento potessero reagire a Kate. Kate era determinata a fare in modo che questo non avesse alcun effetto su di lei. Era una cosa che voleva.

Alla fine raggiunsero il punto dove il regimento era accampato, tende disposte in un quadrato ordinate per i membri che non avevano famigliari nella città presso i quali poter alloggiare, o di cui non ci si fidava tornassero se si fossero allontanati. Kate pensava che si trattasse anche dell’intento di tenere parte dei soldati ai confini della città, dove non potessero combinare troppi danni.

C’erano degli uomini, che si allenavano e lavoravano, che sedevano al caldo del giorno o che giovavano d’azzardo tra loro. Kate vide delle giovani reclute con l’uniforme addosso che imparavano a stare in formazione mentre un sergente gridava loro degli ordini. C’erano uomini più esperti che lavoravano ai combattimenti con la spada o l’arco, i moschetti o corpo a corpo.

C’era una certa tensione in tutto questo. Kate si trovò a pensare alle preoccupazioni riguardo la possibilità di una guerra, di uomini che si allenavano più duramente perché volevano essere pronti in caso dell’arrivo della violenza. Due uomini che si allenavano con lame smussate sembravano colpirsi procurandosi a vicenda dei lividi per la durezza dei loro sforzi.

“So che non è molto,” disse Will, “ed è tutto un po’ grezzo al momento, ma…”

“È perfetto,” disse Kate.

Iniziò ad attraversare il campo, gravitando verso la tenda dei rifornimenti dove si trovavano spade e picche, balestre e archibugi, tutti ordinatamente disposti sulle rastrelliere. Munizioni per sparare si trovavano vicine a pietre per affilare coltelli e alabarde. Un quartiermastro dalla testa rasata le lanciò un’occhiata sospettosa fino a che non vide che Will era con lei, poi la lasciò andare tra le armi ad ammirare quel lavoro.

“Stai cercando difetti nelle lame,” le chiese, anche se era ovvio che non credeva che Kate avesse anche solo la minima idea di come iniziare.

“Beh, i contorni di quei coltelli potrebbero essere rifiniti meglio,” disse Kate, “e penso che l’ascia si sia deformata durante il raffreddamento.”

Ora il quartiermastro la guardava con un livello di sorpresa che Kate trovò un po’ offensivo.

“Kate sta imparando da mio padre, ora che io sono andato via,” disse Will.

“Perché non dovrei essere esperta di spade?” chiese Kate.

Continuò a camminare attorno al campo, osservando tutto quello che vi accadeva, dall’entusiasmo delle matricole che imparavano le abilità dell’essere soldato ai movimenti attenti e risparmia-energia dei veterani.

In quel momento Kate capì che questo era ancora più vicino a quello che voleva rispetto alla vita alla forgia. Nella forgia avrebbe fatto armi imparando nozioni su di esse, ma questi uomini imparavano a usarle. Avevano vite in cui viaggiavano e combattevano, lavoravano insieme e stavano alla larga dalla mondanità della città.

E poi, se c’era una via che potesse portare Kate più vicina alla vendetta, questa era quella giusta.

“Vorresti tirare di spada?” chiese Kate a Will, prendendo due delle lame di legno per gli allenamenti. Erano più pesanti di quella che lei aveva progettato, e l’elsa di legno era ruvida in mano.

“Sei sicura?” le chiese.

Per tutta risposta, Kate gliene lanciò una. Will la prese, mettendosi subito in guardia. Kate lo imitò. La colpì lentamente, e lei deviò il colpo, attaccando a sua volta. Andarono avanti e indietro, e a Kate parve di cogliere pian piano il ritmo, deviando i colpi che le venivano troppo vicini, e tirando a sua volta per far parare Will. Le spade erano pesanti, ma Kate riusciva a tenere la sua a seconda degli attacchi che le arrivavano.

“Stai cercando di prepararla per entrare nella compagnia, Will?” chiese un uomo più anziano. “O cerchi solo di fare colpo su di lei?”

Kate fece un passo indietro, chiedendosi cosa potesse significare. Lei e Will potevano andare in giro insieme, combattendo uno accanto all’altro, viaggiando in posti di cui Kate neanche aveva sentito parlare.

“Magari vorrei arruolarmi,” disse Kate, mettendosi le mani sui fianchi.

Il veterano rise come se quella fosse la migliore barzelletta del giorno.

“Vuoi arruolarti? Oh, questa è bella. Avresti dovuto portarla prima, Will. Fa sempre comodo una bella risata.”

Kate poté sentire la mano che si stringeva attorno all’elsa della sua spada di legno.

“Parlo seriamente,” rispose seccamente.

“Avete sentito, ragazzi?” gridò il veterano, e di nuovo sembrò che stesse ripetendo a memoria una bella barzelletta. “Parla seriamente. Vuole arruolarsi con gli uomini di Lord Cranston!”

Questo generò più risate attorno al campo, e ora un piccolo cerchio di uomini iniziò a formarsi attorno a Kate e Will. Avevano ovviamente deciso che lì c’era da divertirsi.

Kate poteva sentire quanto preoccupato fosse Will per tutto questo. In quel momento lui avrebbe voluto andarsene. Voleva riportare Kate alla forgia prima che le potesse succedere qualcosa. Kate invece rimase lì, di fronte a tutti.

“Perché non dovrei arruolarmi?” chiese. “Se siete tutti così preoccupati che la guerra possa essere in arrivo, non avete bisogno di chiunque possiate raccogliere?”

“Di ogni uomo che possiamo raccogliere,” disse il veterano. “I regimenti non sono luogo per le ragazze. Soprattutto non per quelle che non sono quasi neanche grandi abbastanza da staccarsi dalla mamma.”

Kate sentì la propria espressione che si faceva più dura mentre la rabbia saliva. “Chiudi il becco. Non sai niente di mia madre.”

Vide il veterano scrollare le spalle. “Ah davvero? Intendi andartene in giro a ballare con la tua spada di legno come se avessi una minima idea di quello che stai facendo? Will stava facendo il morbido con te, ragazzina. Vuoi sapere com’è un combattimento vero?”

Kate sentiva che ora si stava davvero arrabbiando. “So com’è un vero combattimento.”

Questo procurò un’altra risata tra gli uomini lì riuniti, e c’era una sorta di crudeltà in essa. Kate colse pensieri di battaglie, di momenti in cui degli uomini li avevano attaccati con delle spade. Non la stavano prendendo sul serio. Anche Will sembrava più che altro intenzionato a portare Kate fuori di lì, piuttosto che appoggiarla.

“Non penso che tu lo sappia,” disse il veterano. Fece un cenno verso una delle reclute più giovani, un ragazzo che aveva più grasso che muscoli, ma che era lo stesso più grande di Kate. “Tu, vieni qui con una spada da allenamento. Fai vedere alla ragazzina perché non è tagliata per la guerra.”

Il ragazzo si fece avanti, apparentemente nervoso mentre prendeva una spada di legno. Lo stesso si portò davanti a Kate, sistemando la presa mentre sollevava la sua arma, come a tentare di ricordare ciò che stava facendo.

“Non è una buona idea,” disse Will. “Perché non…”

“Sei stato tu a portarla qui,” disse seccamente il veterano. “Ora ricorda qual è il tuo posto in questa compagnia e levati dai piedi. Se la ragazza vuole combattere, può combattere.”

Kate mise una mano sulla spalla di Will. “Va tutto bene, Will.”

Si fece avanti per affrontare il suo avversario, sollevando la sua spada come aveva fatto quando si stava allenando con Will. Gli uomini attorno a lei ridevano, o scherzavano tra loro, o facevano scommesse su quanto esattamente sarebbe durata.

“Il combattimento continua fino a che uno di voi non si arrende,” disse il veterano. “Vuoi essere una di noi, ragazza? Devi mostrarci che non sei debole. Inizia!”

I suoi poteri le diedero un sacco di avvertimenti sul primo paio di attacchi, permettendole di schivare e lasciandoli a fendere solo l’aria. Ma i suoi poteri non erano una guida perfetta, e Kate doveva sempre affidarsi ai suoi riflessi e alle sue razioni, parando d’istinto, cercando di mettere la sua spada nel mezzo.

 

Quando lo fece l’impatto riverberò lungo tutto il braccio. La matricola che stava affrontando poteva avere peso da perdere, ma colpiva comunque con tutto il potere che la sua stazza gli dava. La spada di Kate tremava a ogni colpo, e sapeva che questo ragazzo voleva farle del male. Voleva provare agli uomini presenti che era uno di loro, che aveva la stessa durezza, la stessa spietatezza. Kate cedeva sotto agli attacchi.

In quel momento poté vedere quanto Will si fosse trattenuto quando si erano esercitati prima. Non c’erano stati quegli impatti inarrestabili, né quel livello di aggressività dietro ai colpi. Nonostante tutto Kate strinse i denti e cercò di controbattere. Immaginava di avere per lo meno una velocità maggiore rispetto al ragazzo, anche se il peso della spada la impacciava.

Kate fendeva e colpiva, ma i suoi colpi venivano bloccati con violenza pari a quella degli attacchi precedenti. Kate fece un passo indietro, cercando di pensare, ragionando se fosse possibile riuscire a fare una finta oltre le parate del ragazzo, o magari scivolare dietro di lui sfruttando la propria taglia più piccola e l’agilità che le apparteneva.

“Non startene lì!” gridò il veterano. “Attaccala! Serrale addosso!”

Kate avrebbe voluto lamentarsi che il ragazzo ricevesse delle istruzioni da bordo campo, ma non c’era tempo per questo. Il giovane la attaccò, pressante, spingendo la propria lama contro la sua. Allo stesso modo non c’era spazio perché Kate potesse usare la sua velocità, mentre lui invece poteva utilizzare tutta la sua stazza e forza.

Diede un colpo con l’elsa della spada di legno e prese Kate alla mandibola. Lei sentì lo schiocco del legno che sbatteva contro l’osso con un tonfo secco, e per un momento il mondo sembrò ruotare. Il ragazzo la colpì un’altra volta, e lei cadde piegando un ginocchio a terra.

“Non ti fermare,” esclamò il veterano. “Se un avversario è a terra, devi finirlo!”

Kate cercò di sollevare la spada per bloccare il colpo successivo, ma l’impatto fu sufficiente a farle cadere questa volta l’arma di mano, facendola roteare e cadere nell’erba fangosa. Il ragazzo la colpì una volta, poi ancora, con la lama di legno. Non si trattenne, come se un tale comportamento fosse prova di debolezza davanti agli altri. Invece il suo volto si fece rosso per lo sforzo, come se il fatto che Kate fosse ancora lì lo rendesse solo più arrabbiato.

Kate era già stata picchiata in vita sua. Sapeva che l’arte di questo era assorbire i colpi, mai mostrare dolore, ma accettare ciò che non si poteva cambiare. Ma non poteva cedere a questo. Si lanciò invece in avanti, cercando di bloccare il ragazzo e portare avanti il combattimento.

L’elsa della spada di legno la colpì ancora alla mandibola e lei cadde lunga distesa nell’erba. Il ragazzo calò la spada sulla sua spalla, poi sulla schiena, ovviamente determinato a non fermarsi fino a che non gliel’avessero detto.

A quel punto arrivò Will e gli strappò la spada di mano. Kate immaginò che avrebbe dovuto essergli grata, ma in quel momento la sentì solo come una dimostrazione di quanto poco abile fosse l’avversario che l’aveva picchiata. Will venne ad aiutarla ad alzarsi in piedi, ma Kate spinse via il suo aiuto, sforzandosi di mettersi in piedi da sola.

“Faccio da sola,” disse.

“Pare che sia tutto quello che puoi fare,” disse seccamente il veterano da bordo campo. “Will, porta questa ragazza fuori da questo campo. Non voglio rivederla mai più. L’unico posto per le donne nell’esercito è per fare le mogli o le puttane.”

Kate avrebbe voluto sputargli in faccia, ma sospettò che questo potesse solo guadagnarle un altro passamano, e in quel momento era già abbastanza gestire le botte appena subite. Questa volta, quando Will la prese sottobraccio, glielo permise.

“Andiamo,” le disse Will. “Dobbiamo uscire da qui prima che decidano di fare qualcosa di peggio.”

Kate annuì permettendogli di aiutarla a uscire dal campo di allenamento. Non si era mai sentita tanto umiliata come in quel momento. Aveva pensato di poter combattere, ma un ragazzo più grande era stato sufficiente a batterla. Avrebbe aggiunto il suo nome alla lista di quelli su cui voleva vendicarsi, ma quello era un altro problema.

Come poteva mai sperare di potersi vendicare se non sapeva neanche vincere un combattimento in un campo di allentamento? Come poteva farlo se era così debole, così indifesa?

CAPITOLO DICIANNOVE

Sofia si sentiva strana mentre scivolava fuori dalla zona del castello ed entrava in città. Una delle guardie le si portò accanto e lei si girò, fissando l’uomo senza sapere cosa volesse.

Il principe ci farà licenziare se permettiamo che le accada qualcosa.

“Mi state seguendo perché pensate che sia ciò che il principe Sebastian desidera?” chiese Sofia.

“Sì, mia signora,” disse la guardia.

Una parte di lei avrebbe voluto dirgli che non era quello che lei voleva, perché c’erano posti dove doveva andare oggi e che era meglio visitasse inosservata. Ma non lo fece, e non solo perché avrebbe destato sospetti che una nobildonna rifiutasse quel genere di protezione.

La verità era che Ashton era un posto pericoloso. Solo il pensiero di dovervi andare riempiva Sofia di un senso di paura per tutte le cose che potevano succedere. Aveva visto la parte più oscura della città nel breve tempo passato sulle strade, e peggio, sapeva che potevano esserci dei cacciatori sulle sue tracce.

“Molto bene,” disse Sofia, tentando di pensare a cos’avrebbe detto una nobildonna, “ma una parte di questa faccenda è… una materia delicata. Posso fidarmi della vostra riservatezza?”

“Assolutamente, mia signora. Volete che vi porti la borsa?”

Sofia strinse la sacca di pelle che si era fatta portare da un servitore. Il contenuto poteva cacciarla in problemi seri.

“No, grazie,” disse. “Ha a che vedere con un dono che riguarda Sebastian.” La bugia le venne facilmente alla mente. Era l’unico cosa a cui Sofia poteva pensare e che potesse assicurare che il principe non sentisse ogni dettaglio.

“Non saprà nulla da me,” promise la guardia.

Prima però doveva mandare un messaggio.

Kate? Puoi sentirmi?

Ovviamente non ottenne nessuna risposta. Era troppo chiedere ai suoi poteri di operare da una parte all’altra di una città con la stessa agilità che usualmente avevano se usati in una stanza. Lo stesso Sofia richiamò l’immagine di una delle piazze sotto al palazzo, sperando che sua sorella potesse riceverla ed essere capace di raggiungerla lì.

Era impossibile sapere se Kate avesse ricevuto il messaggio, quindi Sofia si predispose all’altro compito che aveva in città. Fece domande attorno alla piazza, essendo discreta, sollevando pensieri dove le serviva fino a che trovò quello che stava cercando. Era difficile farlo con la presenza della guardia a pochi passi da lei, ma a suo credito l’uomo non fece nessun commento né tentò di dissuaderla. Poteva vederne il motivo dai suoi pensieri.

I nobili fanno cose strane. Non sono affari che mi riguardano.

Quando arrivò al negozio del banco dei pegni, Sofia fece del suo meglio per fare la parte di una nobildonna nervosa. Non le servì recitare molto, ma le bastò pensare a cosa le sarebbe potuto succedere se avesse visto lì le persone sbagliate. Era pur sempre negativo che ci fosse la guardia vicino a lei a guardare ogni sua mossa.

“Aspettatemi qui,” ordinò Sofia, e poi entrò nel negozio.

All’interno un uomo con un abbigliamento costoso che era stato ovviamente rattoppato un sacco di volte la guardò sospettoso.

“Cosa posso fare per voi… mia signora?”

“È una questione delicata,” disse Sofia.

“La riservatezza è la mia parola d’ordine.”

“Mi trovo a corto di liquidità a seguito dell’ultimo ballo, e ovviamente non posso indossare sempre lo stesso vestito… sareste interessato a queste cose?”

Saltò fuori che lo era, anche se non per il loro vero valore. Lo stesso il piccolo gruzzolo di reali e scellini che le porse le parve una fortuna. Per la prima volta il suo furto di vestiti le apparve per quello che era, perché adesso Sofia poteva vedere esattamente quanto aveva portato via ad Angelica e alle altre.

Però aveva bisogno dei soldi se voleva ricoprire la parte della nobile Sofia di Meinhalt, e non poteva permettersi di tenere il vestito che l’avrebbe potuta far riconoscere un giorno. Era meglio stare al sicuro e sbarazzarsene.

Aveva appena concluso la transazione quando diede un’occhiata fuori dalla finestra del negozio e vide una figura familiare al limitare della folla. Sofia vide sua sorella come fosse pronta a scappare al primo accenno di guai.

Portare una guardia con sé per vedere Kate probabilmente non sarebbe stata una buona idea.

“C’è un’altra uscita da questo posto?” chiese Sofia.

“La mia signora è molto cauta sul farsi vedere,” disse il prestatore su pegno. “Non deve preoccuparsi. C’è un motivo per cui sono così vicino al quartiere dei nobili.”

La fece comunque uscire da una porta posteriore, e Sofia scivolò dietro al punto dove si trovava la guardia. Riuscì anche a comprare due torte d’anguilla e della birra mentre attraversava la piazza verso sua sorella. Si trovò a chiedersi come fossero andate le cose per Kate nell’ultimo paio di giorni, e a sperare che andasse tutto bene. Certamente sperava che le cose fossero meno complicate per sua sorella rispetto a come stavano andando per lei.

Nel momento in cui Sofia vide sua sorella camminare verso di lei nella piazza, nel momento in cui vide il volto di Kate, capì che le cose erano tutt’altro che semplici per lei.

Aveva dei lividi, e pareva che avesse un labbro rotto che iniziava appena a cicatrizzarsi. Una mano era bendata, come da una bruciatura, e si stava muovendo senza la sua consueta energia e forza. Sofia corse da lei e la abbracciò.

“Cosa ti è successo?” le chiese. “Stai bene?”

“Non è niente,” disse Kate, e Sofia poté vedere lo sguardo di determinazione che significava che Kate stava tentando di fare la coraggiosa.

Non puoi nascondermi le cose, le disse Sofia con il pensiero, che a quella distanza non era più un invio alla cieca da un capo all’altro della città. Cos’è successo?

“Ogni genere di cosa,” disse Kate. Prese una delle torte d’anguilla quando Sofia gliela porse. “È parte del motivo per cui sono potuta venire. Thomas mi ha lasciato libera dalla forgia dopo tutto questo.”

“È lui che ti ha fatto questo?” chiese Sofia. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare a qualcuno che aveva fatto del male a sua sorella a quel modo, ma si sarebbe inventata qualcosa.

“Cosa?” chiese Kate. “No! Questo… è imbarazzante. Ho cercato di farmi arruolare da una compagnia libera.”

“Hai cercato di entrare in un regimento?” chiese Sofia. “E ti hanno picchiata per questo? È da lì che vengono tutte queste ferite?”

“Non tutte,” ammise Kate. “La bruciatura me la sono procurata per disattenzione alla forgia. Oh, e alcuni mozzi di un barcone mi hanno gettata nel fiume quando stavo tentando di lasciare la città.”

Quella era l’ultima cosa che Sofia voleva sentire. Voleva che sua sorella fosse felice.

“Oh, Kate, perché non hai cercato di stare al sicuro? Fare la ragazza che ama starsene in biblioteca a leggere?”

“Lo sono, ricordi?” ribatté lei. “Ti ci ho portata.”

Sofia aveva dimenticato che la biblioteca era il primo posto dove erano andare a cercare salvezza. Sembrava una vita fa, anche se si trattava solo di qualche giorno.

“Ti piacerebbe un sacco la biblioteca nel palazzo,” disse Sofia. “Hanno più libri di quanti uno potrebbe sperare di leggere.”

“Dovresti essere contenta allora lì,” disse Kate. “Non posso credere che tu sia riuscita ad entrarci.”

“Non è stato facile,” la rassicurò Sofia. “Mi sono dovuta intrufolare nel mezzo di un ballo.”

Sofia iniziò a raccontarle tutta la storia, e vide sua sorella sgranare gli occhi per tutta risposta.

“Hai sedotto un principe?” chiese Kate con ovvia incredulità.

“Penso… che in un certo senso ci siamo sedotti a vicenda,” disse Sofia. Non voleva pensare che quello che c’era tra lei e Sebastian fosse il prodotto di una mera manipolazione di nobili perpetrata per avere più denaro. “È meraviglioso, Kate.”

“E stai probabilmente andando bene,” disse Kate, indicando i ricchi abiti che Sofia indossava.

“Sì, io…” Sofia esitò, poi scosse la testa. “Anche lì è pericoloso. Ci sono già persone che fanno domande, chiedendosi chi io sia. Magari non mi picchieranno, ma ci sono ragazze che… le ho fatte arrabbiare quando Sebastian ha scelto me. Non se ne dimenticheranno.”

 

Kate le mise una mano sul braccio. “Pare che dobbiamo stare entrambe attente. Sei certa che stai facendo la cosa giusta?”

“E tu?” ribatté Sofia. Non poteva permettere che Kate vedesse la verità. Che una parte di lei voleva andarsene da tutto questo prima che le cose andassero troppo storte. Aveva del denaro. Lei e Kate potevano salire su una barca e uscire dalla città. Eccetto che… non era certa di poter lasciare Sebastian così facilmente.

“Devo farlo,” disse Kate. “Questi lividi non sono nulla. “Imparerò a combattere. Andrò dove non dovrò affidarmi a nessuno.”

A Sofia sembrava che stesse cercando di convincere se stessa, ma non le disse nulla. Sapeva cosa significasse voler credere che le cose sarebbero andate a posto, anche se c’era così tanto che poteva andare storto.

“E,” aggiunse Kate, “c’è un ragazzo. Si chiama Will.”

Sua sorella ora pareva speranzosa. Sofia conosceva quel tono, perché l’aveva sentito nella sua stessa voce mentre parlava di Sebastian.

“Raccontami di Will,” le disse con un sorriso.

“È meraviglioso,” rispose Kate. “Era nel suo regimento che stavo andando, e…”

“E stavi cercando di fare colpo su di lui?” chiese Sofia.

Kate parve un poco imbarazzata. “Un po’.”

Sofia mise una mano sulla spalla di sua sorella. “Kate, non dovresti fare cose che ti portano a farti male.”

“Neanche tu,” ribatté Kate. “Pare che sia veramente pericoloso nel palazzo.” Esitò un momento. “Potremmo sempre scappare. Vieni con me adesso. Potremmo andare, lasciare la città e trovare un altro posto.”

Sofia avrebbe voluto poterlo fare. Non voleva nient’altro che prendersi cura di sua sorella e assicurarsi che non le accadesse più niente di male.

“Non posso,” disse invece, anche se le faceva male ammetterlo. “Devo farlo. Devo tornare.”

Kate la abbracciò. “Sei sicura?”

Sofia non era sicura, ma non poteva permettere a sua sorella di vederlo.

“Puoi contare su di me,” le disse invece. “Se ti sento chiamare, arriverò di corsa.”

“Anche io,” promise Kate. “Dove sei, dove vai, verrò se hai bisogno di me. Metterò a soqquadro il palazzo se necessario.”

Probabilmente l’avrebbe fatto, e il solo pensiero fece sorridere Sofia.

“Nel frattempo prendi questo,” disse Sofia, mettendole in mano la maggior parte delle monete che aveva ottenuto dalla vendita del vestito. “E, senti Kate? Magari tenta di passare più tempo in biblioteca che a farti picchiare?”

Vide sua sorella annuire.

“Magari lo farò,” disse Kate. “Magari sì.”

***

Kate si ridiresse attraverso la città, stando come al solito allerta per chiunque potesse volerle fare del male. Il combattimento ai campi d’allenamento le aveva insegnato che c’era sempre qualcuno che avrebbe tentato di farle del male. Ovunque andasse, ci sarebbe sempre stato qualcuno che voleva dar prova di essere più forte, o dimostrarle che lei non valeva niente.

Era stata quasi sul punto di chiedere a Sofia di tirarla fuori da tutto questo, aveva quasi chiesto alla sorella maggiore di proteggerla dal pericolo come se fosse una bambina indifesa. Se non fosse stata in grado di vedere quanto precarie fossero le cose anche per Sofia, Kate avrebbe anche potuto farlo.

O forse no. Non prima di aver imparato a combattere. Non prima di aver avuto la sua vendetta. Sua sorella era stata capace almeno di darle un indizio su come farlo.

Non era andata alla biblioteca da un centesimo dal giorno in cui lei e Sofia erano scappate dalla Casa degli Indesiderati. Anche ora, avvicinarsi alla vecchia struttura sembrava una mossa stupida, perché cosa avrebbe fatto se qualcuno stava guardando e aspettando solo che lei lo facesse? Kate poteva solo affidarsi al fatto che neanche le suore mascherate fossero così vendicative. Avevano altre ragazze da tormentare oltre a lei, dopotutto.

Sgattaiolò all’interno, e come al solito Geoffrey era lì al bancone esterno, lanciando quello che lui pensava essere uno sguardo severo su quelli che tentavano di entrare. Quando Kate si avvicinò, vide la sua sorpresa.

“Kate, non ti hanno presa. Io… sono contento. E mi spiace non aver osato nasconderti.”

Kate non gli disse che lo perdonava. Non aveva l’abitudine di perdonare la gente. Lo stesso gli fece un cenno di noncuranza, prendendo un centesimo dai soldi che Sofia le aveva appena dato.

“Voglio usare la biblioteca. Pensi di chiamare i guardiani mentre lo faccio?”

“No, certo che no. E tu non devi pagare. Almeno ti devo questo.”

Le doveva più di questo, ma per ora Kate era pronta a ignorarlo. C’erano cose che aveva bisogno di sapere, e Geoffrey aveva sempre una buona idea su dove trovare le cose nella caotica organizzazione della biblioteca da un centesimo.

“Dove posso trovare libri sui combattimenti, Geoffrey?” chiese Kate. “Ci sono dei libri al riguardo?”

Geoffrey allargò le braccia. “Ci sono. Abbiamo racconti su alcuni dei più grandi guerrieri del passato, e manuali sulle moderne tecniche di guerra con picche e moschetti. Ci sono anche un paio di libri scritti da maestri di spada che vengono dal continente.”

Kate iniziò da quelli, perché sembravano i più promettenti, ma in qualche modo furono anche i più deludenti che le capitò di leggere. Uno conteneva una striscia dopo l’altra di illustrazioni, ma non c’erano parole ad accompagnarle, e sembravano essere messe in un ordine totalmente causale. Un altro era scritto in una delle lingue che si parlavano oltre il Tagliacqua, e anche senza sapere le parole, Kate poté vedere che si trattava più di mostrare quante cose lo scrittore sapesse, piuttosto che spiegarle e insegnarle. Era un modo di proclamare la sua bravura, o forse di assicurarsi un posto come maestro di spada, non qualcosa di progettato per far apprendere.

Iniziò allora a leggere i libri che si concentravano sui racconti dei grandi guerrieri del passato: Renaud di Bevan, l’isolano McIlty. Kate vide subito fin dall’inizio che si trattava solo di raccolte di racconti popolari, e anche le parti che parlavano di come avevano ottenuto la loro grande forza non si avvicinavano a nulla che Kate potesse sperare di fare. Portare in spalla un vitello ogni giorno fino a che non fosse cresciuto del tutto? Lottare contro ogni uomo che incontrava fino a che tutti stavano alla larga da lei? Sembravano sistemi impossibili.

Il libro successivo non sembrava tanto meglio. Era uno strano volume sottile, che sembrava essere per metà un manuale sulla spada e per metà il racconto fantastico della vita di uno spadaccino di nome Argent. Inizialmente era apparso promettente, perché la sua opera affermava di provenire da Ashton, ma c’erano dei frammenti che sembravano pura finzione. C’era addirittura una sezione che sosteneva che aveva iniziato la sua vita come spadaccino abile ma debole, ma che aveva acquistato forza andando in una radura nel bosco a sud della città a prendere in giro gli spiriti che trovava lì alla fontana. Era completo di mappa che mostrava il punto in cui era andato e indicava i segni per arrivarci: un segnale, una serie di gradini di pietra, e altro ancora. Kate sospirò e ripose il libro con più violenza di quanto probabilmente avrebbe dovuto.

“Attenta, Kate,” la avvisò Geoffrey. “Sai che non dovresti danneggiare libri che altri potrebbero voler leggere.”

“Non vedo come qualcuno potrebbe voler leggere questo,” ribatté Kate. “Spadaccini che prendono la loro forza da fontane magiche? Maestri di spada imbattibili che appaiono dal nulla? Non ha senso.”

Vide Geoffrey dare un’occhiata al libro. “Quella è la storia di Argent, vero? Sì… sì, hai ragione… dovresti ignorarlo.”

Non voglio che faccia la sua stessa fine. Meglio che pensi che è una favoletta.

“Geoffrey,” disse Kate. “Cos’è che non mi stai dicendo? Questo Argent era una persona vera?”

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