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Un’Impresa da Eroi

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Из серии: L’Anello Dello Stregone #1
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Un’Impresa da Eroi
Un’Impresa da Eroi
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Читает Edoardo Camponeschi
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“Perché è esattamente ciò di cui vai in cerca.”

Il volto di Gareth assunse una tonalità cremisi scuro. Era evidente che MacGil aveva scorto la sua natura più vera. MacGil lo guardava negli occhi, vedendoli bruciare di un odio per lui che non avrebbe mai creduto possibile.

Senza una parola di più Gareth uscì di scatto dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

Nell’eco riverberante, MacGil sussultò. Ripensò allo sguardo di suo figlio e percepì un odio così profondo, più profondo addirittura di quello dei suoi nemici. In quel momento pensò ad Argon, alla sua allusione ad un pericolo vicino.

Poteva essere vicino fino a quel punto?

CAPITOLO SEI

Thor attraversò di corsa il vasto campo dell’arena, correndo più veloce che poteva. Dietro di lui poteva sentire i passi delle guardie del Re che gli erano alle calcagna. Lo inseguirono attraversando il paesaggio caldo e polveroso, maledicendolo mentre correvano. Di fronte a lui erano sparpagliati i membri – e le nuove reclute – della Legione, decine di ragazzi, proprio come lui, ma più vecchi e più forti. Si esercitavano e stavano sostenendo prove in diverse formazioni: alcuni tiravano le lance, altri lanciavano i giavellotti, un pochi stavano facendo pratica nella loro presa sulle lance. Miravano a bersagli distanti, e raramente li mancavano. Questi erano i suoi rivali, e sembravano formidabili.

Tra di loro c’erano decine di veri cavalieri, membri dell’Argento, in piedi a formare un ampio semicerchio e a osservare l’azione. Giudicando. Decidendo chi sarebbe rimasto e chi sarebbe stato rimandato a casa.

Thor sapeva che avrebbe dovuto dar prova di se stesso, doveva impressionare quegli uomini. A momenti le guardie sarebbero state su di lui, e se mai aveva una qualche possibilità di dare un’impressione di sé, quello era il momento. Ma come? La mente gli si arrovellava mentre correva attraverso il cortile, determinato a non essere mandato via.

Mentre Thor correva attraverso il campo, altri iniziarono a notarlo. Alcune delle reclute interruppero ciò che stavano facendo e si voltarono; alcuni dei cavalieri fecero lo stesso. Nel giro di pochi secondi Thor sentì tutta l’attenzione concentrata su di sé. Sembravano confusi, e capì che probabilmente si stavano chiedendo chi fosse quel ragazzo che correva attraverso il loro campo con tre delle guardie del Re alle calcagna. Non era questo il modo in cui aveva pensato di fare impressione. Tutta la sua vita, quando aveva sognato di unirsi alla Legione, non era così che se l’era immaginato.

Mentre Thor correva, dibattuto su cosa fare, qualcun altro decise di decidere per lui. Un ragazzo di buona stazza, una recluta, decise di prendersi la briga di impressionare gli altri fermando Thor. Alto, muscoloso, e quasi il doppio rispetto a Thor, sollevò la sua spada di legno per bloccare l’avanzata di Thor. Thor riuscì a capire quanto fosse determinato a colpirlo, a schernirlo di fronte a tutti, venendo quindi trovarsi in vantaggio rispetto alle altre reclute.

Questo rese Thor furioso. Thor non aveva nulla a che vedere con questo ragazzo, e quello non era il suo combattimento. Ma quello lo stava trasformando nel suo combattimento, per essere in vantaggio sugli altri.

Mentre si avvicinavano, Thor si capacitava a malapena della stazza di quel ragazzo: torreggiava sopra di lui, con espressione accigliata e spessi capelli neri che gli coprivano la fronte, oltre ad avere la mascella più grande e quadrata che Thor avesse mai visto. Non vedeva come avrebbe potuto anche solo scalfire quel giovane.

Il ragazzo lo prese di mira con la sua spada di legno e Thor sapeva che se non avesse agito in fretta sarebbe stato colpito.

I riflessi di Thor si risvegliarono. Istintivamente estrasse la sua fionda, caricò e lanciò una pietra contro la mano del giovane. Colpì il bersaglio, facendogli saltare la spada dalla mano proprio nel momento in cui questi la stava calando su di lui. La spada volò via ed il ragazzo con un grido si strinse la mano.

Thor non perse tempo. Si preparò, approfittando del momento, saltò nell'aria e calciò il ragazzo, piantandogli entrambi i piedi nel petto. Ma il giovane era così robusto che fu come dare un calcio ad un tronco di quercia. Il giovane arretrò appena di qualche centimetro, mentre Thor rimase pietrificato e cadde ai suoi piedi. Questo non lascia presagire niente di buono, pensò Thor quando colpì il terreno con un tonfo, le orecchie che gli martellavano in testa.

Thor tentò di rimettersi in piedi, ma il ragazzo fu più veloce: si chinò ed afferrò Thor per la schiena, lanciandolo per aria e mandandolo a faccia in giù nella polvere.

Un fitto gruppo di ragazzi velocemente si riunì attorno a loro ed esultò. Thor arrossì per l'umiliazione.

Si girò per rimettersi in piedi, ma il ragazzo era troppo veloce. Era giù sopra di lui, e lo teneva bloccato a terra. Prima che Thor se ne potesse rendere conto, il combattimento si era trasformato in un incontro di wrestling, ed il peso del suo avversario era abnorme.

Thor riusciva a sentire le grida delle altre reclute che gli giungevano attutite: tutti si erano disposti a cerchio attorno a loro, vocianti e desiderosi di sangue. Il volto del suo avversario si accigliò, il giovane allungò i pollici e li abbassò, nel tentativo di colpite gli occhi di Thor. Thor non poteva crederci: sembrava che quel ragazzo volesse veramente fargli del male. Voleva sul serio avere la meglio in modo così violento?

All’ultimo momento Thor ruotò la testa schivando il colpo, e le mani del ragazzo non andarono a segno, finendo a terra. Thor colse l’occasione per divincolarsi e liberarsi da lui.

Si rimise in piedi e si piazzò di fronte al ragazzo, che pure si alzò. Il ragazzo si preparò e sferrò un colpo diretto alla faccia di Thor, ma Thor lo schivò all’ultimo momento. L’aria gli sferzò il volto e Thor si rese conto che se l’avesse colpito gli avrebbe rotto la mascella. Allora gli tirò un pugno nello stomaco, ma ottenne ben poco: era come colpire un albero.

Prima che Thor potesse reagire, il ragazzo gli diede una gomitata in faccia.

Thor venne sbalzato all’indietro, barcollando per il colpo. Era come essere colpiti da un martello e le orecchie gli rimbombarono.

Mentre Thor incespicava all’indietro, cercando di riprendere fiato, il giovane lo attaccò di nuovo con un calcio al petto. Thor volò all’indietro e sbatté a terra, finendo steso sulla schiena. Gli altri ragazzi esultarono.

Stordito, Thor cercò di mettersi a sedere, ma appena vi provò il giovane attaccò un’altra volta, colpendolo con un altro pugno e sferrandoglielo forte in faccia tanto da rimandarlo nuovamente a terra, steso sulla schiena.

Thor rimase lì, sentiva le grida esultanti degli altri ed avvertiva il sapore salato del sangue che gli scendeva copioso dal naso, la faccia piena di lividi. Gemette di dolore. Guardò verso l’alto e vide il ragazzone che si voltava e se ne tornava verso i suoi amici, già celebrando la sua vittoria.

Thor voleva arrendersi. Quel ragazzo era enorme, battersi contro di lui era inutile, e non poteva subire ulteriori mortificazioni. Ma qualcosa dentro di lui lo esortò. Non poteva perdere. Non di fronte a tutta quella gente.

Non arrenderti. Alzati. Alzati!

In qualche modo Thor raccolse le forze: gemendo rotolò a pancia in giù e si sollevò reggendosi su mani e ginocchia; poi, lentamente, si rimise in piedi. Sanguinante, gli occhi gonfi tanto da non riuscire a vedere bene, il respiro affannoso, guardò il ragazzo e sollevò i pugni.

Il ragazzone si volt e fissò Thor dall’alto in basso. Scosse la testa, incredulo.

“Saresti dovuto rimanere a terra, ragazzo,” disse minacciosamente, ritornando verso Thor.

“FERMA!,” gridò una voce. “Elden, stai indietro!”

Un cavaliere improvvisamente giunse e si pose fra loro, allungando le mani aperte ed impedendo ad Elden di avvicinarsi ulteriormente a Thor. La folla si acquietò, e tutti guardarono il cavaliere: chiaramente era qualcuno degno di rispetto.

Thor guardò in alto, sbalordito per la presenza del cavaliere: era alto, con spalle ampie, mascella squadrata, capelli castani e ben pettinati, aveva circa vent’anni. Thor provò per lui un’immediata simpatia. La sua armatura di prima qualità, una cotta di maglia in lucido argento, era ricoperta di marchi reali: l’emblema del falcone della famiglia MacGil. La gola di Thor si seccò: si trovava di fronte ad un membro della famiglia reale. Stentava a crederlo.

“Spiegati, ragazzo,” disse a Thor. “Perché sei entrato a questo modo nella nostra arena senza esservi invitato?”

Prima che Thor potesse rispondere, all’improvviso i tre membri della guardia del Re fecero irruzione nel cerchio. La prima guardia rimase lì in piedi, col fiato lungo, puntando il dito contro Thor.

“Ha disobbedito ai nostri ordini!” gridò la guardia. “Lo arresterò e lo porterò nelle prigioni reali!”

“Non ho fatto niente di male!” protestò Thor.

“Niente di male?” gridò la guardia. “Introdursi nella proprietà del Re senza invito?”

“Tutto quello che volevo era una possibilità!” gridò Thor, rivolgendosi con voce implorante al cavaliere di fronte a lui, il membro della famiglia reale. “Tutto quello che volevo era una possibilità di entrare nella Legione!”

“Questo campo di esercitazione è solo per chi vi è invitato, ragazzo,” disse una voce rude.

Nel cerchio entrò un guerriero, sulla cinquantina, tozzo e tarchiato, con la testa calva, la barba corta ed una cicatrice che gli attraversava il naso. Sembrava un soldato professionista da anni, un veterano, e dai marchi sulla sua armatura, la spilla dorata sul petto, sembrava essere il loro capitano. Il cuore di Thor accelerò alla vista di quell’uomo: un generale.

 

“Non sono stato invitato, signore,” disse Thor. “È vero. Ma essere qui è il sogno della mia vita. Tutto quello che chiedo è una possibilità per dimostrarvi di cosa sono capace. Sono bravo tanto quanto ciascuna di queste reclute. Datemi solo una possibilità per dimostrarlo. Per favore. Far parte della Legione è ci che ho sempre sognato.”

“Questo campo di battaglia non è per sognatori, ragazzo,” rispose con la sua voce roca. “È per combattenti. Non ci sono eccezioni alle nostre regole: le reclute sono state scelte.”

Il generale annuì, e le guardie del Re si avvicinarono a Thor, ceppi alla mano.

Ma tutt’a un tratto il cavaliere, il membro della famiglia reale, fece un passo avanti e sollevò il palmo della mano, bloccando le guardie.

“Forse, per l’occasione, un’eccezione può essere fatta,” disse.

Le guardie lo guardarono con costernazione, evidentemente desiderose di ribattere, ma dovendo trattenere la lingua per rispetto del membro della famiglia reale.

“Ammiro il tuo spirito, ragazzo,” continuò il cavaliere. “Prima che tu venga cacciato, mi piacerebbe vedere cosa sai fare.”

“Ma Kendrick, abbiamo le nostre regole.” disse il generale, chiaramente contrariato.

“La famiglia reale fa le regole,” rispose Kendrick inflessibile, “e la Legione fa capo alla famiglia reale.”

“Noi facciamo capo a tuo padre, il Re, non a te,” ribatté il generale, con la medesima decisione.

Ci fu un attimo di sospensione, l’aria pregna di tensione. Thor stentava a credere a ciò che aveva innescato.

“Conosco mio padre, e so cosa vorrebbe. Lui darebbe a questo ragazzo una possibilità. Ed è quello che faremo.”

Il generale, dopo un lungo momento di tensione, finalmente si arrese.

Kendrick si girò verso Thor, occhi negli occhi, i suoi castani e intensi, il volto di un principe, ma anche di un guerriero.

“Ti darò una possibilità,” disse a Thor. “Vediamo se sei capace di colpire quel bersaglio.”

Indicò un covone di fieno, lontano in fondo al campo, con una piccola macchia rossa al centro. Numerose lance erano conficcate nel covone, ma nessuna nel segno rosso.

“Se riuscirai a fare ciò che nessuno di questi altri ragazzi ha saputo fare e se sarai capace di colpire quel segno da qui, allora sarai dei nostri.”

Il cavaliere fece un passo di lato, e Thor poté sentire tutti gli occhi puntati su di lui.

“Individuò un fascio di lance e le esaminò con attenzione: erano tutte della migliore qualità che avesse mai visto, fatte di solida quercia e rivestite della migliore pelle. Gli batteva forte il cuore mentre avanzava, pulendosi il sangue dal naso con il dorso della mano, sentendosi più nervoso di quanto fosse mai stato prima d’ora in vita sua. Chiaramente quello che gli avevano affidato era un compito impossibile. Ma doveva provare.

Thor allunòg una mano ed afferrò una lancia, non troppo lunga né troppo corta. La soppesò in mano: era pesante, piena di sostanza. Non come quelle che usava a casa. Ma sembrava anche giusta. Sentiva che forse, tutto sommato, poteva riuscire a colpire il suo bersaglio. Dopotutto tirare di lancia era la sua abilità migliore, quasi quanto scagliare pietre, e i molti lunghi giorni di vagabondaggio nella natura selvaggia gli avevano offerto ampi bersagli. Era sempre stato capace di colpire anche i bersagli che i suoi fratelli non erano in grado di prendere.

Thor chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Se avesse mancato il colpo sarebbe stato afferrato dalle guardie e trascinato in cella, e le sue possibilità di unirsi alla Legione sarebbero state compromesse per sempre. In quel momento era racchiuso tutto ciò che avesse mai sognato.

Pregò Dio con tutto il cuore.

Senza esitare, Thor aprì gli occhi, fece due passi in avanti, si preparò e scagliò la lancia.

Trattenne il fiato mentre la guardava volare in aria.

Ti prego, Dio. Ti prego.

La lancia fendeva quel silenzio spesso, morto, e Thor poteva percepire centinaia di occhi su di essa.

Poi, dopo un’eternità, giunse il suono, il suono innegabile della punta di una lancia che taglia il fieno. Thor non aveva neanche bisogno di guardare. Sapeva, lo sapeva perfettamente, che era stato un tiro perfetto. Era il modo in cui sentiva la lancia quando lasciava la sua mano, l’angolo del polso, che gli diceva che sarebbe andato a segno.

Thor ebbe il coraggio di guardare, e vide con suo sommo sollievo che non si sbagliava. La lancia era andata a segno nel mezzo della macchia rossa, l’unica lancia lì al centro. Aveva fatto ciò che le altre reclute non erano state in grado di fare.

Uno stupito silenzio lo avvolse, e sentì le altre reclute, e i cavalieri, che lo guardavano a bocca aperta. Alla fine Kendrick gli si avvicinò e colpì la schiena di Thor con una forte manata che sapeva di soddisfazione. Fece un ampio sorriso.

“È andato a segno,” disse. “Starai con noi!”

“Cosa, mio Signore!” gridò la guardia del Re. “Non è giusto. Il ragazzo è arrivato senza essere invitato!”

“Ha colpito il bersaglio. È sufficiente come invito, per me.”

“È parecchio più giovane e più minuto degli altri. Questa non è una squadra di poppanti,” disse il generale.

“Preferisco un soldato piccolo che sa colpire il bersaglio piuttosto che un babbeo che non ne è capace,” rispose il cavaliere.

“Un colpo fortunato!” gridò il ragazzone che Thor aveva appena battuto. “Se avessimo più possibilità, lo colpiremmo anche noi!”

Il cavaliere si voltò verso il ragazzo e lo fissò.

“Davvero?” chiese. “Puoi farmi vedere ora? Possiamo scommetterci la tua permanenza qui?”

Il ragazzo, sconvolto, abbassò la testa in segno di vergogna, ovviamente non desideroso di accettare l’offerta.

“Ma questo ragazzo è uno sconosciuto,” protestò il generale. “Non sappiamo neppure da dove viene.”

“Viene dalla Landa Inferiore,” disse una voce.

Gli altri si voltarono per vedere chi avesse parlato, ma Thor non ne aveva bisogno, aveva riconosciuto quella voce. Era la voce che lo aveva assillato per tutta la sua infanzia. La voce del suo fratello maggiore. Drake.

Drake fece un passo avanti, insieme agli altri due fratelli, e guardò verso Thor con disapprovazione.

“Si chiama Thorgrin, del clan dei McCleod della Provincia Meridionale del Regno dell’Est. È il più giovane di quattro fratellli. Veniamo tutti dalla stessa casa. Fa la guardia alle pecore di nostro padre.”

L’intero gruppo di ragazzi e cavalieri scoppiò in una fragorosa risata.

Thor sentì che il suo volto arrossiva, avrebbe voluto morire in quel momento. Non aveva mai provato una tale vergogna. Era tipico di suo fratello, portargli via il momento di gloria, fare tutto il possibile per tenergli testa.

“Fa davvero la guardia alle pecore?” gli fece eco il generale.

“Allora i nostri nemici dovranno sicuramente stare attenti!” gridò un altro ragazzo.

Ci fu un altro coro di risa, e l’umiliazione di Thor si fece più pesante.

“Basta!” gridò Kendrick, severamente.

Lentamente, la risata si spense.

“Preferisco di gran lunga avere un pastore capace di colpire un bersaglio, piuttosto che tutti voi, che sembrate tanto bravi a ridere, ma niente più,” aggiunse Kendrick.

A queste parole, il silenzio calò sui ragazzi, che smisero di ridere.

Thor era immensamente grato a Kendrick. Giurò di ripagarlo in qualunque modo potesse. Senza curarsi di cosa ne fosse di Thor, quest’uomo aveva alla fine riportato alto il suo onore.

“Non sai, ragazzo, che non è da guerriero fare la spia con i propri amici, né tanto meno con i propri familiari, con il proprio stesso sangue?” chiese il cavaliere a Drake.

Drake abbassò lo sguardo, confuso, una delle rare volte che Thor lo vedeva in una condizione del genere.

Ma un altro dei suoi fratelli, Dress, fece un passo avanti e protestò. “Ma Thor non è stato neppure scelto. Noi siamo stati scelti. Lui ci ha semplicemente seguito qui.”

“Non vi sto seguendo,” insistette Thor, prendendo finalmente la parola. “Sono qui per la Legione. Non per voi.”

“Non ha importanza perché sia qui,” disse il generale, irritato, avanzando. “Ci sta facendo perdere tempo. Certo, è stato un buon tiro di lancia, ma non può comunque unirsi a noi. Non ha nessun cavaliere a sostenerlo, e nessuno scudiero vuole affiancarlo.”

“Voglio affiancarlo io,” disse una voce.

Thor si voltò, come anche tutti gli altri. Fu sorpreso di vedere, in piedi a pochi passi da lui, un ragazzo della sua età che effettivamente gli assomigliava, eccetto che per i capelli biondi e gli occhi verde chiaro, e che indossava la più bella armatura reale: cotta di maglia ricoperta di marchi neri e scarlatti. Un altro membro della famiglia reale.

“Impossibile,” disse il generale. “La famiglia reale non si affianca a gente comune.”

“Io posso fare come voglio,” ribatté il ragazzo. “E dico che Thorgrin sarà mio compagno.”

“Neanche se approvassimo,” disse il generale. “Non ha importanza. Non ha un cavaliere che lo appoggi.”

“Lo appoggerò io,” disse un’altra voce.

Tutti si voltarono dall’altra parte, e fra tutti si levò un sussultò sommesso.

Thor si voltò e vide un cavaliere, a cavallo, ricoperto di una bellissima armatura scintillante e con appesa alla cintura ogni genere di arma. Emanava una luce positiva, era come guardare il sole. Dal suo portamento, dalla barba e dai marchi sul suo elmo, Thor poteva intuire che era diverso dagli altri. Era un campione.

Thor lo riconobbe. Aveva visto immagini che lo ritraevano, e aveva sentito leggende su di lui. Erec. Non poteva crederci. Era il più grande cavaliere dell’Anello.

“Ma mio signore, voi avete già uno scudiero,” protestò il generale.

“Vorrà dire che ne avrò due,” rispose Erec, con voce profonda e sicura.

Un silenzio denso di stupore pervase il gruppo.

“A questo punto non c’è altro da aggiungere,” disse Kendrick. “Thorgrin ha un sostenitore e un compagno. La questione è risolta. Ora è un membro della Legione.”

“Ma non hai considerato me!” gridò la guardia del Re, facendo un passo avanti. “Nulla di ciò vale da scusante per il fatto che il ragazzo ha colpito un membro della guardia del Re, e che deve essere punito. Deve essere fatta giustizia!”

“Giustizia verrà fatta,” rispose Kendrick, in maniera ferrea. “Ma sarò io a decidere. Non tu.”

“Ma mio signore, deve essere messo sotto tortura! Deve servire da esempio!”

“Se aggiungi altro, sarai tu ad essere messo sotto tortura,” rispose Kendrick alla guardia, guardandolo storto, con voce di ghiaccio.

Alla fine la guardia fece un passo indietro, riluttante, si voltò e se ne andò, rosso in volto, lanciando un’occhiataccia a Thor.

“Quindi è ufficiale,” proclamò Kendrick a voce alta. “Benvenuto, Thorgrin, nella Legione del Re!”

La folla di cavalieri e ragazzi esultò. Poi si voltarono e tornarono alle loro esercitazioni.

Thor si sentiva stordito dallo shock. Stentava a crederci. Era diventato un membro della Legione del Re. Sembrava un sogno.

Thor si girò verso Kendrick, grato a lui come non mai. Non aveva mai avuto nessuno nella sua vita, prima di quel momento, che si prendesse cura di lui, che si mettesse dalla sua parte, che si battesse per lui per proteggerlo. Era una sensazione strana. Si sentiva già più vicino a quest’uomo che al suo stesso padre.

“Non so come ringraziarti,” disse Thor. “Ti sono infinitamente debitore.”

Kendrick sorrise. “Il mio nome è Kendrick. Lo imparerai bene. Sono il primogenito del Re. Ammiro il tuo coraggio. Sarai un bel tassello aggiunto a questo gruppo.”

Thor si voltò e si allontanò in fretta, e in quel momento il ragazzo che aveva battuto gli si trascinò accanto.

“Guardati alle spalle,” disse. “Dormiamo nelle stesse caserme, ricordalo. E non pensare un solo momento di essere al sicuro.”

Il ragazzo si girò e si dileguò prima che Thor potesse ribattere: si era già fatto un nemico.

Stava iniziando a chiedersi che cosa ci fosse in serbo per lui lì, quando il figlio più giovane del Re si affrettò a raggiungerlo.

“Non badare a lui,” disse a Thor. “È un attaccabrighe. Io mio chiamo Reece.”

“Grazie,” disse Thor, allungando la mano, “grazie per avermi scelto come compagno. Non so come avrei fatto senza questo aiuto.”

 

“Sono felice di aver scelto chiunque stia contro quel bruto,” disse allegramente Reece. “È stato un bel combattimento.”

“Mi prendi in giro?” chiese Thor, pulendosi il sangue secco dalla faccia e sentendo che i lividi si stavano gonfiando. “Mi ha quasi ammazzato.”

“Ma non ti sei arreso,” disse Reece. “Impressionante. Chiunque di noi altri sarebbe semplicemente rimasto a terra. E quel tiro di lancia è stato una cosa pazzesca. Come hai imparato a lanciare a quel modo? Saremo compagni per sempre!” Lanciò a Thor uno sguardo significativo e si strinsero la mano. “Ed anche amici. Me lo sento.”

Mentre Thor gli stringeva la mano, non poté fare a meno di avvertire che stava stringendo un’amicizia che sarebbe durata per tutta la vita.

All’improvviso fu spintonato da un fianco.

Si voltò e vide un ragazzo più grande che stava lì, con la pelle butterata e un viso lungo e stretto.

“Sono Feithgold, lo scudiero di Erec. Ora tu sei il suo secondo scudiero. Il che significa che stai ai miei ordini. E fra pochi minuti abbiamo un torneo. Hai intenzione di startene lì quando ti hanno appena nominato scudiero del più famoso cavaliere del regno? Seguimi! Veloce!”

Reece se n’era già andato, e Thor si voltò affrettandosi dietro allo scudiero, di corsa attraverso il campo. Non aveva idea di dove stessero andando, ma non aveva importanza. Dentro di sé cantava di gioia.

Ce l’aveva fatta.

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