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Un’Impresa da Eroi

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Из серии: L’Anello Dello Stregone #1
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Un’Impresa da Eroi
Un’Impresa da Eroi
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Читает Edoardo Camponeschi
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CAPITOLO DICIANNOVE

Thor tentò di seguire le indicazioni di Reece, mentre si apriva un varco tra la gente del castello, ma non era facile. Quel castello aveva troppe svolte e direzioni, troppe porte nascoste e corridoi troppo lunghi che parevano condurre solo ad altri corridoi.

Passò in rassegna nella sua mente le direzioni dategli da Reece e discese un’altra piccola serie di gradini, svoltò in un altro corridoio e alla fine si fermò dinnanzi a una piccola porta ad arco con una maniglia rossa, quella di cui gli aveva parlato Reece, e la aprì.

Thor corse fuori e fu colpito dalla forte luce di quella giornata estiva. Si stava bene fuori, fuori da quell’affollato castello, a respirare aria fresca e a sentire il sole in faccia. Strizzò gli occhi, cercando di abituarsi alla luce chiara, e si guardò in giro: davanti a lui si estendevano a perdita d’occhi i giardini reali, siepi perfettamente tagliate in forme diverse, a formare ordinate file di giardini, con vialetti che si intrecciavano tra di loro. C’erano fontane, strani alberi, frutteti carichi di frutti estivi maturi, e prati di fiori di ogni forma, misura e colore. Quella vista lo lasciò senza fiato. Era come camminare in un quadro.

Thor cercò ovunque un segno della presenza di Gwendolyn, con il cuore che gli batteva forte. Non c’era nessuno in quel cortile e Thor immaginò che fosse riservato alla famiglia reale, messo al riparo dal resto della gente per mezzo di alte mura di pietra. Guardava dappertutto senza riuscire a vederla.

Si chiese se il biglietto fosse una burla. Forse lo era. Lo stava probabilmente prendendo in giro, il sempliciotto di campagna, divertendosi alle sue spalle. Del resto come poteva una del suo rango avere anche solo un minimo interesse per lui?

Thor rilesse il bigliettino, poi lo riarrotolò pieno di vergogna. Lo stava prendendo in giro. Che sciocco era stato ad aver sperato. Si sentiva profondamente ferito.

Thor si voltò pronto a ritornare al castello a testa bassa. Proprio mentre raggiungeva la porta una voce risuonò.

“Dove stai andando, tu?” disse quella voce allegra. Era come il canto di un uccello.

Thor si chiese se se la stesse immaginando. Girò su se stesso, cercando, ed eccola lì, seduta all’ombra accanto ad un muro. Lei gli sorrise, vestita con un abito elegante, strati di raso bianco con ricami rosa. Era ancora più bella di quanto ricordasse.

Era lei. Gwendolyn. La ragazza che Thor aveva sognato da quando si erano conosciuti, con i suoi occhi blu a mandorla e i lunghi capelli color fragola, con quel sorriso che gli accendeva il cuore. Indossava un largo cappello bianco e rosa che la riparava dal sole e al di sotto del quale i suoi occhi brillavano. Per un attimo sentì la necessità di voltarsi ad assicurarsi che nessun altro fosse lì, dietro di lui.

“Ehm…” iniziò Thor. “Io… ehm… non lo so. Io… ehm… stavo andando dentro.”

Ancora una volta si sentiva disorientato accanto a lei, trovando difficoltà nel raccogliere i pensieri e articolarli.

Lei rise ed era il suono più bello che lui avesse mai udito.

“E perché dovresti rientrare?” chiese, scherzosamente. “Sei appena arrivato.”

Thor era confuso. Aveva la lingua legata.

“Io… ehm… non riuscivo a trovarti,” disse con imbarazzo.

Lei rise di nuovo.

“Beh, sono proprio qui. Non hai intenzione di venirmi a prendere?”

Allungò una mano, e Thor si affrettò verso di lei allungandosi a sua volta per prenderle la mano. Si sentì elettrizzato dal tocco della sua pelle, così liscia e morbida. Quella mano stava a pennello dentro la sua. Lei lo guardò e tenne per un po’ la mano nella sua, prima di alzarsi lentamente. La sensazione delle sue dita sul suo palmo era adorabile, e Thor sperò che lei le lasciasse lì per sempre.

Gwendolyn ritrasse la mano, ma poi lo prese sotto braccio. Iniziò a camminare, conducendolo lungo una seria di viottoli serpeggianti. Percorsero un piccolo sentiero lastricato e subito si ritrovarono in un labirinto di siepi, che li proteggeva dall’essere visti dall’esterno.

Thor era nervoso. Forse uno come lui, un plebeo, sarebbe finito nei casini se l’avessero trovato a passeggiare a quel modo con la figlia del Re. Sentì che una leggere goccia di sudore gli scendeva dalla fronte, e non riusciva a capire se fosse per il caldo o per il contatto con lei.

Non sapeva cosa dire.

“Hai causato un bel po’ di movimento qui, vero?” chiese lei con un sorriso. Lui le fu grato per aver rotto quel silenzio impacciato.

Thor scrollò le spalle. “Mi spiace. Non volevo.”

Lei rise. “E perché non avresti voluto? Non è bello provocare un po’ di subbuglio?”

Thor si sentiva bloccato. Non aveva idea di come rispondere. Sembrava che dicesse sempre la cosa sbagliata.

“Questo posto è comunque così soffocante e noioso,” disse lei. “È bello che ci sia qualcuno di nuovo. Sembra che mio padre abbia per te una certa simpatia. E anche mio fratello.”

“Ehm… grazie,” rispose Thor.

Si stava prendendo a calci, e si sentiva morire. Sapeva che avrebbe dovuto dire di più, e avrebbe voluto. Solo non sapeva cosa dire.

“A te…” cominciò, spremendosi le meningi alla ricerca della giusta cosa da dire, “… piace qui?”

Lei tirò indietro la testa e rise.

“Se mi piace qui?” chiese. “Spero bene. Ci vivo!”

Rise di nuovo e Thor si sentì arrossire. Sentiva che stava veramente incasinando le cose. Ma non era cresciuto attorno a ragazze, non aveva mai avuto un’amica al villaggio e proprio non sapeva cosa dirle. Cosa avrebbe potuto chiederle? Da dove vieni? Sapeva già da dove veniva. Cominciava a chiedersi se a lei veramente interessasse di lui: era forse solo per divertimento?

“Perché ti interessi a me?” chiese.

Lei lo guardò e fece uno strano suono.

“Sei un ragazzo presuntuoso,” disse ridacchiando. “Chi dice che mi interessi?” chiese con un largo sorriso. Era ovvio che ogni cosa lui dicesse la divertiva.

Thor si sentiva ora come se si fosse ficcato in un problema ancor più grande.

“Scusa,. Non intendevo dire questo. Stavo solo pensando. Intendo dire… ehm… so che non ti piaccio.”

Lei rise ancora più forte.

“Sei divertente. Questo devo ammetterlo. È chiaro che non hai mai avuto una ragazza, vero?”

Thor guardò in basso e scosse la testa, umiliato.

“Immagino neanche una sorella, giusto?” insistette lei.

Thor scosse la testa.

“Ho tre fratelli,” sbottò. Alla fine era almeno riuscito a dire qualcosa di normale.

“Davvero?” chiese lei. “E dove sono? Nel tuo villaggio?”

“Thor scosse la testa. “No, sono qui, nella Legione, con me.”

“Beh, questo deve essere un sollievo.”

Thor scosse ancora la testa.

“No, loro mi odiano. Vorrebbero che io non fossi qui.”

Per la prima volta il suo sorriso si spense.

“E perché mai ti odiano?” chiese disgustata. “I tuoi stessi fratelli?”

Thor alzò le spalle. “Mi piacerebbe saperlo.”

Camminarono ancora un po’ in silenzio. Temette improvvisamente di aver rovinato il suo buon umore.

“Ma non ti preoccupare, non mi importa. È sempre stato così. E poi ho trovato dei buoni amici qui. I migliori che abbia mai avuto.”

“Mio fratello? Reece?” chiese lei.

Thor annuì.

“Reece è un bravo ragazzo,” disse lei. “In qualche modo è il mio preferito. Io ho quattro fratelli, lo sai. Tre sono veri fratelli, uno no. Il maggiore è un figlio che mio padre ha avuto da un’altra donna. È mio mezzo fratello. Lo conosci, Kendrick?”

Thor annuì. “Gli sono profondamente debitore. È grazie a lui che ho un posto nella Legione. È un uomo d’onore.”

“È vero. È uno dei migliori nel regno. Lo amo quanto un vero fratello. E poi c’è Reece, che amo allo stesso modo. Gli altri due… beh… sai come sono le famiglie. Non tutti vanno d’accordo. A volte mi chiedo come sia possibile che proveniamo tutti dagli stessi genitori.”

Ora Thor era curioso. Voleva sapere di più su di loro, la relazione tra lei e loro, perché non erano così vicini. Voleva farle delle domande, ma non voleva fare l’impiccione. E allo stesso tempo anche lei non sembrava aver voglia di parlarne. Sembrava una persona felice, una persona che amava concentrarsi solo su cose allegre.

Quando giunsero al termine del sentiero del labirinto il cortile si aprì in un altro giardino, dove l’erba era perfettamente tagliata a formare delle f.igure Era un enorme gioco di qualche genere, che si allungava per almeno cinquanta piedi in ogni direzione, con enormi pezzi di legno più alti di Thor, disseminati attorno.

Gwen sussultò di gioia.

“Giochiamo?” domandò.

“Cos’è?” chiese Thor.

Lei si voltò, sgranando gli occhi per lo stupore.

“Non hai mai giocato a Blocchi?” chiese.

Thor scosse la testa, imbarazzato, sentendosi un provincialotto di campagna senza eguali.

“È il gioco più bello in assoluto!” esclamò lei.

Allungò entrambe le braccia e gli prese le mani, trascinandolo nel prato. Saltellava piena di gioia e lui non poteva fare a meno di sorridere tra sé e sé. Più di qualsiasi altra cosa, più del prato, più di quel luogo meraviglioso, era la sensazione di quelle due mani ad elettrizzarlo. La sensazione di essere desiderato. Lei desiderava che lui andasse con lei. Desiderava trascorrere del tempo con lui. Perché qualcuno avrebbe dovuto avere dell’interesse per lui? Soprattutto qualcuno come lei? Si sentiva ancora come se tutto fosse un sogno.

“Mettiti laggiù,” disse lei. “Dietro a quel pezzo. Devi muoverlo e hai solo dieci secondi.”

 

“Cosa intendi per muoverlo?” chiese Thor.

“Scegli una direzione, svelto!” gridò lei.

Thor prese l’enorme blocco di legno, sorpreso dal suo peso. Lo trasportò per diversi passi e lo mise su un altro quadrato.

Senza esitare Gwen spinse il suo pezzo. Atterrò su quello di Thor e lo fece cadere a terra.

Lei gridò di soddisfazione.

“È stata una cattiva mossa” disse. “Sei venuto giusto nella mia direzione! Hai perso!”

Thor guardò i due pezzi a terra, confuso. Non capiva proprio quel gioco. Lei rideva, lo afferrò per un braccio e lo condusse oltre lungo i sentieri.

“Non ti preoccupare, ti insegnerò,” disse.

Il suo cuore si librò in volo a quelle parole. Lei gli avrebbe insegnato. Voleva rivederlo. Trascorrere dell’altro tempo con lui. Stava sognando tutto questo?

“Allora, dimmi, cosa ne pensi di questo posto?” chiese lei, mentre lo conduceva attraverso un’altra serie di labirinti. Questo era decorato con fiori alti otto piedi che esplodevano di colore e strani insetti che ronzavano fra le corolle.

“È il più bel posto che abbia mai visto,” rispose Thor sinceramente.

“E perché vuoi essere un membro della Legione?”

“È quello che ho sempre sognato,” rispose.

“Ma perché?” chiese lei. “È perché vuoi servire mio padre?”

Thor ci pensò un po’ su. A dire il vero non ci aveva mai pensato, era semplicemente sempre stato così.

“Sì,” rispose. “Per servire lui. E l’Anello.”

“E la tua vita?” chiese lei. “Non vuoi avere una famiglia? Una terra? Una moglie?”

Lei si fermò e lo guardò, e la cosa lo disorientò. Si sentiva esausto. Non aveva mai considerato queste cose prima, e non sapeva proprio come rispondere. Gli occhi di Gwen brillavano mentre lo fissava.

“Ehm… io… non lo so. Non ci ho mai pensato veramente.”

“E cosa ne direbbe tua madre?” chiese lei gioiosa.

Il sorriso di Thor si spense.

“Non ho una madre,” disse.

Anche il sorriso di Gwen si smorzò.

“Cosa le è successo?” chiese.

Thor stava per risponderle, raccontarle tutto. Sarebbe stata la prima volta nella sua vita che parlava di lei a qualcuno. E la cosa folle era che lo desiderava. Desiderava disperatamente confidarsi con lei, con questa estranea, e farle sapere tutto dei suoi sentimenti più reconditi.

Ma non appena aprì la bocca per parlare, improvvisamente una voce brusca giunse da chissà dove.

“Gwendolyn!” Gridò con suono acuto quella voce.

Si voltarono entrambi e videro sua madre, la Regina, vestita con un abito bellissimo, accompagnata dalle sue damigelle, che si dirigeva diretta verso la propria figlia. Il suo volto era furibondo.

La Regina camminò fino a Gwen, la afferrò bruscamente per un braccio e la strattonò via.

“Vai dentro immediatamente. Cosa ti avevo detto? Non voglio che tu gli rivolga la parola mai più. Mi hai capito?”

Il volto di Gwen arrossì e poi assunse un’espressione arrabbiata ed orgogliosa.

“Toglimi le mani di dosso!” gridò a sua madre. Ma non c’era nulla da fare: sua madre continuò a trascinarla e anche le sue damigelle la circondarono.

“Ti ho detto di togliermi le mani di dosso!” gridò Gwen. Guardò verso Thor, uno sguardo disperato, triste, implorante.

Thor comprese il suo stato d’animo. Era quello che provava anche lui. Avrebbe voluto chiamarla e si sentì spezzare il cuore mentre la vedeva portare via. Era come osservare una vita futura di cui veniva privato, proprio davanti ai suoi occhi.

Rimase lì a lungo dopo che lei fu scomparsa dalla sua vista, fissando nel vuoto, paralizzato in quel luogo, senza fiato. Non voleva andarsene, non voleva dimenticare tutto questo.

E soprattutto non voleva pensare che non l’avrebbe rivista mai più.

*

Mentre Thor camminava lentamente verso il castello, con la testa che ancora gli girava per il suo incontro con Gwen, era a malapena cosciente di ciò che lo circondava. La sua mente era persa nel pensiero di lei, non riusciva a fare a meno di avere davanti agli occhi il suo volto. Era meravigliosa. La persona più bella e gentile e dolce e carina e amorevole e divertente che avesse mai incontrato. Aveva bisogno di rivederla. A dire il vero stava male solo per la sua assenza. Non capiva i sentimenti che provava per lei e questo lo spaventava. La conosceva appena, eppure sapeva che non poteva stare senza di lei.

E allo stesso tempo ripensava alla Regina che la trascinava via e sentiva un senso di vuoto allo stomaco al pensiero delle forze potenti che si frapponevano tra loro. Forze che, per qualche motivo, non li volevano insieme.

Mentre si spremeva le meningi, cercando di giungere al bandolo della matassa, improvvisamente sentì una mano rigida sul petto, che lo immobilizzò di colpo.

Sollevando lo sguardo vide un ragazzo, forse di un paio d’anni più grande di lui, alto e magro, vestito con gli abiti più ricchi che avesse mai visto – seta di color viola reale, verde e scarlatto, con un elaborato cappello piumato – che lo guardava con espressione torva. Il ragazzo aveva un aspetto aggraziato e viziato, come chi è cresciuto in grembo al lusso, con mani morbide e sopracciglia arcuate sopra ad occhi che lo guardavano con disprezzo.

“Mi chiamano Alton,” iniziò il ragazzo. “Sono il figlio di Lord Alton, primo cugino del Re. Siamo Lord del regno da sette secoli. Il che mi autorizza ad essere Duca. Tu, invece, sei un plebeo,” disse, quasi sputandogli in faccia le parole. “La corte reale è per reali. E per uomini di rango. Non per quelli della tua specie.”

Thor rimase lì, non avendo idea di chi fosse quel ragazzo o di cosa avesse potuto fare per irritarlo.

“Cosa vuoi da me?” chiese Thor.

Alton ridacchiò.

“Non lo sai, ovvio. Probabilmente non sai nulla, vero? Come osi immischiarti qui e fingere di essere uno di noi!” esclamò.

“Non sto fingendo nulla, io,” disse Thor.

“Bene, non me ne frega niente di quale onda vuoi cavalcare. Ti voglio solo avvisare, prima che tu ti costruisca altre fantasie nella testa, che Gwendolyn è mia.”

Thor lo fissò, scioccato. Sua? Non sapeva cosa dire.

“Il nostro matrimonio è prefissato fin dalla nostra nascita,” continuò Alton. “Abbiamo la stessa età e siamo dello stesso rango. I preparativi sono già in fase di pianificazione. Non osare pensare, neanche per un istante, che ci sarà una qualsiasi modifica.”

Thor si sentì come se qualcuno gli avesse mozzato il fiato; non aveva neppure la forza di controbattere.

Alton gli si avvicinò di un passo, fissandolo.

“Vedi,” disse con voce morbida, “permetto a Gwen i suoi flirt. Ne ha molti. Di tanto in tanto si fa prendere da compassione per un qualche plebeo, o magari per un servo. Permette loro di essere il suo intrattenimento, il suo giochino. Tu probabilmente sei giunto alla conclusione che sia qualcosa di più. Ma è tutto qui per Gwen. Tu sei solo un altro conoscente, un altro trastullo. Li colleziona, come bambole. Non significano nulla per lei. È sempre eccitata dal plebeo più recente e dopo un giorno o due si annoia. Ti butterà via presto. Non sei niente per lei, veramente. Ed entro la fine dell’anno io e lei saremo sposati. Per sempre.”

Gli occhi di Alton si allargarono mostrando la sua fiera determinazione.

Thor sentì il cuore spezzarsi a quelle parole. Erano vere? Veramente lui non era nulla per Gwen? Si sentiva confuso, non sapeva cosa credere. Gli era sembrata così sincera. Ma forse Thor era solo saltato troppo in fretta alla conclusione sbagliata?

“Stai mentendo,” rispose infine.

Alton sogghignò, poi sollevò semplicemente un dito e lo piantò nel petto di Thor.

“Se ti vedo ancora attorno a lei userò la mia autorità per chiamare la guardia reale. Ti metteranno in prigione!”

“Con quali motivi?” chiese Thor.

“Io non ho bisogno di motivi. Ho potere qui. Ne troverò uno e daranno ragione a me. Quando ti avrò calunniato a sufficienza, metà del regno penserà che sei un criminale.”

Alton sorrise, soddisfatto. Thor si sentiva male.

“Ti manca l’onore,” disse Thor, incredulo che una persona potesse agire in modo talmente indecente.

Alton rise, un suono acuto.

“Non l’ho mai avuto,” disse. “L’onore è per gli sciocchi. Io ho quello che voglio. Tu puoi tenerti il tuo onore. Ed io avrò Gwendolyn.”

CAPITOLO VENTI

Thor camminava insieme a Reece fuori dal cancello ad arco della Corte del Re, lungo la strada di campagna che conduceva alle caserme della Legione. Le guardie stavano sull’attenti al loro passaggio e Thor provava un forte senso di appartenenza, come se non fosse per niente un estraneo. Ripensò ad appena pochi giorni prima, quando una guardia l’aveva inseguito là fuori. Quante cose erano cambiate e con quale velocità.

Thor sentì un suono stridulo e guardando verso l’alto, sopra la sua testa, vide Estofele che volava in cerchio, guardando in giù. Lei si buttò in picchiata e Thor, entuasiasta, le porse il polso che già indossava il guanto protettivo. Ma lei riprese quota e volò via, sempre più in alto, anche se senza mai scomparire di vista. Thor rifletteva. Era un animale mistico e lui sentiva un legame forte con lei, qualcosa di difficile da spiegare.

Thor e Reece continuarono in silenzio e di buon passo diretti verso le caserme. Thor sapeva che i suoi compagni lo stavano aspettando, e si chiedeva che genere di accoglienza lo attendesse. Sarebbero stati invidiosi o gelosi? Sarebbero impazziti all’idea che tutte le attenzioni erano per lui? Si sarebbero presi gioco di lui perché era stato trasportato indietro attraverso il Canyon? Oppure l’avrebbero finalmente accettato?

Thor sperava che l’ultima risposta fosse quella giusta. Era stanco di combattere con il resto della Legione e voleva solo, più di ogni altra cosa, appartenervi. Essere accettato come uno di loro.

Le caserme apparvero in lontananza e la mente di Thor iniziò ad essere preoccupata da qualcos’altro.

Gwendolyn.

Thor non sapeva quanto ne poteva parlare con Reece, dato che era sua sorella. Ma non riusciva a leversela dalla mente. Non riusciva a smettere di pensare al suo incontro con quel minaccioso reale, Alton, e si chiedeva quanto fosse vero di quello che gli aveva detto. Una parte di lui temeva di parlare con Reece, non volendo irritarlo in qualche modo, andando a perdere un nuovo amico a causa della sorella. Ma un’altra parte di lui aveva bisogno di sapere cosa ne pensasse.

“Chi è Alton?” chiese infine Thor, esitante.

“Alton?” ripeté Reece. “Perché chiedi di lui?”

Thor scrollò le spalle, insicuro su quanto andare oltre.

Fortunatamente fu Reece a continuare.

“Non è altro che un reale, minore e meschino. Terzo cugino del Re. Perché? Ti ha dato del filo da torcere per qualcosa?” Poi Reece strizzò gli occhi. “Gwen? È per lei? Ti avrei dovuto mettere in guardia.”

Thor si voltò e guardò Reece, desideroso di sapere di più.

“Cosa intendi dire?”

“È un cafone. Sta alle costole di mia sorella da quando ha imparato a camminare. È sicuro che loro due si sposeranno. E anche mia madre sembra pensarla così.”

“E si sposeranno?” chiese Thor, sorpreso dall’urgenza che trapelava dalla sua voce.

Reece lo guardò e sorrise.

“Accidenti, accidenti, ti sei innamorato di lei, vero?” Ridacchiò. “Hai fatto in fretta.”

Thor arrossì, sperando di non essere visto.

“Quello che faranno o no dipenderà dai sentimenti di mia sorella per lui,” rispose infine Reece. “A meno che la forzino a sposarsi. Ma dubito che mio padre lo farebbe.”

“E cosa prova lei per lui?” insistette Thor, temendo di essere troppo ficcanaso, ma avendo bisogno di sapere.

Reece alzò le spalle. “Dovresti chiederlo a lei. Non parlo mai con lei di queste cose.”

“Ma tuo padre la forzerebbe a sposarsi?” insistette Thor. “Potrebbe davvero fare una cosa del genere?”

“Mio padre può fare tutto quello che vuole. Ma dipende da lui e da Gwen.”

Reece si voltò a guardare Thor.

“Perché tutte queste domande? Di cosa avete parlato?”

Thor arrossì, non sicuro di cosa dire.

“Niente,” disse alla fine.

“Niente!” rise Reece. “Mi sembra veramente un niente!”

Reece rise più forte e Thor si sentì in imbarazzo, chiedendosi se Reece pensasse che Gwen gli piaceva. L’amico allungò un braccio e gli appoggiò una mano salda sulla spalla.

 

“Ascolta, amico mio,” disse, “l’unica cosa che puoi sapere per certo su Gwen è che sa cosa vuole. Ed ottiene ciò che vuole. È sempre andata così. È determinata come nostro padre. Nessuno può obbligarla a fare qualcosa – o ad apprezzare qualcuno – che lei non voglia. Quindi non preoccuparti. Se sceglierà te, fidati, te lo farà sapere. Ok?”

Thor annuì, sentendosi meglio dopo aver parlato con Reece.

Guardò innanzi e vide gli enormi cancelli delle caserme della Legione davanti a sé. Fu sorpreso dal vedere parecchi degli altri ragazzi lì all’ingresso, come se li stessero aspettando, e fu ancora più sorpreso dal vederli sorridere ed esultare quando lo videro. Corsero verso di lui, lo afferrarono per le spalle, gli strinsero le braccia attorno e lo tirarono all’interno. Thor era stupefatto mentre veniva portato dentro dagli altri in un generale abbraccio di benevolenza.

“Raccontaci del Canyon. Com’è dall’altra parte?” chiese uno.

“Com’era la creatura? Quella che hai ucciso?” chiese un altro.

“Non l’ho uccisa io,” protestò Thor. “È stato Erec.”

“Ho sentito che hai salvato la vita di Elden,” disse uno.

“Ho sentito che hai attaccato la creatura di petto. Senza nessuna vera arma.”

“Sei uno di noi, ora!” gridò uno, e gli altri ragazzi esultarono, accompagnandolo, come se fosse un loro fratello ritrovato dopo lungo tempo.

Thor stentava a crederlo. Più sentiva le loro parole, più si rendeva conto che forse avevano senso. Forse era veramente stato coraggioso. Non ci aveva mai pensato su serio. Per la prima volta da molto tempo iniziava a sentirsi bene con se stesso. Soprattutto perché, finalmente, si sentiva uno di questi ragazzi. Sentì che la tensione svaniva dalla spalle.

Lo accompagnarono fuori, fino al campo principale delle esercitazioni, e di fronte a lui vide decine e decine di componenti della Legione ed altrettanti dell’Argento. Anche loro esultarono alla sua comparsa. Tutti si radunarono attorno a lui dandogli pacche sulla schiena.

Kolk venne avanti e gli altri fecero silenzio. Thor si preparò, dato che Kolk non aveva mai altro che disprezzo per lui. Ma ora, con sorpresa di Thor, lo guardava con un’espressione totalmente diversa. Non che stesse sorridendo, ma non era neanche accigliato. E Thor avrebbe potuto giurare che si scorgesse nei suoi occhi una qualche forma di ammirazione.

Kolk avanzò, sollevò una piccola spilla raffigurante un falcone nero e la appuntò al petto di Thor.

La spilla della Legione. Thor era stato accettato. Finalmente era uno di loro.

“Thorgrin del Regno Occidentale della Provincia del Sud,” disse Kolk con serietà. “Ti diamo il benvenuto nella Legione.”

I ragazzi lanciarono un grido, poi corsero verso di lui abbraciandolo e tirandolo da una parte e dall’altra.

Thor non riusciva neanche a reagire. E non tentò neppure tanto di farlo. Voleva godersi quel momento. Ora, finalmente, c’era un posto al quale apparteneva.

Kolk si voltò e si rivolse agli altri ragazzi.

“Ok ragazzi, calmatevi,” ordinò. “Oggi è un giorno speciale. Niente più forconi e lucidature ed escrementi di cavallo per voi. Ora è veramente ora di esercitarsi. È il giorno delle armi.”

I ragazzi risposero con un grido di eccitazione e seguirono Kolk mentre attraversava a grandi passi il campo delle esercitazioni in direzione di un enorme edificio circolare fatto di quercia, con lucenti porte di bronzo. Thor camminò con il gruppo, un brusio eccitato nell’aria. Reece era al suo fianco e anche O’Connor li raggiunse e si unì a loro.

“Non avrei mai pensato di rivederti vivo,” disse O’Connor sorridendo e battendogli la mano sulla spalla. “La prossima volta svegliami prima, va bene?”

Thor ricambiò il sorriso.

“Cos’è quell’edificio?” chiese Thor a Reece, mentre si facevano sempre più vicini. C’erano delle immense serrature di ferro su tutte le porte e l’intera costruzione aveva un aspetto imponente.

“L’armeria,” rispose Reece. “È dove vengono conservate tutte le nostre armi. Di tanto in tanto ci lasciano dare un’occhiata, e ci fanno anche esercitare con alcune. Dipdende da quale lezione ci vogliono impartire.”

Lo stomaco di Thor si strinse quando notò Elden, che stava venendo verso di loro. Thor si tenne pronto, aspettandosi una minaccia, ma questa volta, con sua grande meraviglia, l’espressione di Elden era di ammirazione.

“Devo ringraziarti,” disse, guardando verso il basso con umiltà. “Per avermi salvato la vita.”

Thor era imbarazzato: non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere da lui.

“Mi sono sbagliato sul tuo conto,” aggiunse Elden. “Amici?” chiese.

Gli porse la mano.

Thor non era tipo da tenere il broncio e gli strinse con gioia la mano.

“Amici,” confermò.

“Non la prendo alla leggera, quella parola,” disse Elden. “Ti coprirò sempre le spalle. E a buon rendere.”

Detto questo si voltò e corse via, di nuovo nella folla.

Thor non sapeva proprio cosa pensare. Era stupefatto per come rapidamente le cose fossero cambiate.

“A quanto pare non è del tutto un viscido,” disse O’Connor. “Dopo tutto può darsi che sia un tipo a posto.”

Raggiunsero l’armeria, l’enorme porta si aprì e Thor entrò trepidante di stupore. Camminava lentamente, il collo allungato, osservando quel luogo da una parte all’altra, cercando di capire tutto. C’erano centinaia di armi, alcune che neppure riconosceva, appese alle pareti. Gli altri ragazzi correvano avanti con fretta colma d’eccitazione, avvicinandosi alle armi, prendendole, maneggiandole, esaminandole. Thor seguì il loro esempio e si sentì come un bambino in un negozio di caramelle.

Si avvicinò ad una grande alabarda, afferrò l’asta di legno con entrambe le mani e ne sentì il peso. Era massiccia e ben oliata. La lama era consunta e graffiata, e si chiese se avesse ucciso molti uomini in battaglia.

La rimise a posto e prese un mazzafrusto a punte, una palla chiodata attaccata ad una corta impugnatura per mezzo di una lunga catena. Sorresse la corta asta di legno e sentì le punte di metallo tintinnare all’estremità della catena. Accanto a lui Reece maneggiava un’ascia da guerra e O’Connor testava il peso di una lunga picca, fendendo l’aria contro un nemico immaginario.

“Ascoltate!” gridò Kolk, e tutti si voltarono.

“Oggi impareremo come affrontare un nemico da lontano. Qualcuno qui sa dirmi quali armi possono essere utilizzate? Cosa può uccidere un uomo da una distanza di trenta passi?”

“Arco e freccia,” gridò qualcuno.

“Sì,” rispose Kolk. “Cos’altro?”

“Una lancia!” urlò qualcun altro.

“E poi? C’è altro oltre a questo. Sentiamo.”

“Una fionda,” aggiunse Thor.

“E poi?”

“Thor si spremeva le meningi, ma aveva esaurito le opzioni.

“Coltelli da lancio,” gridò Reece.

“E poi?”

Gli altri ragazzi esitarono. Nessuno aveva altre idee.

“Ci sono martelli da lancio,” gridò Kolk, “e asce da lancio. C’è la balestra. Le picche possono essere lanciate. E anche le spade.”

Kolk camminava per la stanza, guardando i volti dei ragazzi che erano rapiti e attenti.

“E non è tutto. Una semplice pietra presa da terra può trasformarsi nel vostro migliore amico. Ho visto un uomo, grande come un toro, ucciso sul posto da una pietra lanciata da un astuto soldato. Spesso i soldati non si rendono conto che anche l’armatura può essere utilizzata come un’arma. Il guanto di metallo può essere sfilato e sbattuto in faccia al nemico. Questo può servire a stordirlo, anche a parecchi piedi di distanza. In quel momento potete ucciderlo. Anche il vostro scudo può essere lanciato.”

Kolk fece un respiro.

“È cruciale che, quando imparate a combattere, non impariate semplicemente a combattere alla distanza che c’è tra voi e il vostro nemico. Dovete espandere la vostra lotta ad una distanza molto più ampia. La maggior parte delle persone combattono a tre passi di distanza. Un bravo guerriero combatte a trenta. Chiaro?”

“Sì, signore!” rispose un coro di grida.

“Bene. Oggi miglioreremo le vostre abilità nel lancio. Perlustrate la stanza e prendete gli strumenti da lancio che vedete. Ognuno ne prenda uno ed esca entro trenta secondi. Ora muovetevi!”

La stanza eruppe in un via vai generale e Thor corse verso la parete cercando qualcosa da afferrare. Fu spinto e urtato in ogni direzione da altri ragazzi esaltati, fino a che vide quello che voleva e lo prese. Era una piccola ascia da lancio. O’Connor prese un pugnale, Reece una spada, e tutti e tre corsero fuori insieme agli altri ragazzi, nel prato.

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