Il Peso dell’Onore

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Из серии: Re e Stregoni #3
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Il Peso dell’Onore
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EDIZIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campione d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri, della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende undici libri (e che continuerà a pubblicarne altri); della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende due libri (e che continuerà a pubblicarne); e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende tre libri (e continuerà a pubblicarne altri). I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono tradotti in 25 lingue.

TRAMUTATA (Libro #1 in Appunti di un Vampiro) ARENA UNO (Libro #1 de La Trilogia della Sopravvivenza),UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1 in L’Anello dello Stregone) e L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro 1 un Re e Stregoni) sono tutti disponibili per essere scaricati gratuitamente!

Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati!

Cosa dicono di Morgan Rice

“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews
Roberto Mattos

“L'ASCESA DEI DRAGHI ottiene grande successo direttamente dall'inizio… Un fantasy superiore… Inizia, come dovrebbe, con le lotte di un protagonista e si sposta poi nettamente verso una cerchia più ampia di cavalieri, draghi, magia, mostri e destino… Vi si trovano tutti gli intrighi di un fantasy di alto livello, dai soldati e le battaglie ai confronti con se stessi… Un libro di successo raccomandato per coloro che amano le storie epiche e fantasy pregne di giovani protagonisti potenti e credibili.”

--Midwest Book Review
D. Donovan, eBook Reviewer

“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini… Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer,A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)

“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)

“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos

“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly
Libri di Morgan Rice

RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

L'ANELLO DELLO STREGONE

UN'IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE(Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D'ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D'ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

UN REGNO D'ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

UN GIURAMENTO DI FRATELLI (Libro #14)

UN SOGNO DI MORTALI ( Libro #15)

UN TORNEO DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)

LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI ( Libro #1)

ARENA DUE ( Libro #2)

APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA ( Libro #1)

AMATA ( Libro #2)

TRADITA ( Libro #3)

DESTINATA ( Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA ( Libro #6)

SPOSA ( Libro #7)

TROVATA ( Libro #8)

RISORTA ( Libro #9)

BRAMATA ( Libro #10)

PRESCELTA ( Libro #11)

Ascolta RE E STREGONI nella sua edizione Audio libro!
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Copyright © 2015 by Morgan Rice

All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.

This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.

This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright breakermaximus, used under license from Shutterstock.com.


“Se perdo il mio onore, perdo me stesso.”

--William Shakespeare
Antonio e Cleopatra


CAPITOLO UNO

Theo volava verso la campagna, spinto da una rabbia che non era più in grado di trattenere. Non gli interessava più quale fosse il suo bersaglio: l’avrebbe fatta pagare all’intera razza umana, all’intera terra di Escalon per la perdita del suo uovo. Avrebbe distrutto tutto il mondo fino a che non avrebbe trovato ciò che stava cercando.

Theo era straziato dall’ironia di tutta la situazione. Era fuggito dalla sua terra natia per proteggere l’uovo, per risparmiare a suo figlio l’ira degli altri draghi, tutti minacciati dalla sua nascita, dalla profezia che quel cucciolo sarebbe diventato il capo di tutti i draghi. Tutti avevano desiderato distruggerlo e questo Theo non avrebbe mai potuto permetterlo. Si era battuto contro i suoi compagni draghi, era stato gravemente ferito nello scontro, se n’era andato, ferito, volando per migliaia di chilometri al di sopra di molti grandi mari fino ad arrivare lì, in quell’isola di umani, in quel luogo dove gli altri draghi non sarebbero mai venuti a cercarlo. E tutto per trovare uno riparo sicuro per il suo uovo.

Ma quando era atterrato, Theo aveva messo l’uovo sul remoto suolo della foresta rendendosi vulnerabile. E l’aveva pagata cara venendo attaccato e ferito dai soldati pandesiani, costretto a fuggire di fretta abbandonando l’uovo e aiutato solo da quell’umana, Kyra. In quella confusa notte, nel mezzo della tempesta di neve e dei venti che infuriavano, non era più stato capace di ritrovare l’uovo, sepolto nella neve. Aveva voltato in cerchio più volte, era ripetutamente tornato sul posto, ma niente. Era stato un errore per cui si odiava, un errore per il quale biasimava la razza umana e per il quale mai e poi mai avrebbe perdonato.

 

Theo volò ancora più veloce, aprì le enormi fauci e ruggì di rabbia, un ruggito che fece scuotere gli alberi. Quindi soffiò un fiume di fiamme, così caldo da far arretrare addirittura lui stesso. Fu un getto enorme, abbastanza forte da spazzare via un’intera città, e andò a colpire un bersaglio a caso: un piccolo paesino di campagna che aveva avuto la sventura di trovarsi sul suo cammino. Là sotto alcune centinaia di umani, sparpagliati tra fattorie e frutteti, non avevano idea della morte che stava per raggiungerli.

Sollevarono lo sguardo con i volti paralizzati dall’orrore mentre le fiamme scendevano verso di loro, ma ormai era troppo tardi. Gridarono e corsero per salvarsi, ma la nube di fuoco li raggiunse. Le fiamme non risparmiarono nessuno: uomini, donne, bambini, contadini, guerrieri, tutti quelli che correvano e tutti quelli che restavano immobili. Theo sbatté le sue grandi ali e incendiò ogni cosa: le loro case, le loro armi, il loro bestiame, i loro possedimenti. L’avrebbero pagata tutti, fino all’ultimo.

Quando Theo alla fine tornò verso l’alto, non era rimasto nulla. Dove prima si trovava il villaggio ora c’era solo un enorme incendio, fuoco che presto avrebbe ridotto tutto in cenere. Theo pensò: dalle ceneri gli uomini sono stati generati e cenere torneranno.

Non rallentò. Continuò a volare restando basso verso terra, ruggendo, eliminando progressivamente gli alberi, prendendo i rami con gli artigli e facendoli a brandelli insieme alle foglie. Volava all’altezza delle cime degli alberi creando un sentiero, sempre continuando a sputare fiamme. Mentre avanzava lasciava dietro di sé una lunga scia di fuoco, una cicatrice sulla terra, una strada di fiamme per cui Escalon si sarebbe sempre ricordata di lui. Incendiò grandi porzioni del Bosco di Spine sapendo che per migliaia di anni non sarebbe più ricresciuto nulla, sapendo di lasciare sulla terra quella grande ferita e provandone una certa soddisfazione. Si rese conto, anche mentre sputava fuoco, che quelle fiamme avrebbero potuto colpire e bruciare l’uovo stesso. Ma ciononostante, sopraffatto dalla rabbia e dalla frustrazione, non era in grado di fermarsi.

Mentre volava, gradualmente il paesaggio cambiava sotto di lui. Boschi e prati lasciavano il posto a edifici di pietra. Theo guardò in basso e vide che stava volando al di sopra di un’ampia guarnigione, piena zeppa di migliaia di soldati dalle armature blu e gialle. Pandesiani. I soldati guardarono il cielo terrorizzati e confusi, con le armature che scintillavano. Alcuni, quelli più arguti, fuggirono. I coraggiosi rimasero sul posto mentre lui si avvicinava, tirandogli contro le loro lance e giavellotti.

Theo soffiò e bruciò tutte le armi a mezz’aria facendole ricadere a terra in una pila di ceneri. Le fiamme continuarono a scendere fino a raggiungere i soldati che ora stavano fuggendo, bruciandoli vivi, intrappolati nelle loro lucide divise di metallo. Theo sapeva che presto quelle armature sarebbero diventate dei gusci arrugginiti abbandonati a terra e la guarnigione sarebbe stata ridotta a un enorme calderone di fuoco.

Theo andò avanti, volando verso nord, incapace di fermarsi. Il paesaggio cambiava continuamente e lui non rallentò neppure quando scorse una cosa curiosa: lì sotto, in lontananza, apparve una creatura enorme, un gigante che sbucava da un cunicolo scavato nel terreno. Era una creatura diversa da quanto Theo avesse mai potuto vedere in vita sua, una creatura potente. Eppure non provò alcuna paura: al contrario si sentì pervadere dalla rabbia. Rabbia perché quell’essere si trovava sul suo cammino.

La bestia sollevò lo sguardo e sul suo volto grottesco apparve la paura mentre Theo volava più in basso. Anche il gigante si voltò per fuggire, per tornare al buco da dove era emerso. Ma Theo non l’avrebbe lasciato fuggire così facilmente. Se non poteva trovare suo figlio, allora li avrebbe distrutti tutti, uomini e bestie senza differenza. E non si sarebbe fermato fino a che tutti e qualsiasi cosa a Escalon non fossero stati spazzati via.

CAPITOLO DUE

Vesuvio si trovava nella galleria e sollevò lo sguardo verso i raggi di luce che lo illuminavano, luce del sole di Escalon. Si crogiolò nella più dolce sensazione mai provata in vita sua. Quel foro in alto sopra di lui e quei raggi che lo colpivano rappresentavano una vittoria più grandiosa di quanto avrebbe mai potuto sognare, il completamento del tunnel che aveva immaginato per tutta la sua vita. Altri avevano detto che non si poteva costruire e Vesuvio sapeva di aver ottenuto ciò che suo padre e il padre di suo padre ancora prima non erano riusciti a raggiungere. Aveva creato un passaggio perché l’intera nazione di Marda potesse invadere Escalon.

La polvere ancora vorticava alla luce, le macerie ancora riempivano l’aria dove il gigante aveva creato un buco con i suoi pugni attraverso il soffitto. Mentre Vesuvio vi guardava attraverso, sapeva che quel buco là in alto rappresentava il suo destino. La sua intera nazione l’avrebbe seguito da vicino: presto tutta Escalon sarebbe stata sua. Sorrise già immaginando la violenza, la tortura e la distruzione che lo stavano aspettando. Sarebbe stato un bagno di sangue. Avrebbe creato una nazione di schiavi e lo stato di Marda sarebbe raddoppiato in misura, anche come territorio.

“NAZIONE DI MARDA, AVANTI!” gridò.

Si levò un forte grido alle sue spalle mentre centinaia di troll si riunivano nella galleria e sollevavano le alabarde lanciandosi alla carica insieme a lui. Vesuvio fece strada risalendo verso l’uscita, scivolando e incespicando nella terra e sulla roccia, avanzando verso l’apertura, verso la conquista. Con Escalon in vista si sentiva fremere per l’eccitazione mentre il terreno tremava sotto di lui. Gli scossoni erano generati anche dalle grida del gigante in alto, pure lui evidentemente felice di essere libero. Vesuvio poteva già immaginare i danni che il gigante avrebbe potuto causare là sopra, lasciato libero di dare in escandescenze, seminando il terrore nella campagna. Sorrise con maggiore enfasi. Avrebbe avuto la sua dose di divertimento e quando se ne fosse stancato l’avrebbe ucciso. Nel frattempo era un’arma di valore nello scompiglio e nel terrore che voleva generare.

Vesuvio sollevò lo sguardo e sbatté le palpebre confuso vedendo il cielo improvvisamente oscurarsi sopra di lui. Poi sentì una forte ondata di calore venire innanzi. Fu stupito di vedere un muro di fiamme che scendeva ricoprendo all’improvviso tutta la campagna. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, quando un’orrenda ondata di calore lo raggiunse scaldandogli la faccia, seguita da un ruggito del gigante. Poi si udì un tremendo grido di dolore. Il gigante inciampò, chiaramente colpito da qualcosa, e Vesuvio guardò in alto terrorizzato vedendolo inspiegabilmente voltarsi e tornare indietro. Con il volto mezzo bruciato corse di nuovo verso la galleria, sottoterra, dritto verso di lui.

Vesuvio lo fissava ma non riusciva a comprendere l’incubo che gli si stava dispiegando davanti. Perché il gigante stava tornando indietro? Qual era la fonte di quel calore? Cosa gli aveva bruciato la faccia?

Vesuvio udì poi un battito d’ali, un ruggito ancora più orribile di quello del gigante. E capì. Ebbe un brivido comprendendo che lassù, in volo sopra di loro, c’era qualcosa di ancora più terribile del gigante. Era qualcosa che Vesuvio non aveva mai pensato di poter incontrare in vita sua: un drago.

Vesuvio rimase immobile, paralizzato dalla paura per la prima volta in vita sua. L’intero esercito dei suoi troll erano pietrificati dietro di lui, tutti in trappola. L’inimmaginabile era accaduto: il gigante stava correndo, spaventato da qualcosa di più grande di lui stesso. Bruciato, dolorante, preso dal panico, il gigante fece roteare i suoi enormi pugni mentre scendeva, facendosi strada con artigliate feroci. Vesuvio guardò con orrore mentre tutt’attorno a lui i troll venivano schiacciati. Qualsiasi cosa si venisse a trovare sul cammino del gigante veniva calpestata dai suoi piedi, tagliata a metà dai suoi artigli, schiacciata dai suoi pugni.

E poi, prima che si potesse levare di mezzo, Vesuvio sentì che le sue stesse costole si spezzavano mentre il gigante lo colpiva lanciandolo in aria.

Si sentì mancare il fiato roteando in aria mentre tutto il mondo attorno a lui girava. L’ultima cosa che percepì fu la sua testa che andava a sbattere contro la roccia, il tremendo dolore che gli scorreva in tutto il corpo mentre colpiva la parete di pietra. Quando iniziò a precipitare verso terra perse conoscenza e l’ultima cosa che vide fu il gigante che stava distruggendo tutto, disfacendo i suoi piani, tutto ciò per cui aveva lavorato. Si rese conto che sarebbe morto lì, ben sottoterra, a pochi passi dal sogno che aveva coltivato fino a quel momento e che aveva quasi realizzato.

CAPITOLO TRE

Duncan sentiva l’aria scorrergli contro mentre scivolava lungo la corda al tramonto, scendendo le maestose cime del Kos e tenendosi con tutto se stesso, scivolando sempre più rapidamente, più veloce di quanto immaginasse possibile. Tutt’attorno a lui anche gli altri uomini si stavano calando: Anvin ed Arthfael, Seavig, Kavos, Bramthos e migliaia di altri appartenenti agli eserciti di Duncan, Seavig e Kavos, tutti insieme in un unico esercito, tutti intenti a scivolare sul ghiaccio in file, un esercito ben disciplinato che procedeva a balzi, tutti desiderosi di raggiungere il fondo prima di essere visti. Quando i piedi di Duncan toccavano il ghiaccio, immediatamente si spingeva di nuovo procedendo verso il basso, evitando così che le mani venissero fatte a pezzi grazie agli spessi guanti che Kavos gli aveva dato.

Duncan era meravigliato di quanto rapidamente si muovesse il suo esercito, tutti in una sorta di caduta libera dalla rupe. Quando si era trovato in cima a Kos non aveva idea di come Kavos avesse programmato di portare un esercito di quella entità in basso tanto rapidamente senza perdere uomini. Non si era reso conto di possedere una così intricata varietà di funi e picconi da permettere loro di scendere tanto agevolmente. C’erano uomini fatti per il ghiaccio e per loro quella discesa alla velocità della luce era come una normale passeggiata. Finalmente capiva cosa volevano dire quando dicevano che gli uomini di Kos non erano intrappolati lassù, ma erano piuttosto i Pandesiani di sotto quelli in trappola.

Kavos improvvisamente si fermò atterrando con entrambi i piedi su un ampio tavolato che sporgeva dalla montagna. Duncan gli si fermò accanto insieme a tutti gli uomini, in una momentanea pausa a metà del versante. Kavos si portò al limitare del precipizio e Duncan lo raggiunse chinandosi in avanti e guardando le funi che penzolavano di sotto. Attraverso le corde, molto in basso, in mezzo alla nebbia e agli ultimi raggi di sole, Duncan poté vedere alla base della montagna il forte in pietra dei Pandesiani, gremito di migliaia di soldati.

Duncan guardò Kavos che ricambiò lo sguardo con la soddisfazione negli occhi. Era una soddisfazione che Duncan riconobbe, una determinazione che aveva visto molte volte in vita sua: l’estasi del vero guerriero che sta per andare in guerra. Era ciò per cui vivevano uomini come Kavos. Duncan stesso la provava, doveva ammetterlo: quel formicolio nelle vene, quella tensione allo stomaco. La vista dei Pandesiani lo rendeva come non mai eccitato per la vicina battaglia.

“Saresti potuto scendere ovunque,” disse Duncan esaminando il paesaggio di sotto. “La maggior parte dell’area è vuota. Avremmo potuto evitare il confronto e muoverci direttamente verso la capitale. Eppure hai scelto il punto in cui si trova il più forte contingente di Pandesiani.”

Kavos fece un largo sorriso.

“Proprio così,” rispose. “Gli uomini di Kavos non tentano di evitare il confronto: noi lo cerchiamo.” Sorrise con maggiore evidenza. “E poi,” aggiunse, “una battaglia anticipata farà da riscaldamento per la nostra marcia verso la capitale. E voglio che questi Pandesiani ci pensino due volte la prossima volta che decideranno di circondare la base della nostra montagna.”

Kavos si voltò e fece un cenno al suo comandante, Bramthos, che chiamò a raccolta i loro uomini e si unì a Kavos: tutti insieme si lanciarono verso un enorme masso di ghiaccio al limitare del pendio e come un unico corpo vi appoggiarono contro le spalle.

Duncan, rendendosi conto di ciò che stavano facendo, fece un cenno ad Anvin ed Arthfael che chiamarono pure i loro uomini. Seavig e i suoi si unirono e tutti insieme anche loro si misero a spingere.

 

Duncan piantò i piedi nel ghiaccio e spinse, sforzandosi sotto il peso del masso, scivolando e premendo con tutte le sue forze. Tutti sbuffarono e lentamente l’enorme macigno iniziò a rotolare.

“Un regalo di benvenuto?” chiese Duncan sorridendo e sbuffando accanto a Kavos.

Kavos gli rispose con un sorriso.

“Solo un pensierino per annunciare il nostro arrivo.”

Un attimo dopo Duncan provò una forte liberazione, udì uno scricchiolio nel ghiaccio e si chinò in avanti per guardare con meraviglia il masso che rotolava oltre il limitare dell’altopiano. Si tirò rapidamente indietro insieme agli altri e guardò il masso che precipitava a tutta velocità, rotolando e rimbalzando contro la parete di ghiaccio, prendendo man mano slancio. Il grosso sasso, con un diametro di almeno dieci metri, cadde dritto verso il basso, volando come un angelo della morte contro il forte pandesiano. Duncan si preparò per l’esplosione che stava per verificarsi, con tutti quei soldati di sotto, bersagli inconsapevoli.

Il masso colpì il centro del forte di pietra e lo schianto fu più forte di qualsiasi cosa Duncan avesse mai udito in vita sua. Era come se una meteora avesse colpito Escalon, un’esplosione che riecheggiò con tale forza da costringerlo a coprirsi le orecchie. Il suolo tremò sotto di lui facendolo barcollare. Un’enorme nuvola di roccia e ghiaccio si sollevò per metri e metri e l’aria, anche da lassù, si riempì delle grida e urla terrorizzate degli uomini. Metà del forte in pietra era andato distrutto nell’impatto e il masso continuava a rotolare schiacciando uomini, appiattendo edifici e lasciando una scia di distruzione e caos.

“UOMINI DI KOS!” gridò Kavos. “Chi ha osato avvicinarsi alla nostra montagna?”

Gli rispose un forte grido mentre migliaia di guerrieri improvvisamente si lanciavano in avanti e balzavano dalla rupe seguendolo, tutti afferrando le funi e calandosi così velocemente che era come se praticamente cadessero liberamente dalla montagna. Duncan li seguì, i suoi uomini dietro di lui, tutti saltando, afferrando le funi e scendendo così rapidamente da poter appena respirare. Era certo che si sarebbe spezzato il collo nell’impatto.

Pochi attimi dopo si ritrovò ad atterrare con forza alla base della montagna, decine di metri più sotto, scendendo in un’enorme nube di ghiaccio e polvere, il fragore del masso caduto ancora riecheggiante nell’aria. Tutti gli uomini si voltarono e guardarono il forte, quindi lanciarono un alto grido di battaglia e sguainarono le spade lanciandosi all’attacco, buttandosi nel caos del campo pandesiano.

I soldati pandesiani, ancora sbigottiti per l’esplosione, si voltarono mostrando volti scioccati e videro l’esercito all’attacco: evidentemente non se l’erano aspettato. Frastornati, presi alla sprovvista, con numerosi dei loro comandanti a terra morti, schiacciati dal masso, sembravano troppo disorientati per pensare chiaramente a cosa fare. Mentre Duncan e Kavos e i loro uomini piombavano su di loro, alcuni iniziarono a voltarsi e a correre. Altri cercarono di prendere le spade, ma Duncan e i suoi uomini gli furono addosso come locuste e li colpirono prima che potessero addirittura avere una possibilità di sguainare le armi.

Duncan e il resto degli uomini correvano attraverso il campo, senza esitazione, sapendo che il tempo era essenziale. Uccidevano da ogni parte i soldati che si stavano riprendendo, seguendo la scia di distruzione lasciata dal macigno. Duncan colpiva in ogni direzione, trafiggendo un soldato al petto, colpendone un altro al volto con l’elsa della spada, calciandone uno che lo attaccava e abbassandosi per spingere con la spalla un altro ancora mentre tentava di colpirlo alla testa con un’ascia. Duncan avanzava senza sosta abbattendo chiunque si trovasse sul suo cammino, respirando affannosamente, sapendo che erano ancora in minoranza numerica e che doveva ucciderne più che poteva e con la maggior rapidità possibile.

Accanto a lui Anvin, Arthfael e i suoi uomini lo seguivano, tutti guardandosi vicendevolmente alle spalle, tutti lanciati in avanti a colpire e parare da ogni parte mentre il clangore della battaglia riempiva il forte. Coinvolto in una guerra vera e propria, Duncan sapeva che sarebbe stato più saggio aver conservato l’energia dei suoi uomini, aver evitato quel confronto e aver marciato verso Andros. Ma sapeva anche che l’onore implicava che gli uomini di Kos affrontassero quella battaglia. Capiva come si sentivano: non era sempre il corso più saggio delle azioni a muovere i cuori degli uomini.

Si muovevano tutti attraverso il campo con rapidità e disciplina. I Pandesiani erano in tale disorganizzazione da essere appena capaci di mettere insieme una specie di difesa. Ogni volta che un comandante appariva o si formava un gruppo, Duncan e i suoi uomini li debellavano.

Duncan e i suoi uomini attraversarono il forte come una tempesta e dopo neanche un’ora Duncan si ritrovò dalla parte opposta a guardarsi da tutte le parti rendendosi conto, schizzato di sangue ovunque, che non c’era più nessuno da uccidere. Rimase fermo respirando affannosamente mentre calava il tramonto e la nebbia vorticava attorno alle montagne, tutto misteriosamente silenzioso.

Il forte era loro.

Gli uomini, capendo, lanciarono uno spontaneo grido di esultanza e Duncan rimase dov’era mentre Anvin, Arthfael, Seavig, Kavos e Bramthos gli si raccolsero attorno mentre lui asciugava il sangue dalla sua spada e dall’armatura contemplando la situazione. Notò una ferita con sangue fresco sul braccio di Kavos.

“Sei ferito,” gli fece notare, dato che non sembrava essersene accorto.

Kavos abbassò lo sguardo e poi scrollò le spalle. Sorrise.

“Un meraviglioso graffito,” rispose.

Duncan osservò il campo di battaglia, così tanti uomini morti, soprattutto Pandesiani ma anche alcuni dei suoi. Poi sollevò lo sguardo e vide i picchi ghiacciati di Kos, torreggianti al di sopra della scena, che scomparivano tra le nubi. Era sorpreso di quanto in alto si fossero arrampicati e di quanto rapidamente fossero scesi. Era stato un attacco fulmineo, come morte piovuta dal cielo, e aveva funzionato. Il forte pandesiano che solo poche ore prima sembrava così indomito ora gli apparteneva e non era più nient’altro che rovine, con gli uomini a terra in pozze di sangue, la morte sotto il cielo del crepuscolo. Era surreale. I guerrieri di Kos non avevano risparmiato nessuno, non avevano avuto alcuna pietà ed erano stati una forza irrefrenabile. Duncan aveva un onesto rispetto per tutti loro. Sarebbero stati dei compagni fondamentali nella liberazione di Escalon.

Kavos guardò i cadaveri, anche lui respirando affannosamente.

“Questo è quello che chiamo un piano d’uscita,” disse.

Duncan lo vide sorridere mentre osservava i corpi dei nemici, guardando i suoi uomini che spogliavano i morti delle loro armi.

Duncan annuì.

“E si è trattato di un’ottima uscita, direi,” rispose.

Duncan si voltò verso ovest, oltre il forte, verso il sole che tramontava e scorse del movimento. Strizzò gli occhi e vide qualcosa che gli riempì il cuore di calore, una scena che in qualche modo di era aspettato di vedere. Lì all’orizzonte si trovava il suo cavallo da guerra, in piedi fiero davanti al branco di centinaia di cavalli da guerra dietro di lui. Aveva in qualche modo sempre percepito dove Duncan si trovasse ed era lì, in leale attesa. Il cuore di Duncan si gonfiò di gioia sapendo che il suo vecchio amico avrebbe portato il suo esercito per il resto della strada fino alla capitale.

Duncan fischiò e non appena lo sentì il suo cavallo si voltò e gli galoppò incontro. Gli altri cavalli lo seguirono e si levò un forte boato di zoccoli alla luce del crepuscolo mentre il branco attraversava la pianura innevata dirigendosi verso di loro.

Kavos annuì con espressione ammirata.

“Cavalli,” sottolineò guardandoli avvicinarsi. “Se fosse stato per me ci sarei andato a piedi ad Andros.”

Duncan sorrise.

“Sono certo che l’avresti fatto, amico mio.”

Duncan si fece avanti quando il suo cavallo gli giunse accanto e gli accarezzò la criniera. Montò in sella e subito anche i suoi uomini seguirono il suo esempio: un esercito a cavallo. Erano lì, armati fino ai denti guardando il crepuscolo, niente davanti a loro adesso se non la pianura innevata che conduceva alla capitale.

Duncan provò una scossa di eccitazione sentendo che finalmente c’erano quasi. Poteva percepire, sentire l’odore della vittoria nell’aria. Kavos li aveva portati giù dalla montagna, ora questo era il suo spettacolo.

Duncan sollevò la spada sentendo tutti gli occhi degli uomini, degli eserciti, addosso a sé.

“UOMINI!” esclamò. “Verso Andros!”

Lanciarono tutti un grandioso grido di battaglia e andarono all’attacco insieme a lui, nella notte, nel mezzo delle pianure ammantate di neve, tutti pronti a non fermarsi davanti a nulla fino a che non avessero raggiunto la capitale, scatenando la più grandiosa guerra delle loro vite.

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