Vicolo Cieco

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v i c o l o c i e c o

(un thriller psicologico di chloe fine—libro 3)

b l a k e p i e r c e

traduzione di

valentina sala

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di tredici libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da nove libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della serie dei misteri di KERI LOCKE, composta da cinque libri; della serie di gialli GLI INIZI DI RILEY PAIGE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei misteri di KATE WISE, composta (al momento) da due libri; della serie dei thriller-psicologici di CHLOE FINE, composta (al momento) da tre libri; della serie dei thriller-psicologici di JESSE HUNT, composta (al momento) da tre libri.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.

Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina robsonphoto, concessa su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

UN’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

L’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

SUN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

LA SERIE DEGLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

LA SERIE DI GIALLI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITÀ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

LA SERIE DI GIALLI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

LA SERIE DI GIALLI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

SERIE DI GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

INDICE

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

PROLOGO

Jerry Hilyard imboccò il vialetto di casa con la sua Mercedes Benz poco dopo l’una di quella domenica pomeriggio e fece un ampio sorriso. Non c’era niente di meglio che lavorare in proprio e poter dichiarare conclusa la giornata lavorativa quando meglio credevi.

Jerry pregustò di vedere l’espressione sorpresa della moglie quando le avrebbe detto che voleva portarla a pranzo fuori. Avrebbe preferito un brunch, ma sapeva che, con tutta probabilità, in mattinata Lauren avrebbe ancora avuto i postumi della sbornia della sera prima. Era rimasta fuori fino a tardi, dopo essere andata, per motivi che Jerry ancora non comprendeva, alla rimpatriata ventennale delle scuole superiori. Per ora di pranzo sarebbe probabilmente stata meno irritabile, e magari se la sarebbe sentita anche di unirsi a lui per un paio di Bloody Mary.

Sorrise al pensiero della bella notizia che avrebbe condiviso con lei: stava progettando una fuga per due in Grecia. Solo lui e lei, senza i ragazzi. Sarebbero partiti il mese successivo.

Jerry giunse alla porta d’ingresso con la ventiquattr’ore in mano, eccitato per come sarebbe potuto andare il pomeriggio. Era chiusa a chiave, ma non era insolito. Lauren era sempre stata una donna diffidente, persino in un quartiere benestante come il loro.

Jerry aprì la serratura e subito andò in cucina a versarsi un bicchiere di vino. Si accorse di non sentire il televisore in camera da letto; la casa era silenziosa come quando se n’era andato. Forse la sbornia non le era ancora passata.

Si domandò come fosse andata la serata. Quella mattina non gliene aveva parlato molto. Lui e Lauren erano stati nella stessa classe all’ultimo anno, ma Jerry detestava sciocchezze sentimentali come le rimpatriate. In fondo, il tutto era solo una scusa per ritrovarsi dopo dieci o vent’anni e fare a gara a chi se la passava meglio. Tuttavia, una volta che le amiche di Lauren erano riuscite a convincerla ad andare alla festa, era sembrata eccitata all’idea di rivedere i vecchi compagni di classe. O almeno, quella era stata la sua impressione. Invece, a giudicare dalla quantità di alcolici che aveva ingurgitato, doveva essere stata una serata spiacevole.

Erano questi i pensieri che sfilavano nella mente di Jerry mentre percorreva il corridoio del secondo piano che portava alla camera da letto. Giunto davanti alla porta, si immobilizzò.

 

C’era troppo silenzio.

Certo, c’era da aspettarselo, se Lauren aveva davvero preferito dormire piuttosto che guardarsi qualche serie su Netflix. Ma quel silenzio era diverso... una totale assenza di movimenti, per niente normale. Era un silenzio quasi assordante – quasi tangibile.

C’è qualcosa che non va, pensò.

Era un’idea spaventosa, ma Jerry si affrettò ad aprire la porta. Doveva sapere, doveva controllare che...

Controllare che cosa?

Ciò che vide in un primo momento fu tutto il rosso. Sulle lenzuola, sulle pareti... un colore rosso così denso e scuro da apparire nero in certi punti.

Un grido si fece strada nei suoi polmoni e nella sua gola. Non sapeva se correre da lei o di sotto, a prendere il telefono.

Alla fine non fece nessuna delle due cose. Le gambe gli cedettero e si ritrovò a terra, gridando e tempestando di pugni il pavimento, cercando di dare un senso alla terrificante scena che aveva davanti agli occhi.

CAPITOLO UNO

Chloe si concentrò, focalizzando lo sguardo sulla canna della pistola, quindi sparò.

Il rinculo fu delicato, lo scoppio leggero e quasi pacifico per lei. Inspirò profondamente e sparò di nuovo. Era facile; adesso le veniva naturale.

Non riusciva a vedere l’obiettivo dall’altra parte del poligono, ma sapeva di aver fatto due buoni tiri. Ormai era in grado di farsi un’idea di cose del genere, e sapeva che era un segnale che stava diventando un vero e proprio agente. Era più a suo agio con la pistola, e il calcio e il grilletto le erano familiari quanto le sue stesse mani, quando riusciva a raggiungere la massima concentrazione. In passato andava al poligono quasi per dovere, per tentare di migliorare. Adesso, invece, le piaceva. Le procurava un senso di libertà e una strana liberazione, pur trattandosi soltanto di sparare ad un bersaglio di carta.

Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di sentirsi così, ultimamente.

Le ultime due settimane al lavoro erano state fiacche, e Chloe non aveva avuto molto da fare, a parte aiutare i colleghi a raccogliere informazioni e fare ricerche. Era quasi stata coinvolta per aiutare una squadra in un’operazione anti-hacker e la cosa l’aveva eccitata fin troppo, facendole capire quanto le cose andassero a rilento ultimamente.

Ecco perché era finita al poligono. Non era necessariamente il suo modo ideale di passare il tempo, ma sapeva di aver bisogno di pratica. Nonostante durante gli studi all’accademia fosse stata tra i migliori della sua classe, essere trasferita dalla Squadra Ricerca Prove al Programma Criminali Violenti le aveva fatto capire che doveva sempre essere al meglio di sé.

Mentre sparava un’altra raffica di colpi contro il bersaglio a una cinquantina di metri di distanza, capì come mai le persone potessero essere attratte da quell’attività. Eri completamente solo: tu, la tua arma e il bersaglio nel mirino. C’era qualcosa di molto zen in tutto ciò, con tutta la concentrazione richiesta. E poi c’era il suono dello sparo che riecheggiava. Una cosa che Chloe aveva imparato passando il suo tempo al poligono era quanto potesse essere fluida la relazione tra il corpo umano e una pistola. Quando era concentrata, la Glock le sembrava un prolungamento del braccio, qualcosa che poteva controllare con la mente, proprio come controllava i movimenti delle dita e delle braccia. Era un allarmante esempio del perché dovesse impugnare la sua arma solo se assolutamente necessario: quando sei addestrato a usare una pistola, può diventare fin troppo naturale premere il grilletto.

Al termine della sessione, raccolse i bersagli e fece il punto. Aveva un numero sorprendente di colpi finiti al centro del bersaglio, ma alcuni erano più esterni, quasi al margine della sagoma.

Scattò alcune foto ai bersagli con il cellulare e prese degli appunti, per poter migliorare la volta successiva, quindi gettò le sagome di carta e si avviò verso l’uscita. Mentre camminava, scoprì un’altra sensazione che immaginava fosse allettante per quelli che passavano un sacco di tempo al poligono di tiro: le mani e i polsi le vibravano per il rinculo dei colpi sparati. La sensazione era strana ma al tempo stesso piacevole, in un modo che non avrebbe saputo descrivere.

Stava uscendo dall’edificio quando vide un volto familiare entrare dalla porta. Era Kyle Moulton, l’uomo che le era stato assegnato come partner e che non aveva visto granché nelle ultime settimane, a causa della mancanza di casi su cui lavorare. Quando le rivolse un sorriso smagliante, Chloe provò un istante di panico da ragazzina.

“Agente Fine” disse lui in tono quasi sarcastico. Ormai si conoscevano abbastanza da lasciar perdere l’appellativo agente e chiamarsi per nome. Non solo, Chloe era sicura che tra loro ci fosse anche una certa tensione romantica. Lei l’aveva percepita da subito, dall’istante in cui l’aveva visto per la prima volta fino a quando avevano chiuso il loro primo caso tre mesi prima.

“Agente Moulton” gli rispose a tono.

“Scarichi un po’ di tensione o ti passi il tempo?” domandò.

“Un po’ tutte e due” rispose Chloe. “È solo che ultimamente mi sento irrequieta.”

“Ti capisco. Stare dietro una scrivania non fa neanche per me. Però... ecco, non sapevo che venissi al poligono di tiro.”

“Cerco solo di restare allenata.”

“Lo vedo” replicò lui con un sorriso.

Tra loro calò un silenzio a cui ormai Chloe stava facendo l’abitudine. Detestava sentirsi così presuntuosa, ma era quasi certa che lui provasse i suoi stessi sentimenti. Era evidente dalle occhiatine che si scambiavano e dal fatto che Moulton non riuscisse a sostenere il suo sguardo per più di tre secondi – proprio come in quel momento, mentre erano ancora in piedi all’ingresso del poligono.

“Ascolta” disse poi Moulton. “Potrà sembrarti stupido e forse anche un po’ avventato, ma mi chiedevo se volessi cenare insieme a me stasera. Non come colleghi, intendo.”

Chloe non riuscì a trattenere il sorriso che le balenò sulle labbra. Era tentata di rispondere in modo ironico, magari con un classico “Era ora”.

Invece optò per una risposta più semplice e sincera. “Sì, mi farebbe piacere.”

“A essere sinceri è un po’ che volevo chiedertelo, ma... il lavoro era sempre così frenetico. E le ultime settimane sono state giusto l’opposto.”

“Sono contenta che alla fine tu me l’abbia chiesto.”

Il silenzio li avvolse di nuovo, ma stavolta Moulton riuscì a guardarla negli occhi senza distogliere lo sguardo. Per un attimo, Chloe pensò che stesse per baciarla, poi però il momento passò e Moulton fece un cenno verso la porta.

“È meglio che vada. Chiamami più tardi per dirmi dove vuoi andare a mangiare.”

“Lo farò.”

Chloe rimase lì qualche secondo, guardandolo entrare nel poligono. Come inizio di una relazione era piuttosto impacciato. Si sentiva ingenua e immatura come una dodicenne nervosa ad un ballo dopo che aveva scoperto di piacere ad un ragazzo, così si allontanò il più rapidamente possibile.

Erano quasi le cinque e non aveva nient’altro in programma, così decise semplicemente di tornarsene a casa. Non aveva senso tornare al suo cubicolo solo per aspettare che passasse l’ultimo quarto d’ora. Adesso che ci pensava, non aveva molto tempo per prepararsi alla cena con Moulton. Non sapeva a che ora cenasse lui di solito, ma probabilmente sarebbero usciti per le sette, quindi le restavano poco più di due ore per decidere dove andare e cosa indossare.

Si affrettò verso il parcheggio e salì in macchina. Ancora una volta si sentì come una scolaretta innamorata. E se per qualche motivo fosse salito nella sua auto? Era piuttosto sporca, dato che non la puliva da quando lei e Steven avevano rotto. Appena pensò a Steven, capì perché si sentisse così impacciata a uscire di nuovo con un uomo. Prima di Steven aveva avuto soltanto un’altra relazione seria, poi lei e Steven erano usciti insieme per quattro anni prima di fidanzarsi. Ormai non era più abituata ad avere appuntamenti galanti, e l’idea le pareva quasi antiquata e, a dirla tutta, un po’ la spaventava.

Fece del proprio meglio per calmarsi nei quindici minuti che ci vollero per raggiungere il suo appartamento. Non aveva idea dei trascorsi amorosi di Kyle Moulton. Magari anche lui era fuori dal giro e arrugginito quanto lei. Naturalmente, a giudicare dal suo aspetto, Chloe dubitava che fosse così. Anzi, pensando proprio alla sua avvenenza, non aveva idea del perché potesse essere interessato a lei.

Forse ha un debole per le ragazze dal passato difficile e che hanno la tendenza a buttarsi anima e corpo nel lavoro, rifletté. Gli uomini di oggi lo trovano sexy, no?

Quando arrivò nella sua strada, si era calmata quasi del tutto. L’ansia si stava lentamente trasformando in eccitazione. Erano passati sette mesi da quando aveva chiuso con Steven. Sette mesi senza baciare un uomo, senza fare sesso, senza...

Non correre troppo, si ammonì mentre entrava nel parcheggio in fondo al suo isolato.

Scese dall’auto e iniziò a passare mentalmente in rassegna tutti i vestiti che aveva nell’armadio che fossero carini senza essere eccessivi. Aveva un paio di idee su cosa mettersi, e anche su dove andare a mangiare, dato che ultimamente aveva voglia di cucina giapponese. Un po’ di sushi era proprio quello che ci voleva, e...

Raggiunto l’ingresso del palazzo, vide un uomo seduto sull’ultimo gradino. Aveva l’aria annoiata, con il mento poggiato su una mano mentre con l’altra scorreva lo schermo del cellulare.

Chloe rallentò, per poi fermarsi del tutto. Conosceva quell’uomo, ma non era possibile che di trovasse lì seduto sui gradini della sua palazzina.

Non è possibile...

Fece un passo avanti. L’uomo si accorse di lei e alzò la testa. I loro sguardi si incrociarono e Chloe fu percorsa da un brivido.

L’uomo sulle scale era Aiden Fine – suo padre.

CAPITOLO DUE

“Ciao Chloe.”

Cercava di sembrare normale, come se fosse una cosa del tutto normale che si trovasse lì davanti a casa sua. Come se non avesse passato gli ultimi ventitré anni in carcere, a scontare la pena per aver avuto un ruolo nell’omicidio della madre di Chloe. Certo, lei stessa aveva scoperto di recente elementi che sembravano dimostrare la sua innocenza, ma per Chloe lui sarebbe sempre stato colpevole.

Al tempo stesso, tuttavia, provò l’impulso di andare da lui, forse addirittura di abbracciarlo. Inutile negare che vederlo lì, fuori di prigione e libero, aveva suscitato in lei un gran numero di emozioni.

Tuttavia non si azzardò a fare un altro passo. Non si fidava di lui e, peggio ancora, di se stessa.

“Cosa ci fai qui?” gli chiese.

“Volevo solo passare a trovarti” disse lui alzandosi in piedi.

Un milione di domande diverse si affollarono nella mente di Chloe. La più pressante di tutte era come avesse fatto a scoprire dove abitava. Però sapeva che a chiunque sarebbero bastate una connessione internet e una buona dose di determinazione per scoprirlo. Così decise invece di mostrarsi civile senza sembrare troppo accogliente.

“Da quanto sei uscito di prigione?”

“Una settimana e mezzo. Prima ho dovuto trovare il coraggio di venire qui.”

Chloe ripensò alla telefonata che aveva fatto al direttore Johnson quando aveva scoperto l’ultima prova, due mesi prima – e che evidentemente era bastata a scagionare suo padre. E ora eccolo qui. Grazie ai suoi sforzi. Si chiese se sapesse quello che aveva fatto per lui.

“È proprio per questo che ho aspettato” proseguì. “Questo... questo silenzio tra noi, è imbarazzante e ingiusto e...”

“Ingiusto? Papà, sei stato in prigione per gran parte della mia vita... per un crimine di cui ora so non sei colpevole, ma per cui non sembra ti sia dispiaciuto pagare lo scotto. Certo che le cose tra noi sono impacciate. Visti il motivo del tuo arresto e le ultime conversazioni che abbiamo avuto, spero che capirai perché non ti accolgo saltando e facendoti le feste.”

“Questo lo capisco benissimo, ma... ho perso così tanto tempo. Forse adesso sei troppo giovane per capirlo, ma tutti quegli anni che ho sprecato in prigione, sapendo quello che stavo sacrificando... il mio tempo con te e Danielle... la mia vita...”

“Hai sacrificato quelle cose per Ruthanne Carwile” sentenziò Chloe. “È stata una tua scelta.”

 

“È vero. Ed è un rimpianto con cui devo convivere da quasi venticinque anni.”

“Allora cosa vuoi?”

Chloe si avvicinò, poi lo superò, diretta alla porta. Passargli così vicino richiese molta più forza di volontà di quello che pensava.

“Pensavo che potremmo cenare insieme.”

“Così, semplicemente?”

“Dovremo pur partire da qualche parte, Chloe.”

“No, in realtà non dobbiamo.” Aprì la porta e si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi per la prima volta. Aveva lo stomaco annodato e stava facendo ogni sforzo possibile per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni davanti a lui. “Voglio che tu te ne vada. E, per favore, non tornare mai più.”

Aiden parve sinceramente ferito, ma non distolse lo sguardo da lei. “Dici sul serio?”

Chloe voleva dire di sì, invece quello che le uscì di bocca fu: “Non lo so.”

“Fammi sapere se cambi idea. Adesso abito a...”

“Non voglio saperlo” lo interruppe. “Se vorrò mettermi in contatto con te, ti troverò.”

Lui le rivolse un sorriso tirato, ma si vedeva che era addolorato. “Ah, giusto. Adesso lavori per l’FBI.”

Ed è stato quello che è successo fra te e la mamma che mi ha spinto a prendere questa strada, pensò.

“Ciao, papà” disse Chloe prima di entrare nell’edificio.

Una volta chiuso il portone alle sue spalle, non si voltò, raggiungendo l’ascensore più in fretta che poté, senza dare l’impressione di stare scappando. Quando le porte si chiusero e l’ascensore iniziò a salire, si premette le mani sugli occhi e iniziò a piangere.

***

Fissava l’armadio aperto, pensando se chiamare Moulton e dirgli che non poteva uscire quella sera. Non voleva dirgli il motivo, cioè che suo padre era uscito di prigione dopo ventitré anni e si era presentato improvvisamente davanti a casa sua. Sicuramente lui avrebbe compreso che per lei era un trauma, no?

Ma aveva deciso che non avrebbe lasciato che suo padre le rovinasse la vita. Aveva vissuto perseguitata dalla sua ombra fin troppo a lungo. Anche solo annullare un appuntamento a causa sua avrebbe significato riconoscere che aveva su di lei un gran potere.

Digitò il numero di Moulton e, quando si attaccò la segreteria, lasciò un messaggio in cui proponeva un ristorante dove andare. Dopodiché si fece una doccia veloce e si vestì. Si stava infilando i pantaloni quando il cellulare squillò. Vedendo il nome di Moulton sullo schermo, la sua mente immaginò l’ipotesi peggiore.

Ha cambiato idea, sta chiamando per annullare l’appuntamento.

Chloe ne era convinta fino a quando rispose. “Pronto?”

“Ehi, il giapponese mi sembra una buona idea” disse invece Moulton. “Probabilmente avrai capito dalla totale assenza di dettagli sulla serata che non è qualcosa che faccio spesso. Quindi, vengo io a prenderti o ci troviamo direttamente là...?”

“Vieni a prendermi, se non ti spiace” disse Chloe, pensando di nuovo alle condizioni della sua auto. “C’è un locale carino non molto lontano da qui.”

“D’accordo. Allora a dopo.”

...non è qualcosa che faccio spesso. Nonostante l’avesse ammesso lui stesso, Chloe faticava a crederci.

Finì di vestirsi, si sistemò i capelli e aspettò di sentire bussare alla porta.

Magari sarà di nuovo papà, si disse. Anche se, a dirla tutta, non era stata la sua voce a dirlo, bensì quella di Danielle, in tono condiscendente e sicuro.

Mi domando se sappia già che è libero. Oddio, andrà su tutte le furie.

Ma non aveva tempo di rimuginarci. Infatti, proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. Per un istante, Chloe rimase paralizzata, certa che fosse il padre, e fu tentata di non aprire. Poi però ricordò l’atteggiamento di Moulton, impacciato quanto il suo, davanti al poligono, e si accorse di avere una gran voglia di vederlo, soprattutto dopo quello che era successo poco prima.

Aprì la porta, esibendo il suo sorriso migliore. Anche Moulton aveva sfoderato il suo. Forse era perché raramente si vedevano al di fuori del lavoro, ma Chloe trovava quel sorriso maledettamente sexy. Tra l’altro, nonostante fosse vestito in modo piuttosto semplice – una camicia button-down e un bel paio di jeans – era assolutamente stupendo.

“Pronta?”

“Certo che sì.”

Chloe si chiuse la porta alle spalle e si avviarono insieme lungo il corridoio. Tra loro c’era di nuovo quel silenzio perfettamente immobile, che le faceva desiderare che le cose tra loro fossero già più avanti. Anche un gesto semplice e innocente come tenersi per mano... aveva bisogno di qualcosa.

Era proprio quel bisogno di contatto umano che le dimostrò quanto l’improvvisata di suo padre l’avesse scossa.

Adesso che è libero sarà sempre peggio, pensò mentre lei e Moulton scendevano con l’ascensore.

Ma non gli avrebbe permesso di rovinarle l’appuntamento.

Scacciò il pensiero del padre dalla mente, mentre insieme a Moulton usciva nella sera tiepida. Con sua somma sorpresa, sembrò funzionare.

Per un po’.

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