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s e l e i s c a p p a s s e

(un giallo di kate wise – libro 3)

b l a k e p i e r c e

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie thriller best-seller di RILEY PAGE, che include quindici libri (più altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore dei gialli di MACKENZIE WHITE in nove libri (più altri in arrivo); della serie gialla di AVERY BLACK, che comprende sei libri; e della serie thriller di KERI LOCKE, che conta cinque libri; della serie gialla GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende tre libri (più altri in arrivo); della serie gialla di KATE WISE, che comprende quattro libri (più altri in arrivo); dei gialli psicologici di CHLOE FINE, che comprendono tre libri (più altri in arrivo); e della serie thriller psicologica di JESSE HUNT, che comprende tre libri (più altri in arrivo).

Avido lettore e fan di gialli e thriller da una vita, Blake vorrebbe sapere cosa ne pensi delle sue opere, quindi visita il suo sito internet www.blakepierceauthor.com per saperne di più e rimanere aggiornato su tutte le novità.

Copyright © 2018 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione, in qualsiasi sua parte, in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con un’altra persona, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato o non è stato acquisto per suo solo uso e consumo, è pregato di restituirlo e comprarne una copia per sé. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright Tom Tom, usata su licenzia concessa da Shutterstock.com.

I LIBRI DI BLAKE PIERCE

UN’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

THRILLER PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro 3)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro 1)

SE LEI VEDESSE (Libro 2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro 3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro 4)

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

VITTIME SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

I GIALLI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

I GIALLI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

I GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

INDICE

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO UNO

Aveva i nervi a fior di pelle e le sembrava di poter vomitare in qualsiasi momento. I guantoni da boxe sulle mani sembravano estranei e il casco la soffocava. Nessuna delle due cose era nuova per Kate Wise – ormai si allenava da due mesi, ma quella era la prima volta che aveva un incontro con una vera partner. Anche se era consapevole che tutto si faceva all’insegna del divertimento e solo come parte del programma di allenamento, era comunque nervosa. Avrebbe tirato pugni al corpo di una persona, e non era una cosa che aveva mai preso alla leggera.

Guardò dall’altra parte del ring la sua partner per l’allenamento, una donna più giovane che faceva del suo meglio per non vedere come un’avversaria. Era un altro membro della piccola palestra che offriva il programma di pugilato. La donna si chiamava Margo Dunn e seguiva il corso per la stessa ragione di Kate; era un fantastico esercizio per tutto il corpo che, nella sua essenza, non richiedeva tanto di correre o sollevare pesi.

Margo sorrise a Kate quando l’allenatore le infilò il paradenti. Kate le fece un cenno col capo in risposta mentre il suo allenatore faceva lo stesso. Quando le cadde perfettamente attorno ai denti, le parve che fosse stato azionato un interruttore. Adesso era in modalità boxe. Sì, i nervi c’erano ancora e non si sentiva a suo agio nella situazione, ma era ora di andare. Era ora di lavorare. C’era un pubblico di sole sette persone – costituito da allenatori e altri due membri della palestra che erano solo curiosi.

A lato del ring qualcuno suonò la piccola campanella per dare inizio al combattimento. Kate si portò in mezzo al ring, dove le venne incontro Margo. Colpirono i guantoni e fecero due rispettosi passi indietro.

E poi si cominciò. Kate girò un po’ in cerchio, trovando sui piedi il ritmo che le era stato insegnato a ricordare, come se stesse ballando. Avanzò e scagliò il primo affondo. Margo lo bloccò facilmente, ma era solo di riscaldamento. Kate affondò di nuovo, un piccolo colpo alla nuca con la mano sinistra. Margo lo bloccò e poi rispose con un sinistro che prese Kate proprio a lato della testa. Il pugno era pensato per essere lieve – dopotutto si trattava solo di un match di allenamento – e cadde lungo la protezione in gomma del casco. Però fu sufficiente a far oscillare un po’ Kate.

Hai cinquantasei anni, pensò tra sé. Che cavolo pensavi?

Considerò la domanda mentre Margo tirava un gancio di destro. Kate lo schivò. Eluderlo così facilmente le diede maggiore sicurezza. Quando riuscì a bloccare senza sforzo anche il rapido affondo con cui seguì Margo, le salì alla testa il bisogno di eccellere.

 

Lo sai perché lo stai facendo, pensò. Nove settimane e hai perso otto chili e hai la migliore tonicità muscolare della tua vita. Ti sembra di avere vent’anni in meno, e siamo onesti… ti sei mai sentita così forte?

No, mai. E anche se era lontanissima dal padroneggiare l’arte della boxe, sapeva di conoscerne a menadito le abilità di base.

Con questa mentalità ben chiara, avanzò in posizione quasi radente, finse di tirare un sinistro, e poi fece partire un gancio destro. Quando arrivò giusto sul mento di Margo, Kate tirò l’affondo sinistro… e poi un altro. Colpirono entrambi nel segno, facendo oscillare un po’ Margo. La sorpresa le brillò negli occhi mentre barcollava all’indietro contro le corde. Sorrise, però. Come Kate, sapeva che quello era più o meno solo un allenamento, e aveva appena imparato una lezione: in qualsiasi momento, stare attenta alle finte.

Margo rispose con due affondi al corpo, uno che colpì le costole di Kate. L’aria le uscì per un attimo dai polmoni, e per quando fu riuscita a respirare di nuovo vide il pesante gancio destro arrivarle da sinistra. Cercò di muoversi ma non riuscì in tempo. La colpì a lato della testa imbottita e la fece andare all’indietro.

Si sentì frastornata per un attimo. Le si offuscò la vista e le ginocchia le si fecero un po’ deboli. Pensò di cadere, solo per guadagnarsi una pausa.

Eh già… sono troppo vecchia per queste cose.

Ma la risposta che poi ne venne fu: Conosci altre donne over cinquanta che riuscirebbero a beccarsi un pugno così e rimanere in piedi?

Kate rispose con due affondi e poi un colpo al corpo. Solo uno degli affondi andò a buon fine, ma il colpo al corpo colpì l’obiettivo. Margo tornò indietro alle corde, barcollando un po’. Poi si allontanò dalle corde e scagliò un impaziente montante. Non era pensato per prenderla. Doveva solo far alzare le braccia a Kate per bloccarlo, così che Margo potesse affondare contro al suo torso esposto. Ma Kate vide la leggera esitazione nel movimento, conoscendo lo scopo che c’era dietro. Invece di bloccare il pugno si spostò di scatto a destra, aspettò che l’affondo giungesse a termine nel vuoto, e poi ne scagliò uno di destro che entrò in collisione con il lato della testa di Margo.

Margo andò giù subito. Cadde sullo stomaco e rotolò piuttosto velocemente. Scivolò di nuovo nel suo angolo e si tolse il paradenti. Sorrise a Kate e scosse la testa, incredula.

«Scusa» disse Kate inginocchiandosi di fronte a lei.

«Non chiedere scusa» disse Margo. «Sinceramente è assurdo che tu riesca a essere così veloce. Sento di doverti delle scuse. Per via della tua età, ho pensato che saresti stata… più lenta.»

L’allenatore di Kate – un uomo brizzolato di poco più di sessant’anni con una lunga barba bianca – scavalcò le corde, ridendo. «Ho fatto lo stesso errore anch’io» disse. «E ne ho ricavato un occhio nero per circa una settimana. Ho preso lo stesso pugno che ti ha messa k.o.»

«Non dispiacerti tanto» disse Kate. «Quello alla testa è stato grandioso. Mi hai quasi finita.»

«Avrebbe dovuto finirti» disse l’allenatore. «A dire il vero è stato un po’ più forte di quelli che voglio vedere in questi semplici incontri di allenamento.» Poi guardò Margo. «Sta a te. Vuoi continuare?»

Margo annuì e si mise in piedi. Di nuovo, l’allenatore le mise il paradenti. Entrambe le donne tornarono ai loro rispettivi angoli e aspettarono la campanella.

Ma non fu la campanella che udì Kate. Udì invece lo squillo del telefono. Ed era lo squillo che usava per tutte le chiamate che arrivavano dal bureau.

Si tolse il paradenti dalla bocca e porse le mani guantate all’allenatore. «Scusa» disse. «Devo rispondere.»

L’allenatore sapeva del suo lavoro part time come agente speciale. Pensava che fosse da cazzuti (parole sue, non di Kate) rifiutarsi di andare totalmente in pensione da un lavoro del genere. Perciò, quando le slegò i guantoni, lo fece il più velocemente possibile.

Kate scivolò oltre le corde e corse al borsone della palestra, a terra addossato al muro. Lo teneva sempre fuori dallo spogliatoio proprio in caso avesse ricevuto una telefonata del genere. Agguantò il telefono e il cuore le si gonfiò di entusiasmo e disperazione tutto insieme quando vide sul display il nome del vicedirettore Duran.

«Agente Wise» disse.

«Wise, sono Duran. Hai un secondo?»

«Sì» disse lei girandosi per guardare il ring con desiderio. L’allenatore di Margo stava lavorando con lei su come evitare le finte. «Che cosa posso fare per te?»

«Speravo che potessi occuparti di un caso. È operativo immediatamente, e mi servirebbe che tu e DeMarco prendeste un aereo stasera.»

«Non lo so» disse lei. Ed era la verità. Era una cosa così improvvisa, e aveva detto a Melissa, sua figlia, molte volte nelle ultime settimane del fatto che non sarebbe stata così prontamente disponibile per i lavori dell’ultimo minuto. Aveva trascorso molto più tempo con Melissa e Michelle, sua nipote, nell’ultimo mese, e finalmente si erano costruite una cosa per loro – una specie di routine. Una specie di famiglia.

«Apprezzo che pensi a me» disse Kate. «Ma non so se stavolta posso venire. È davvero una cosa dell’ultimo minuto. E prendere l’aereo… mi fa pensare che sia ben lontano. Non so se sono pronta per un lungo viaggio. Dov’è, comunque?»

«New York. Kate… sono piuttosto sicuro che sia collegato al caso Nobilini.»

Il nome le fece scorrere dentro un brivido. Cominciò a sentire un fischio nella testa, e non era causato dal colpo di pochi momenti prima di Margo. Dei flash del caso di quasi otto anni prima le passarono per la testa in una cascata di immagini – maliziose, canzonatorie.

«Kate?»

«Sono qui» disse. Poi tornò a guardare il ring. Margo stava facendo stretching e una leggera corsetta sul posto, pronta per il prossimo combattimento.

Peccato che non si facesse. Perché, non appena ebbe sentito il nome, Kate seppe che avrebbe accettato il caso. Doveva farlo.

Il caso Nobilini si era allontanato da lei otto anni prima – una delle vere e proprie sconfitte che avesse mai subito nella sua carriera.

Quella era l’occasione per chiuderlo – di sprangare definitivamente l’unico caso che l’avesse davvero vinta.

«Quand’è il volo?» chiese a Duran.

«Da Dulles al JFK, parte fra quattro ore.»

Pensò a Melissa e Michelle e le affondò il cuore. Melissa non avrebbe capito, ma Kate non poteva rifiutare quell’opportunità.

«Ci sarò» disse.

CAPITOLO DUE

Kate riuscì a fare i bagagli e a lasciare Richmond in meno di un’ora e mezza. Quando incontrò la sua partner, Kristen DeMarco, fuori da uno dei diversi Starbucks dell’aeroporto internazionale di Dulles, avevano solo ancora dieci minuti prima del decollo; i passeggeri dell’aereo erano già stati imbarcati, per la maggior parte.

Andando veloce verso Kate con il caffè in mano, DeMarco sorrideva e scuoteva la testa. «Se avessi scelto semplicemente di trasferirti a Washington D.C., non dovresti correre ed essere sempre al limite del ritardo.»

«Non si può fare» disse Kate mentre si raggiungevano e si affrettavano verso il gate. «Già basta che questo cosiddetto lavoro part time mi tenga lontana dalla mia famiglia più di quanto mi vada. Se fosse richiesto che vivessi a Washington, non lo vorrei proprio.»

«E loro come stanno, Melissa e la piccola Michelle?» chiese DeMarco.

«Bene. Ho parlato con Melissa venendo qui. Ha detto che capisce e mi augura buona fortuna. E, per la prima volta, penso che dicesse sul serio.»

«Ottimo. Te l’ho detto che avrebbe cambiato idea. Presumo che sia fighissimo avere una madre così cazzuta.»

«Sono lontana dall’essere cazzuta» disse Kate mentre raggiungevano il gate. Però pensò a quello che stava facendo quando aveva ricevuto la telefonata e pensò che poteva anche accettare l’appellativo… almeno un po’.

«L’ultima cosa che ho sentito» disse Kate «è che lavoravi a un triplice caso di omicidio nel Maine.»

«Sì, vero. L’abbiamo risolto circa una settimana fa – circa sei agenti in tutto sulla cosa. Quando ho ricevuto la telefonata di Duran su questo caso, mi ha detto che aveva pianificato di mandarci te e mi ha chiesto se volevo farti da partner. Io, ovviamente, ho colto l’occasione al volo. Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto farti da partner sempre, per quanto possibile, in futuro.»

«Grazie» disse Kate. Lasciò le cose così, però. Significava molto per lei, ma non voleva fare la sdolcinata con DeMarco.

Si imbarcarono insieme e presero posto, l’una accanto all’altra. Quando si furono sistemate, DeMarco prese dal bagaglio a mano uno spesso fascicolo con carte e documenti.

«Questo è tutto sul file Nobilini» disse. «Sulla base della tua storia, immagino che tu lo conosca alla perfezione, no?»

«Probabilmente sì» disse Kate.

«È un volo veloce» fece notare DeMarco. «Preferirei sentire le cose da te piuttosto che da appunti e file.»

Kate l’avrebbe pensata alla stessa maniera. La cosa che la sorprendeva era quanto fosse impaziente di condividere i dettagli del caso con DeMarco. Era stato come un assillante prurito nei recessi della mente nel corso degli anni, ma era sempre riuscita ad allontanarlo, volendo evitare di concentrarsi sull’unico vero fallimento della sua carriera.

Perciò, mentre l’aereo si metteva in posizione sulla pista, Kate riandò alle specifiche del caso. Nel frattempo, fermandosi per il fastidio degli annunci pre-volo, si accorse che ora sembrava tutto nuovo. Forse per via di tutto il tempo trascorso dall’ultima volta in cui ci aveva davvero rimuginato su, o per il quasi pensionamento (o entrambe le cose), però adesso il caso sembrava vivo e attivo.

Raccontò a DeMarco i dettagli riguardanti un esclusivo sobborgo appena fuori New York City. Solo un corpo, ma il caso era stato spinto da qualcuno al Congresso, in quanto la vittima gli era intimamente collegata. Nessuna impronta, nessun indizio. Il corpo, di un certo Frank Nobilini, era stato trovato in un vicolo nel distretto di Midtown. L’ipotesi più probabile era che stesse recandosi al lavoro, attraversando a piedi l’unico isolato dal parcheggio coperto al suo ufficio. Un’unica ferita d’arma da fuoco alla nuca. Un’esecuzione.

«Come può essere un’esecuzione se qualcuno chiaramente l’ha sequestrato e trascinato nel vicolo?» chiese DeMarco.

«Quella è un’altra domanda priva di risposta del caso. È stato presunto che Nobilini sia stato picchiato, messo a forza in ginocchio, e poi che gli abbiano sparato alla nuca. Sono stati trovati sangue e pezzi di cranio dappertutto sulla parete dell’edificio accanto al corpo. Le chiavi della sua BMW ce le aveva ancora in mano.»

DeMarco annuì e permise a Kate di proseguire.

«La vittima veniva da una cittadina, un piccolo sobborgo agiato che si chiama Ashton» disse Kate. «È il tipo di città che attira i turisti per i suoi pretenziosi negozi di antichità, le cenette dal prezzo esagerato e gli immobili immacolati.»

«E questa è la cosa che non capisco» disse DeMarco. «In un posto così la gente tende a chiacchierare, no? Verrebbe da pensare che qualcuno abbia saputo qualcosa o abbia sentito delle voci sull’identità dell’assassino. Ma in questi file non c’è niente.» Disse l’ultima frase facendo tamburellare le dita sul fascicolo.

«Questo mi ha sempre inquietata» disse Kate. «Ashton è un luogo esclusivo. Però, a parte questo, è una comunità strettissima. Si conoscono tutti. Per la maggior parte sono tutti cortesi gli uni con gli altri. I vicini aiutano i vicini, grande affluenza alle vendite di torte della scuola, tutto il pacchetto. Quel posto è pulitissimo.»

«Nessun movente per il killer?» chiese DeMarco.

«Nessuno di cui io sia mai venuta a conoscenza. Ashton ha una popolazione di poco più di tremila abitanti. E certo, anche se attira la sua giusta dose di newyorchesi e di gente dei dintorni, ha un tasso di criminalità incredibilmente basso. Quindi anche se nulla è accaduto ad Ashton, l’assassinio di Nobilini otto anni fa ha fatto grande scalpore.»

«E non c’erano mai stati altri omicidi come questo?»

«No. Non fino a oggi, apparentemente. La mia teoria è che l’assassino abbia notato la presenza dell’FBI e abbia preso paura. In una cittadina di quelle dimensioni sarebbe facile notare la presenza dell’FBI.» Kate fece una pausa e prese il fascicolo da DeMarco. «Quanto ti ha detto Duran?»

 

«Non molto. Ha detto che eravamo di fretta e mi ha chiesto di leggere i file.»

«Hai visto che tipo di pistola è stata usata per l’omicidio?» chiese Kate.

«Sì. Una Ruger Hunter Mark IV. Strano. Professionale. È un’arma costosa per un omicidio qualsiasi privo di movente apparente.»

«Sono d’accordo. Il proiettile e il bossolo che abbiamo trovato la rendono facile da riconoscere. E nonostante la pistola costosa e molto bella, il solo fatto che sia stata usata ci ha detto tutto ciò che avevamo bisogno di sapere: è stata una persona che non sa un cazzo su come si uccide la gente.»

«Come mai?»

«Chiunque sappia quel che sta facendo saprebbe che la Ruger Hunter Mark IV si lascia dietro un bossolo. Il che la rende una scelta terribile.»

«Presumo che quest’ultimo uomo sia stato ucciso con una pistola simile, giusto?» chiese DeMarco.

«Stando a Duran, è la stessa identica pistola.»

«Quindi l’assassino ha deciso di rifarlo otto anni dopo. Strano.»

«Be’, dovremo aspettare per saperlo» disse Kate. «Tutto ciò che mi ha detto Duran è che la vittima sembrava sistemata in modo teatrale. E che la pistola usata per ucciderlo è dello stesso tipo che ha ucciso Frank Nobilini.»

«Già, e a Midtown, a New York City. Mi chiedo se quest’ultima vittima sia collegata anche lei ad Ashton.»

Kate si limitò a stringersi nelle spalle mentre l’aereo si trovava in una piccola turbolenza. Le aveva fatto un gran bene rivedere i dettagli del caso. Essenzialmente aveva levato le ragnatele dal caso per riportarlo a nuovo. E forse, pensava Kate, otto anni di spazio tra lei e il caso originale avrebbero potuto permetterle di guardarlo con occhi nuovi.

***

Era un po’ che Kate non andava a New York. Lei e Michael, il suo ex marito, ci erano venuti per una fuga di un weekend non molto prima che morisse. Il traffico e l’assoluta operosità del posto non smettevano mai di meravigliarla. Facevano sembrare gli ingorghi di Washington D.C. irrilevanti, in paragone. Il fatto che fossero quasi le nove di un venerdì sera non aiutava.

Arrivarono sulla scena del crimine alle 20:42. Kate parcheggiò l’auto a noleggio il più vicino possibile al nastro della scena del crimine. Il luogo si trovava su un vicolo posteriore situato sulla 43ma strada, il caos della Grand Central Station qualche isolato più in là. C’erano due auto della polizia parcheggiate testa a testa di fronte al vicolo, non per bloccare il nastro giallo né il vicolo stesso, ma per rendere chiaro a chiunque volesse ficcanasare che la curiosità avrebbe portato a conseguenze.

Mentre raggiungevano il vicolo, Kate e DeMarco vennero fermate al nastro da un corpulento poliziotto. Ma quando Kate mostrò il distintivo, lui si strinse nelle spalle e sollevò il nastro per loro. Kate si accorse che non fece un vero tentativo di dare un’occhiatina a DeMarco quando lei si accucciò per superare il nastro. Si chiese pigramente se DeMarco, una donna apertamente omosessuale, si offendesse quando un uomo le dava un’occhiata o se lo considerava un complimento.

«Federali» disse l’agente con uno sbuffo «Ho sentito che vi avevano chiamati. A me pare un po’ troppo. Sembra un caso bello e chiuso.»

«Verifichiamo solo una cosa» disse Kate mentre lei e DeMarco entravano nel vicolo buio.

Le auto della polizia all’imbocco della via erano state parcheggiate leggermente di traverso per permettere ai fanali di illuminare l’oscurità. Le ombre allungate di Kate e DeMarco aggiungevano un’aria di spaventoso mistero alla scena.

Sul fondo del vicolo – che finiva, chiuso, lungo un muro di mattoni – c’erano due poliziotti e un detective in borghese in un piccolo semicerchio. C’era una piccola massa contro al muro di fronte a loro. La vittima, presumeva Kate. Si avvicinò ai tre uomini e presentò se stessa e DeMarco mentre entrambe mostravano di nuovo i documenti.

«Piacere di conoscervi» disse uno degli agenti. «Però, se devo essere sincero, non capisco proprio perché l’FBI sia stato così insistente nel volerci mettere qualcuno dei suoi.»

«Ah, Gesù» disse il detective in borghese. Sembrava sui quarant’anni e un po’ trasandato. Lunghi capelli scuri, una barba non fatta e un paio di occhiali che a Kate ricordavano qualsiasi immagine avesse mai visto di Buddy Holly.

«Ci siamo già passati» disse il detective. Guardò Kate, ruotò gli occhi al cielo e disse: «Se è un crimine più vecchio di una settimana, il dipartimento di polizia di New York non vuole metterci le mani. Gli fa saltare per aria il cervello che qualcuno abbia voglia di indagare su un caso irrisolto di omicidio di otto anni fa. Sono stato io in realtà a chiamare il bureau. So che ci sono andati giù duri col caso Nobilini quando era attivo. Una specie di amicizia con qualcuno al Congresso, giusto?»

«Giusto» disse Kate. «E io ero l’agente in capo sul caso.»

«Oh. Bello conoscerla. Sono il detective Luke Pritchard. Ho una specie di ossessione per i casi vecchi. Questo ha suscitato il mio interesse per l’arma che sembra essere stata usata così come per il fatto che si sia svolto come un’esecuzione. Se guardate con attenzione, potete vedere segni di sfregamento sulla fronte dove il killer apparentemente lo ha fatto appoggiare contro a questo muro di mattoni.» Mise la mano sul fianco dell’edificio alla loro destra dove c’era del sangue secco schizzato ovunque.

«Possiamo?» chiese Kate.

I due poliziotti si strinsero nelle spalle e fecero un passo indietro. «Certamente» disse uno. «Con un detective e il bureau, lasceremo allegramente tutto a voi.»

«Buon divertimento» disse l’altro poliziotto mentre si voltavano e tornavano all’imbocco del vicolo.

Kate e DeMarco si affollarono attorno al corpo. Pritchard fece un passo indietro per dar loro un altro po’ di spazio, però rimase vicino.

«Be’» disse DeMarco «Direi che l’immediata causa di morte è piuttosto chiara.»

Era vero. C’era un singolo foro di proiettile nella nuca dell’uomo, un foro piuttosto pulito ma l’orlo era annerito e insanguinato – proprio come quello di Frank Nobilini. Era un uomo, intorno ai quarant’anni, poco più o poco meno, se Kate doveva tirare a indovinare. Indossava una mise sportiva di lusso, una leggera felpa con cappuccio dalla zip chiusa e dei bei pantaloni da jogging. I lacci delle costose scarpe da corsa erano legati perfettamente e gli auricolari della Apple dai quali aveva ascoltato musica erano stati posati ordinatamente al suo fianco, come intenzionalmente.

«Abbiamo già un nome?» chiese Kate.

«Sì» disse Pritchard. «Jack Tucker. Il documento nel portafoglio dice che vive nella cittadina di Ashton. Il che, per me, è stato un collegamento ancora più forte con il caso Nobilini.»

«Conosce bene Ashton, detective?» chiese Kate.

«Non tanto. Ci sono passato qualche volta, ma non è il mio genere. Troppo perfetto, troppo pittoresco e schifosamente dolce.»

Capiva quel che voleva dire. Non poté evitare di chiedersi come si sentisse il detective a dover tornare ad Ashton.

«Quando è stato scoperto il corpo?» chiese DeMarco.

«Alle sedici e trenta di oggi. Sono arrivato sulla scena alle cinque e un quarto e ho fatto tutti questi collegamenti. Ho dovuto implorarli di non spostare il corpo finché non foste arrivati voi. Immaginavo che doveste vedere la scena, il corpo eccetera.»

«Scommetto che la cosa l’ha resa simpatico» commentò Kate.

«Oh, ci sono abituato. Vorrei scherzare quando dico che molti poliziotti qui mi chiamano Pritchard Cold Case.»

«Be’, immagino che su questo abbia fatto la cosa giusta» disse Kate. «Anche se viene fuori che non c’è collegamento, c’è comunque qualcuno là fuori che ha sparato a quest’uomo – qualcuno che dobbiamo trovare, nel caso in cui non si tratti di un incidente isolato.»

«Già, da parte mia nessun indizio» disse Pritchard. «Ho qualche promemoria a voce con le mie osservazioni, se volete dare un’occhiata.»

«Potrebbe essere utile. Presumo che la scientifica abbia già scattato le foto, no?»

«Sì. Probabilmente i digitali sono già disponibili.»

Con ciò Kate si mise in piedi, gli occhi ancora sul corpo di Jack Tucker. Aveva la testa inclinata a destra, come fissando bramosamente gli auricolari che gli erano stati messi accanto con tanta cura.

«La famiglia è stata avvertita?» chiese DeMarco.

«No. E temo che, visto che ho chiesto al dipartimento di aspettare a spostare il corpo e procedere con il caso, daranno a me il compito.»

«Se è lo stesso, preferirei farlo io» disse Kate. «Per meno canali passano i dettagli, meglio è.»

«Se è ciò che vuole.»

Kate distolse finalmente lo sguardo dal corpo di Jack Tucker e lo spostò poi all’imbocco del vicolo, dove i due poliziotti si erano riuniti con il poliziotto che aveva sollevato il nastro. Aveva dato notizie così devastanti più volte di quante volesse contare, e non era mai facile. Anzi, in qualche modo sembrava farsi sempre più difficile.

Però aveva anche imparato che, piuttosto stranamente, era negli acuti e agonizzanti spasimi del dolore che quei cari sofferenti sembravano essere in grado di ricordare il dettaglio più piccolo.

Kate sperava che sarebbe stato vero anche in quel caso.

E, così, magari un’ignara nuova vedova avrebbe potuto aiutarla a chiudere il caso che la perseguitava da quasi un decennio.

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